La comunicazione: che potente anti-virus!

Il prossimo anno sarà il decimo anniversario. Era Ottobre del 2016 e a Bergamo, durante un convegno con a tema “il cibo che non nutre nessuno”, veniva siglato un protocollo d’intesa tra la Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva e Fondazione Banco Alimentare ETS. Un accordo importante, che dava il via ad una collaborazione tra le due organizzazioni, per promuovere iniziative concrete che rendessero possibile una maggiore raccolta e distribuzione di eccedenze alimentari e un minor spreco di cibo.

Da allora, abbiamo percorso tanta strada e si sono moltiplicate le occasioni comuni, dove i medici veterinari sono scesi in campo, con la loro professionalità e la loro responsabilità, accanto a Banco Alimentare. Dalla prima, in ordine temporale, legata al recupero di cibo eccedente dalle navi da crociera, al progetto Ri-pescato in Sicilia, finalizzato al recupero e alla lavorazione del pesce sequestrato e alla sua distribuzione alle organizzazioni che sul territorio offrono aiuto alimentare. Al recupero a scopo sociale della carne di bovini vaganti, destinati all’abbattimento in Campania. Al  riconoscimento delle muffe “buone” sui formaggi, la distinzione tra TMC e la SCADENZA di un alimento… fino alla recente costituzione di un Comitato Tecnico Scientifico, in seno alle attività di Fondazione Banco Alimentare, composto da figure scientifiche competenti in materia igienico sanitaria, di sicurezza alimentare e nutrizione, che svolgono volontariamente un prezioso lavoro di supporto e sostegno a tutte le attività operative di recupero e distribuzione delle eccedenze alimentari di Banco Alimentare.

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Fonte: bancoalimentare.it




Il cibo se non è sicuro, non è cibo

Il 7 Giugno, si celebra la Giornata mondiale della sicurezza alimentare (World Food Safety Day), un tema strategico anche per Banco Alimentare e su cui abbiamo costruito partnership indispensabili per il nostro lavoro quotidiano. Ne abbiamo parlato insieme al dott. Antonio Sorice, presidente della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva e membro del Comitato Tecnico Scientifico di Fondazione Banco Alimentare ETS, che ringraziamo per la disponibilità e per il prezioso lavoro portato avanti in Italia, insieme a tanti colleghi.

  1. Qual è il ruolo della medicina veterinaria preventiva nel garantire un’alimentazione sicura, nel sistema alimentare (dal “forcone alla forchetta”), con uno sguardo anche alle fasce più fragili della popolazione?

La sicurezza alimentare è un diritto universale, ma le fasce più vulnerabili della popolazione, bambini, anziani, persone con malattie croniche, individui con basso reddito,  sono spesso le più esposte ai rischi legati a cibi insicuri o di scarsa qualità.

Il veterinario pubblico è presente in tutte le fasi della filiera produttiva degli alimenti di origine animale, garantendo che i prodotti rispettino elevati standard di sicurezza attraverso il controllo delle condizioni igieniche, delle procedure di lavorazione, conservazione e trasformazione di carne, latte, uova, prodotti della pesca e miele, e la verifica delle “informazioni sulla catena alimentare”, che tracciano la storia sanitaria degli alimenti.

Garantendo la qualità e la sicurezza degli alimenti, la medicina veterinaria pubblica contribuisce a rendere disponibile cibo sano e nutriente anche per coloro che hanno un accesso limitato a risorse alimentari diversificate o che dipendono maggiormente da canali di distribuzione a basso costo.

  1. In Italia, esistono disuguaglianze nell’accesso al cibo sano e sicuro. Chi ha poca disponibilità economica spesso scende a compromessi sulla qualità del cibo e sulla sua sicurezza (contaminazioni, frodi, alimenti di bassa qualità, circuiti di approvvigionamento non ufficiali, ecc) come può il sistema di controllo veterinario contribuire a ridurre queste disuguaglianze?

Le frodi spesso colpiscono i prodotti a basso costo, ingannando i consumatori sulla qualità o sulla provenienza; i veterinari pubblici, attraverso controlli mirati e analisi di laboratorio, identificano e combattono queste pratiche, tutelando anche chi non può permettersi di “scegliere”, a parità di prezzo.

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Fonte: bancoalimentare.it




Maurizio Ferri al meeting dell’EFSA sui rischi emergenti

Il  4 e 5 giugno 2025 l’EFSA ha ospitato la 33a riunione del Gruppo di discussione degli stakeholders suI rischi emergenti (StaDG-ER). Maurizio Ferri della SIMeVeP ha partecipato in rappresentanza della Federazione dei veterinari europei (FVE) ed ha relazionato sui rischi di sanità pubblica dell’Encefalite da zecca.

L’incontro ha toccato varie categorie di questioni emergenti e rischi emergenti. I temi chiave sono stati:

–          Elettronica commestibile

–          Punti di carbonio

–          Il potenziale di diffusione globale di Shewanella spp nei prodotti ittici

–          Correlazione tra miscele di additivi alimentari e diabete di tipo 2

–          Rischio per la salute pubblica dell’encefalite da zecche

–          Incidenza e diffusione in Europa della Blue Tongue

–          Carenza di vaccini per animali

Un’attenzione particolare è stata rivolta agli strumenti e alle tecniche in EFSA di Horizon Scanning e alle attività della rete sullo scambio dei rischi emergenti (EREN) per identificare e valutare in modo proattivo i segnali, anticipare le minacce e supportare i gestori del rischio nell’anticipazione dei rischi e nell’adozione di misure di prevenzione efficaci e tempestive per proteggere i consumatori, gli animali, le piante e l’ambiente.

Un aspetto degno di nota è stato l’accento posto sulla collaborazione interdisciplinare come cruciale per un’efficace valutazione e gestione dei rischi. L’incontro si è concluso con un forte invito rivolto alle organizzazioni per superare i limiti della gestione reattiva al rischio e adottare un approccio agile e lungimirante per affrontare i rischi emergenti. E’ stata evidenziata inoltre la necessità di una formazione continua, della condivisione delle migliori pratiche e dello sviluppo di solidi sistemi interni per monitorare e rispondere alle minacce sanitarie impreviste ed imprevedibili.

Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP




Carne coltivata: allargare la partecipazione del tavolo tecnico e includere la comunità scientifica

In relazione al tema della carne coltivata e alla recente richiesta della Coldiretti di regolamentarla come un farmaco, c’è stato un recente appello di professori universitari, esperti e ricercatori Cnr.

Gli esperti ritengono che non ci sia una base scientifica nella richiesta di studi clinici e preclinici e confermano la solidità del Regolamento sui Novel food, ritenuto uno tra i più rigorosi al mondo dal punto di vista delle garanzie per la salute dei consumatori.

Successivamente, rappresentanti della comunità scientifica ed esperti che operano nei settori della carne coltivata, agronomia e produzioni animali, e sicurezza alimentare hanno inviato una lettera, sottoscritta anche dalla SIMeVeP, ai Ministri dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare con la richiesta di un confronto sul tema e di allargare la partecipazione della comunità scientifica al Tavolo tecnico interministeriale. Ciò al fine di contribuire al dibattito e ai nuovi approfondimenti che i dicasteri stanno promuovendo e far sì che le decisioni istituzionali siano supportate da solide evidenze scientifiche a tutela della popolazione.

Ad oggi però, i ventisei esperti e ricercatori italiani non hanno ancora ricevuto risposta.




Carne coltivata e la mobilitazione della Coldiretti: l’appello di scienziati ed esperti

Poco più di un decennio fa, l’idea di coltivare carne senza la macellazione di animali apparteneva più al regno della fantascienza che agli scaffali dei supermercati. Ma quello che era nato come un prototipo nel 2013, la prima bistecca coltivata del ricercatore danese, Mark Prost si è gradualmente trasformato in un serio ambito di innovazione, investimenti e politiche pubbliche. Oggi in tutta Europa, l’interesse per la carne coltivata va oltre i laboratori di ricerca e sta diventando una questione di preparazione del mercato, sovranità alimentare e leadership tecnologica.

La carne coltivata è una tecnologia già in uso in altre parti del mondo, come risposta all’impatto ambientale, al fabbisogno di proteine ​​per nutrire tutti in modo equo e sostenibile e agli interrogativi etici degli allevamenti intensivi, i cui rischi non superiori a quella convenzionale, vengono attentamente valutati dall’EFSA in accordo alle linee guida dell’Unione Europea. Purtroppo le sfide politiche e legali emergono ancor prima che la carne coltivata raggiunga gli scaffali dei negozi. Nel 2023, l’Italia ha approvato la Legge n. 172/2023 che stabilisce il divieto in Italia di produzione e immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari. Ma ancor prima della sua adozione formale, le misure previste stavano già causando notevoli disagi colpendo non solo le imprese direttamente coinvolte nel settore ma anche i settori correlati. Come risposta gli investitori hanno indugiato nei negoziati e il persistere di una posizione politica restrittiva ha creato in Italia un ambiente ad alto rischio per le iniziative economiche e minato le sue capacità di attrarre capitali e sostenere lo sviluppo e ricerca delle imprese del settore.

Coldiretti, una delle più importanti associazioni italiane di agricoltori con le sue posizioni contrarie alla carne coltivata  (erroneamente definita sintetica), ritenuta dalla stessa un rischio per l’identità alimentare nazionale, posiziona gli agricoltori contro l’innovazione alimentare creando una falsa divisione.

L’associazione, forte promotrice della Legge n. 172/2023, puntando su un strategia di comunicazione emotiva e su una serie di dichiarazioni antiscientifiche, ha organizzato 19 Marzo una  manifestazione nazionale a Parma, città con il ruolo critico di hub dell’alimentare e sede dell’EFSA, collegata alla campagna ‘Facciamo Luce’. Nel corteo, a cui hanno partecipato 20.000 associati, spiccavano cartelli riportanti slogan come ‘cibo dalle campagne non dai laboratori, ‘più ricerca medica’,  ‘i cittadini europei non sono cavie’. Tra i motivi della protesta, apparentemente europeista e vicina ad un intento di protezionismo economico, ci sono rivendicazioni molteplici tra cui meno burocrazia e più risorse e la richiesta di regolamentare la carne coltivata anche attraverso dei trial clinici e pre-clinici utilizzati nell’iter di sperimentazione e approvazione dei farmaci.

Per quest’ultimo aspetto l’associazione ha trovato sponda sia in un documento del Consiglio dei ministri dell’Agricoltura e Pesca sottoscritto a Gennaio 2024 da diversi paesi, tra cui il nostro, dal titolo ‘The CAP’s role on safeguarding high quality and primary farm-based production’, in cui si accenna alla necessità di regolamentare la carne coltivata come un farmaco, sia nel parere elaborato da un Tavolo tecnico interministeriale del Ministeri della Salute ed Agricoltura alla Guida EFSA sui Novel Food.  I tecnici chiedono all’EFSA ulteriori approfondimenti sulla materia e l’introduzione dell’obbligatorietà dei trials clinici e pre-clinici per autorizzare la carne coltivata come un farmaco, ma non forniscono dettagli sui metodi adottati e i riferimenti scientifici e lasciano aperte le domande sulle ragioni che hanno portato a questa conclusione.

Inoltre, come denunciato in una recente  interrogazione parlamentare ai ministri della Salute e dell’Agricoltura, l‘appartenenza di alcuni tecnici del Tavolo tecnico al comitato scientifico di Aletheia, un think tank istituito proprio da Coldiretti,  solleva un potenziale conflitto di interessi con dubbi legittimi sulla qualità dei pareri scientifici proposti dal tavolo ed utilizzati da Coldiretti per giustificare le iniziative contro la carne coltivata.  Non meno rilevante il fatto che il coordinatore del tavolo sia anche il presidente di Aletheia. La richiesta della Coldiretti, che appare scarna di argomenti scientifici, al di là della constatazione della mancata conoscenza dell’impatto sulla salute della carne coltivata, lancia un segnale di delegittimazione del lavoro scientifico dell’EFSA, incaricata dalla Commissione Europea di valutare, sulla base di dati scientifici solidi i rischi non solo per gli alimenti, ma anche per gli animali e mangimi, nel rispetto dei principi della trasparenza e indipendenza, ulteriormente rafforzati dal Regolamento (UE) 2019/1381 sulla trasparenza e sostenibilità dell’analisi del rischio  nella filiera alimentare dell’Unione europea.  E’ utile richiamare la procedura di autorizzazione della carne coltivata – cosi come di altri Novel food- che si compone di due fasi: valutazione del rischio e gestione del rischio.

Con la prima l’EFSA analizza le proprietà nutrizionali, tossicologiche e allergeniche del nuovo alimento e del suo processo di produzione e fornisce alla Commissione europea il parere scientifico sulla sicurezza del prodotto. Se questo parere è favorevole, ed entriamo nella fase di gestione del rischio, la Commissione redige un atto di esecuzione e lo sottopone al Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi, composto da rappresentanti della Commissione e dei 27 Stati membri dell’UE. Questa ulteriore consultazione consente di valutare anche aspetti economici, di benessere animale, impatto sociale e/o di altro tipo.

Il dibattito sulla carne coltivata si è dunque arricchito di un altro elemento di confusione con la sua assimilazione tout court ai farmaci che seguono iter autorizzativi distinti e con finalità diverse: un farmaco può essere autorizzato anche in presenza di effetti collaterali noti, mentre l’EFSA può approvare un alimento solo se non presenta rischi per la salute. E’ evidente come questa impostazione implicherebbe la revisione del quadro regolatorio attualmente applicabile (UE Novel Food Regulation) integrando elementi tipici della normativa farmaceutica e il trasferimento del mandato autorizzativo all’EMA (Agenzia Europea dei farmaci) che non dispone delle competenze per la valutazione della sicurezza degli alimenti.

A margine della manifestazione di Parma,  Coldiretti ha incontrato i vertici EFSA al fine di chiarire le preoccupazioni e le istanze sollevate circa l’approccio di valutazione del rischio.  Nel comunicato stampa EFSA, rilasciato al termine dell’incontro, viene sottolineato come i gruppi di esperti incaricati ‘effettueranno valutazioni approfondite, caso per caso, per ciascun prodotto e potranno utilizzare ogni livello di studio richiesto (inclusi test preclinici e clinici) per determinarne la sicurezza’.  Questa dichiarazione è stata erroneamente interpretata dalla Coldiretti come un accoglimento della richiesta di utilizzare tali studi per la regolamentazione della carne coltivata. Occorre però fare chiarezza su questo punto.

Gli studi di intervento sull’uomo (ovvero gli studi clinici) sono applicati con successo in campo medico per I prodotti farmaceutici con dosaggi ben controllati e i cui effetti collaterali sono relativamente facili da monitorare. Riesce difficile immaginare come gli stessi studi possano essere condotti su prodotti coltivati ​​per monitorare i potenziali effetti avversi sulla salute derivanti dal consumo a lungo termine. E’ come se gli hamburger di vitello coltivato dovessero seguire lo stesso processo autorizzativo di un farmaco destinato al trattamento di malattie gravi, e prima dell’approvazione venisse richiesto uno studio clinico.

L’EFSA ha già richiesto test aggiuntivi, inclusi gli studi di intervento sull’uomo (ovvero gli studi clinici) per alcuni dei 125 nuovi alimenti autorizzati dal 2000. Ma si può presumere che la richiesta di studi preclinici e clinici citati nella dichiarazione dell’EFSA sia generici e, comprensibilmente riferita (ove richiesto) a input, ingredienti o componenti che entrano nel processo di produzione della carne coltivata, ma non al prodotto finito. Gli studi clinici sulla popolazione sono assimilabili al monitoraggio post-commercializzazione che potrebbe essere utilizzato per confermare che il prodotto sia quello previsto nella valutazione pre-commercializzazione e limitati a palatabilità, digeribilità, intolleranze e allergie o per alimenti speciali in cui è necessario indagare potenziali effetti nutrizionali negativi o esiti sanitari avversi su popolazioni specifiche (ad esempio, neonati, donne in gravidanza e pazienti ad alto rischio di malattie).

Per la carne coltivata rimane comunque giustificata l’identificazione preventiva di potenziali pericoli (es. fattori di crescita) e il tracciamento di effetti avversi correlati. Pertanto per valutare la sicurezza del prodotto finale (che include carne e frutti di mare coltivati come ingredienti, additivi o alimenti interi) l’EFSA analizza i risultati di test svolti dalle ditte, e documentati nei dossier allegati alle richieste di autorizzazione dei prodotti notificati, su ingredienti, nuove proteine, contaminanti, prodotti di degradazione, metaboliti o residui presenti nel prodotto finito.  Queste valutazioni a seconda del tipo di nuovo alimento possono includere test di tossicità standard, conformi ai criteri specifici per un determinato ingrediente, in accordo al Codex Alimentarius e se necessari test di sicurezza in vitro ed in vivo. I primi possono essere utilizzati per lo screening e l’identificazione di potenziali pericoli e talvolta per calibrare la dose per i successivi test sugli animali.

Sulla mobilitazione della Coldiretti, c’è stato un recente appello di scienziati ed esperti , impegnati nello studio della carne coltivata in Italia e in Europa, i quali, alla luce della letteratura scientifica esistente e delle ricerche condotte nel settore, confermano la solidità del Regolamento UE 2015/2283 sui Novel Food, ritenuto tra i più rigorosi al mondo dal punto di vista delle garanzie per la salute dei consumatori, e l’assenza di una base scientifica nella richiesta di studi clinici e preclinici.

Gli stessi ricercatori hanno poi chiesto ai Ministri della Salute e dell’Agricoltura la possibilità di partecipare ad un confronto più inclusivo, al fine di assicurare pluralismo, trasparenza e aggiornamento costante del dibattito scientifico e far sì che le decisioni istituzionali siano supportate da solide evidenze scientifiche, a tutela della popolazione.  Disponibilità poi accordata da parte dei Ministeri di Salute e Agricoltura ad ampliare il tavolo tecnico sulla carne coltivata includendo la comunità scientifica nazionale di settore. Alessandro Bertero, Professore di Biotecnologie presso l’Università di Torino, tra i firmatari della lettera, ha dichiarato: “Come gruppo di esperti impegnati nel settore, accogliamo positivamente la dichiarata volontà di ampliare il confronto e speriamo che si possa presto creare questa opportunità di confronto scientifico costruttivo con le istituzioni”. Ad oggi però, i ventisei esperti e ricercatori italiani non hanno ancora ricevuto risposta.

In conclusione, la carne coltivata non necessita di sperimentazioni cliniche, perché non è un farmaco. Questa non è né una scappatoia né una svista, ma piuttosto lo stesso principio che regola gli integratori alimentari, i prodotti omeopatici e i cosmetici.

Il dibattito polarizzato sulla carne coltivata riflette una trepidazione più profonda piuttosto che un semplice conflitto tra quadri giuridici. La carne coltivata tocca nervi culturali: il cibo è identità, tradizione, persino ideologia. Da qui le posizioni restrittive di alcuni governi e associazioni di settore a salvaguardia della cucina nazionale o dei mezzi di sussistenza rurali, ma che celano deboli tentativi di protezionismo economico dei produttori di carne tradizionali a discapito delle tecnologie all’avanguardia. Diversamente, lungi dal considerare la carne coltivata una minaccia, gli agricoltori possono vederla come un’opportunità per l’acquisizione di un modello di business complementare e non sostitutivo della produzione convenzionale ed essere i pionieri di questa tecnologia come di altre che hanno scandito il processo di innovazione ed il progresso del mondo agricolo nel corso della storia.

Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP

 

 




Lo sviluppo del settore della carne coltivata dovrebbe preoccupare i veterinari?

La carne coltivata, impropriamente chiamata carne sintetica o artificiale, viene prodotta attraverso un processo di coltivazione in vitro di linee cellulari staminali prelevate direttamente dall’animale donatore.  E’ una industria emergente, in una fase iniziale e presenta sfide tutte da superare, come i costi di produzione elevati, efficienza energetica, rischi microbiologici e chimici, accettazione da parte dei consumatori e sviluppo di mercati oligopolistici.  Va osservato, tuttavia come i risultati di studi condotti negli ultimi anni la rendono, in una prospettiva a lungo termine,  una alternativa ecologica alla produzione di carne convenzionale  in quanto più sostenibile ed efficiente per soddisfare il fabbisogno proteico di una popolazione mondiale in rapida crescita. La carne coltivata  è un’idea futuristica che deve essere vista come una preziosa opportunità,  insieme alle alternative vegetali e proteiche per la transizione proteica sostenibile ed ecologica. Non è  in antitesi rispetto all’allevamento tradizionale  che negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie di precisione e genetica innovativa e bio-sicurezza, ha garantito l’efficienza produttiva con ridotte emissioni e minore impatto ambientale.   La transizione della carne coltivata dai laboratori agli impianti di produzione richiederà maggiori investimenti  per la ricerca su efficienza dei bio-processi , ottimizzazione delle tecnologie, definizione di criteri per la valutazione della sicurezza.  Allo stesso tempo andrà sviluppato un quadro normativo nazionale ed internazionale con standard di sicurezza alimentare di benessere animale e sostenibilità ambientale ed affrontate le questioni sociali e politiche, da cui derivano posizioni indebitamente polarizzate anche all’interno di gruppi di interesse notoriamente omogenei come ambientalisti e difensori dei diritti degli animali.   La comunicazione giocherà un ruolo chiave,  soprattutto quella rivolta ai non esperti (clienti, consumatori) e parti interessate (allevatori, legislatori, politici).  Attualmente la ricerca sulla carne coltivata soffre di un approccio frammentato e isolato in diversi settori (ad esempio economia, alimentazione, salute, biotecnologia e ambiente),  un gap che deve essere colmato promuovendo la collaborazione multidisciplinare tra industria, gruppi di ricerca, mondo accademico e autorità di regolamentazione e la condivisione dei database scientifici sia pubblici che privati.  La ricerca necessita di modelli accurati.  Per averli, c’è bisogno di dati migliori su cellule, composizione della biomassa, cinetica e consumo dei nutrienti ed efficienza energetica.

Nuove competenze veterinarie? I sistemi di controllo ufficiale oggi applicati alla carne convenzionale,  dovranno essere adattati alle specificità dei nuovi contesti produttivi della carne coltivata ed avvalersi di nuovi strumenti e know how  per la prevenzione e gestione dei rischi connessi ai diversi passaggi del processo di produzione e commercializzazione.   Il passaggio dalla carne tradizionale a quella alternativa – che richiederà tempo per ragioni economiche e socio-culturali – solleva alcune preoccupazioni all’interno della professione veterinaria.  I veterinari si stanno già chiedendo quale sarà l’impatto sul loro futuro professionale e se quelli che operano negli allevamenti – la categoria più vulnerabile nel mondo futuro della carne alternativa – sopravvivranno.  Il sentimento comune è che la carne coltivata influenzerà da un lato gli allevatori e la comunità rurale, dall’altro produrrà un cambiamento tettonico nella professione.  È indubbio che i veterinari  avranno un ruolo fondamentale nel processo di bio-produzione di carne coltivata, a cominciare dalla valutazione della sanità e storia clinica degli animali donatori di linee cellulari, una  fase ritenuta un fattore di rischio microbiologico e per l’attività di supervisione e verifica della conformità degli impianti di produzione e dei processi ai requisiti di sicurezza alimentare.   Se i veterinari vogliono continuare a svolgere un ruolo chiave in un prospettiva a lungo termine – che è la scala temporale necessaria per trovare   la carne coltivata sugli scaffali dei supermercati –  dovranno reiventarsi.  E non sarà la prima volta.  La storia ci racconta che la professione veterinaria a partire dalla seconda rivoluzione industriale del XIX secolo, ha dovuto far fronte a diverse crisi esistenziali generate da trasformazioni socio-economiche del sistema produttivo industriale. Il cavallo, linfa vitale della professione,  iniziò a perdere valore economico e fu sostituito dalle reti ferroviarie e in seguito dalle automobili.  Negli Stati Uniti, molte scuole veterinarie chiusero negli anni ’20 per un forte calo del numero di cavalli.  Ma altri cambiamenti arrivarono forieri di nuovi sbocchi professionali legati ai programmi di eradicazione delle malattie contagiose animali e allo sviluppo della medicina per animali da compagnia a partire dagli anni ’60.  Il settore della carne coltivata confermerà le  responsabilità dei veterinari in materia di sanità animale e sicurezza alimentare e aprirà nuove opportunità in molteplici aree scientifiche.  L’allineamento della professione veterinaria alle nuove tecnologie richiederà la convergenza della ricerca in campo veterinario con altre discipline scientifiche, tra cui biotecnologia, biochimica, metabolomica, bioingegneria, ingegneria tissutale, ingegneria di processo, zootecnia, solo per citarne alcune.  L’istruzione, la formazione e la motivazione sono fattori chiave per sviluppare nuove competenze veterinarie a beneficio della professione,  della società, degli animali e dell’ambiente.

E’ molto probabile che la domanda di carne tradizionale continuerà a crescere per almeno un altro decennio prima di rallentare, momento in cui quella alternativa prenderà sempre più il sopravvento. Le stime fornite dalla società di consulenza AT Kearney prevedono che tra venti anni la carne coltivata rappresenterà il 35% del mercato della carne, mentre quella convenzionale solo il 40% .  Con questo orizzonte, le innovazioni tecnologiche e le preoccupazioni ambientali potrebbero dare impulso al settore, unitamente ad un riconoscimento delle competenze veterinarie,  in primis in quei paesi che hanno adottato un approccio politico più progressista alla lotta al cambiamento climatico, che, lo ricordiamo, è un campanello d’allarme per reinventare le nostre economie secondo principi etici, di sostenibilità ed efficienza,  ripensare i consumi e riprogettare i nostri rapporti con la natura e all’interno delle nostre comunità.

Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP




Il principio di proporzionalità nelle azioni della autorità competente locale

Le norme di principio sono norme a contenuto generale che esprimono determinati valori ritenuti di particolare importanza in quanto indirizzano l’azione amministrativa e dai quali dipendendono le altre disposizioni normative. L’azione amministrativa non è pertanto solo assoggettata alle norme specifiche per il singolo caso, ma anche a un insieme di principi generali che assicurano l’adeguatezza della scelta adottata dalla amministrazione.

Secondo Nicotra, crescente importanza e funzionalità ha assunto nel diritto pubblico il principio di proporzionalità, in funzione del quale i diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solo nella misura in cui ciò risulti indispensabile per proteggere gli interessi pubblici. L’autore aggiunge che, in ragione di tale principio, ogni provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione, specialmente se sfavorevole al destinario (es. sanzioni, imposisioni di obblighi, ecc.), dovrà essere allo stesso tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato dalla legge.

Conseguentemente, ogniqualvolta sia possibile operare una scelta tra più mezzi alternativi, tutti ugualmente idonei al perseguimento dello scopo, andrebbe sempre preferito quello che determina un minor sacrificio per il destinatario, nel rispetto del giusto equilibrio tra i vari interessi coinvolti nella fattispecie concreta.

Al principio di proporzionalità nelle azioni della autorità competente locale ex art. 138 del regolamento (UE) 625/2017 è dedicato un approfondimento a cura del Dott. Antonio Di Luca, Referente nazionale del Gruppo di lavoro SIMeVeP “Diritto e legislazione veterinaria”

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Alcune riflessioni sulla carne coltivata

Possiamo immaginare un futuro scintillante di un mondo appena oltre il presente in cui la carne è abbondante e accessibile, con quasi nessun costo per l’ambiente e senza la preoccupazione esistenziale legata all’uccisione degli animali.  Al centro di questa visione ci sono mega-strutture high-tech, che ospitano serbatoi d’acciaio (i bioreattori  o fermentatori) alti come palazzi contenenti migliaia di litri di terreni di coltura cellulare ed in grado di produrre milioni di chili di carne, tali da nutrire un intero paese. È una visione edonistica,  ma anche altruistica, una scappatoia per gli eccessi dell’umanità, perché consente di risparmiare acqua, liberare terreni, proteggere le specie vulnerabili e la biodiversità e ridurre le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale.  Parliamo di carne coltivata o carne a base cellulare, correlata all’origine biologica delle cellule e al metodo di produzione, impropriamente chiamata carne sintetica o artificiale, termini imprecisi che possono avere una connotazione negativa per i consumatori. L’aspetto semantico con l’utilizzo di una terminologia per i nuovi alimenti prodotti utilizzando nuove tecnologie – più facilmente comprensibile dal grande pubblico – è rilevante per  superare la potenziale neofobia e la possibile riluttanza verso le nuove scelte alimentari. Esistono diverse definizioni di carne coltivata. Quella che preferisco è la seguente: la carne coltivata è una carne animale genuina, in grado di replicare le stesse proprietà sensoriali e nutrizionali di quella convenzionale, in quanto costituita dello stesso tipo di cellule organizzate nella stessa struttura dimensionale del tessuto muscolare animale.  In parole povere, la carne coltivata è prodotta a partire da vere cellule animali, ad esempio cellule prelevate da un bovino, un pollo, un suino, un pesce.  L’unica differenza è che il prodotto è sempre basato su cellule animali ma non siamo costretti ad allevare e macellare animali.

Sebbene di recente interesse, l’idea originale di carne coltivata ha radici antiche.  Nel 1923, JBS Haldane nel libro ‘Dedalo della scienza e del futuro’ prospettò l’idea del cibo sintetico o coltivato in laboratorio. Winston Churchill nel 1931, critico nei confronti dei metodi di allevamento, introdusse l’argomento della carne coltivata.  Ma la prima ricerca di carne coltivata risale al 2002, quando la NASA pubblicò uno studio sulle colture di cellule muscolari di tacchino e filetto di pesce rosso.  A seguire nel 2013 Mark Post, uno scienziato olandese presentò il primo prototipo di carne a base di cellule di muscolo scheletrico bovino, sotto forma di hamburger, costato circa 290 mila euro per 142 grammi.  Ma il vero pioniere della carne coltivata è l’olandese Willem van Eelen, che negli anni 80’ pose le basi per questa nuova tecnologia.  Oggi il testimone di Willem van Eelen è passato a sua figlia Ira van Eelen, cofondatrice di RespectFarm, un progetto pilota che in alternativa ai grossi impianti, propone il decentramento della produzione di carne coltivata, riadattando le infrastrutture agricole esistenti in strutture per la carne coltivata e  garantendo la transizione dei mezzi di sostentamento degli agricoltori verso un modello di business più sostenibile. RespectFarm fa parte del programma di ricerca collaborativo FEASTS per la carne e pesce coltivato, finanziato con fondi strutturali e di investimento europei, e propone l’integrazione dell’agricoltura tradizionale con l’agricoltura cellulare, con un ruolo futuro nel passaggio verso la sostenibilità. Negli ultimi dieci anni, dunque il concetto di agricoltura cellulare, in particolare la coltivazione di carne e frutti di mare da cellule animali, è passato dalla fantascienza al mondo reale, sebbene con un mercato di nicchia, in alcuni paesi.

Ma come si produce la carne coltivata? Sinteticamente si parte dal prelievo di cellule (per lo più staminali perché dotate di estesa capacità rigenerativa) da un animale tramite una biopsia, e loro inserimento in un bioreattore (o fermentatore), che riproduce le stesse condizioni che le cellule incontrerebbero all’interno del corpo, tra cui presenza di sostanze nutritive, ossigeno e fattori necessari per la crescita e differenziazione. In alternativa alla biopsia che necessita di prelievi continui,  non garantisce l’uniformità dei campioni e presenta limiti dovuti alla soglia di divisione delle cellule primarie (limite di Hayflick), si possono utilizzare linee cellulari più omogenee e performanti e conservate in biobanche. La carne coltivata rappresenta dunque una fusione di biologia e tecnologia, afferisce alla agricoltura cellulare che unisce la tecnologia delle colture cellulari e biologia delle cellule staminali (in prestito dal settore biofarmaceutico) alla ingegneria tissutale-cellulare del settore della medicina umana rigenerativa.

Su questo sfondo di innovazione tecnologica una domanda ricorrente è questa: ma è naturale? Una riflessione che discende da un mito sociale più ampio secondo cui naturale equivale a migliore, più sano e più sicuro.  Siamo avvezzi a romanticizzare il naturale e questa preferenza deriva da pregiudizi radicati legati ad un comfort psicologico: la naturalezza sembra familiare e sicura, anche quando la scienza suggerisce il contrario. E su questo c’è un forte influenza del marketing. Etichette come biologico o naturale sono progettate per rassicurarci, ma possono oscurare i costi ambientali ed etici della produzione.  E’ una prima impressione che però si scontra con una realtà molto più complessa.  Sappiamo che gli alimenti naturali o convenzionali sono spesso imprevedibili. Prendiamo ad esempio la carne tradizionale prodotta in  ambienti (allevamenti ed impianti di macellazione e lavorazione) in cui circolano patogeni come E. coli, Salmonella, Campylobacter che si trasmettono all’uomo, per i quali il rischio non è mai zero e possono persistere anche con ispezioni rigorose.

Diversamente dalle procedure manuali, la tecnologia di automazione del processo di produzione della carne coltivata all’interno di bioreattori dotati di sofisticati  sistemi di monitoraggio, consente di rilevare rapidamente, tramite sensori fisico-chimici eventuali condizioni sfavorevoli nelle vasche di coltivazione, inclusi batteri patogeni, ma anche residui di ormoni ed antibiotici.

A differenza della maggior parte dei produttori di alimenti che testano i lotti in modo casuale, questo sistema offre maggiori garanzie poiché esamina ogni singolo lotto, riduce il rischio di contaminazione e aumenta il controllo, la sicurezza e la tracciabilità dei processi.  In pratica, il rischio può essere facilmente monitorato utilizzando test per la quantificazione dei farmaci veterinari sulla linea cellulare e sul prodotto finito, ma soprattutto recuperando i dati sanitari degli animali donatori.

L’utilizzo della modellazione poi, offre vantaggi sostanziali in termini di riproducibilità, scalabilità e sostenibilità, riduce al minimo le materie prime, gli sprechi, la manipolazione e la dipendenza dall’operatore portando a una maggiore efficienza dei bioprocessi. Il processo dunque è progettato per soddisfare rigorosi standard normativi che garantiscono la qualità e la sicurezza.  Per la produzione su larga scala, i bioreattori automatizzati operano ad alta intensità energetica e richiedono grandi quantità di acqua. Tuttavia, i  bioreattori automatizzati lavorano ad alta intensità energetica e richiedono grandi quantità di acqua. Da un punto di vista della sostenibilità i relativi costi possono essere ridotti utilizzando fonti di energia rinnovabili e introducendo pratiche di riciclaggio e riutilizzo dell’acqua. In aggiunta alla sicurezza ci sono vantaggi  di tipo ambientale rispetto all’agricoltura e allevamento tradizionali, che senza una corretta regolamentazione e pianificazione, favoriscono la deforestazione, sono responsabili per un terzo dell’emissione globale di gas serra proveniente dal settore della produzione alimentare (potenzialmente la carne coltivata produce il 92% in meno di emissioni) e consumano vaste risorse.  I dati ci dicono che siamo nel bel mezzo di una catastrofe globale al rallentatore, ogni anno che passa, la forza distruttiva del cambiamento climatico diventa più destabilizzante e il danno umano agli animali più estremo.

Tornando al quesito sopra espresso, possiamo chiederci: l’agricoltura naturale può raggiungere la  precisione della carne coltivata? E sostenibilità ma anche compassione (viene ridotta la macellazione industriale) non sono forse una definizione migliore di naturale? La scienza sta ora sfidando queste percezioni, dimostrando che il meglio può essere creato attraverso l’innovazione.  La carne coltivata, forse, non è del tutto naturale, ma è più sicura, più sostenibile ed eticamente allineata con i valori moderni.  Inoltre tra i suoi vantaggi, e questo va incontro alle esigenze dietetiche dei nuovi consumatori più attenti, c’è la possibilità di ottimizzarla sotto il profilo nutrizionale. La carne è ricca di acidi grassi saturi, come l’acido stearico, palmitico e laurico, questi ultimi due responsabili dell’aumento delle concentrazioni di colesterolo nel sangue, ma povera di acidi grassi polinsaturi (es. omega 3 e 6) che invece, riducono i livelli di colesterolo e con essi il rischio di subire malattie cardiovascolari. Queste sostanze più salutari potrebbero consentire di creare una prodotto proteico più funzionale e benefico per il consumatore.

Oggi alcuni prodotti che includono cellule coltivate sono stati approvati per la vendita a Singapore, Hong Kong, Stati Uniti (in pausa) e  Israele, ma non ancora nei paesi dell’Unione Europea. Uma Valeti, fondatore e CEO dell’azienda Upside Foods, ha dichiarato nel 2016 che ‘l’umanità è sull’orlo del ‘secondo addomesticamento’: invece di addomesticare gli animali per produrre carne, addomestichiamo le cellule per coltivarla direttamente, un cambiamento dietetico importante quanto il passaggio dalla caccia e dalla raccolta alle colture e all’allevamento. Per il futuro sicuramente i quadri normativi sui nuovi prodotti alimentari (novel food) dissiperanno le preoccupazioni relative alla sicurezza e trasparenza dei  metodi di produzione e dei potenziali impatti a lungo termine. Per migliorare l’efficacia della comunicazione con i non esperti (es. clienti, consumatori, elettori) e le parti interessate (es. allevatori, enti di regolamentazione e politici) e sviluppare un quadro unificato e multidisciplinare, occorrerà  superare l’approccio frammentato e a silos della ricerca sull’agricoltura cellulare in diversi settori (es. economico, alimentare, sanitario, biotecnologico e ambientale, promuovere la collaborazione tra industria, gruppi di ricerca, mondo accademico e autorità regolatorie e condividere database scientifici. Sono necessari modelli accurati.  E per averli abbiamo bisogno di dati migliori su cellule, composizione della biomassa, cinetica e consumo dei nutrienti ed efficienza energetica.  Sullo sfondo di dati promettenti di una recente analisi per il contributo significativo della carne coltivata all’economia dell’UE e una elettrizzante corsa globale agli  investimenti nel settore dell’ordine di miliardi di dollari da parte di capitale di rischio e fondi sovrani, nonché dei principali produttori di carne, e di start-up come East Just e Upside food, che, prima di aver superato le sfide tecnologiche più fondamentali, hanno spinto per l’approvazione del governo americano, si stagliano dichiarazioni che sottolineano come all’ampia rivoluzione della carne coltivata non corrisponda una prospettiva reale, e sicuramente non nei pochi anni che ci sono rimasti per evitare la catastrofe climatica.  Dalle interviste con investitori e addetti ai lavori, tra cui molti che hanno fatto parte dei team di leadership di aziende del settore, emerge una litania di risorse sperperate, promesse non mantenute, strutture costose, significativi ostacoli tecnologici e dati scientifici non validati.  Sono battute d’arresto prevedibili del ciclo hype di Gartner per l’innovazione e di sviluppo di tecnologie trasformative, che la storia ha dimostrato non seguire una linea retta. Affinché l’agricoltura cellulare raggiunga il “plateau della produttività”, non deve solo superare ostacoli di tipo biotecnologico e ingegneristico, ma anche quelli di natura sociale e politica. La carne coltivata, una idea futuristica, lungi dal ritenerla, in una prospettiva di scalabilità a lungo termine, sostitutiva di quella convenzionale, rappresenta una preziosa opportunità a fianco alle offerte vegetali e proteine alternative per realizzare una transizione proteica sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Le conseguenze disastrose del cambiamento climatico sono un wake-up che ci spinge a reinventare le nostre economie, a ripensare ai consumi e ridisegnare le nostre relazioni con la natura e l’uno con l’altro.

Parimenti è giunto il momento di ripensare alla narrativa del cibo cercando di superare la dicotomia semplicistica tra natura e innovazione scientifica e tecnologia che non riesce a catturare l’evoluzione dei moderni processi di produzione e favorire l’accettazione da parte del pubblico di soluzioni solo apparentemente innaturali come la carne coltivata.

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Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP




Anisakis e Norovirus: SIMeVeP e ADMV al Ministero della Salute

In data 22 ottobre il Dott. Maurizio Ferri, coordinatore scientifico della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva (SIMeVeP) e la Dott.ssa Valentina Tepedino, referente del gruppo di lavoro sui prodotti ittici della SIMeVeP e membro del Direttivo della Associazione Donne Medico Veterinario (ADMV) sono stati ricevuti dal dott. Ugo Della Marta, Direttore Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione del Ministero della Salute e dalla dott.ssa Rosa Gaglione.

 L’incontro, su impulso dei Presidenti delle due Associazioni nelle persone di Antonio Sorice (SIMeVeP) e Laura Cutullo (ADMV), ha rappresentato l’occasione per un tavolo di confronto su quelle che sono le tematiche emergenti di sicurezza alimentare e di maggiore rilievo per i numerosi associati nonché oggetto di attenzione mediatica e di aggiornamento da parte dei legislatori.

Obiettivo principale dell’incontro è stato infatti, per le due Associazioni, quello di rinnovare il rapporto di stima, fiducia e collaborazione con la Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione del Ministero della Salute e rafforzare il confronto e lo scambio di informazioni facendo rete sui temi di reciproco interesse.

In particolare, si è discusso dell’importanza dei medici veterinari per gli aspetti legati alla sostenibilità e benessere animale e del loro ruolo strategico anche come divulgatori sui temi di loro competenza e di formatori. Sono stati affrontati anche due temi relativi al settore ittico, come l’Anisakis e i Norovirus, di specifico interesse da parte di entrambe le Associazioni, ed anche oggetto di richieste di chiarimenti. Il Dott. Ferri ha anche espresso il suo interesse ad un confronto sulla carne/pesce “coltivato”.

SIVeMeP e ADMV ringraziano il dott. Della Marta e la Direzione per la disponibilità e per l’opportunità preziosa di un confronto costruttivo.

 

 




WELFAIR – FIERA DEL FARE SANITA’ – One Health: quale equilibrio tra uomo, animali ed ambiente?

Si svolgerà a Roma dal 5 al 7 novembre “WELFAIR – FIERA DEL FARE SANITA” dedicata alla Sanità in Italia, che riunisce in un appuntamento nazionale i vertici della governance sanitaria, delle società scientifiche e delle grandi aziende di tecnologie medicali.

Nella giornata del 6 novembre dalle 16:30 alle 18:30 è in programma la tavola rotonda “One Health: quale equilibrio tra uomo, animali ed ambiente?” coordinata da Sofia Gorgoni, Direttore Responsabile Prevenzione e Salute, alla quale parteciperà Aldo Grasselli, Segretario Nazionale SIVeMP e Presidente Onorario SIMeVeP.

Intervengono:

Ugo Della Marta, Direttore Generale della Direzione per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione, Ministero della Salute

Sara Faravelli, Corporate Communcation Director, Purina Southern Europe

Gaetana Ferri, Consigliere Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani (FNOVI)

Piero Formica, Innovation Value Institute, Maynooth University, Ireland

Aldo Grasselli, Presidente Onorario SIMeVeP e Segretario Nazionale SIVeMP

Ylenja Lucaselli, Deputato, Presidente intergruppo parlamentare One Health

Giulia Marchetti, Professore ordinario di Malattie Infettive Direttore Clinica delle Malattie Infettive e Tropicali Dip di Scienze della Salute, Università degli Studi di Milano

Marco Melosi, Presidente Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (ANMVI)

Maria Triassi, Direttore del Dipartimento ad Attività Integrata di Sanità Pubblica, Farmacoutilizzazione e Dermatologia AOU Federico II; Professore ordinario di igiene generale e applicata, Università degli Studi di Napoli Federico II.

L’ingresso in Fiera è gratuito

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