Malattie trasmesse da vettori con un focus su Febbre emorragica Crimea-Congo e Encefalite da zecca

Il 27 febbraio si è svolto a Roma presso la sede del Ministero della Salute il Convegno Nazionale dal titolo ‘Malattie trasmesse da vettori con un focus su Febbre emorragica Crimea-Congo e Encefalite da zecca’, organizzato dal Ministero della Salute in collaborazione con SIVeMP e SIMeVeP.  La partecipazione di autorevoli relatori, provenienti da diversi settori (veterinaria, medicina umana, parassitologia, biologia, ornitologia) ha confermato la visione multidisciplinare in un’ottica di salute unica per le attività di sorveglianza, controllo e prevenzione. Durante le due sessioni sono stati affrontati e discussi temi relativi a: biologia di vettori e ospiti, vie di trasmissione, ruolo degli uccelli migratori, cambiamenti climatici, situazione epidemiologica in Europa e Italia, attività di sorveglianza integrata, attività di ricerca, ruolo del CESME e gestione dei casi sul campo.

Il presente scritto prende spunto dagli interventi dei relatori e riassume alcuni elementi chiave per comprendere l’importanza dell’approccio One Health nelle attività di sorveglianza animale ed umana delle infezioni trasmesse da zecche, aumentate in modo significativo in alcuni paesi dell’Unione europea.

Nell’ultimo decennio, il numero di virus trasmessi dalle zecche all’uomo è aumentato in modo significativo. Attualmente si contano una quarantina di virus classificati in cinque diverse famiglie.  Le malattie trasmesse da vettori  anche dette arbovirosi, rappresentano oltre il 17% di tutte le malattie infettive e sono responsabili della morte di oltre mezzo milione di persone ogni anno.  Tra queste, c’è l’Encefalite da zecca (Tick-borne encephalitis) causata dal virus TBE (TBEV), della famiglia dei Flaviviridae, a cui appartengono gli agenti eziologici della febbre dengue, febbre gialla e encefalite giapponese.  Ne esistono 5 sottotipi, tra cui il sottotipo dell’Europa occidentale (TBEV-EU) dominante in Europa e prevalentemente associato ad una forma lieve che evolve con l’interessamento del sistema nervoso centrale nel 20-30% dei pazienti, un tasso di mortalità dello 0,5-2%, e sequele neurologiche in circa il 10% dei pazienti. I dati epidemiologici, desunti dall’ultimo report del Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), indicano un aumento dell’incidenza dell’Encefalite da zecche, un ampliamento dell’areale geografico del vettore e un impatto significativo sulla sanità pubblica.  La circolazione della TBE, endemica in diverse regioni dell’Europa e dell’Asia, è strettamente correlata alla presenza del serbatoio animale e del vettore ed i focolai segnalati (Svezia, Danimarca, Francia e Italia) solitamente hanno un andamento stagionale legato ai picchi di attività delle zecche in primavera ed autunno. L’uomo è un ospite accidentale e senza uscita e l’infezione avviene principalmente attraverso i morsi della zecca Ixodes ricinus ed  Ixodes persulcatu che fungono sia da vettori primari che serbatoi del virus dato il loro lungo ciclo vitale. Nell’uomo, il periodo di incubazione dalla puntura di zecca all’insorgenza dei sintomi varia in genere da 7 ed in alcun casi fino a 28 giorni. I sintomi iniziali aspecifici come febbre, mal di testa e debolezza generale possono progredire in grave encefalite e meningite.  Ixodes ricinus è presente in tutta Italia, ma più diffusa in Nord Italia (area alpina e pre-alpina) in aree boschive (latifoglie) con ricco sottobosco. La trasmissione di TBEv, tra zecche e tra zecche e ospiti vertebrati competenti, può avvenire verticalmente (trans-ovarica e transtadiale) o orizzontalmente per via viremica (da un ospite infetto a una zecca non infetta) o non viremica chiamata anche co-feeding (zecche infette e non infette si nutrono contemporaneamente su ospiti vertebrati sensibili o immuni) quest’ultima considerata uno dei fattori più critici nella trasmissione della TBE.  Altre vie di trasmissione all’uomo sono la manipolazione di materiale infetto, la trasfusione di sangue, l’allattamento e l’ingestione di latte non pastorizzato o prodotti lattiero-caseari da animali infetti asintomatici, in particolare ovini e caprini.  Quest’ultima via di trasmissione è stata all’origine di un’epidemia di encefalite da zecche in Francia nella primavera del 2020 con 43 casi umani di encefalite, meningoencefalite o con sintomi simil-influenzali associata al consumo di formaggio di capra crudo non pastorizzato. Va inoltre ricordato il ruolo di alcune specie di uccelli migratori coinvolti nel ciclo di trasmissione ed in grado di contribuire ad una distribuzione geografica delle zecche infette da TBEV lungo le rotte migratorie e avviare nuovi focolai di TBE.

Principali fattori ecologici della distribuzione della TBE in Europa. La diffusione delle zecche è in parte spiegata dall’espansione dell’area geografica dovuta al cambiamento climatico, con l’aumento delle temperature, inverni più miti ed altri fattori ecologici, che giocano un ruolo cruciale nel determinare la capacità vettoriale delle zecche, così come il commercio transfrontaliero che può favorire la loro diffusione e distribuzione geografica.  Il ciclo di trasmissione necessita della presenza di specie chiave di roditori che fungono da ospiti sensibili in grado di trasmettere il virus alle zecche e supportare sia la popolazione del vettore che la circolazione virale.  I cervi invece amplificano l’abbondanza delle zecche agendo come ospiti negli stadi adulti e spostandole su lunghe distanze. Atri fattori sono: densità di strade forestali, precipitazioni maggiori nei mesi più secchi, percentuali di aree boschive, habitat che promuovono l’incontro di ungulati, roditori e zecche, tasso di raffreddamento che induce una diapausa comportamentale e favorisce l’attività larvale e ninfa sincrona nella primavera successiva.

Sorveglianza della TBE in Europa. Dal 2012 l’ECDC richiede a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, più Islanda e Norvegia, di notificare annualmente i propri dati TBE al Sistema Europeo di Sorveglianza (TESSy). Nel 2020, 24 paesi membri dell’UE/SEE hanno segnalato 3817 casi di TBE, con un aumento del 14% delle notifiche dal 2021 al 2022.  La sorveglianza della TBE in Europa è attualmente incompleta e quindi i casi segnalati probabilmente riflettono solo in parte il rischio reale In Italia, dove dal 2017 è stata istituita una sorveglianza nazionale delle infezioni da virus TBE (PNA), nel 2022 c’è stato un incremento dei casi (72) e del tasso di mortalità (4,17%), principalmente da quattro regioni del nord-est.  Il rischio di infezione può variare ogni anno, come risultato di cambiamenti nel rischio acarologico, nell’esposizione, del tasso di copertura vaccinale, dell’intensità dell’individuazione e nella segnalazione dei casi. Il confronto tra regioni e Paesi dipende dall’accuratezza e dalla coerenza dei sistemi di sorveglianza nazionale/regionale (attivo/passivo) e pertanto attualmente i dati relativi all’incidenza di TBE provenienti da diversi Paesi sono difficili da confrontare.  In Italia le regioni Lombardia e Trentino sono endemiche per le TBE e mentre le prove indicano un alto rischio di esposizione alle zecche infette, mancano dati sulle zecche raccolti dall’uomo. Nelle aree endemiche in Italia è attualmente raccomandata la vaccinazione contro la TBE tra i residenti e i gruppi professionalmente esposti. In Friuli-Venezia Giulia dal 2013 e nel Province Autonome di Trento e Bolzano dal 2018, il vaccino contro la TBE è offerto gratuitamente ai residenti.

Approccio One Health per il controllo.  Poiché il virus si trasmette tra zecche, animali e uomo, il controllo e la prevenzione richiedono un approccio One Health con la collaborazione multidisciplinare e intersettoriale e sistemi di sorveglianza attiva integrati, con studi epidemiologici ed ecologici. La sorveglianza è fondamentale, soprattutto perché le zecche possono trasmettere anche altre malattie, come quella di Lyme.  Le campagne di prevenzione dovrebbero puntare su controlli regolari delle zecche dopo le attività all’aperto ed educare sulla corretta rimozione delle stesse.  Per questo motivo, è fondamentale sensibilizzare gli operatori sanitari, i responsabili politici e il pubblico.

Conclusioni. La distribuzione del virus TBE sta cambiando con la comparsa di nuovi focolai di circolazione attiva del virus in aree precedentemente non registrate. Nel ciclo di trasmissione del virus TBE interagiscono molteplici fattori climatici, ambientali ed ecologici, che esercitano un ruolo cruciale nel determinare la capacità vettoriale delle zecche. Per il futuro occorre migliorare la conoscenza dell’interazione zecca-virus, zecca-ospiti e virus-ospiti e dei fattori e delle co-variate ambientali che influenzano il rischio di TBE, nonchè potenziare la sorveglianza integrata mediante modelli di rischio ad alta risoluzione e utilizzo di indicatori di allerta precoce. Tutte sfide che possono essere superate con ricerca, consapevolezza e collaborazione. È fondamentale rimanere vigili e proattivi per proteggere la salute pubblica dalla crescente minaccia della TBE.




Lo sviluppo del settore della carne coltivata dovrebbe preoccupare i veterinari?

La carne coltivata, impropriamente chiamata carne sintetica o artificiale, viene prodotta attraverso un processo di coltivazione in vitro di linee cellulari staminali prelevate direttamente dall’animale donatore.  E’ una industria emergente, in una fase iniziale e presenta sfide tutte da superare, come i costi di produzione elevati, efficienza energetica, rischi microbiologici e chimici, accettazione da parte dei consumatori e sviluppo di mercati oligopolistici.  Va osservato, tuttavia come i risultati di studi condotti negli ultimi anni la rendono, in una prospettiva a lungo termine,  una alternativa ecologica alla produzione di carne convenzionale  in quanto più sostenibile ed efficiente per soddisfare il fabbisogno proteico di una popolazione mondiale in rapida crescita. La carne coltivata  è un’idea futuristica che deve essere vista come una preziosa opportunità,  insieme alle alternative vegetali e proteiche per la transizione proteica sostenibile ed ecologica. Non è  in antitesi rispetto all’allevamento tradizionale  che negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie di precisione e genetica innovativa e bio-sicurezza, ha garantito l’efficienza produttiva con ridotte emissioni e minore impatto ambientale.   La transizione della carne coltivata dai laboratori agli impianti di produzione richiederà maggiori investimenti  per la ricerca su efficienza dei bio-processi , ottimizzazione delle tecnologie, definizione di criteri per la valutazione della sicurezza.  Allo stesso tempo andrà sviluppato un quadro normativo nazionale ed internazionale con standard di sicurezza alimentare di benessere animale e sostenibilità ambientale ed affrontate le questioni sociali e politiche, da cui derivano posizioni indebitamente polarizzate anche all’interno di gruppi di interesse notoriamente omogenei come ambientalisti e difensori dei diritti degli animali.   La comunicazione giocherà un ruolo chiave,  soprattutto quella rivolta ai non esperti (clienti, consumatori) e parti interessate (allevatori, legislatori, politici).  Attualmente la ricerca sulla carne coltivata soffre di un approccio frammentato e isolato in diversi settori (ad esempio economia, alimentazione, salute, biotecnologia e ambiente),  un gap che deve essere colmato promuovendo la collaborazione multidisciplinare tra industria, gruppi di ricerca, mondo accademico e autorità di regolamentazione e la condivisione dei database scientifici sia pubblici che privati.  La ricerca necessita di modelli accurati.  Per averli, c’è bisogno di dati migliori su cellule, composizione della biomassa, cinetica e consumo dei nutrienti ed efficienza energetica.

Nuove competenze veterinarie? I sistemi di controllo ufficiale oggi applicati alla carne convenzionale,  dovranno essere adattati alle specificità dei nuovi contesti produttivi della carne coltivata ed avvalersi di nuovi strumenti e know how  per la prevenzione e gestione dei rischi connessi ai diversi passaggi del processo di produzione e commercializzazione.   Il passaggio dalla carne tradizionale a quella alternativa – che richiederà tempo per ragioni economiche e socio-culturali – solleva alcune preoccupazioni all’interno della professione veterinaria.  I veterinari si stanno già chiedendo quale sarà l’impatto sul loro futuro professionale e se quelli che operano negli allevamenti – la categoria più vulnerabile nel mondo futuro della carne alternativa – sopravvivranno.  Il sentimento comune è che la carne coltivata influenzerà da un lato gli allevatori e la comunità rurale, dall’altro produrrà un cambiamento tettonico nella professione.  È indubbio che i veterinari  avranno un ruolo fondamentale nel processo di bio-produzione di carne coltivata, a cominciare dalla valutazione della sanità e storia clinica degli animali donatori di linee cellulari, una  fase ritenuta un fattore di rischio microbiologico e per l’attività di supervisione e verifica della conformità degli impianti di produzione e dei processi ai requisiti di sicurezza alimentare.   Se i veterinari vogliono continuare a svolgere un ruolo chiave in un prospettiva a lungo termine – che è la scala temporale necessaria per trovare   la carne coltivata sugli scaffali dei supermercati –  dovranno reiventarsi.  E non sarà la prima volta.  La storia ci racconta che la professione veterinaria a partire dalla seconda rivoluzione industriale del XIX secolo, ha dovuto far fronte a diverse crisi esistenziali generate da trasformazioni socio-economiche del sistema produttivo industriale. Il cavallo, linfa vitale della professione,  iniziò a perdere valore economico e fu sostituito dalle reti ferroviarie e in seguito dalle automobili.  Negli Stati Uniti, molte scuole veterinarie chiusero negli anni ’20 per un forte calo del numero di cavalli.  Ma altri cambiamenti arrivarono forieri di nuovi sbocchi professionali legati ai programmi di eradicazione delle malattie contagiose animali e allo sviluppo della medicina per animali da compagnia a partire dagli anni ’60.  Il settore della carne coltivata confermerà le  responsabilità dei veterinari in materia di sanità animale e sicurezza alimentare e aprirà nuove opportunità in molteplici aree scientifiche.  L’allineamento della professione veterinaria alle nuove tecnologie richiederà la convergenza della ricerca in campo veterinario con altre discipline scientifiche, tra cui biotecnologia, biochimica, metabolomica, bioingegneria, ingegneria tissutale, ingegneria di processo, zootecnia, solo per citarne alcune.  L’istruzione, la formazione e la motivazione sono fattori chiave per sviluppare nuove competenze veterinarie a beneficio della professione,  della società, degli animali e dell’ambiente.

E’ molto probabile che la domanda di carne tradizionale continuerà a crescere per almeno un altro decennio prima di rallentare, momento in cui quella alternativa prenderà sempre più il sopravvento. Le stime fornite dalla società di consulenza AT Kearney prevedono che tra venti anni la carne coltivata rappresenterà il 35% del mercato della carne, mentre quella convenzionale solo il 40% .  Con questo orizzonte, le innovazioni tecnologiche e le preoccupazioni ambientali potrebbero dare impulso al settore, unitamente ad un riconoscimento delle competenze veterinarie,  in primis in quei paesi che hanno adottato un approccio politico più progressista alla lotta al cambiamento climatico, che, lo ricordiamo, è un campanello d’allarme per reinventare le nostre economie secondo principi etici, di sostenibilità ed efficienza,  ripensare i consumi e riprogettare i nostri rapporti con la natura e all’interno delle nostre comunità.

Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP




Milleproroghe, obbligo formativo del triennio 2020-2022 prorogato al 31 dicembre 2025

EcmE’ pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 45 del 24-02-2025 il testo coordinato con la legge di conversione del “Decreto Milleproroghe” (Gazzetta Ufficiale).

L’articolo 4 comma 2bis proroga al 31 dicembre 2025 il termine per l’assolvimento dell’obbligo formativo per il triennio 2020-2022.

La certificazione dell’assolvimento dell’obbligo formativo per i trienni 2014-2016, 2017-2019 e 2020-2022 può essere conseguita, in caso di mancato raggiungimento degli obblighi formativi nei termini previsti, attraverso crediti compensativi definiti con provvedimento della Commissione nazionale per la formazione continua.

Segreteria SIMeVeP




L’eredità di Karel Van Noppen a 30 anni dal suo omicidio

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggi 20 febbraio 2025 viene onorata l’eredità di Karel Van Noppen, un veterinario ufficiale belga il cui incrollabile impegno nel sostenere l’integrità veterinaria gli è costato la vita nel 1995 esattamente 30 anni, ucciso a colpi di arma da fuoco da aggressori fuori casa per le sue indagini sulle pratiche illegali di uso vietato dell’ormone della crescita sul bestiame in Belgio.

Nonostante i progressi degli ultimi anni, le minacce ai veterinari ufficiali persistono.  Solo il mese scorso, tre medici veterinari nel corso di una visita di controllo presso uno stabilimento di macellazione in Lombardia sono stati oggetto di aggressione verbale e fisica con tentativo di strangolamento e accoltellamento. Ma anche negli paesi, come la Norvegia ed Irlanda, non mancano episodi che vedono veterinari ispettori  oggetto di ripetute aggressioni ed atti intimidatori da parte di allevatori e proprietari di animali da affezione.

Questi incidenti deprecabili, che sono solo la punta dell’iceberg, troppo spesso marginalizzati e poco segnalati dai media e di conseguenza poco conosciuti alla società, servono a ricordare con forza che la violenza e l’intimidazione contro i veterinari rimangono un problema urgente che richiede un’azione immediata.

Alcuni paesi hanno adottato provvedimenti legislativi per rafforzare il  sostegno e la protezione dei veterinari ufficiali, specie di coloro particolarmente vulnerabili che operano in contesti ostili e in condizioni di isolamento e ostilità. L’Irlanda, nel 2017, emana la prima regolamentazione “Health and Safety Risk Management System (HSRMS) – Managing Potentially Threatening/violent/Distressing Incidents in the Workplace Issue. In Italia nonostante la Legge n. 171/2004 che prevede alcune misure urgenti per contrastare i fenomeni di violenza nei confronti dei professionisti sanitari, serve un intervento legislativo mirato per i medici veterinari ed altri operatori territoriali che per la loro peculiare situazione di esercizio di funzioni dislocate sul territorio, in aziende private e spesso in realtà rurali isolate, corrono rischi che non possono più essere sottovalutati.

La FVE ed EASVO in un comunicato stampa del 20 Febbraio (https://mailchi.mp/b38dde1b9bad/press-release-commemorating-karel-van-noppens-murder-30-years-ago?e=7917c3f99e. ) esprimono la loro solidarietà ai veterinari che operano in prima linea per garantire il benessere degli animali, la sicurezza alimentare e la sanità pubblica e chiedono in sostanza ai governi e ai decisori politici una politica più rigorosa contro tutte le forme di violenza con misure concrete per garantire la protezione dei veterinari durante il lavoro svolto per la tutela della sanità animale e sanità pubblica.  Oggi – si legge nel comunicato stampa- si celebra non solo la memoria di Karel Van Noppen, ma anche la resilienza e l’integrità di tutti i veterinari ufficiali che continuano a sostenere la trasparenza, la sanità  pubblica e il benessere degli animali. Il loro coraggio e la loro dedizione non devono essere solo commemorati, ma attivamente supportati ogni giorno.  Che questo sia un appello a una maggiore protezione, consapevolezza e per un futuro in cui i veterinari possano svolgere il loro lavoro fondamentale senza paura o il rischio di rappresaglie.

Maurizio Ferri

 

 

 




Il principio di proporzionalità nelle azioni della autorità competente locale

Le norme di principio sono norme a contenuto generale che esprimono determinati valori ritenuti di particolare importanza in quanto indirizzano l’azione amministrativa e dai quali dipendendono le altre disposizioni normative. L’azione amministrativa non è pertanto solo assoggettata alle norme specifiche per il singolo caso, ma anche a un insieme di principi generali che assicurano l’adeguatezza della scelta adottata dalla amministrazione.

Secondo Nicotra, crescente importanza e funzionalità ha assunto nel diritto pubblico il principio di proporzionalità, in funzione del quale i diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solo nella misura in cui ciò risulti indispensabile per proteggere gli interessi pubblici. L’autore aggiunge che, in ragione di tale principio, ogni provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione, specialmente se sfavorevole al destinario (es. sanzioni, imposisioni di obblighi, ecc.), dovrà essere allo stesso tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato dalla legge.

Conseguentemente, ogniqualvolta sia possibile operare una scelta tra più mezzi alternativi, tutti ugualmente idonei al perseguimento dello scopo, andrebbe sempre preferito quello che determina un minor sacrificio per il destinatario, nel rispetto del giusto equilibrio tra i vari interessi coinvolti nella fattispecie concreta.

Al principio di proporzionalità nelle azioni della autorità competente locale ex art. 138 del regolamento (UE) 625/2017 è dedicato un approfondimento a cura del Dott. Antonio Di Luca, Referente nazionale del Gruppo di lavoro SIMeVeP “Diritto e legislazione veterinaria”

Leggi l’approfondimento

 




Convegno Nazionale – Malattie da Vettori: Focus su CCHF e TBE

Si terrà il 27 febbraio a Roma, presso il Ministero della Salute a via Ribotta, il Convegno Nazionale, accreditato ECM, MALATTIE TRASMESSE DA VETTORI: focus su Febbre emorragica Crimea-Congo e Encefalite da zecca organizzato dal Ministero della Salute in collaborazione con  SIVeMP e SIMeVeP.

Il corso è accreditato per Medici Veterinari, Biologi e Medici Chirurghi (solo discipline Malattie infettive/Igiene, epidemiologia e sanità pubblica/Igiene degli alimenti e della nutrizione/Medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro).

Si stima che attualmente l’80% della popolazione mondiale è a rischio di contrarre una o più malattie da vettori e che queste ogni anno siano responsabili della morte di oltre mezzo milione di persone. Pertanto, le arbovirosi rappresentano un problema di sanità pubblica di primaria importanza la cui lotta risulta difficile e particolarmente sfidante.

L’aumento delle temperature ed i conseguenti cambiamenti macro e microclimatici possono influenzare la biologia e l’ecologia dei vettori, così come gli scambi transfrontalieri ne favoriscono la diffusione e la distribuzione geografica.
Per questi motivi, si assiste con maggiore frequenza alla comparsa di eventi epidemici ed alla endemizzazione delle stesse arbovirosi.

In un’ottica di “salute unica” e di collaborazione intersettoriale, imprescindibile per l’approccio alla lotta delle infezioni da vettori, la giornata di studio vuole contribuire all’aggiornamento degli iscritti su due importanti malattie trasmesse da zecche, attraverso l’intervento di specialisti che potranno fornire ai partecipanti una visione multidisciplinare degli argomenti.

Posti esauriti, è possibile partecipare solo come uditore.

Locandina Convegno

 

 




Disponibili la registrazione e la presentazione del Focus sull’uso del farmaco negli animali d’affezione

E’ possibile rivedere l’incontro su Focus sul farmaco per gli animali d’affezione che si è tenuto il 23 gennaio u.s..e 13.30 alle 15.00 . L’incontro in collaborazione con SIMeVeP , tenuto dalla dottoressa Silvia Fiorina e dal dottor Marco Cecchetto.

 

L’incontro  è stato organizzato in collaborazione ADMV e SIMeVeP – Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, per rispondere a domande pratiche e prevenire errori che potrebbero causare sanzioni. La dr.ssa Silvia Fiorina e il dr. Marco Cecchetto ci chiariscono i dubbi su modalità di prescrizione farmaci, affrontano le problematiche legate alla gestione delle prescrizioni, all’uso di farmaci generici, degli stupefacenti e alla complessa situazione del mercato, dove la scarsità di farmaci veterinari specifici spesso costringe noi professionisti a scelte difficili.

 

PRESENTAZIONE FOCUS




La solitudine del veterinario

Di Francesco Tozzi

Gentile Direttore,

gli avvenimenti di questi giorni riaprono una ferita mai rimarginata nel corpo della nostra Categoria. In situazioni come questa il Veterinario si accorge di quanto la solitudine di fronte agli eventi sia drammatica, incontrollabile, dolorosa. Venire aggrediti per lo svolgimento dei compiti che il nostro lavoro ci impone per la tutela della salute pubblica è una situazione sicuramente molto difficile da sopportare ed affrontare anche perché difficile da comprendere.

E’ un attacco così intimo che agisce in profondità, con il rischio concreto di lasciare una ferita aperta e duratura in colui che lo subisce. La prima reazione che nasce spontanea all’interno della Categoria è quella della vicinanza verso la vittima in modo da non “lasciarla sola”. Su questo aspetto vorrei soffermarmi: la solitudine del Veterinario. Da sempre il Medico Veterinario dipendente è un professionista con un carico di responsabilità enorme che si trova ad affrontare con una buona dose di solitudine, sia fisica che operativa e professionale. Per di più opera in scenari già di per sé al limite delle soglie emotive, quali macelli, canili, allevamenti intensivi, laboratori, ambiti penali, economici e repressivi che ci impongono un carico emozionale e relazionale da tenere sotto controllo senza tregua. E in questo controllo ciascuno rischia di trovarsi spesso solo.

La nostra professione e il nostro ruolo, malgrado i passi avanti ottenuti negli anni, restano un qualcosa di poco conosciuto e di marginale per l’opinione pubblica e per le istituzioni. E questa è una seconda “solitudine” che il Veterinario pubblico si porta addosso: la difficoltà di far capire al sistema chi siamo, cosa facciamo, come operiamo. L’aggressione ad un Medico viene meglio riconosciuta nella sua gravità grazie al fatto che la figura e il lavoro del Medico sono valorizzati e ben noti a tutti e quindi l’evento aggressivo è di più diretta e facile assimilazione e partecipazione.

Continua a leggere su quotidianosanita.it




Aviaria. Grasselli: nessun allarme per cani e gatti ma bisogna stare all’erta

Ciò che era assolutamente impensabile, per i cambiamenti in atto può accadere. Quindi abbiamo il dovere di monitorare”. Lo ha detto Aldo Grasselli, Segretario Nazionale SIVeMP e Presidente Onorario SIMEVeP in un‘intervista rilasciata a Quotidiano Nazionale sui rischi per gli animali domestici, dopo la morte in Islanda di 3 gatti colpiti dall’influenza aviaria.

Bisogna stare all’erta, senza allarmarsi. E mantenere norme banalissime di igiene. Evitare, per esempio, di far girare i nostri animali dove ci sono deiezioni di uccelli. Anche per difenderci da altre patologie che i nostri amici volatili ci possono trasmettere più facilmente, come salmonellosi, campylobatteriosi o clamidiosi. Queste patologie spesso convivono con gabbiani e piccioni, e indubbiamente possono essere trasportate anche in casa dai nostri animali domestici. Ma sul problema dell’aviaria non mi allarmerei”.

In questi anni stiamo assistendo a cambiamenti di carattere ecologico, provocati da cambiamenti climatici che modificano l’habitat non solo di animali ma anche di parassiti che vivono su questi animali”.

Questo può far sì che ciò che era assolutamente impensabile, possa accadere. Quindi abbiamo il dovere di monitorare i cambiamenti che avvengono in questi ecosistemi e di quelle patologie che potrebbero colpire l’uomo. Dobbiamo stare all’erta, con un monitoraggio epidemiologico e un sistema di sorveglianza adeguati” ha concluso Grasselli.




Alcune riflessioni sulla carne coltivata

Possiamo immaginare un futuro scintillante di un mondo appena oltre il presente in cui la carne è abbondante e accessibile, con quasi nessun costo per l’ambiente e senza la preoccupazione esistenziale legata all’uccisione degli animali.  Al centro di questa visione ci sono mega-strutture high-tech, che ospitano serbatoi d’acciaio (i bioreattori  o fermentatori) alti come palazzi contenenti migliaia di litri di terreni di coltura cellulare ed in grado di produrre milioni di chili di carne, tali da nutrire un intero paese. È una visione edonistica,  ma anche altruistica, una scappatoia per gli eccessi dell’umanità, perché consente di risparmiare acqua, liberare terreni, proteggere le specie vulnerabili e la biodiversità e ridurre le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale.  Parliamo di carne coltivata o carne a base cellulare, correlata all’origine biologica delle cellule e al metodo di produzione, impropriamente chiamata carne sintetica o artificiale, termini imprecisi che possono avere una connotazione negativa per i consumatori. L’aspetto semantico con l’utilizzo di una terminologia per i nuovi alimenti prodotti utilizzando nuove tecnologie – più facilmente comprensibile dal grande pubblico – è rilevante per  superare la potenziale neofobia e la possibile riluttanza verso le nuove scelte alimentari. Esistono diverse definizioni di carne coltivata. Quella che preferisco è la seguente: la carne coltivata è una carne animale genuina, in grado di replicare le stesse proprietà sensoriali e nutrizionali di quella convenzionale, in quanto costituita dello stesso tipo di cellule organizzate nella stessa struttura dimensionale del tessuto muscolare animale.  In parole povere, la carne coltivata è prodotta a partire da vere cellule animali, ad esempio cellule prelevate da un bovino, un pollo, un suino, un pesce.  L’unica differenza è che il prodotto è sempre basato su cellule animali ma non siamo costretti ad allevare e macellare animali.

Sebbene di recente interesse, l’idea originale di carne coltivata ha radici antiche.  Nel 1923, JBS Haldane nel libro ‘Dedalo della scienza e del futuro’ prospettò l’idea del cibo sintetico o coltivato in laboratorio. Winston Churchill nel 1931, critico nei confronti dei metodi di allevamento, introdusse l’argomento della carne coltivata.  Ma la prima ricerca di carne coltivata risale al 2002, quando la NASA pubblicò uno studio sulle colture di cellule muscolari di tacchino e filetto di pesce rosso.  A seguire nel 2013 Mark Post, uno scienziato olandese presentò il primo prototipo di carne a base di cellule di muscolo scheletrico bovino, sotto forma di hamburger, costato circa 290 mila euro per 142 grammi.  Ma il vero pioniere della carne coltivata è l’olandese Willem van Eelen, che negli anni 80’ pose le basi per questa nuova tecnologia.  Oggi il testimone di Willem van Eelen è passato a sua figlia Ira van Eelen, cofondatrice di RespectFarm, un progetto pilota che in alternativa ai grossi impianti, propone il decentramento della produzione di carne coltivata, riadattando le infrastrutture agricole esistenti in strutture per la carne coltivata e  garantendo la transizione dei mezzi di sostentamento degli agricoltori verso un modello di business più sostenibile. RespectFarm fa parte del programma di ricerca collaborativo FEASTS per la carne e pesce coltivato, finanziato con fondi strutturali e di investimento europei, e propone l’integrazione dell’agricoltura tradizionale con l’agricoltura cellulare, con un ruolo futuro nel passaggio verso la sostenibilità. Negli ultimi dieci anni, dunque il concetto di agricoltura cellulare, in particolare la coltivazione di carne e frutti di mare da cellule animali, è passato dalla fantascienza al mondo reale, sebbene con un mercato di nicchia, in alcuni paesi.

Ma come si produce la carne coltivata? Sinteticamente si parte dal prelievo di cellule (per lo più staminali perché dotate di estesa capacità rigenerativa) da un animale tramite una biopsia, e loro inserimento in un bioreattore (o fermentatore), che riproduce le stesse condizioni che le cellule incontrerebbero all’interno del corpo, tra cui presenza di sostanze nutritive, ossigeno e fattori necessari per la crescita e differenziazione. In alternativa alla biopsia che necessita di prelievi continui,  non garantisce l’uniformità dei campioni e presenta limiti dovuti alla soglia di divisione delle cellule primarie (limite di Hayflick), si possono utilizzare linee cellulari più omogenee e performanti e conservate in biobanche. La carne coltivata rappresenta dunque una fusione di biologia e tecnologia, afferisce alla agricoltura cellulare che unisce la tecnologia delle colture cellulari e biologia delle cellule staminali (in prestito dal settore biofarmaceutico) alla ingegneria tissutale-cellulare del settore della medicina umana rigenerativa.

Su questo sfondo di innovazione tecnologica una domanda ricorrente è questa: ma è naturale? Una riflessione che discende da un mito sociale più ampio secondo cui naturale equivale a migliore, più sano e più sicuro.  Siamo avvezzi a romanticizzare il naturale e questa preferenza deriva da pregiudizi radicati legati ad un comfort psicologico: la naturalezza sembra familiare e sicura, anche quando la scienza suggerisce il contrario. E su questo c’è un forte influenza del marketing. Etichette come biologico o naturale sono progettate per rassicurarci, ma possono oscurare i costi ambientali ed etici della produzione.  E’ una prima impressione che però si scontra con una realtà molto più complessa.  Sappiamo che gli alimenti naturali o convenzionali sono spesso imprevedibili. Prendiamo ad esempio la carne tradizionale prodotta in  ambienti (allevamenti ed impianti di macellazione e lavorazione) in cui circolano patogeni come E. coli, Salmonella, Campylobacter che si trasmettono all’uomo, per i quali il rischio non è mai zero e possono persistere anche con ispezioni rigorose.

Diversamente dalle procedure manuali, la tecnologia di automazione del processo di produzione della carne coltivata all’interno di bioreattori dotati di sofisticati  sistemi di monitoraggio, consente di rilevare rapidamente, tramite sensori fisico-chimici eventuali condizioni sfavorevoli nelle vasche di coltivazione, inclusi batteri patogeni, ma anche residui di ormoni ed antibiotici.

A differenza della maggior parte dei produttori di alimenti che testano i lotti in modo casuale, questo sistema offre maggiori garanzie poiché esamina ogni singolo lotto, riduce il rischio di contaminazione e aumenta il controllo, la sicurezza e la tracciabilità dei processi.  In pratica, il rischio può essere facilmente monitorato utilizzando test per la quantificazione dei farmaci veterinari sulla linea cellulare e sul prodotto finito, ma soprattutto recuperando i dati sanitari degli animali donatori.

L’utilizzo della modellazione poi, offre vantaggi sostanziali in termini di riproducibilità, scalabilità e sostenibilità, riduce al minimo le materie prime, gli sprechi, la manipolazione e la dipendenza dall’operatore portando a una maggiore efficienza dei bioprocessi. Il processo dunque è progettato per soddisfare rigorosi standard normativi che garantiscono la qualità e la sicurezza.  Per la produzione su larga scala, i bioreattori automatizzati operano ad alta intensità energetica e richiedono grandi quantità di acqua. Tuttavia, i  bioreattori automatizzati lavorano ad alta intensità energetica e richiedono grandi quantità di acqua. Da un punto di vista della sostenibilità i relativi costi possono essere ridotti utilizzando fonti di energia rinnovabili e introducendo pratiche di riciclaggio e riutilizzo dell’acqua. In aggiunta alla sicurezza ci sono vantaggi  di tipo ambientale rispetto all’agricoltura e allevamento tradizionali, che senza una corretta regolamentazione e pianificazione, favoriscono la deforestazione, sono responsabili per un terzo dell’emissione globale di gas serra proveniente dal settore della produzione alimentare (potenzialmente la carne coltivata produce il 92% in meno di emissioni) e consumano vaste risorse.  I dati ci dicono che siamo nel bel mezzo di una catastrofe globale al rallentatore, ogni anno che passa, la forza distruttiva del cambiamento climatico diventa più destabilizzante e il danno umano agli animali più estremo.

Tornando al quesito sopra espresso, possiamo chiederci: l’agricoltura naturale può raggiungere la  precisione della carne coltivata? E sostenibilità ma anche compassione (viene ridotta la macellazione industriale) non sono forse una definizione migliore di naturale? La scienza sta ora sfidando queste percezioni, dimostrando che il meglio può essere creato attraverso l’innovazione.  La carne coltivata, forse, non è del tutto naturale, ma è più sicura, più sostenibile ed eticamente allineata con i valori moderni.  Inoltre tra i suoi vantaggi, e questo va incontro alle esigenze dietetiche dei nuovi consumatori più attenti, c’è la possibilità di ottimizzarla sotto il profilo nutrizionale. La carne è ricca di acidi grassi saturi, come l’acido stearico, palmitico e laurico, questi ultimi due responsabili dell’aumento delle concentrazioni di colesterolo nel sangue, ma povera di acidi grassi polinsaturi (es. omega 3 e 6) che invece, riducono i livelli di colesterolo e con essi il rischio di subire malattie cardiovascolari. Queste sostanze più salutari potrebbero consentire di creare una prodotto proteico più funzionale e benefico per il consumatore.

Oggi alcuni prodotti che includono cellule coltivate sono stati approvati per la vendita a Singapore, Hong Kong, Stati Uniti (in pausa) e  Israele, ma non ancora nei paesi dell’Unione Europea. Uma Valeti, fondatore e CEO dell’azienda Upside Foods, ha dichiarato nel 2016 che ‘l’umanità è sull’orlo del ‘secondo addomesticamento’: invece di addomesticare gli animali per produrre carne, addomestichiamo le cellule per coltivarla direttamente, un cambiamento dietetico importante quanto il passaggio dalla caccia e dalla raccolta alle colture e all’allevamento. Per il futuro sicuramente i quadri normativi sui nuovi prodotti alimentari (novel food) dissiperanno le preoccupazioni relative alla sicurezza e trasparenza dei  metodi di produzione e dei potenziali impatti a lungo termine. Per migliorare l’efficacia della comunicazione con i non esperti (es. clienti, consumatori, elettori) e le parti interessate (es. allevatori, enti di regolamentazione e politici) e sviluppare un quadro unificato e multidisciplinare, occorrerà  superare l’approccio frammentato e a silos della ricerca sull’agricoltura cellulare in diversi settori (es. economico, alimentare, sanitario, biotecnologico e ambientale, promuovere la collaborazione tra industria, gruppi di ricerca, mondo accademico e autorità regolatorie e condividere database scientifici. Sono necessari modelli accurati.  E per averli abbiamo bisogno di dati migliori su cellule, composizione della biomassa, cinetica e consumo dei nutrienti ed efficienza energetica.  Sullo sfondo di dati promettenti di una recente analisi per il contributo significativo della carne coltivata all’economia dell’UE e una elettrizzante corsa globale agli  investimenti nel settore dell’ordine di miliardi di dollari da parte di capitale di rischio e fondi sovrani, nonché dei principali produttori di carne, e di start-up come East Just e Upside food, che, prima di aver superato le sfide tecnologiche più fondamentali, hanno spinto per l’approvazione del governo americano, si stagliano dichiarazioni che sottolineano come all’ampia rivoluzione della carne coltivata non corrisponda una prospettiva reale, e sicuramente non nei pochi anni che ci sono rimasti per evitare la catastrofe climatica.  Dalle interviste con investitori e addetti ai lavori, tra cui molti che hanno fatto parte dei team di leadership di aziende del settore, emerge una litania di risorse sperperate, promesse non mantenute, strutture costose, significativi ostacoli tecnologici e dati scientifici non validati.  Sono battute d’arresto prevedibili del ciclo hype di Gartner per l’innovazione e di sviluppo di tecnologie trasformative, che la storia ha dimostrato non seguire una linea retta. Affinché l’agricoltura cellulare raggiunga il “plateau della produttività”, non deve solo superare ostacoli di tipo biotecnologico e ingegneristico, ma anche quelli di natura sociale e politica. La carne coltivata, una idea futuristica, lungi dal ritenerla, in una prospettiva di scalabilità a lungo termine, sostitutiva di quella convenzionale, rappresenta una preziosa opportunità a fianco alle offerte vegetali e proteine alternative per realizzare una transizione proteica sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Le conseguenze disastrose del cambiamento climatico sono un wake-up che ci spinge a reinventare le nostre economie, a ripensare ai consumi e ridisegnare le nostre relazioni con la natura e l’uno con l’altro.

Parimenti è giunto il momento di ripensare alla narrativa del cibo cercando di superare la dicotomia semplicistica tra natura e innovazione scientifica e tecnologia che non riesce a catturare l’evoluzione dei moderni processi di produzione e favorire l’accettazione da parte del pubblico di soluzioni solo apparentemente innaturali come la carne coltivata.

Leggi il documento

Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP