COP 30: ancora silenzio sui combustibili fossili
Si è chiusa la COP 30, come previsto senza menzionare nel testo finale (il global mutirāo) la fine programmata dei combustibili fossili. Se ne tornerà a parlare nel 2026 in un incontro per non lasciare cadere nel dimenticatoio l’obiettivo più importante. Magra soddisfazione. Nemmeno c’è stata chiarezza sull’obiettivo altrettanto impegnativo di fermare la deforestazione.
Delusione, quindi, ampiamente prevista data la spaccatura fra gli 80-90 paesi che vogliono accelerare e gli altrettanti che fanno fumare i freni – stati arabi, Russia, India, pure gli Stati Uniti che peraltro non erano presenti.
Dovendo andare avanti si trovano motivi di piccoli progressi (baby steps, come li ha definiti il rappresentante di un paese africano): spingere sull’implementazione di quanto già deciso, chiedere impegni ai diversi Paesi (National Determined Contributions) più ambiziosi e in linea con i riconfermati obiettivi di Parigi, spingere sulla finanza climatica (si è deciso ad esempio di triplicare i fondi per l’adattamento agli impatti climatici destinati ai paesi vulnerabili, da 100 a 300 miliardi di dollari, a partire dal 2035). La Conferenza ha anche rilanciano modelli di “governance multilivello” – che coinvolgono governi nazionali, enti locali e comunità indigene – e si è dato l’avvio alla cosiddetta Action Agenda che mira a tradurre gli impegni già presi in progetti operativi, visto che a giudicare dal testo finale l’obiettivo sembra restare ancora l’improbabile 1,5°C. Il tutto molto faticoso e burocratico, ma utile per continuare il lavoro iniziato a Parigi.
Per quanto riguarda la Tropical Forests Forever Facility (TFFF), strumento finanziario di cui molto si è parlato come iniziativa del Brasile per remunerare i paesi nella conservazione della loro foresta tropicale, si parla di un impegno iniziale di 5,5 miliardi di dollari, ben lontani dai 125 preventivati per far funzionare il progetto e di cui almeno il 20% dei pagamenti andrebbe destinato alle popolazioni indigene e comunità locali.
Fonte: scienzainrete.it
Ogni quanto vanno cambiate le spugnette per i piatti? E le uova, una volta acquistate, dove vanno riposte?
Monitorare i salti di specie dei virus influenzali prima che diventino un’emergenza è l’obiettivo di FluWarning, un sistema digitale di allerta precoce sviluppato dal Politecnico di Milano e dall’Università degli Studi di Milano. Analizzando milioni di sequenze virali depositate su GISAID, il software riconosce variazioni genetiche anomale che possono indicare il passaggio del virus da una specie all’altra, come accaduto nell’ultimo anno con l’H5N1 nei bovini da latte negli Stati Uniti. Lo
L’aumento degli alimenti ultra-processati nelle diete di tutto il mondo rappresenta una sfida urgente per la salute pubblica, che richiede politiche coordinate e azioni di sensibilizzazione a livello globale.
Tra il 6 settembre e il 14 novembre 2025 sono stati segnalati 1 443 casi di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) A(H5) negli uccelli selvatici in 26 Paesi europei, quattro volte in più rispetto allo stesso periodo nel 2024 e il numero più alto quanto meno dal 2016.
L’American Veterinary Medical Association (AVMA), la Federation of Veterinarians of Europe (FVE) e la Canadian Veterinary Medical Association (CVMA) — che rappresentano complessivamente oltre 400.000 veterinari in tutto il mondo — hanno pubblicato oggi due dichiarazioni congiunte di rilievo che riaffermano il loro impegno condiviso verso un uso responsabile degli antimicrobici e la lotta globale contro la resistenza agli antimicrobici (AMR).
Le cosiddette ‘Nature Based Solutions’, le “Soluzioni Basate sulla Natura”, che offrono benefici tangibili per la salute nelle infrastrutture e il tema della decarbonizzazione in sanità saranno oggetto di due eventi a cui parteciperà l’Iss con il dipartimento Ambiente e Salute durante i lavori della Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – COP 30, che si svolge a Belém, Brasile, dal 10 al 21 Novembre 2025.
La crescente diffusione del clade 2.3.4.4b del virus dell’influenza aviaria A(H5N1) a numerose specie di volatili e di mammiferi domestici e selvatici desta fondati motivi di allarme. Preoccupa particolarmente, in un siffatto contesto, la documentata acquisizione dell’infezione da parte di specie la cui conservazione in natura appare già seriamente minacciata, quali l’orso polare in Alaska, i leoni e gli elefanti marini sudamericani, nonché delfini e focene lungo le coste nordamericane e scandinave (Di Guardo, 2025). Ulteriore preoccupazione la giustificano, altresì, i reiterati casi di malattia umana in allevatori statunitensi, conseguenti ad esposizione/consumo di latte non pastorizzato proveniente dai numerosi allevamenti bovini colpiti dal virus in USA (Garg et al., 2025).. In un caso di malattia recentemente diagnosticato in un paziente cileno, l’agente responsabile possedeva inoltre il medesimo profilo genetico del virus isolato da leoni marini deceduti lungo le coste di quel Paese (Pardo-Roa et al., 2025). Fortunatamente, il virus dell’influenza aviaria A(H5N1) non avrebbe ancora acquisito, nonostante i continui eventi mutazionali a carico del proprio genoma, la capacità di trasmettersi efficacemente da uomo a uomo (Di Guardo, 2025).