Gli strumenti diagnostici nella strategia di sorveglianza epidemiologica di COVID-19

Maurizio ferri, Coordinatore Scientifico SIMeVeP, analizza gli strumenti diagnostici oggi disponibili all’interno dei programmi di sorveglianza per COVID-19, come la loro scelta dipenda dal contesto epidemiologico, l’accuratezza degli stessi e l’ effetto delle varianti su test diagnostici e vaccinazioni.

E’ chiaro – sostiene Ferri in conclusione – che per garantire in futuro l’accuratezza dei test diagnostici (molecolare ed antigenico) è di fondamentale importanza portare avanti i programmi di vaccinazione il più rapidamente possibile, catalogare gli obiettivi genomici della diagnostica SARS-CoV-2 e sequenziare in maniera regolare e diffuso i campioni clinici”.

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Coronavirus, uomo e animali: chi contagia chi?

Con il documento “Coronavirus, uomo e animali: chi contagia chi? ” il Presidente SIMeVeP, Antonio Sorice e il Coordinatore scientifico SIMeVeP , Maurizio Ferri, propongono un’analisi della potenziale suscettibilità di SARS-COV-2 nella gamma degli ospiti animali  e delle strategie di prevenzione  e gestione del rischio SARS-CoV-2 negli animali.

Considerato l’ampio spettro di animali recettivi a SARS-CoV-2 ed il potenziale rischio zoonotico, appare sempre più necessaria l’adozione di comportamenti precauzionali nei contatti diretti o indiretti con animali domestici o da compagnia. A riguardo sono disponibili linee guida finalizzate a limitare la diffusione di SARS-CoV-2 sia per gli animali da compagnia che di allevamento. Alla luce dei recenti eventi di antroponosi inversa e della deriva genetica/antigenica del SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni, successiva all’introduzione da parte dell’uomo, non si può escludere che eventi simili possano verificarsi con altre specie animali all’interno della gamma degli ospiti recettivi a SARS-CoV-2, e che la potenziale formazione di un serbatoio non umano di SARS-CoV-2 possa estendersi ai mustelidi in cattività o altri animali selvatici da cui il virus potrebbe ritornare all’uomo

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No veterinarians (yet) on the Italian covid-19 scientific committee

E’ stata pubblicata sulla prestigiosa rivista British Medical Journal (BMJ) la Letter to the Editor di Giovanni Di Guardo – già docente di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria nell’Università di Teramo – “No veterinarians (yet) on the Italian covid-19 scientific committee“, che prende spunto dall’articolo “Covid-19: Failures of leadership, national and global“, pubblicato a giugno sulla rivista stessa.

Nonostante a marzo 2021 vi sia stata una modifica nella composizione, ancora oggi non è presente nel Comitato Tecnico-Scientifico (CTS) – organo  al quale competono la consulenza e il supporto alle attività di coordinamento per il superamento dell’emergenza epidemica dovuta alla diffusione di SARS-CoV-2 – un medico veterinario.

Di Guardo sottolinea nuovamente come questa assenza sia un grosso errore, per diverse ragioni: anche se l’origine del coronavirus SARS-CoV-2 è ancora dibattuta, i suoi “predecessori” SARS-CoV e MERS-CoV hannno una comprovata origine animale; inoltre almeno il 70% per cento delle cosiddette “malattie infettive emergenti” ha un’origine animale, accertata o sospetta.

La drammatica pandemia da SARS-CoV-2 ci ha inequivocabilmente insegnato, ancora una volta – ribadisce Di Guardo – che la salute umana, animale e ambientale sono collegate tra loro, un concetto chiaramente esemplificato dal principio “One Health”. In quest’ottica la mancata presenza di un veterinario nel CTS risulta difficilemente comprensibile.

 

 




Covid e varianti: i pericoli per l’uomo e gli animali

Nell’ottica dell’approccio “One Health” sarebbe molto importante, in tema di varianti di SARS-CoV-2, analizzare non solo le “variants of concern” (VOC) di SARS-CoV-2 capaci di infettare l’uomo, ma anche le dinamiche d’interazione di ciascuna di esse con le diverse specie animali domestiche e selvatiche.

Ciò al fine di caratterizzarne i rispettivi gradi di suscettibilità (o di resistenza) nei confronti del virus e, cosa ancor più rilevante, l’eventuale capacità da parte delle varianti di consentire lo sviluppo e la conseguente propagazione di ulteriori nuove “VOC” di SARS-CoV-2, come  accaduto negli allevamenti di visoni olandesi e danesi dove questi animali avrebbero acquisito l’infezione dall’uomo (leggasi allevatori di visoni), dando luogo a una serie di eventi mutazionali a seguito dei quali si sarebbe selezionata la variante denominata “cluster 5” e contraddistinta dalla mutazione Y453F, che il visone avrebbe di lì a breve “restituito” all’uomo: un chiaro esempio di “spillover” versus “spillback”, cioè di “zoonosi inversa” o “antropozoonosi” versus “zoonosi”.

Ne ha scritto il Prof. Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, in un articolo per saperescienza.it

 

 




Omicron: per quanto tempo ancora l’alfabeto greco designera’ le varianti di SARS-CoV-2?

L’identificazione della variante “omicron”, alias “B.1.1.529”, recentemente avvenuta in Sudafrica – sebbene la stessa fosse gia’ presente nei Paesi Bassi -, ha reso ancora piu’ esiguo il numero delle lettere dell’alfabeto greco non ancora utilizzate per designare le varianti di SARS-CoV-2 che progressivamente emergono sulla scena epidemiologica mondiale. Contemporaneamente si accresce, altresì, il numero delle specie animali suscettibili al betacoronavirus responsabile della CoViD-19.

In alcune di queste (gatto, cane, cervo a coda bianca) e’ stata parimenti segnalata la presenza di varianti (“alfa”, “B.1.2”, “B.1.311” ed altre ancora), verosimilmente acquisite da nostri conspecifici SARS-CoV-2-infetti.

In un siffatto contesto, risulta particolarmente degna di attenzione la variante “cluster 5”, comparsa oltre un anno fa negli allevamenti intensivi di visoni olandesi e danesi, per esser quindi ritrasmessa dai visoni stessi all’uomo.

In considerazione di quanto sopra esposto e, nondimeno, in una quantomai opportuna prospettiva di “One Health” – la “salute unica di uomo, animali ed ambiente” -, sarebbe a dir poco miope e riduttivo considerare Homo sapiens sapiens quale “unico attore” coinvolto nelle intricate e complesse dinamiche d’interazione virus-ospite, tanto piu’ alla luce della probabile quanto plausibile origine di SARS-CoV-2 dal mondo animale.

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria
all’Universita’ di Teramo




CoViD-19, influenza e morbillo, una salvifica alleanza fra vaccini

A pochi giorni dall’avvio della campagna vaccinale in Italia, che dovrebbe auspicabilmente portare all’immunità di gregge nei confronti di  SARS-CoV-2 entro al fine del 2021, il Prof. Giovanni Di Guardo, Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facolta’ di Medicina Veterinaria dell’Universita’ di Teramo, con  una lettera al Direttore pubblicata su Quotidiano Sanità, invita a riflettere sulla contestuale importanza della vaccinazione anti-influenzale “di massa” e dei grandi benefici conferiti dalla vaccinazione di massa nei confronti del morbillo.

Recentemente sulle pagine della prestigiosa Rivista Science, è stato descritto il meccanismo patogenetico attraverso il quale il virus del morbillo sarebbe capace d’indurre una singolare condizione di “amnesia immunitaria” nei pazienti infetti. Ciò equivale a dire che il sistema immunitario di un individuo che dovesse sviluppare il morbillo “si dimenticherà”, per così dire, di tutti gli agenti biologici, virali e non, che quello stesso soggetto dovesse avere “incontrato” in precedenza a seguito di un’infezione naturale, così come pure a seguito di una vaccinazione.

Conclude Di Guardo

“Proviamo ad immaginare, per un solo istante, quale “catastrofe” potrebbe avere origine dal “ritorno” del morbillo in un contesto d’immunità di gregge già acquisita dalla popolazione generale nei confronti della CoViD-19, ragion per cui mai e poi mai dismettere, senza la benché minima esitazione, le campagne di vaccinazione di massa nei confronti del virus del morbillo!”




A proposito dell’assenza di un veterinario nel CTS….

E’ pubblicata sulla rivista British Medical Journal (BMJ) un approfondimento di Maurizio Ferri, responsabile scientifico SIMeVeP, alla “Letter to the Editor” di Giovanni Di Guardo – già docente di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria nell’Università di Teramo – «No veterinarians (yet) on the Italian covid-19 scientific committee».

Prendendo spunto dalle osservazioni del Prof. Di Guardo, Ferri pone in evidenza l’importanza, in una prospettiva One Health, dell’esperienza veterinaria nell’affrontare efficacemente le epidemie di malattie animali, anche altamente diffusive.

Nella pandemia da COViD-19 convergono complesse interconnessioni tra animali, uomo e ambiente; la sua gestione richiede quindi senza mezzi termini l’integrazione delle discipline correlate e la piena considerazione dei principi di One Health.

In quest’ottica l’applicazione di una strategia di sorveglianza veterinaria appare come una potenziale soluzione per consentire istantanee affidabili delle epidemie di COVID-19, prevedere e monitorare la curva epidemica, prevenire lo sforzo del sistema sanitario e informare in modo efficiente le decisioni su quando le misure di controllo possono essere revocate.

 




SARS-COV-2: la variante nel visone e possibili mutazioni

Maurizio Ferri, Coordinatore sceintifico SIMeVeP, analizza in un contributo in inglese, la variante di SARS-COV-2 nel visone ed altre varianti che potrebbero minacciare l’efficacia degli attuali vaccini.

Una stretta collaborazione tra le autorità di sanità pubblica e quelle di sanità animale nell’ambito dell’approccio “One Health” è fondamentale per l’individuazione precoce dei focolai di infezione da SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni e dei casi umani correlati agli allevamenti di visoni, al fine di consentire misure tempestive di risposta e controllo. Per ridurre il rischio posto alla sanità pubblica dalla variante le autorità nazionali dovrebbero mettere in atto una serie di misure destinate agli allevamenti di visoni, agli operatori che vi lavorano e alle co munità che vi sono in contatto.

 




La nuova variante inglese VOC 202012/01 di SARS-COV-2 e potenziali effetti sui vaccini ed immunità naturale

Nelle prime settimane di dicembre le autorità sanitarie del Regno Unito registrano un rapido aumento dei casi di COVID-19 nella regione del Kent, nel sud-est del paese.

L’analisi delle sequenze genomiche del virus SARS-CoV-2 isolato da pazienti consente di associare un’ampia percentuale di casi (60%) ad un nuovo cluster filogenetico. Si tratta di una variante del virus o più precisamente di una famiglia di varianti che si collocano in un ramo evolutivo dell’albero filogenetico di SARS-CoV-2 e caratterizzate da una combinazione di delezioni (assenza di piccoli pezzi di genoma virale) e di mutazioni nella proteina S (degli spikes) mai viste nel panorama delle tante varianti che circolano nel mondo.

Infatti presentano in maniera insolita 17 mutazioni di recente denominate Variant of Concern 202012/01 (VOC) dal Public Health England

L’analisi di Maurizio Ferri Coordinatore scientifico SIMeVeP




SARS-CoV-2, aumenta il numero delle specie animali sensibili

E’ di poche settimane fa la notizia relativa alla presenza di anticorpi anti-SARS-CoV-2 – il famigerato coronavirus responsabile della CoViD-19 – in un’elevata percentuale (40%) di “cervi a coda bianca” popolanti la regione nord-orientale degli USA.

Ciò desta preoccupazione per una serie di motivi, come ho anche riferito in una mia “Lettera all’Editore” pubblicata sulla prestigiosa Rivista BMJ .

Degna della massima considerazione sarebbe, in primo luogo, l’avvenuta esposizione al virus della succitata popolazione di cervidi, ai quali lo stesso sarebbe stato trasmesso, con ogni probabilità, da uno o più individui SARS-CoV-2-infetti. In secundis, la propagazione dell’infezione ad un così ingente numero di esemplari suggerisce che il virus si sarebbe trasmesso all’interno della specie, il cui comportamento gregario ne avrebbe favorito la diffusione.

Numerose sono, altresì, le specie animali domestiche e selvatiche già dichiarate suscettibili nei confronti dell’infezione (naturale e/o sperimentale) da SARS-CoV-2. Fra queste si annoverano gatto, cane, criceto, furetto, leone, tigre, leopardo delle nevi, puma, gorilla, lontra e visone: elenco tutt’altro che esaustivo, ma che già di suo denota la notevole “plasticità” del virus, presumibilmente originatosi da uno o più “serbatoi” animali e capace d’infettare specie filogeneticamente assai distanti fra loro.

Un discorso a parte in tale ambito lo merita il visone, in cui SARS-CoV-2, una volta acquisito dall’uomo, sarebbe evoluto in una temibile “variante” (“cluster 5) per esser quindi “restituito” all’uomo in forma mutata, come è stato dimostrato un anno fa in numerosi allevamenti di visoni olandesi e danesi.

La comprovata capacità d’infettare in condizioni naturali un crescente numero di specie animali domestiche e selvatiche andrebbe pertanto considerata ai fini sia della loro salute e conservazione sia del potenziale sviluppo di nuove varianti di SARS-CoV-2, nella sana ottica della “One Health“, alias la “salute unica” di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo