Cambiamenti climatici: anche i mammiferi del deserto sempre più vulnerabili all’aumento delle temperature
Nonostante il termine deserto si associ a un’idea di vuoto o disabitato, gli ecosistemi desertici ospitano una componente importante di biodiversità, unica nel suo genere.
Da animali ormai noti ai più come la volpe del deserto a simboli della conservazione come l’orice (antilope africana e del Medio Oriente), fino a piccoli roditori: sono solo alcuni esempi della biodiversità che caratterizza i deserti del nostro Pianeta.
Le condizioni estreme alle quali queste specie sono esposte hanno portato nel tempo alla selezione di tratti che le rendono adatte alla vita di deserto. Tuttavia, nemmeno tali specifici adattamenti potrebbero essere abbastanza per far fronte alla crisi climatica.
A rivelarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Global ecology and biogeography, condotto dai ricercatori della Sapienza Università di Roma sui mammiferi della penisola arabica.
La ricerca sui mammiferi della Penisola arabica
I risultati dimostrano che le tolleranze termiche e gli adattamenti dei mammiferi di deserto all’aridità potrebbero rivelarsi inefficaci contro l’aumento delle temperature, esponendo questa componente unica della biodiversità a conseguenze potenzialmente disastrose.
“Abbiamo scelto per il nostro studio – spiega Chiara Serafini, ricercatrice del Dipartimento di biologia e biotecnologie Charles Darwin – una delle zone più aride della Terra. Non a caso qui si trova il più esteso deserto sabbioso al mondo, il Rub’ al-Khali. Questo ci ha consentito di indagare sulla risposta al cambiamento climatico delle specie che oggi vivono ai limiti termici del nostro Pianeta”.
Partendo dalla tolleranza termica delle singole specie, i ricercatori hanno constatato che i mammiferi della penisola arabica non soltanto si trovano a vivere ai confini termici della Terra. Ma sfidano anche i limiti concessi dalla loro stessa fisiologia. In altre parole, le condizioni climatiche in cui questi animali storicamente vivono sono estremamente vicine alla loro massima tolleranza possibile.
Fonte: aboutpharma.it


