Nuovo focolaio di malattia nodulare contagiosa del bovino in Israele

Il 28 maggio 2023 è stato notificato alla WOAH un nuovo sospetto focolaio di malattia nodulare contagiosa del bovino in Israele. Il focolaio è stato confermato il 30/05/2023 con positività alla real-time PCR presso il laboratorio di virologia dell’Istituto Veterinario di Kimron.

L’azienda di bovine da latte colpita si trova a Nahal Oz, a 1,5 km dalla striscia di Gaza La mandria era composta da 350 capi in lattazione, 50 in asciutta e 300 manze; di queste ultime, 16 hanno manifestato sintomatologia clinica e una bovina è morta.

Le manze affette erano di un’età compresa tra i 10 e i 13 mesi e non erano state vaccinate, a differenza del resto della mandria, a giugno 2022 perché troppo giovani. Il 29/05/2023 tutte le bovine sopra i 3 mesi di età sono state prontamente vaccinate dopo la comparsa dei sintomi in allevamento.

Altre misure intraprese comprendono la sorveglianza e il controllo dei vettori, la restrizione dell’area infetta, controllo delle movimentazioni, quarantena e screening.

La malattia nodulare contagiosa del bovino, nota come Lumpy skin disease (LSD), è causata da un virus del genere Capripoxvirus, altamente ospite-specifica, determina la patologia solo nel bovino (Bos indicus B. taurus) e nel bufalo (Bubalus bubalis). La malattia nodulare contagiosa non è una zoonosi, ciò significa che le persone non contraggono il virus. Gli animali colpiti possono sviluppare febbre, emaciazione, linfoadenomegalia, edema cutaneo e noduli su cute, mucose e organi interni. Talvolta i capi colpiti possono andare incontro a morte.

L’origine dell’infezione segnalata per questo focolaio sono i vettori, infatti si pensa che gli artropodi rappresentino la principale via di trasmissione meccanica del virus. In condizioni sperimentali, tra i possibili artropodi, sono state identificate le zanzare del genere Aedes aegypti come agenti responsabili della trasmissione in campo del virus, ma probabilmente anche altre mosche ematofaghe, culicoidi e zecche possono rivestire un ruolo nel veicolare la malattia. La trasmissione mediante contatto diretto ha un ruolo minore.

L’ultimo focolaio di malattia nodulare contagiosa del bovino è stato segnalato in Israele nel 2019. Questa malattia è endemica in Africa e diversi focolai sono stati notificati in Medio Oriente, sud-est Europa, nei Balcani, Caucaso, Russia e Kazakistan.

Fonte: IZS Teramo




90a Sessione Generale WOAH a Parigi, l’influenza aviaria sotto la lente

Si è svolta a Parigi da domenica 21 a giovedì 25 maggio 2023 la 90ª Sessione generale annuale dell’Organismo mondiale per la salute animale(WOAH). L’evento ha riunito oltre 1.000 partecipanti, tra cui rappresentanti di 183 membri WOAH, nonché rappresentanti di organizzazioni internazionali e regionali, paesi e territori osservatori, parti interessate chiave e diversi ministri.

Durante cinque giorni, rappresentanti provenienti da tutto il mondo hanno partecipato alle discussioni della prima sessione generale interamente in presenza, dall’inizio della pandemia di COVID-19 nel 2020.

I delegati nazionali hanno adottato nuove risoluzioni e assunto impegni per rafforzare il controllo globale dell’influenza aviaria, una malattia animale che ha colpito tutte le regioni del mondo negli ultimi anni. Proprio per l’influenza aviaria e per la sua importanza a livello globale per la prima volta è stato organizzato un forum dedicato alla salute degli animali per esplorare le opzioni di gestione del rischio per questa malattia, fornendo al contempo uno spazio per discutere le strategie adattate alla sua attuale situazione in continua evoluzione.

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna è stato rappresentato dal Dott. Giuseppe Merialdi, Direttore Sanitario e dal Dott. Antonio Lavazza, Direttore del Dipartimento Tutela e Salute Animale.

Fonte: IZS Lombardia Emilia Romagna




Un raro focolaio causato da un patogeno emergente: cruciale la collaborazione interdisciplinare

Lo Streptococcus equi subsp. zooepidemicus, che causa raramente malattia negli esseri umani, è stato al centro di un focolaio che tra il 2021 e il 2022 ha colpito 37 pazienti. Metodiche analitiche avanzate e multidisciplinarietà sono state la chiave nell’individuare l’origine dell’infezione e nell’attuare misure preventive

Tra il novembre 2021 e il maggio 2022, l’Italia ha assistito a un focolaio di una infezione da Streptococcus equi subsp. zooepidemicus (SEZ), che ha coinvolto un totale di 37 casi clinici nella regione centrale del Paese, provocando la morte di cinque pazienti per meningite. Si tratta di un evento molto raro, causato da un batterio che colpisce principalmente cavalli e altri animali, come bovini, suini, capre, pecore e cani, ma che in alcuni casi può infettare anche gli esseri umani causando diverse patologie, tra cui meningite, sepsi e artrite.

Di fronte a questa emergenza, iniziata con 18 casi, le Autorità sanitarie avevano creato una task force interdisciplinare che ha visto in prima linea l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo in una collaborazione che ha coinvolto medici, veterinari, epidemiologi e microbiologi. Come riportato in un lavoro scientifico pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases, le ricerche coordinate hanno permesso di individuare altri 19 pazienti colpiti dal microrganismo e di identificare rapidamente la sorgente di infezione.

“SEZ – spiega Alexandra Chiaverini, Igiene e Tecnologie degli Alimenti, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo, corresponding author del lavoro – è un batterio che può infettare animali domestici e animali da compagnia. L’infezione umana, rara, avviene generalmente attraverso il contatto diretto con animali infetti o mediante il consumo di latte crudo o prodotti caseari non pastorizzati derivati dagli stessi animali”.

L’identificazione del microrganismo nei pazienti e in alcuni prodotti lattiero-caseari non pastorizzati, unita all’analisi genetica, ha permesso di evidenziare la stretta correlazione tra i ceppi patogeni, e quindi di tracciare con precisione la sorgente dell’infezione. A quel punto le strutture sanitarie coinvolte hanno potuto intervenire rapidamente, bloccando i prodotti potenzialmente contaminati e prevenendo ulteriori casi.

“È stato – aggiunge Chiaverini – un caso molto positivo di stretta collaborazione tra strutture e discipline diverse. Il nostro Istituto è prontamente intervenuto a supporto della medicina umana in quello che definirei un esempio concreto di ‘One Health’, di approccio globale e interdisciplinare ad una patologia”.

Il lavoro scientifico pone l’accento, inoltre, sulla necessità di indagare più a fondo quale sia la situazione dello Streptococcus equi subsp. zooepidemicus a livello nazionale. “Il prossimo obiettivo – conclude la ricercatrice – sarà quello di capire quali sono i possibili rischi associati a SEZ, attraverso un programma di sorveglianza mirato, al fine di salvaguardare la salute pubblica”.

Fonte: IZS Teramo




Nuovo libro bianco dell’OHHLEP sulla prevenzione delle ricadute zoonotiche

La diffusione delle Zoonosi  è riconosciuta come  causa predominante delle malattie infettive emergenti e come responsabile  principale delle recenti pandemie. Il Gruppo multidisciplinare di esperti di alto livello One Health (OHHLEP) ha recentemente pubblicato un documento nel quale si sottolinea  la necessità di ridurre il rischio di insorgenza di malattie zoonotiche  attraverso migliori misure di prevenzione, promuovendo così un approccio più efficiente di contrasto alla diffusione di tali malattie.

Gli sforzi per arginare le epidemie vengono solitamente messi in campo per contenere focolai già in atto, diverso sarebbe se le risorse fossero dedicate alla riduzione dei rischi direttamente alla fonte.

Il Quadripartito, ( FAOOMSUNEP e WOAH)  accoglie con favore l’appello dell’OHHLEP nel sollecitare e promuovere la prevenzione, allineare le strategie, colmare le lacune esistenti a Sistema  al fine di evitare  lo spillover zoonotico.

Prevenire il passaggio di agenti patogeni dagli animali all’ uomo significherebbe spostare il paradigma da “ reattivo a proattivo”, in un approccio One Health, prendendo in considerazione così anche tutta una serie di fattori più  generali, che vanno dal cambiamento climatico alle  pratiche di base per la salute umana, animale e al benessere degli animali.

Tale approccio, non solo aiuterebbe a prevenire nuove epidemie e pandemie, ma fornirebbe anche significativi benefici economici, sociali e ambientali, tra i quali ad esempio quello della riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra.

Fonte: IZS Lazio e Toscana




West Nile Virus, situazione e prevenzione

Quest’anno la stagione di trasmissione di malattie trasmesse da insetti ha avuto un inizio precoce in Italia. La circolazione del virus West Nile, infatti, è stata infatti confermata dalla presenza del virus in pool di zanzare e in avifauna nel paese già nel mese di maggio 2023. Sono state di conseguenza attivate precocemente le misure di prevenzione su trasfusioni e trapianti nelle aree interessate,

Sebbene ad oggi non siano stati notificati casi confermati di infezione nell’uomo da virus West Nile contratti nei mesi di aprile e maggio 2023, è possibile che la circolazione di questo o di altri patogeni trasmessi da insetti possa aumentare nelle prossime settimane.

Si sono inoltre verificate emergenze idro-geologiche per eventi climatici estremi in diverse Regioni Italiane. Dal 15 maggio 2023 una forte ondata di maltempo sta interessando in particolare numerose province della Regione Emilia-Romagna dove si sono registrate esondazioni e frane (Fonte: Dipartimento della Protezione Civile). Inondazioni, esondazioni ed alluvioni sono associate all’aumento del rischio di alcune malattie infettive, incluse le arbovirosi trasmesse da zanzare, come il virus West Nile, endemico in Italia, e i virus dengue e chikungunya, che hanno dato luogo a focolai sporadici nel nostro paese.

Prevenzione

Attualmente non esiste un vaccino per la febbre West Nile. Malgrado siano allo studio dei vaccini, per il momento l’unico strumento preventivo contro la diffusione dell’infezione è soprattutto la riduzione  dell’esposizione a punture di zanzare, durante il periodo favorevole alla trasmissione.

Pertanto è consigliabile proteggersi dalle punture ed evitare che le zanzare possano riprodursi facilmente:
– usando repellenti e indossando pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe, quando si è all’aperto, soprattutto all’alba e al tramonto
– usando delle zanzariere alle finestre e soggiornando in ambienti climatizzati
– svuotando di frequente i contenitori con acqua stagnante (per esempio, secchi, vasi per fiori e sottovasi, catini, bidoni, ecc.) e coprendo quelli inamovibili
– cambiando spesso l’acqua nelle ciotole per gli animali
– svuotando le piscinette per i bambini quando non sono usate.

Informazioni generali

La febbre West Nile (West Nile Fever) è una malattia provocata dal virus West Nile (West Nile Virus, WNV), un virus della famiglia dei Flaviviridae isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, appunto nel distretto West Nile (da cui prende il nome). Il virus è diffuso in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America.

I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo. Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono trapianti di organi, trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza. La febbre West Nile non si trasmette da persona a persona tramite il contatto con le persone infette. Il virus infetta anche altri mammiferi, soprattutto equini, ma in alcuni casi anche cani, gatti, conigli e altri.

Incubazione e sintomi
Il periodo di incubazione dal momento della puntura della zanzara infetta varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario. La maggior parte delle persone infette non mostra alcun sintomo. Fra i casi sintomatici, circa il 20% presenta sintomi come febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, manifestazioni cutanee. Questi sintomi possono durare pochi giorni, in rari casi qualche settimana, e possono variare molto a seconda dell’età della persona. Nei bambini è più frequente una febbre leggera, mentre nei giovani la sintomatologia è caratterizzata da febbre mediamente alta, arrossamento degli occhi, mal di testa e dolori muscolari. Negli anziani e nelle persone debilitate, invece, la sintomatologia può essere più grave. I sintomi più gravi si presentano in media in meno dell’1% delle persone infette (1 persona su 150) e comprendono febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi e al coma. Alcuni effetti neurologici possono essere permanenti. Nei casi più gravi (circa 1 su mille) il virus può causare un’encefalite letale.

Fonte: ISS




Diminuita nell’UE nel corso del 2022 la peste suina africana in maiali e cinghiali selvatici

Il numero di focolai di peste suina africana (PSA) nei maiali e di casi segnalati nei cinghiali selvatici nell’Unione europea (UE) è diminuito notevolmente nel 2022 rispetto all’anno precedente, si afferma in un nuovo rapporto pubblicato oggi dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). La malattia è stata notificata in otto Paesi dell’UE nei maiali e in undici nei cinghiali selvatici.

“Nell’ultimo decennio la peste suina africana ha avuto un impatto rilevante sul settore suinicolo dell’UE e continua a impattare pesantemente sulle economie locali e regionali. Sebbene il nostro ultimo rapporto evidenzi segnali incoraggianti che indicano che le misure per fermare la diffusione del virus stanno avendo effetto, il quadro nell’UE non è affatto completamente positivo e dobbiamo restare in guardia. Allevatori, cacciatori e veterinari hanno un ruolo particolarmente importante nel segnalare i casi sospetti”, ha dichiarato Bernhard Url, direttore esecutivo dell’EFSA.

Nel 2022 i focolai di PSA tra i maiali domestici nell’UE sono diminuiti del 79% rispetto al 2021. Il calo è stato particolarmente marcato in Romania, Polonia e Bulgaria. La Lituania, invece, ha registrato un leggero aumento causato da un raggruppamento di focolai notificati in estate nella parte sud-occidentale del Paese.

Otto Paesi dell’UE (Bulgaria, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia) e quattro Paesi confinanti non appartenenti all’UE (Moldavia, Macedonia del Nord, Serbia e Ucraina) hanno segnalato focolai nei maiali domestici. La Romania è stato il Paese dell’UE più colpito con 327 focolai, pari all’87% dei focolai totali dell’UE. La Serbia è stato il Paese non UE maggiormente colpito, con 107 focolai. La FSA fu notificata per la prima volta nella Macedonia del Nord.

Per quanto riguarda i cinghiali selvatici nel 2022 sono stati segnalati nell’UE il 40% di casi in meno rispetto al 2021. Si tratta della prima diminuzione di casi di PSA nei cinghiali selvatici nell’area sin dall’insorgenza della malattia nel 2014. Undici Stati membri dell’UE (Cechia, Estonia e Ungheria oltre agli Stati membri con focolai tra i maiali domestici) e quattro Paesi non UE (Moldavia, Macedonia del Nord, Serbia e Ucraina) hanno notificato casi di PSA nei cinghiali selvatici.

Estesa la campagna StopASF dell’EFSA

Per coadiuvare le misure ancora in atto per controllare la diffusione del virus, l’EFSA ha deciso di prorogare la sua campagna StopASF al 2023. La campagna mira a sensibilizzare gli allevatori, i cacciatori e i veterinari dell’UE e dei Paesi limitrofi circa le modalità per  individuare, prevenire e segnalare correttamente la PSA.

Giunta alla sua quarta edizione, la campagna EFSA incoraggia gli allevatori commerciali e quelli privati, i veterinari e i cacciatori a “individuare, prevenire e segnalare” i casi di PSA. La campagna si avvale dell’assistenza di gruppi di allevatori locali ed è gestita in collaborazione con le autorità locali di diciotto Paesi: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Ungheria, Kosovo[1], Lettonia, Lituania, Montenegro, Macedonia del Nord, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia.

Fonte: EFSA




La network analysis per spiegare la dinamica dell’epidemia di influenza aviaria

L’epidemia di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità verificatasi tra il 2021 e il 2022 nel nord est Italia è stata una delle più gravi di sempre, con il coinvolgimento di 317 allevamenti avicoli e oltre 14 milioni di animali. La maggior parte degli allevamenti colpiti dall’epidemia è localizzata in un’area considerata ad alta densità, dove viene allevato circa il 70% del pollame italiano. La diffusione dell’epidemia è stata estremamente rapida, coinvolgendo inizialmente la provincia di Verona per poi espandersi alle province e alle Regioni circostanti, con picchi di oltre 50 nuovi focolai a settimana.

La grande velocità con cui l’epidemia si è diffusa sul territorio ha fatto emergere due ipotesi principali: 1) possibili fenomeni di contatto diretto tra allevamenti infetti e altre aziende avicole, oppure 2) la presenza di comuni fonti di infezione, che hanno determinato in breve tempo l’emergere di molteplici nuovi focolai.

Il Laboratorio epidemiologia e analisi del rischio in sanità pubblica ha analizzato la dinamica di diffusione dell’epidemia di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità verificatasi tra il 2021 e il 2022 nel nord est Italia. Per farlo è stata adottata la network analysis,  una metodologia che permette di integrare efficacemente dati virologici (genomi di virus e cluster genetici virali) ed epidemiologici (caratteristiche degli allevamenti colpiti).

La sfida per il Laboratorio epidemiologia e analisi del rischio in sanità pubblica (SCS4) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) è stato di riuscire a spiegare la dinamica dell’epidemia valutando l’impatto di potenziali fattori di diffusione dell’infezione e utilizzando i dati raccolti durante i sopralluoghi negli allevamenti e le informazioni genetiche ottenute dalle analisi biomolecolari sui virus isolati da ciascun focolaio. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Pathogens.

Network analysis ed epidemia di aviaria 2021-2022

Per condurre questo tipo di analisi è stato scelto di sfruttare la network analysis, una metodologia che trova applicazione in diversi ambiti, tra cui le scienze economiche, sociali, psicologiche, biologiche, ecc. Questo potente strumento di analisi permette di studiare le caratteristiche e le relazioni tra gli oggetti esistenti all’interno di un network: i nodi rappresentano delle entità, gli oggetti, mentre le connessioni rappresentano una relazione esistente tra queste entità.

Nel contesto dell’epidemia 2021-2022, le analisi filogenetiche condotte dal Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e la malattia di Newcastle hanno rivelato l’esistenza di diversi cluster genetici virali che rafforzano l’ipotesi di una diffusione del virus tra gli allevamenti domestici. Le successive analisi virologiche si sono quindi concentrate a valutare il grado di similarità genetica dei virus sequenziati appartenenti allo stesso cluster.

Nello specifico, i genomi completi di 214 virus sono stati utilizzati per costruire il network filogenetico. In questo network, ogni nodo corrisponde ad un virus identificato in un singolo focolaio, mentre i link mettono in relazione nodi caratterizzati dalla massima similarità genetica. Il network filogenetico rappresenta la base dati di partenza dello studio, su cui è stata applicata la metodica di network analysis denominata Exponential Random Graph Model (ERGM). L’ERGM è un modello statistico capace di spiegare il motivo per cui esiste un link tra due nodi, sulla base di una serie di variabili epidemiologiche. Applicato ad un network filogenetico, l’ERGM mette in relazione le caratteristiche epidemiologiche degli allevamenti colpiti con quelle più strettamente genetiche dei virus trovati. Questo approccio ha quindi consentito di valutare l’impatto di tali variabili sulla possibilità di diffusione dell’infezione tra gli allevamenti.

Le variabili dei network di diffusione virale

Dalle analisi è emerso che solo alcune variabili hanno un effetto significativo nella definizione della struttura del network e, conseguentemente, nella possibile trasmissione della malattia. Tra queste, le più importanti sono risultate l’appartenenza degli allevamenti alla stessa filiera avicola, la durata dell’esposizione degli allevamenti a focolai attivi e la distanza geografica tra le aziende.

Dalle analisi è emerso che solo alcune variabili hanno un effetto significativo nella definizione della struttura del network e, conseguentemente, nella possibile trasmissione della malattia. Tra queste, le più importanti sono risultate l’appartenenza degli allevamenti alla stessa filiera avicola, la durata dell’esposizione degli allevamenti a focolai attivi e la distanza geografica tra le aziende, che suggeriscono importanti implicazioni dal punto di possibili strategie di controllo, gestione e prevenzione di future epidemie di Influenza aviaria sul nostro territorio.

Lo studio dell’epidemia mediante l’applicazione della network analysis, normalmente utilizzata nelle scienze sociali, si è rivelato non solo innovativo ma anche valido per integrare efficacemente i dati virologici ed epidemiologici. Infatti, in molta letteratura scientifica spesso gli aspetti virologici ed epidemiologici di un’epidemia vengono presentati in maniera disgiunta, mentre in questo caso i dati epidemiologici sono stati utilizzati proprio per ‘spiegare’ la struttura dei dati virologici.

Ulteriori sviluppi di questo approccio sono già in cantiere. Per esempio, l’informazione relativa all’evoluzione di un’epidemia nel corso del tempo può essere integrata tramite la creazione di network ‘temporalizzati’, capaci di rappresentare con un quadro più dettagliato le dinamiche di diffusione spazio-temporale delle infezioni; oppure lo studio di malattie che coinvolgono diverse popolazioni (come, per esempio, le malattie trasmesse da vettori) potrebbe essere fatto tramite analisi dei cosiddetti multi-layer network, che integrano un maggior livello di complessità legato alla presenza di più ‘strati’ di entità che interagiscono tra loro all’interno dello stesso sistema.

Il potenziale applicativo della network analysis potrebbe in futuro aiutare gli epidemiologi a comprendere meglio la complessità delle malattie circolanti sul nostro territorio e fornire un efficace strumento di controllo e prevenzione delle epidemie.

Fonte: IZS Venezie




Aviaria. Meno focolai rispetto al 2022. In Europa rischio “basso” per la popolazione generale.

influenza aviariaTra il 2 marzo e il 28 aprile 2023, virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) A(H5Nx), clade 2.3.4.4b, sono stati segnalati focolai in uccelli domestici (106) e selvatici (610) in 24 paesi europei. A fare il punto sull’influenza aviaria è l’Ecdc in un nuovo rapporto.

I focolai si sono verificati meno frequentemente rispetto al periodo di riferimento precedente e rispetto alla primavera del 2022. La maggior parte di questi focolai sono stati classificati come focolai primari. Rispetto alla primavera del 2022, quando l’86% degli stabilimenti avicoli colpiti aveva segnalato la presenza di focolai secondari, quest’anno sono stati attribuiti alla diffusione secondaria un numero minore di focolai di pollame, il che potrebbe essere legato alla diminuzione della densità di pollame adottata in alcune aree e sistemi di produzione avicola considerati ad alto rischio; questo è stato il caso della Francia occidentale e sudoccidentale nel settore delle anatre domestiche e del foie gras e dell’Italia nordorientale nel settore dei tacchini e delle galline ovaiole.

Una presentazione atipica della malattia, caratterizzata da una bassa mortalità e dall’assenza di segni tipici dell’infezione da HPAI, è stata osservata in alcuni focolai di A(H5N1) causati dal genotipo BB (H5N1-A/Herring_gull/France/22P015977/2022-like) in tacchini e galline ovaiole in Italia. Questa presentazione atipica della malattia è stata ulteriormente valutata sperimentalmente. Rispetto agli isolati virali degli anni epidemici precedenti (2017-2021), il virus del genotipo BB ha richiesto una dose infettiva più elevata e anche il tempo mediano per l’insorgenza della malattia, dei segni clinici evidenti e della mortalità è stato più lungo.

l virus HPAI è generalmente poco rilevato e poco segnalato negli uccelli selvatici in Europa, poiché solo una parte dei volatili che muoiono di HPAI viene individuata e solo una parte di essi viene analizzata. Negli uccelli selvatici, i gabbiani dalla testa nera hanno continuato ad essere pesantemente colpiti, mentre anche altre specie di uccelli selvatici minacciati dal virus, come il falco pellegrino, hanno mostrato un aumento della mortalità.

Anche il virus HPAI A(H5N1) ha continuato ad espandersi nelle Americhe, anche nelle specie di mammiferi, e si prevede che raggiungerà l’Antartico nel prossimo futuro. Le infezioni da virus HPAI sono state rilevate in sei specie di mammiferi, in particolare nei mammiferi marini e nei mustelidi, per la prima volta, mentre i virus attualmente circolanti in Europa mantengono un legame preferenziale per i recettori aviari.

Dal 13 marzo 2022 e dal 10 maggio 2023, sono stati segnalati due rilevamenti di virus A(H5N1) 2.3.4.4b negli esseri umani provenienti dalla Cina (1) e dal Cile (1), nonché tre infezioni umane A(H9N2) e una A(H3N8) in Cina. Il rischio di infezione da virus dell’influenza aviaria H5 attualmente in circolazione del clade 2.3.4.4b in Europa rimane basso per la popolazione generale nell’UE/SEE e da basso a moderato per le persone esposte a livello professionale o in altro modo.

IL REPORT

Fonte: quotidianosanità.it




Sieropositività alla Leptospirosi a livello globale: una revisione sistematica e meta-analisi

La leptospirosi è una zoonosi di interesse di salute pubblica. Questo studio aggiorna lo stato attuale…

La leptospirosi è una grave minaccia per la salute pubblica in tutto il mondo; tuttavia, non esiste uno studio incentrato sulla sieropositività globale nei suini.

In questo studio, abbiamo raggruppato le pubblicazioni ed eseguito una revisione sistematica con meta-analisi per raccogliere dati relativi alla sieropositività della leptospirosi suina pubblicati a livello globale.

Il metodo di ricerca inizialmente utilizzato ha restituito un totale di 1183 risultati, di cui 20 soddisfacevano tutti i criteri predefiniti e sono stati quindi inclusi in questa revisione.

È stata eseguita una meta-analisi con dati generali ed è stata trovata una sieropositività combinata del 21,95%. La sieropositività è stata del 36,40% in Sud America, 34,05% in Nord America, 22,18% in Africa, 17,40% in Oceania, 13,30% in Europa e 13,36% in Asia.

I risultati suggeriscono che esiste un’elevata sieropositività per la leptospirosi nei suini di tutto il mondo. Le informazioni raccolte da questa ricerca sono rilevanti per comprendere la diffusione della leptospirosi a livello globale. Si prevede che questi indicatori contribuiranno a una migliore comprensione dell’epidemiologia della malattia con particolare attenzione al suo controllo e, di conseguenza, alla riduzione dei casi nella popolazione umana e animale…

Gomes de Araújo H, Limeira CH, Viviane Ferreira de Aquino V, et al. Global Seropositivity of Swine Leptospirosis: Systematic Review and Meta-Analysis. Trop Med Infect Dis. 2023;8(3):158. Published 2023 Mar 5. https://doi.org/10.3390/tropicalmed8030158

Fonte:3tre3.it




Zoonosi, il white paper della quadripartita

Della quadripartita (FAO, OMS, WOAH e UNEP) si parla spesso, specialmente in chiave One Health. L’impegno delle quattro organizzazioni, con il supporto del loro organo consultivo OHHLEP, ha di recente portato alla pubblicazione di un White Paper dedicato alle zoonosi e all’impegno che ogni Paese dovrebbe assumersi in forma condivisa, in nome di un benessere generale.

Il documento sostiene la necessità di ridurre il rischio di malattie zoonotiche partendo dalla fonte e adottando migliori misure di prevenzione e un approccio più efficiente. Non basta attivarsi, insomma, come si è fatto fino ad oggi, dopo che un patogeno ha già fatto il salto dagli animali all’uomo (descritto come un evento di spillover), consentendo il riemergere di una data malattia o l’emergere di nuove. Serve piuttosto distinguere le attività di contenimento dei focolai da quelle mirate alla prevenzione delle ricadute.

Per questo ‘OHHLEP propone la seguente definizione: “Prevenire la diffusione dei patogeni dagli animali agli esseri umani significa spostare il paradigma del controllo delle malattie infettive da reattivo a proattivo (prevenzione primaria). La prevenzione include l’affrontare i driver dell’emergenza della malattia, vale a dire i fattori e le attività ecologici, meteorologici e antropogenici che aumentano il rischio di spillover, al fine di ridurre il rischio di infezione umana. Tra le altre azioni, occorre puntare con forza sulla  biosorveglianza negli ospiti naturali, nelle persone e nell’ambiente, comprendendo le dinamiche di infezione dei patogeni e attuando attività di intervento”.

Un’impostazione proattiva richiede approcci diversi, che tengano conto dei cambiamenti  del suolo legati allo sviluppo delle infrastrutture, dell’industria o all’espansione agricola. E poi si devono prendere in considerazione anche fattori generali come il cambiamento climatico, la povertà e le disuguaglianze socioeconomiche e le pratiche di base per la salute animale e umana e il benessere degli animali.

E l’impatto economico di questo approccio?

Non può essere un deterrente. Anzi, il documento dimostra che la prevenzione intelligente costerebbe ben meno degli interventi ex post. I costi di prevenzione variano da circa 10 miliardi di dollari a 31 miliardi di dollari all’anno a livello globale, mentre la risposta alle recenti crisi di malattie infettive come le epidemie di Ebola e Mpox costa più tempo e denaro di quanto sarebbe necessario per avviare approcci di prevenzione. Basti pensare, per esempio, che le perdite economiche previste dalla pandemia di COVID-19 sono stimate in quasi 14 trilioni di dollari fino al 2024. L’OHHLEP sottolinea che l’approccio One Health non solo aiuterebbe a prevenire nuove epidemie e pandemie, ma fornirebbe anche significativi benefici economici, sociali e ambientali come la riduzione delle emissioni di gas serra.

Fonte: Vet33.it