Paratubercolosi nel cervo, Izsler: uno studio sulla diffusione

Approfittando di una popolazione di cervo rosso sottoposta a un programma di abbattimento nel Parco Nazionale dello Stelvio, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (Izsler) ha condotto uno studio su un totale di 390 soggetti, esaminati e testati per Mycobacterium avium subsp. Paratuberculosis (Map) utilizzando diversi strumenti diagnostici. La ricerca è stata eseguita dal Centro di Referenza per la paratubercolosi, presso la sede Izsler di Piacenza, e pubblicata su Frontiers in Veterinary Science.


La paratubercolosi (o malattia di Johne), causata da Map, è una malattia infettiva che colpisce principalmente i ruminanti domestici e selvatici di tutto il mondo ed è stata recentemente inserita dalla Legge sulla Salute Animale sulle malattie animali trasmissibili (Regolamento Ue 2016/429) tra le patologie che richiedono sorveglianza nell’Unione Europea, elencando Bovidi, Cervidi e Camelidi domestici e selvatici come specie potenziali serbatoi.
Il batterio responsabile viene escreto nelle feci ed è caratterizzato da un’elevata resistenza alle condizioni ambientali. Molte specie sono suscettibili all’infezione e l’interazione tra gli animali al pascolo può facilitare l’instaurazione di un sistema multi-ospite per Map.   La situazione in Italia
In Italia, il primo caso segnalato di paratubercolosi nei ruminanti selvatici è stato identificato nel cervo reale (Cervus elaphus) nella parte meridionale del Tirolo del Parco Nazionale dello Stelvio, in provincia di Bolzano. Successivamente, la prevalenza della Map è stata stimata con metodi molecolari in diverse aree alpine.
Il Ministero della Salute italiano ha implementato la sorveglianza della paratubercolosi nei bovini dal 2013, recentemente estesa a capre e pecore, su base volontaria, e una certificazione basata sul rischio. Il piano prevede lo screening diagnostico, la sorveglianza clinica passiva sui ruminanti domestici e l’adozione di misure di biosicurezza e gestione.
Inoltre, la produzione zootecnica estensiva, in cui interagiscono animali domestici e selvatici, dovrebbe considerare entrambe le popolazioni per il controllo delle malattie.

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Fonte: vet33




Che viaggio fa il virus West Nile?

artropodiNonostante sia stato isolato quasi 90 anni fa – nel 1937 nella zona del Nilo occidentale dell’Uganda – e sia uno dei virus più diffusi al mondo, solo negli ultimi anni il West Nile Virus (WNV) è entrato nel vocabolario comune, destando interesse presso l’opinione pubblica e una crescente preoccupazione da parte delle autorità sanitarie.

Al centro delle dinamiche di diffusione del virus ci sono uccelli e zanzare: gli uccelli infetti vengono punti dalle zanzare che a loro volta si infettano e possono trasmettere nuovamente il virus ad altri uccelli. Le zanzare che si nutrono del sangue anche di esseri umani, cavalli e altri mammiferi, possono trasmettere il virus anche a loro. Tuttavia esseri umani, equidi e altri mammiferi sono ospiti accidentali “a fondo cieco”, ovvero non sviluppando concentrazioni elevate di virus nel sangue non possono quindi trasmetterlo ad altre zanzare.

Nella maggior parte dei casi l’infezione nell’uomo è asintomatica. I casi sintomatici si presentano per lo più con manifestazioni leggere riconducibili a una comune influenza, mentre le forme più gravi possono coinvolgere il sistema nervoso in particolare negli anziani o in coloro che hanno un sistema immunitario compromesso.

In qualità di Centro di Referenza Nazionale per le malattie esotiche degli animali e di Laboratorio di Referenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale per la West Nile da anni monitoriamo e studiamo il virus costantemente – esordisce il DG dell’IZS di Teramo Nicola D’Alterio – “La situazione non deve destare allarmismi, tuttavia i dati del 2023, in calo rispetto al 2022, ci dicono che in Italia sono stati confermati 332 casi di infezione da West Nile virus nell’uomo, di cui 190 con coinvolgimento neurologico. Tra i casi confermati sono stati notificati 27 decessi, tutti nelle regioni del nord Italia. Questi numeri ci obbligano a tenera alta la guardia”.

Come ricercatori il nostro compito è comprendere le modalità di trasmissione dell’infezione in modo da pianificare interventi preventivi – conclude D’Alterio  “la prevenzione è un’arma fondamentale perché non esiste un vaccino per proteggere l’uomo dal virus: ad esempio bisogna evitare il più possibile le punture di zanzara tramite l’uso di repellenti cutanei, insetticidi ad uso domestico e soggiornare in ambienti riparati da zanzariere”.

Recentemente sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communications sul virus West Nile i risultati di uno studio condotto dall’IZS di Teramo, in collaborazione con l’Università di Trento, la Fondazione Edmund Mach e l’Istituto Pasteur di Dakar in Senegal. Lo studio ha esplorato le modalità di diffusione del WNV, scoprendo percorsi complessi e inaspettati che legano Africa ed Europa. I ricercatori hanno utilizzato tecniche avanzate di analisi genetica e filogeografica ricostruendo così la dinamica evolutiva dei vari ceppi del virus West Nile nel tempo e nello spazio. La combinazione dei due metodi ha permesso di tracciare le rotte di diffusione del virus, fornendo dettagli sulle sue origini e sulla modalità con cui si è diffuso nel corso del tempo. In particolare la ricerca si è concentrata sui due principali lineage del virus, L1 e L2, che hanno percorsi e storie evolutive diversi.

In proposito la ricercatrice Giulia Mencattelli, prima autrice dello studio, fa notare che è interessante quanto scoperto in relazione al lineage 1: “Esiste un vero e proprio ‘corridoio’ tra Senegal, Marocco e i Paesi europei del Mediterraneo occidentale come Portogallo, Spagna, Francia e Italia, ma secondo le nostre analisi non è un corridoio a senso unico: avvengono anche incursioni che vanno dall’Europa all’Africa”.

Il responsabile del Laboratorio di Sanità Pubblica dell’IZS di Teramo, Giovanni Savini, coordinatore del gruppo di ricerca, specifica riguardo alle diverse dinamiche evolutive dei due lineages: “Dai risultati ottenuti sembra che L1 si diffonda più efficientemente di L2 sebbene infettino le stesse specie di uccelli e utilizzino gli stessi vettori. La diversa suscettibilità degli uccelli all’infezione rappresenta solo uno dei possibili fattori che hanno determinato queste differenze, sappiamo infatti ancora poco del ruolo delle zanzare come vettori e della loro recettività all’infezione. Questi sono tutti aspetti del ciclo vitale del virus ancora poco conosciuti e che intendiamo esplorare”.

Proprio l’integrazione dei dati genetici virali con informazioni relative ai movimenti degli uccelli migratori e alla suscettibilità all’infezione delle varie specie potrà portare a una comprensione più profonda di come il virus si diffonde, con l’obiettivo di prevedere e quindi mitigare l’impatto delle future epidemie, costituendo un modello di studio anche per altri virus emergenti.

Fonte: IZS Abruzzo e Molise




Giornata mondiale delle malattie tropicali neglette

Unirsi e ad agire per affrontare le disuguaglianze che causano le malattie tropicali trascurate (NTD) e a fare investimenti coraggiosi e sostenibili per liberare circa 1,62 miliardi di persone, nelle comunità più vulnerabili del mondo, da un circolo vizioso di malattie e povertà”.

Questo l’invito dell’Oms ai leader dei Governi e alle comunità lanciato in occasione della Giornata mondiale delle malattie tropicali neglette 2024. Un gruppo di malattie prevenibili e curabili che colpiscono circa 1,65 miliardi di persone in tutto il mondo,

Lo scopo della Giornata è quindi quello di elevare il profilo delle malattie tropicali trascurate e di raccogliere sostegno per il loro controllo, eliminazione ed eradicazione, in linea con gli obiettivi programmatici stabiliti nella road map NTD 2021-2030 e gli impegni della Dichiarazione di Kigali

Dalla Dengue e chikungunya alla Leishmaniosi e alla Malattia di Chagas fino alla lebbra, sono solo alcune delle malattie tropicali neglette ricordate dall’Oms.

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Fonte: quotidianosanita.it




Un nuovo approccio diagnostico per la Brucellosi canina

La brucellosi canina, una malattia infettiva causata dal batterio Brucella canis , rappresenta una crescente preoccupazione, non solo per gli amanti dei cani e per il mondo degli allevamenti di questi animali, ma potenzialmente anche per la salute umana. Individuare rapidamente i casi e verificare l’evoluzione delle infezioni diventa così un passo cruciale per conoscere meglio la patologia e il microrganismo che ne è responsabile.

La diagnosi certa di brucellosi canina si ha solo con l’isolamento del batterio (il cosidetto “gold standard”) nel sangue dell’animale che si sospetta sia infettato. Ma individuare direttamente il microrganismo significa utilizzare tecniche batteriologiche e molecolari piuttosto complesse, che richiedono tempo e che sono poco adatte quando si ha a che fare con una popolazione numerosa di cani, come ad esempio un allevamento. Esistono anche metodi indiretti, i cosiddetti sierologici, che mirano ad individuare gli anticorpi contro il batterio nel sangue dell’animale. Un team di ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo (IZS-TE) ha ora condotto uno studio che punta a rendere più rapida ed efficiente la diagnosi di questa malattia, che da molto tempo rappresenta una vera sfida per i veterinari e gli operatori della salute animale in genere, sviluppando un protocollo diagnostico che prevede la combinazione di tre test sierologici.

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Fonte: IZS Teramo




Aerosol microbici, opportuno includerli nelle indagini epidemiologiche!

Anche il 2023 non ha smentito la triste fama dell’ottennio (2015-2022) che l’ha  preceduto, caratterizzandosi giustappunto come il più caldo degli ultimi 140 anni (Witze, 2024)!

Tra i numerosi fattori che sono alla base di un siffatto, allarmante fenomeno le aumentate concentrazioni di gas serra (anidride carbonica e metano, in primis) nell’atmosfera giocano senza alcun dubbio un ruolo di primaria importanza, atteso che mai prima d’ora erano stati registrati livelli così alti di CO2 (Witze, 2024).

Di pari passo con l’innalzamento delle temperature medie globali stiamo assistendo ad un progressivo, preoccupante incremento di eventi meteo-climatici estremi, rispetto ai quali siccità ed alluvioni (come quelle verificatesi lo scorso anno in Emilia-Romagna ed in Toscana) rappresentano due facce della stessa medaglia.

Dell’innalzamento delle temperature medie globali potrebbero plausibilmente approfittare una serie di microorganismi patogeni, virali e non, notoriamente dotati di un’elevata resistenza ambientale, nel cui novero andrebbero senz’altro inclusi i due DNA-virus del vaiolo delle scimmie (Monkeypox Virus, Mpx) – già classificato ad opera dell’Organizzazione Mondiale della Sanità come un agente responsabile di una “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale” (“public health emergency of international concern“, PHEIC) (Rheinbaben et al, 2007) – e della peste suina africana, che nel recente passato ha provocato e sta tuttora determinando ingentissimi danni agli allevamenti ed all’industria suinicola di molti Paesi (Mazur-Panasiuk et al., 2019), nonché i prioni – responsabili dell’encefalopatia spongiforme bovina, alias “morbo della mucca pazza”, l’unica malattia prionica a carattere zoonosico, cioè trasmissibile dagli animali all’uomo (Di Guardo, 2015) – e numerosi batteri sporigeni, quali Bacillus anthracis, Clostridium tetani e C. botulinum.

In un siffatto contesto, la possibilità che i venti, le correnti ed altri fattori metereologici possano veicolare i succitati agenti patogeni (ed altri ancora, accomunati agli stessi da un’elevata resistenza nei confronti dell’inattivazione chimico-fisica) a distanza, anche notevole, rispetto al sito in cui uno o più ospiti infetti li avessero eliminati dovrebbe essere tenuta in debita considerazione.

A tal proposito, infatti, numerosi studi condotti nel corso degli ultimi decenni hanno chiaramente dimostrato che gli aerosol originanti dai mari e dagli oceani (“sea spray aerosols“) presentano una composizione ben più complessa di quella immaginata (ovvero salina), dal momento che al proprio interno ospiterebbero un miscuglio di molecole proteiche, enzimi, acidi grassi e zuccheri, oltre ad una flora microbica composta da svariati agenti di natura batterica e virale (Schiffer et al., 2018).

Ne deriva che l’inclusione (anche) degli aerosol tra i fattori di rilevanza eco-epidemiologica nelle indagini finalizzate a chiarire l’origine di focolai di malattie infettive sostenute da agenti dotati di straordinaria resistenza ambientale potrebbe rivelarsi di grande ausilio in tutti quei casi in cui la stessa dovesse apparire indefinita, se non addirittura indecifrabile.

Va da sé, infine, che un siffatto esercizio presuppone una stretta, costante e permanente sinergia fra Medici e Veterinari e, nondimeno, una forte integrazione di competenze e saperi multidisciplinari, in una sana ottica di “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Repetita Iuvant!

Bibliografia

1) Di Guardo G. (2015). Encefalopatie Spongiformi Transmissibili. In: Marcato P.S. Patologia Sistematica Veterinaria, Seconda Edizione, Edagricole-Il Sole 24 Ore, Bologna.
2) Mazur-Panasiuk N., Żmudzki J., Woźniakowski G. African Swine Fever Virus: Persistence in Different Environmental Conditions and the Possibility of its Indirect Transmission (2019). J. Vet. Res. 13;63(3):303-310. doi: 10.2478/jvetres-2019-0058.
3) Rheinbaben F.V. Gebel J., Exner M., Schmidt A. (2007). Environmental resistance, disinfection, and sterilization of poxviruses. In: Mercer A.A., Schmidt A., Weber O. (Eds.) Poxviruses. Birkhäuser Advances in Infectious Diseases. Birkhäuser Basel. https://doi.org/10.1007/978-3-7643-7557-7_19.
4) Schiffer J.M., Mael L.E.,Prather K.A., Amaro R.E., Grassian V.H. (2018). Sea spray aerosol: Where marine biology meets atmospheric chemistry. ACS Central Science 4(12):1617-1623.
5) Witze A. (2024). Earth boiled in 2023: Will it happen again in 2024? Nature https://doi.org/10.1038/d41586-024-00074-z.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




L’uso del succo di carne per il monitoraggio della malattia di Aujeszky

Un metodo non invasivo per monitorare i livelli di anticorpi nei suini

La malattia di Aujeszky è una malattia virale febbrile dal decorso acuto che colpisce soprattutto i suini. In altri mammiferi si manifesta sotto forma di infezione del sistema nervoso centrale, con esito spesso mortale, mentre i primati e l’uomo non sono sensibili al virus. Il metodo gold standard individuato dalla organizzazione mondiale per la salute animale (WOAH) per la diagnosi della malattia di Aujeszky è l’analisi del siero attraverso il metodo ELISA. L’adattamento dei protocolli sierologici esistenti a nuove matrici come il succo di carne e il fluido orale potrebbe facilitare la sorveglianza sierologica e ridurre i costi di campionamento. In base alla analisi effettuate è stato dimostrato il potenziale utilizzo del succo di carne come fonte alternativa di anticorpi per i test sierologici. Sono ancora necessarie ulteriori indagini per ottimizzare la procedura sierologica per l’analisi del succo di carne nella routine diagnostica, in quanto non garantisce al 100% l’assenza della malattia. Tuttavia, il potenziale impiego di questa matrice biologica potrebbe essere utile per scopi di monitoraggio, in particolare quando i campioni di siero sono difficili da ottenere presso le aziende suinicole.

Fonte: IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta




Progetto CCM 2022: sviluppo di un sistema di sorveglianza dell’infezione da Hantavirus

Il progetto intende valutare la presenza e la diffusione  dell’Hantavirus, un virus zoonotico che causa nell’uomo sindromi renali e polmonari, nella popolazione umana, nelle popolazioni di roditori e chirotteri e anche in reflui urbani e di allevamento

Con l’ obiettivo di determinare  una rete tra le diverse professionalità della  veterinaria e della medicina umana, fondamentale per il raggiungimento delle finalità della One Health, viene  richiesta  la collaborazione dei medici veterinari liberi professionisti nel reperimento dei campioni per la ricerca del virus; per maggiori informazioni e dettagli sull’ Hantavirus e il progetto correlato è  possibile scaricare la Brochure illustrativa dell’ iniziativa.

Brochure Hantavirus

 

Fonte: IZS Lazio e Toscana




Malattie infettive emergenti. I risultati del programma INF-ACT

Il programma di ricerca INF-ACT affronta le pressanti esigenze scaturite da malattie infettive emergenti nell’uomo, sia per quanto riguarda gli aspetti fondamentali che quelli traslazionali; viene presa in considerazione la salute umana in un contesto molto ampio, che include il mondo degli animali – sia domestici che selvatici – quale potenziale serbatoio di malattie, e fattori ambientali che aumentano la possibilità di spillover, secondo un approccio One Health. Il consorzio INF-ACT è composto da 25 partner di ricerca di tutta Italia, sia del settore pubblico che privato.

I casi registrati nel 2023
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) del 2023, il sistema di sorveglianza nazionale ha rilevato centinaia di casi di infezioni virali trasmesse da artropodi. Alcuni di questi casi sono attribuibili a virus endemici, come il West Nile (con oltre 320 casi e 21 decessi) e l’Usutu Virus trasmessi dalla comune zanzara Culex pipiens, o il Toscana Virus trasmesso dai flebotomi (pappataci), oltre a casi di infezione neuro-invasiva trasmessi dalle zecche. Altri casi sono stati causati da virus tropicali, come la Dengue (347 casi), il Zika Virus (8 casi) e il Chikungunya (7 casi). La maggior parte di questi casi era precedentemente attribuita a viaggiatori provenienti da zone tropicali endemiche, ma nel 2023 si è verificata una svolta significativa con tre focolai autoctoni di Dengue trasmessi dalla zanzara tigre (Aedes albopictus), una specie invasiva presente in Italia da oltre 30 anni.

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Fonte: vet33.it




Zoonosi, virus 12 volte più letali entro il 2050

Negli ultimi decenni le zoonosi, ovvero le infezioni trasmesse dagli animali all’uomo, hanno mostrato un trend preoccupante di crescita. Recentemente, un gruppo di ricercatori di Ginkgo Bioworks ha pubblicato uno studio sulla rivista Bmj Global Health che allerta sulla possibilità di un aumento di dodici volte delle vittime causate dalle zoonosi entro il 2050.

La ricerca
La ricerca finanziata da Ginkgo Bioworks, un’azienda biotech fondata nel 2008 a Boston, ha messo in evidenza un incremento “esponenziale” delle zoonosi negli ultimi sessant’anni, sollevando preoccupazioni serie sulla salute globale.
Gli agenti patogeni virali zoonotici sono, infatti, la principale causa delle epidemie moderne, poiché passano dalla fauna selvatica o dagli animali domestici agli esseri umani attraverso la caccia, l’invasione degli habitat naturali e l’allevamento intensivo di bestiame. Il cambiamento climatico e altre forme di cambiamento ambientale di origine antropica, come lo sfruttamento eccessivo della terra, continuano a incrementare la frequenza degli episodi di spillover, mentre l’aumento della densità della popolazione umana e dei collegamenti globali ne faciliterà sempre più la diffusione.
In questo studio, grazie a un ampio database epidemiologico, i ricercatori si sono concentrati su quattro famiglie di virus per individuare le tendenze nella frequenza e nella gravità delle possibili future epidemie:

  • Filovirus (Ebolavirus, Marburgvirus),
  • Sars-CoV-1,
  • Virus Nipah,
  • Virus Machupo, responsabile della febbre emorragica boliviana.

Tra il 1963 e il 2019 sono stati registrati 3.150 focolai di infezione (con 50 o più decessi), con un incremento annuo dei contagi tra il cinque e il nove percento.

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Fonte: vet33




EFSA: Campylobacter e Salmonella i principali agenti zoonotici nel 2022

La campilobatteriosi e la salmonellosi sono state le malattie zoonotiche più frequentemente riferite nell’UE nel 2022. Tuttavia il numero di casi è rimasto inferiore a quello degli anni pre-pandemici 2018-2019.

Per il virus del Nilo occidentale è stato osservato un aumento del numero di infezioni. Queste e altre informazioni sulle malattie zoonotiche sono state pubblicate oggi dall’EFSA e dall’ECDC nel loro ultimo rapporto annuale a dimensione UE sulle zoonosi secondo l’approccio “One Health”.

Il numero dei casi riferiti per la campilobatteriosi , che è la malattia zoonotica più frequentemente segnalata, è rimasto stabile nel 2022 rispetto all’anno precedente, con 137 107 casi. La carne di pollo è stata la fonte più comune di infezioni.

La salmonellosi è stata la seconda malattia zoonotica più segnalata, con 65208 casi nel 2022 rispetto ai 60 169 del 2021. Tuttavia 19 Stati membri e il Regno Unito (Irlanda del Nord) hanno raggiunto tutti gli obiettivi prefissati per la riduzione di Salmonella nel pollame. Si tratta del numero più alto dal 2018, quando 14 Stati membri avevano raggiunto tutti gli obiettivi, una pietra miliare negli sforzi collettivi per combattere le malattie zoonotiche e proteggere la salute pubblica.

“Il numero di casi segnalati nell’uomo per le due più comuni malattie veicolate da alimenti rimane a livelli inferiori rispetto a quelli pre-pandemici”, ha dichiarato Ole Heuer, responsabile della sezione Malattie a tendenza epidemica dell’ECDC. “Tuttavia, dato l’impatto di queste infezioni sulla salute umana, occorrono ulteriore vigilanza e misure per ridurre il numero di casi”.

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Fonte: EFSA