Studiare le simbiosi fra batteri e zanzare per vincere la resistenza agli insetticidi
Un batterio simbionte delle zanzare potrebbe essere coinvolto in fenomeni di resistenza agli insetticidi. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori coordinato dall’Università di Camerino, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Laboratorio di parassitologia) e le Università di Pavia, Milano, San Paolo (Brasile) e Glasgow (Regno Unito). Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale mBIO dell’American Society for Microbiology e apre prospettive interessanti per il controllo delle malattie trasmesse da vettori.
Riduzione genomica nei batteri simbionti
Un batterio simbionte delle zanzare potrebbe essere coinvolto in fenomeni di resistenza agli insetticidi. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori coordinato dall’Università di Camerino, in collaborazione con il Laboratorio di parassitologia) dell’IZSVe e le Università di Pavia, Milano, San Paolo (Brasile) e Glasgow (Regno Unito).
Il batterio si chiama Asaia e si trova nell’intestino, negli organi riproduttivi e nelle ghiandole salivari di molte specie di zanzare ed altri insetti nocivi all’agricoltura. Come tutti i batteri simbionti, anche Asaia non è dannoso per la salute dell’ospite, ma ne influenza in maniera positiva il percorso evolutivo, con un vantaggio reciproco. In generale, le associazioni simbiotiche mostrano un elevato livello di integrazione fisica, metabolica e genomica fra gli organismi in simbiosi, al punto che se anche i batteri simbionti non diventano essenziali all’esistenza stessa dell’ospite, sono comunque in grado di fornirgli un vantaggio nei termini di una migliore fitness all’ambiente.
Uno degli effetti della coevoluzione nelle simbiosi è la riduzione delle dimensioni del genoma del batterio, che consiste nella perdita di geni ritenuti invece indispensabili per i batteri non simbiotici. L’analisi filogenetica di Asaia ha infatti rivelato una sostanziale distanza genetica nella linea evolutiva dei diversi ceppi, mostrando proprio come processi indipendenti di riduzione/variazione genetica hanno determinato una “erosione” di geni a seconda del ceppo di Asaia e della sua relazione simbiotica con l’ospite. Alla base di questo fenomeno ci sarebbero meccanismi evolutivi in cui sono coinvolti percorsi metabolici che svolgono funzioni essenziali per la vita del microorganismo.
Geni di resistenza agli insetticidi nelle zanzare
L’attenzione dei ricercatori si è concentrata in particolare su un gene (PH) che regola la degradazione dei piretroidi, un principio attivo di molti insetticidi. I ceppi di Asaia sono stati isolati da diverse specie di zanzare, da popolazioni di mosca mediterranea della frutta (Ceratitis capitata) e da campioni ambientali. In tutti i ceppi batterici analizzati è stato trovato il gene PH, tranne in un caso: nella zanzara Anopheles darlingi, una delle specie maggiormente responsabili della diffusione di malaria nelle regioni amazzoniche.
L’efficacia degli insetticidi nei confronti di insetti vettori, come nel caso della zanzara anofele, o di insetti delle piante potrebbe dipendere da meccanismi di regolazione genetica che agiscono a livello metabolico nelle simbiosi tra zanzare e batteri.
Il ruolo del gene PH nella biologia del batterio è ancora da approfondire ma, secondo gli autori dello studio, la sua presenza – di cui è nota la funzione protettiva nei confronti di Asaia – potrebbe proteggere indirettamente anche le zanzare dagli insetticidi a base di piretroidi, rendendoli poco efficaci. La zanzara anofele An. darlingi sembra rappresentare un buon candidato per testare questa ipotesi.
Lungo questa linea di ricerca, uno studio condotto qualche anno fa nell’ambito del Programma di controllo della malaria in Brasile ha evidenziato che An. darlingi non è resistente ad alcuni insetticidi a base di piretroidi. È interessante notare che alcuni studi hanno evidenziato come l’infezione da Plasmodium (il parassita malarico) riduca la sopravvivenza delle zanzare solo nei ceppi resistenti agli insetticidi ma non in quelli sensibili , fornendo così la prova di un “costo di sopravvivenza” associato all’infezione da Plasmodium solo nelle zanzare selezionate per la resistenza agli insetticidi. L’efficacia degli insetticidi nei confronti di insetti vettori, come nel caso della zanzara anofele, o di insetti delle piante potrebbe quindi dipendere da meccanismi di regolazione genetica che nelle simbiosi agiscono a livello metabolico.
In generale, la detossificazione da insetticidi mediata dai batteri simbionti è oggi riconosciuto come un problema emergente nelle strategie di controllo degli insetti. Nei prossimi anni sarà quindi necessario approfondire il funzionamento dei processi metabolici coinvolti nei meccanismi di resistenza agli insetticidi, al fine di sviluppare nuovi metodi di controllo efficaci per insetti vettori di patogeni e altri insetti nocivi.
Fonte: IZS delle Venezie
L’attenzione nei confronti del
Il cimurro (CD) è una malattia mortale e altamente contagiosa dei carnivori selvatici e domestici. Nel territorio alpino, negli ultimi decenni, si sono verificati diversi focolai all’interno di popolazioni selvatiche. Il virus del cimurro si è ripresentato con particolare virulenza negli ultimi anni nelle valli lombarde determinando la morte di parecchie volpi e di altre specie come tassi e faine. Il cimurro è presente oramai da qualche anno nelle valli lombarde ormai popolate da numerose volpi; il virus, presente sotto forma di due varianti provenienti rispettivamente dal nord Europa e dalle zone alpine dell’ Italia orientale si è progressivamente diffuso nelle Alpi Lombarde interessando la provincia di Bergamo e Brescia, di Sondrio e quindi di Varese/Como. Negli ultimi giorni, ad ulteriore conferma di presenza di questa malattia in forma endemica, sono state conferite alla Unità Territoriale di Binago numerose volpi morte e di esse 5 sono risultate positive per il virus del cimurro. Un ulteriore segnale questo che la malattia ha raggiunto una notevole diffusione ed espansione sud-occidentale negli animali selvatici e segnatamente nella volpe che è la specie più rappresentata in termini di densità di popolazione, ma anche in altri selvatici come il tasso e la faina.
Listeria monocytogenes è un patogeno opportunista in grado di sopravvivere e proliferare anche a temperatura di refrigerazione e in condizioni avverse per altri batteri. Per la sua notevole resistenza, L. monocytogenes è un importante contaminante degli ambienti di lavorazione e degli alimenti, sia crudi che cotti. Dopo il consumo di alimenti contaminati, la maggior parte dei soggetti adulti in buona salute non presenta alcun sintomo o può manifestare lievi sintomi gastroenterici di breve durata. Invece, nelle donne in gravidanza, nei neonati, negli anziani e negli individui immunocompromessi si possono sviluppare forme gravi di malattia. In Italia e negli altri Paesi dell’Unione europea, i casi di listeriosi mostrano una tendenza alla crescita e interessano soprattutto i soggetti di età superiore ai 65 anni.
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