Economia circolare: dalla terra al mare più spazio alle PAT
Al convegno organizzato a Roma, Assograssi ha chiesto di rimuovere le restrizioni all’utilizzo in acquacoltura delle Proteine Animali Trasformate da ruminante, e, in generale, di rivedere i vincoli al loro impiego nella nutrizione animale, legati alla crisi della “mucca pazza” di oltre vent’anni fa.
Costi di produzione decisamente inferiori, prodotti migliori dal punto di vista nutrizionale, sostenibilità per l’intera filiera e minore dipendenza dall’import: ampliare l’impiego delle Proteine Animali Trasformate (PAT), in particolare da ruminante, avrebbe un impatto molto positivo sull’acquacoltura italiana. Inoltre, allargarne l’utilizzo a tutti i segmenti della nutrizione animale, superando finalmente i divieti legati alla crisi della BSE (la cosiddetta “mucca pazza”) di oltre vent’anni fa, significherebbe rendere più efficienti i processi produttivi e accrescere la competitività di tutta la filiera italiana delle carni. Lo ha ribadito Assograssi, in occasione del convegno “Dalla terra al mare: le proteine animali come risorsa per un’acquacoltura efficiente e sostenibile”, svoltosi oggi a Roma alla presenza dei rappresentanti del mondo associativo e istituzionale.
Assograssi, è socio aggregato di ASSITOL, l’Associazione italiana dell’industria olearia aderente a Confindustria, e rappresenta circa l’80% del rendering in Italia, settore che dà una seconda vita ai residui della lavorazione delle carni, all’insegna del “no waste”, valorizzandoli per poi mettere sul mercato detergenti, fertilizzanti, petfood, mangimi per animali da allevamento.
I dati del 2024 descrivono un comparto solido: le imprese del rendering hanno trasformato 1.427.000 tonnellate di sottoprodotti di orIgine animale, per un fatturato di oltre 700 milioni di euro. Tuttavia, il settore potrebbe guadagnare in sostenibilità e redditività, se l’Unione Europea alleggerisse i divieti, ancora in vigore, sull’impiego delle PAT nell’alimentazione degli animali da allevamento.
“Grazie all’esperienza e al know-how delle nostre aziende – ha sottolineato Paolo Valugani, presidente di Assograssi -, le Proteine Animali Trasformate sono di alta qualità, frutto al 100% di un sistema consolidato di economia circolare, che mette sul mercato materie prime per mangimi sottoposte a controlli severi. Eppure, proprio in Europa, dove le proteine animali trasformate sono molto più sicure dal punto di vista sanitario che altrove, le restrizioni sul loro impiego, imposte ai tempi della BSE, sono persino più dure di quelle imposte dalla WOAH, l’Organizzazione mondiale per la sanità animale”. Un vero paradosso se si pensa che, oggi, il rischio “mucca pazza” sul territorio UE è considerato trascurabile, grazie al sistema di biosicurezza costruito dal settore del rendering.
“La pandemia prima, le tensioni internazionali poi, hanno fatto emergere il problema della feed security, la sicurezza negli approvvigionamenti”. Per questa ragione, Assograssi, già da alcuni anni, chiede di riscrivere le regole, rimuovendo il “feed ban”, il complesso di restrizioni che consentono l’impiego delle proteine animali trasformate soltanto in alcuni segmenti della nutrizione animale.
In questo contesto, l’acquacoltura è un settore con ottime potenzialità di crescita – oltre 400 milioni di fatturato nel 2023 per 800 siti produttivi in tutta Italia -, in cui l’apertura alle proteine animali è già in atto. Negli allevamenti ittici, infatti, le PAT da non ruminante (pollo e suino), si utilizzano già. Tuttavia, i quantitativi prodotti non sono sufficienti per l’attuale fabbisogno mangimistico, quindi si impiegano anche proteine vegetali e farine di pesce, che l’Europa e la stessa Italia sono costrette ad importare. “Il ricorso più ampio alle PAT ci aiuterebbe a diminuire l’import, aumentando la sostenibilità economica del comparto – ha osservato Valugani -. In Europa, siamo sempre di più a chiederlo”. Un esempio in tal senso arriva dalla Norvegia, paese che vede nell’acquacoltura una delle principali voci di bilancio: l’agenzia nazionale per la sicurezza alimentare ha scritto di recente alla Commissione Europea, ricordando i dati scientifici che attestano la marginalità dei rischi da BSE e chiedendo all’EFSA, l’agenzia europea per la food security, una nuova valutazione sulla situazione attuale.
Il consumo di pesce, raccomandato dai nutrizionisti per la sua leggerezza ed il minore apporto calorico, è aumentato sensibilmente negli ultimi anni. In Italia si è attestato sui 30 kg pro-capite: per rispondere ad una domanda così importante, si ricorre all’import – il 75% del pesce che compare sulle nostre tavole proviene dall’estero – e all’acquacoltura. Proprio questo segmento, come ha evidenziato Andrea Fabris, direttore generale dell’Associazione Piscicoltori Italiani (API), in futuro svolgerà un ruolo centrale nel garantire un’alimentazione sana e sostenibile. “L’acquacoltura, ed in particolare l’allevamento ittico, svolgono un ruolo importante nel fornire un alimento con elevato valore nutritivo, come affermato anche dalla FAO. La disponibilità di materie prime, derivanti da processi di economia circolare, può far crescere ancor più la sostenibilità della nostra attività. Il costante controllo e tracciabilità delle PAT assicurano la sicurezza alimentare, contribuendo a migliorare le formulazioni dei mangimi che potranno sempre meglio soddisfare le esigenza fisiologiche e di benessere dei pesci allevati. Ulteriore obiettivo che può essere raggiunto è quello di una sempre crescente accettabilità sociale dell’acquacoltura, in grado di incontrare le richieste e i gusti dei consumatori”. I pesci, animali carnivori, con una dieta a base di proteine animali, risulterebbero meglio nutriti.
“L’accesso a un più ampio ventaglio di materie prime proteiche – ha dichiarato Lea Pallaroni, direttore generale di Assalzoo – rappresenta oggi una priorità strategica per il settore mangimistico. In quest’ottica, e alla luce delle normative europee che ne disciplinano la produzione, le PAT costituiscono non solo una risorsa sicura e preziosa, ma un ingrediente essenziale, soprattutto considerando che l’acquacoltura italiana è orientata prevalentemente verso specie carnivore”. Ferma restando la necessità, come finora garantito dal legislatore, che ogni apertura normativa sia fondata su evidenze scientifiche a tutela della sicurezza degli animali e dei consumatori, l’estensione dell’uso delle PAT da ruminante comporterebbe un duplice vantaggio: una maggiore disponibilità di prodotto e una semplificazione nell’impiego anche delle Proteine animali trasformate da suino, andando ad alleggerire il fabbisogno di materie prime proteiche importate quali farine di pesce e di soia. L’esperienza della riapertura all’uso delle PAT da suino e avicolo, per la quale sono trascorsi dieci anni tra la modifica normativa e il loro effettivo impiego, dimostra l’importanza di un coinvolgimento della GDO anticipato per condividere un percorso comune.
A fronte dei vincoli europei, la concorrenza dei Paesi extra-Ue penalizza fortemente la filiera italiana del rendering. “Non potendo contare su consumi adeguati, esportiamo le PAT da ruminante in tutto il mondo – ha osservato Dario Dinosio, vicepresidente vicario di Assograssi –. I nostri piscicoltori, invece, devono subire la concorrenza estera, per giunta spendendo di più a causa dell’import”. Eppure, sostituire le farine di pesce e le proteine vegetali, attualmente preponderanti nella mangimistica per acquacoltura, avrebbe forti benefici sui bilanci della filiera. “Grazie alle Proteine Animali Trasformate da ruminante, l’acquacoltura potrebbe contare su una maggiore disponibilità di materie prime: ciò avvantaggerebbe non soltanto le aziende del rendering ed i produttori di mangimi, ma diminuirebbe anche i costi finali per i piscicoltori, rendendo più sostenibile e proficua la loro attività dal punto di vista economico”.
L’impiego esteso delle proteine da ruminante rafforzerebbe, inoltre, la circolarità del settore del rendering e dell’acquafeed. “I vantaggi sono tanti ed evidenti – ha spiegato Luca Papa, vicepresidente di Assograssi – una maggiore autonomia dall’import, una minore impronta di carbonio, quindi una maggiore sostenibilità ambientale e, in generale, costi di produzione molto più ridotti per l’intera filiera delle PAT, se si potesse contare su quantitativi maggiori di materie prime per mangimi prodotte in Italia e non importate”. Al consumatore, ha ricordato Papa, “è però necessario raccontare la sostenibilità di questi prodotti con un’etichettatura adeguata, che descriva l’impegno sulla sostenibilità delle aziende e la circolarità dei nostri processi produttivi”.
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