Microplastiche nei molluschi: uno studio IZSAM sul loro accumulo e sulla depurazione

microplasticheUn esperimento condotto in condizioni controllate ha permesso di osservare come le ostriche accumulano le microplastiche presenti nel nostro mare e quanto riescono a eliminarle prima di arrivare al consumo umano.

 Le ostriche, molluschi bivalvi efficienti filtratori, possono ingerire microplastiche, frammenti inferiori a 5 millimetri che derivano dalla degradazione dei rifiuti plastici. Una volta accumulate nei tessuti, queste particelle possono finire anche sulle nostre tavole, diventando una possibile via di contaminazione per l’uomo. Uno studio pubblicato sulla rivista Water da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise (IZSAM), in collaborazione con l’Istituto per lo Studio degli Impatti Antropici e Sostenibilità in Ambiente Marino (IAS-CNR), ha indagato in laboratorio cosa succede quando le ostriche vengono esposte a queste particelle, e come riescono a eliminarle.

Per riprodurre condizioni realistiche, sono state utilizzate microplastiche di forme e polimeri differenti (filamenti di polipropilene, sfere di polistirene, frammenti di polietilene tereftalato), invecchiate artificialmente al fine di creare un biofilm e renderle il più possibile simili a quelle presenti in natura. Le ostriche sono state mantenute per 28 giorni in vasche con acqua di mare sintetica contenente queste particelle, una procedura che in gergo scientifico viene chiamata “esposizione”: significa mettere gli animali in contatto diretto e continuativo con una determinata sostanza per studiarne gli effetti. Al termine di tale periodo, le ostriche contenevano in media oltre 5 particelle di microplastica per grammo di tessuto. La maggior parte erano filamenti (79%), seguiti da sfere (19%) e frammenti (2%).

Successivamente, gli animali sono stati trasferiti in acqua di mare sintetica pulita per simulare la fase di depurazione, un trattamento previsto presso appositi centri per tutti i molluschi prima di essere immessi sul mercato. Questo processo serve normalmente a eliminare batteri e altri agenti patogeni, ma può avere un effetto anche sulle microplastiche.

“Abbiamo osservato una riduzione significativa della presenza delle microplastiche, circa il 69%, già nelle prime 24 ore – dice Sara Recchi, biologa marina dell’IZSAM – e una diminuzione complessiva del 92% entro cinque giorni dall’inizio del periodo di depurazione. Le particelle che non venivano eliminate facilmente erano soprattutto quelle di dimensioni maggiori o con forme più complesse, come i filamenti più lunghi.”

Lo studio ha analizzato anche un altro aspetto: il possibile effetto delle microplastiche sulle ostriche a livello cellulare. Per farlo, i ricercatori hanno analizzato alcuni geni “di riferimento”, ovvero geni che mantengono livelli di attività stabili anche in condizioni difficili. Questi geni non sono coinvolti nella risposta allo stress, ma servono come base di confronto per studiare quelli che invece si attivano o si spengono in presenza di inquinanti.

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Fonte: IZS Teramo




Almanacco della sicurezza alimentare: normative e istituzioni di diversi paesi in un’unica piattaforma

datiUn’unica piattaforma con tutte le informazioni sulle normative e le istituzioni pubbliche responsabili per la sicurezza alimentare di numerosi Paesi? È l’Almanacco della Sicurezza Alimentare pubblicato dall’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio (BfR), uno strumento online che permette di identificare in modo rapido ed efficace le autorità e le istituzioni pertinenti di 38 Paesi (più l’Unione Europea) e i potenziali partner per la collaborazione internazionale. L’obiettivo del BfR è promuovere un maggiore allineamento delle norme e delle procedure esistenti, contribuendo a semplificare gli sforzi ed evitando così inutili duplicazioni del lavoro.

Dal 2009, il BfR ha pubblicato cinque edizioni stampate dell’Almanacco per la Sicurezza Alimentare dell’UE in diverse lingue, l’ultimo dei quali nell’agosto 2021. L’anno successivo l’Almanacco ha fatto il salto nel mondo digitale, e si è trasformato in una piattaforma online dinamica e costantemente aggiornata, allargando il suo database anche a Paesi extra UE (principalmente stati della regione europea, per ora).

Almanacco della Sicurezza Alimentare Italia
Il profilo dell’Italia sull’Almanacco della Sicurezza Alimentare

L’Almanacco, quindi, è uno strumento destinato a responsabili della sicurezza alimentare all’interno delle istituzioni nazionali ed europee, e ad altri addetti ai lavori. Il BfR invita i vari Paesi a mantenere aggiornato il loro profilo e di garantire l’accuratezza del contenuto almeno una volta all’anno: ogni paese, istituzione o organizzazione è infatti responsabile del contenuto del proprio profilo.

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Fonte: ilfattoalimentare.it




AI: una nuova opportunità contro le infezioni antibiotico resistenti?

Antibioticoresistenza

A partire dalla scoperta e sviluppo della penicillina negli anni ‘40 del secolo scorso, la ricerca farmacologica ha compiuto progressi inarrestabili per oltre quarant’anni identificando nuove classi di antibiotici, ciascuna con uno specifico meccanismo d’azione, che hanno consentito per decenni di trattare un ampio spettro di infezioni batteriche con successo. Tuttavia, le straordinarie capacità adattative dei patogeni, stimolate da un uso eccessivo e spesso inadeguato degli antibiotici, hanno inaspettatamente portato allo sviluppo di resistenze contro i principali meccanismi molecolari dei farmaci.

Al contempo, all’“età dell’oro” della scoperta antibiotica è seguito un forte rallentamento nella ricerca: l’incapacità di individuare strategie terapeutiche innovative ha contribuito a rendere l’antibiotico resistenza la pandemia silenziosa di questo secolo. Secondo il rapporto dell’ONU No Time to Wait del 2019, in assenza di un intervento urgente e coordinato a livello globale, le infezioni resistenti potrebbero causare fino a 10 milioni di morti all’anno entro il 2050. Attualmente in Europa si registrano 35.000 decessi annui legati a queste infezioni, un terzo dei quali in Italia, che si conferma tra i maggiori consumatori di antibiotici.

Come riporta l’AIFA, l’agenzia del farmaco, nel suo Rapporto nazionale sull’uso degli antibiotici in Italia relativo all’anno 2023, nella nostra penisola si osserva un preoccupante incremento del 5,4% nel consumo di antibiotici a uso sistemico e del 4,3% attraverso le altre vie di somministrazione rispetto all’anno precedente. Si tratta dunque di una sfida non più rinviabile, per la quale è urgente dotarsi di nuovi strumenti. E l’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi l’alleato che finora è mancato.

La vista lunga dell’algoritmo

Da circa un decennio, infatti, la ricerca scientifica sfrutta modelli di AI per sviluppare nuove strategie terapeutiche. Gli algoritmi più utilizzati si basano su modelli matematici in grado di elaborare grandi volumi di dati: partendo da dataset contenenti migliaia di molecole ad attività nota, il sistema è capace di individuare le porzioni molecolari responsabili dell’attività contro determinati target terapeutici, prevederne le interazioni nell’organismo in termini di efficacia e tossicità, ed eventualmente generare, sulla base delle informazioni acquisite, strutture molecolari ex novo potenzialmente attive. I modelli più comunemente usati si basano su metodi tradizionali di apprendimento automatico (Machine Learning, ML). Gli algoritmi riescono a riconoscere le caratteristiche strutturali importanti e a prevedere come queste molecole interagiranno con l’organismo, in termini di efficacia o tossicità. Questo permette di ridurre drasticamente la necessità di testare ogni singola molecola in laboratorio, con un grande vantaggio in termini di costi e tempi.

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Fonte: scienzainrete.it




Circa il 9% della superficie terrestre è ad elevato rischio di focolai zoonotici

Durante la pandemia da Covid-19 abbiamo imparato a familiarizzare con il concetto di “zoonosi”, malattie che possono essere trasmesse dagli animali agli esseri umani attraverso il famoso “salto di specie”. Un fenomeno che ha molto a che fare con il cambiamento climatico e con le attività antropiche, che in modi diversi favoriscono il contatto fra specie selvatiche e specie domestiche o da allevamento, e quindi con l’essere umano. Nel corso di uno studio pubblicato su Science Advances, un gruppo di ricercatrici e ricercatori ha analizzato l’influenza che fattori climatici, ambientali e relativi alla densità di popolazione hanno avuto in passato sullo sviluppo di focolai zoonotici a livello globale.

Fonte: repubblica.it



West Nile, l’ennesimo esempio di una narrazione omissiva e di parte

Da patologo veterinario oltre che da docente universitario che ha dedicato 35 anni della propria vita professionale allo studio delle malattie infettive, con particolare riferimento a quelle trasmissibili dagli animali all’uomo – alias zoonosi -, sono stato molto colpito dalla narrazione mediatica che si sta svolgendo in questi giorni a seguito del decesso, in provincia di Latina, di una donna ultraottantenne affetta da “West Nile”. Stiamo parlando di una malattia sostenuta da un flavivirus neurotropo trasmesso principalmente da zanzare del genere Culex, la cui sempre più diffusa presenza a latitudini via via più settentrionali rappresenterebbe una diretta conseguenza del riscaldamento globale. E’ bene chiarire, al riguardo, che le zanzare virus-infette costituirebbero una piccolissima frazione di quelle presenti nell’ambiente (1 su circa 30.000) ed è pure bene precisare che la West Nile e’ una zoonosi, il cui agente causale può anche essere trasmesso sia per via materno-fetale sia con il latte materno. E’ bene sottolineare, infine, che il virus della West Nile, caratterizzato dal piu’ ampio spettro d’ospite finora descritto in natura, sarebbe capace d’infettare centinaia di vertebrati domestici e selvatici, ivi compresi mammiferi, uccelli, rettili ed anfibi.

A fronte di tutto ciò e come già avvenuto per la pandemia da CoViD-19, la narrazione mediatica della West Nile e’ stata ancora una volta affidata ai medici, senza il benché minimo coinvolgimento dei colleghi veterinari e, nondimeno, per buona pace della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Errare humanum est perseverare autem diabolicum!

Giovanni Di Guardo

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Premio Nobel per la pace a Donald Trump? Uno scandalo senza precedenti!

“Si vis pacem para bellum” (“Se vuoi la pace preparati alla guerra”) é la celebre frase attribuita a Flavio Vegezio Renato, uno scrittore militare romano che visse fra il IV e il V secolo d.C. Coerentemente con tale premessa, Donald Trump di recente ha chiesto e ottenuto dai Paesi della Nato l’impegno ad investire, entro il 2035, il 5% del PIL in spese militari. Stiamo parlando di colui che, a sole 24 ore di distanza dall’avvio del secondo mandato presidenziale lo scorso 20 Gennaio, avrebbe fatto cessare, a suo dire, i sanguinosi conflitti in atto nel mondo! Sono passati ben 6 mesi da allora, senza che le armi degli eserciti russo e israeliano abbiano taciuto sia nella martoriata Ucraina sia nell’altrettanto martoriata Gaza! E questo signore, che nel frattempo ha ritirato gli USA dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, azzoppando al contempo il virtuoso sistema della ricerca di prestigiosi atenei come Harvard, continua imperterrito a strizzare l’occhio a Benjamin Netanyahu, legittimandone le disumane e folli azioni di guerra, che parimenti si svolgono nella pressoché totale inerzia da parte dell’ONU e dell’Europa intera! Come si sdebita il Presidente israeliano? Candidando Donald Trump al Premio Nobel per la Pace, uno scandalo senza precedenti!

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Malattie infettive umane ed animali: Prevenire e’ meglio che curare!

Abbracciare con uno sguardo d’insieme le malattie infettive umane ed animali costituisce un’impresa tutt’altro che agevole, viste le grandi e molteplici differenze che caratterizzano i rispettivi agenti patogeni, da un lato, e le variegate strategie difensive elaborate dall’ospite nei loro confronti, dall’altro.

A tal proposito, mentre la pandemia da CoViD-19 ci ha consegnato una lezione oltremodo eloquente ed un’eredita’ quantomai gravosa, andrebbe parimenti sottolineato, al contempo, che il 75% delle c.d. “malattie infettive emergenti” trarrebbero la propria origine, comprovata o presunta, da uno o più serbatoi animali (Casalone & Di Guardo, 2020).

Come risulta ben noto, i virus a RNA quali ad esempio quelli influenzali e lo stesso betacoronavirus SARS-CoV-2, responsabile della CoViD-19, sarebbero gli agenti infettivi più soggetti a sviluppare mutazioni genetiche, il che consentirebbe loro sia di bypassare le risposte immunitarie dell’ospite sia di adattarsi a nuove specie, come sta avvenendo giustappunto con il clade 2.3.4.4b del virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicita’ A(H5N1) (Di Guardo, 2025a).

La mutagenicita’ degli RNA-virus e, piu’ in generale, di qualsivoglia agente patogeno, virale e non, potrebbe risultare ulteriormente accresciuta da una prolungata esposizione dei medesimi sia alle radiazioni solari che a quelle nucleari, evenienza quest’ultima che i drammatici teatri bellici in Ucraina così come nel Vicino-Medio Oriente contribuirebbero a rendere quantomai attuale e plausibile al contempo (Di Guardo, 2025b).

In un siffatto contesto andrebbe altresi’ tenuta in debita considerazione pure la marcata resistenza ambientale di determinati microrganismi quali ad esempio il virus del vaiolo delle scimmie (MPXV), che nel corso di questi ultimi anni si è reso responsabile di migliaia di casi di malattia nell’uomo in oltre 100 Paesi. Infatti, a seguito dei fenomeni meteo-climatici estremi che con sempre maggior frequenza ci e’ dato osservare ad ogni latitudine e longitudine per via della crisi climatica globale, sia MPXV sia numerosi altri agenti, virali e non, dotati di elevata resistenza ambientale, potrebbero essere trasferiti a notevole distanza dal luogo in cui si e’ verificata la loro eliminazione ad opera di individui infetti  (Di Guardo, 2024).

Mi preme sottolineare, al riguardo, che il ruolo degli eventi meteo-climatici nella diffusione degli agenti infettivi, pur configurandosi come un fattore di rilevanza crescente, non sembrerebbe godere, al momento, della considerazione che lo stesso meriterebbe nello svolgimento delle indagini eco-epidemiologiche mirate a chiarire l’origine dei vari focolai di malattie infettive umane ed animali.

Sulla base di quanto sin qui esposto, appare dunque di cruciale importanza prevenire l’insorgenza e la diffusione delle malattie infettive umane ed animali sia attraverso adeguate campagne di vaccinazione di massa sia tramite lo sviluppo di modelli matematici in grado di prevederne l’evoluzione e, nondimeno, in un’ottica multidisciplinare e di stretta collaborazione intersettoriale fra Medicina Umana e Medicina Veterinaria, costantemente permeata dal principio della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Bibliografia citata 

Casalone C., Di Guardo G. (2020). CoViD-19 and mad cow disease: So different yet so similar.  Science.
DOI:https://www.science.org/doi/10.1126/science.abb6105#elettersSection.
Di Guardo G. (2024). Consideration of environmental aerosols. Veterinary Record 194(3):119.
DOI:10.1002/vetr.3930.
Di Guardo G. Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus: How Far Are We from a New Pandemic? (2025a). Veterinary Sciences 12(6):566.
DOI:10.3390/vetsci12060566.
Di Guardo G. (2025b). Nuclear catastrophes: Have we truly learned from history? BMJ.
DOI:https://www.bmj.com/content/388/bmj.r319/rr-5.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia  Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Influenza aviaria: l’EFSA analizza la situazione negli USA e individua le possibili vie di diffusione in Europa

La migrazione stagionale degli uccelli selvatici e l’importazione di alcuni prodotti statunitensi, come quelli contenenti latte crudo, potrebbero costituire potenziali vie di introduzione in Europa del genotipo dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) che attualmente colpisce le vacche da latte statunitensi, secondo un nuovo rapporto pubblicato dall’EFSA. Finora questo tipo di virus non è stato segnalato in nessun altro Paese oltre agli Stati Uniti.

Gli scienziati dell’EFSA sottolineano che i principali punti di sosta in Europa dove si concentrano grandi popolazioni di uccelli come l’Islanda, la Gran Bretagna, l’Irlanda, la Scandinavia occidentale e le grandi zone umide come il Mare dei  Wadden sulle coste olandesi, danesi e tedesche, sarebbero luoghi utili per l’individuazione precoce del virus durante la migrazione stagionale degli uccelli selvatici.

Il rapporto affronta anche la possibilità che il virus venga introdotto in Europa attraverso scambi commerciali, concludendo che l’importazione di prodotti a base di latte crudo provenienti dalle zone colpite degli Stati Uniti non può essere completamente esclusa, il che potrebbe quindi costituire una possibile via d’ingresso. Anche l’importazione di vacche da latte e di carne bovina potrebbe essere una potenziale via di introduzione del virus. Tuttavia il virus è stato raramente rilevato nella carne, le importazioni di animali sono molto limitate e sono in vigore norme commerciali molto severe per la carne e gli animali vivi che entrano nell’UE.

Il rapporto dell’EFSA fornisce anche una panoramica della situazione negli Stati Uniti, dove tra marzo 2024 e maggio 2025 sono stati colpiti 981 allevamenti da latte in 16 Stati. Il rapporto, che è stato esaminato dalle autorità statunitensi, sottolinea che i movimenti del bestiame, l’insufficiente biosicurezza e la condivisione di attrezzature agricole hanno contribuito alla diffusione del virus.

Entro la fine dell’anno l’EFSA valuterà il potenziale impatto dell’ingresso di questo genotipo HPAI in Europa e raccomanderà misure per prevenirne la diffusione.




Approcci intelligenti per migliorare la prevenzione delle malattie animali

Una potente piattaforma online liberamente disponibile basata sulla scienza dei dati e sulla modellazione può aiutare l’Europa a preparasi meglio alle malattie infettive emergenti.

I cambiamenti climatici e la circolazione globale di persone e merci hanno aumentato il rischio di malattie. La pandemia di COVID-19 ha inoltre evidenziato la necessità di migliorare i sistemi di sorveglianza e di intelligence epidemica per l’individuazione precoce, il monitoraggio e la valutazione delle malattie infettive emergenti. Uno dei principali problemi da affrontare è legato al fatto che i sistemi di sorveglianza delle malattie attuali si basano su dati raccolti di routine, come quelli di sorveglianza passiva, per monitorare l’insorgenza e la diffusione delle malattie e per definire risposte adeguate. Nuovi approcci che incorporano l’intelligenza artificiale (IA), l’apprendimento automatico e l’analisi dei big data provenienti da un’ampia serie di fonti potrebbero contribuire a migliorare la preparazione, aiutando a determinare meglio i fattori legati all’insorgenza delle malattie e consentendo lo sviluppo di modelli più accurati.

Rispondere alle minacce di malattie infettive

Un buon esempio è il progetto MOOD(si apre in una nuova finestra), finanziato dall’UE. Attraverso la raccolta e l’estrazione di dati con l’ausilio dell’apprendimento automatico, questa iniziativa ha sviluppato una piattaforma digitale unica nel suo genere, progettata per potenziare la capacità dell’Europa di individuare e rispondere alle minacce delle malattie infettive attraverso un approccio «One Health». «Il nostro obiettivo era portare strumenti complessi di scienza dei dati e di modellazione direttamente nelle mani di chi si occupa di ricerca e valutazione dei rischi per prendere decisioni scientifiche sulla salute pubblica», spiega la coordinatrice del progetto Elena Arsevska, del Centro francese di ricerca agricola per lo sviluppo internazionale(si apre in una nuova finestra) (CIRAD) con sede in Francia. MOOD ha impiegato metodi matematici, statistici e di scienza dei dati nell’infrastruttura della piattaforma e ha integrato algoritmi di apprendimento automatico per generare mappe di rischio predittive per le malattie. Inoltre, il consorzio ha incorporato lo strumento PADI-web, che usa l’elaborazione del linguaggio naturale per scansionare, estrarre e analizzare automaticamente le informazioni relative alle malattie dai media online, per contribuire alla sorveglianza basata sugli eventi.

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Origini del Covid. La zoonosi è l’ipotesi più probabile ma non si esclude l’incidente di laboratorio. Il rapporto dell’Oms

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso il gruppo di esperti SAGO (Scientific Advisory Group for the Origins of Novel Pathogens), ha pubblicato un’attesa relazione indipendente sull’origine del virus SARS-CoV-2. A oltre cinque anni dalla comparsa dei primi casi a Wuhan, in Cina, il report non fornisce ancora una risposta definitiva, ma offre un’analisi scientifica articolata delle evidenze disponibili, delineando due principali ipotesi in esame e le lacune che ancora impediscono una conclusione certa.

La relazione nasce da un mandato chiaro: comprendere come e dove SARS-CoV-2 sia passato agli esseri umani. È un’esigenza non solo scientifica ma anche etica, volta a prevenire future pandemie. SAGO ha operato in modo indipendente, analizzando migliaia di dati pubblicati e non, documenti governativi e interviste a esperti. Tuttavia, sottolinea di non aver potuto accedere a dati grezzi cruciali, in particolare da laboratori cinesi.

Le quattro ipotesi valutate
Nel report vengono analizzate quattro ipotesi principali:
– Spillover zoonotico naturale, da un animale selvatico all’uomo, con o senza ospite intermedio.

– Incidente in laboratorio, attraverso esposizione diretta o fallimento delle misure di biosicurezza.
– Trasmissione da catena del freddo, da prodotti animali importati contaminati.
– Manipolazione intenzionale, tramite ingegneria genetica seguita da un rilascio accidentale.

Sulle ipotesi 3 e 4, la relazione è chiara: al momento non ci sono evidenze scientifiche che le supportino. La trasmissione tramite prodotti congelati è ritenuta molto improbabile, mentre la manipolazione intenzionale del virus è giudicata non corroborata da dati genomici o esperimenti noti.

Le ipotesi più plausibili
Le due ipotesi ritenute più solide sul piano scientifico restano:
Spillover zoonotico naturale (ipotesi 1): supportata dalla maggior parte delle evidenze disponibili, anche se non ancora provata in via definitiva. Il virus è geneticamente simile a ceppi rinvenuti in pipistrelli in Cina e Laos (es. BANAL-52 e RaTG13), seppur troppo distanti per essere considerati precursori diretti. Metagenomica e tracciamenti ambientali al mercato Huanan di Wuhan (HSM) hanno confermato la presenza di animali suscettibili al virus (come il cane procione) e tracce genetiche del virus stesso su superfici di bancarelle.

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Fonte: quotidianosanita.it