Microplastiche: quante ne mangiamo e quante ne respiriamo?

microplasticheQuali sono i Paesi in cui l’assunzione di microplastiche è più elevata? Come fare a determinarlo? Che la plastica e, quindi, le particelle derivanti dalla sua degradazione (di dimensioni micro e nano) siano ubiquitarie, nel mondo, lo si è capito da tempo. Tuttavia, lo studio appena pubblicato su Environmental Science & Technology dai ricercatori della Cornell University di New York offre uno spaccato globale, analizzando ciò che accade in 109 Paesi (Italia esclusa). E il risultato è che le due principali modalità di assorbimento sono l’ingestione e l’inalazione, e che la concentrazione aumenta in parallelo con gli utilizzi, e con l’assenza di limiti di impiego e regole stringenti per lo smaltimento. In generale il fenomeno è maggiore nelle economie in via di sviluppo. Infatti la rapida industrializzazione nell’Asia orientale e meridionale, ha portato a un aumento del consumo di materiali plastici, della produzione di rifiuti e dell’assorbimento umano di microplastiche.

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Fonte: ilfattoalimentare.it




Valutare l’efficacia del trattamento ad alta pressione nei salumi contro la peste suina africana: il progetto ASFree M.e.a.t

La Peste suina africana (PSA) è comparsa in Italia nel 2022 nella popolazione di cinghiali tra Piemonte e Liguria, e si è diffusa progressivamente verso est coinvolgendo più di recente Lombardia ed Emilia Romagna, con alcuni focolai in allevamenti di suini.

Pur non essendo una malattia trasmissibile all’uomo, la PSA rappresenta comunque un rischio per la salute degli animali, oltre che per il comparto produttivo suinicolo. Infatti, il fronte di avanzamento in Italia continentale rischia oggi di minacciare l’industria dei salumi italiani, un settore con molte eccellenze DOP e IGP, che impiega circa 30 mila lavoratori, per un fatturato di circa 9 miliardi di euro, di cui 2 dall’export.

Il progetto ASFree M.e.a.t

Per far fronte a questo scenario preoccupante, il Ministero della Salute ha finanziato il progetto ASFree M.e.a.t – African Swine Fever free M.e.a.t. (Meet export agreement on trading), coordinato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, che si focalizza su tre grandi temi:

Il progetto ASFree M.e.a.t mira a generare dati aggiornati sulla presenza del virus della PSA nei prodotti a base di carne stagionati, e valutare l’efficacia dell’applicazione del trattamento ad alta pressione (HPP) per la totale devitalizzazione del virus della PSA. Il progetto punta a rafforzare la posizione dell’Italia nel mercato globale dell’export di salumi, promuovendo la qualità e la sicurezza dei prodotti italiani.

  • Sicurezza alimentare. Il progetto intende offrire garanzie sanitarie ai paesi importatori circa l’assenza del virus della PSA nei prodotti stagionati italiani, grazie all’impiego del trattamento ad alta pressione (High Pressure Processing – HPP).
  • Innovazione tecnologica. L’impiego delle tecnologie HPP rappresenta un avanzamento significativo nel campo della conservazione alimentare, che mira a stabilire nuovi standard per la devitalizzazione di agenti patogeni senza alterare le qualità organolettiche dei prodotti.
  • Espansione dell’export. Il progetto punta a rafforzare la posizione dell’Italia nel mercato globale dell’export di salumi, promuovendo la sicurezza dei prodotti italiani come fattore chiave per l’accesso a nuovi mercati internazionali.

Questi temi riflettono l’obiettivo del progetto di combinare tradizione e innovazione per promuovere l’eccellenza italiana nel mondo. Attraverso una collaborazione multidisciplinare tra Istituti Zooprofilattici Sperimentali, aziende e associazioni leader nel settore, ASFree M.e.a.t. mira a definire nuovi standard di eccellenza, promuovendo i salumi italiani come esempio di sicurezza e affidabilità, e non solo come simbolo di gusto e tradizione

Il trattamento ad alta pressione (HPP) contro la PSA

I ricercatori del progetto ASFree M.e.a.t avranno a disposizione le più moderne tecnologie di trattamento ad alta pressione (High Pressure Processing, HPP) per garantire la totale assenza del virus della PSA nei prodotti di salumeria destinati al mercato internazionale.

Il trattamento HPP, anche definito “pascalizzazione”, è una tecnica di conservazione non termica che si applica ad alimenti solidi e liquidi già confezionati, quindi non passibili di successiva contaminazione. Si tratta di una tecnologia innovativa basata sull’applicazione di pressioni idrostatiche nettamente superiori a quella atmosferica (fino a 6.000 bar) che consentono di raggiungere l’inattivazione dei microrganismi presenti e rendere i prodotti alimentari stabili, conservabili e sicuri.

Il progetto si prefigge, pertanto, di generare dati aggiornati sulla presenza del virus della PSA in prodotti a base di carne stagionati maggiormente esportati, durante le principali fasi di lavorazione e stagionatura, utilizzando ceppi virali attualmente circolanti in Italia, e valutare l’efficacia dell’applicazione del processo HPP per la totale devitalizzazione del virus della PSA.

Partner

I partner del progetto sono:

L’IZSUM, in qualità di sede del Centro di Referenza Nazionale Pesti Suine (CEREP), metterà in campo tutto il know-how acquisito negli anni sulla PSA per il coordinamento del progetto.

L’IZSVe sarà coinvolto principalmente nello sviluppo e validazione di metodi di biologia molecolare quali/quantitativi per la rilevazione del virus della PSA in prodotti stagionati.

IZSLER  invece coinvolto principalmente nello sviluppo e validazione dei metodi virologici per la rilevazione del virus nelle matrici alimentari oggetto di studio e nella realizzazioni di prove di abbattimento tramite contaminazioni artificiali (Challenge test) di prodotti di salumeria.

L’IZS dell’Abruzzo e del Molise sarà coinvolto nello sviluppo del protocollo sperimentale per la contaminazione artificiale dei prodotti stagionati con il virus della PSA, nella valutazione dei rischi sanitari insiti nell’attuale gestione del settore produttivo suinicolo come anche nello sviluppo e validazione di metodi di biologia molecolare quali/quantitativi per la rilevazione del virus della PSA in prodotti stagionati




EFSA – Campagna «Safe2Eat» 2024: rafforzare la posizione dei consumatori europei

Sulla scia del successo ottenuto nel triennio precedente, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e i suoi partner negli Stati membri dell’UE hanno avviato la campagna Safe2Eat 2024. Già nota come “#EUChooseSafeFood”, la campagna torna sotto nuovo nome con rinnovato impegno per rendere i cittadini europei consapevoli della sicurezza di ciò che mangiano.

Quest’anno la campagna estende il suo campo d’azione coinvolgendo 17 Paesi che uniscono le forze per aiutare i consumatori a prendere decisioni informate sui loro alimenti. I Paesi partecipanti all’edizione 2024 sono: Romania, Cechia, Ungheria, Grecia, Estonia, Croazia, Italia, Lettonia, Cipro, Slovenia, Spagna, Lussemburgo, Slovacchia, Austria, Polonia, Portogallo e Macedonia del Nord.

Rendere i consumatori più capaci di fare scelte alimentari con fiducia

Da una ricerca condotta dall’EFSA nel 2023 in collaborazione con IPSOS risulta che quasi il 70% degli europei manifesta interesse alla sicurezza alimentare; tuttavia circa il 60% trova le informazioni in materia troppo tecniche e difficili da capire. Di conseguenza la nuova edizione della campagna mira a comunicare in modo chiaro e accurato ma rassicurante e comprensibile i fondamenti scientifici che garantiscono i nostri alimenti L’obiettivo è di consentire ai cittadini di prendere decisioni informate sui loro consumi alimentari, garantendosi sicurezza e salute nelle scelte quotidiane.

Sotto l’insegna “#Safe2EatEU” la campagna mira sempre a rendere i cittadini consapevoli dei vari aspetti della sicurezza alimentare, tra cui le malattie veicolate da alimenti, le tecniche corrette per la preparazione del cibo, l’importanza di consultare le etichette e le buone pratiche per ridurre lo spreco alimentare.

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Fonte: EFSA




Aviaria in Usa, tracce virus nel latte pastorizzato delle mucche

latteTracce di virus A H5N1 dell’influenza aviaria rilevate in alcuni campioni di latte pastorizzato di mucche provenienti da allevamenti negli Stati Uniti interessati dall’epidemia.

 La comunicazione è arrivata dalla Food and Drug Administration (Fda), che ha sottolineato come non ci siano elementi al momento per considerare il latte non sicuro e che ulteriori studi e analisi verranno effettuati nei prossimi giorni. Tuttavia, secondo virologi ed infettivologi, si tratta di un fatto da non sottovalutare e che indica come il virus si stia comunque muovendo tra specie diverse.

Al momento, precisa la Fda, non è possibile dire se si tratti di frammenti di materiale genetico inattivo o di virus vivo: “Ad oggi, non abbiamo visto nulla che possa cambiare la nostra valutazione che l’approvvigionamento commerciale di latte è sicuro”, afferma l’Agenzia. Alcuni dei campioni raccolti hanno indicato la presenza di virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità utilizzando il test quantitativo della reazione a catena della polimerasi (qPCR). Tuttavia, precisa ancora l’Fda, un risultato positivo a questo esame “significa che nel campione è stato rilevato il materiale genetico dell’agente patogeno, ma ciò non significa che il campione contenga un agente patogeno intatto e infettivo. Questo perché i test qPCR rilevano anche il materiale genetico residuo di agenti patogeni uccisi dal calore, come la pastorizzazione o altri trattamenti per la sicurezza alimentare”.

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Fonte: ansa.it




Residui di pesticidi negli alimenti: rese note le ultime cifre

Analizzato un ampio numero di campioni

Nel 2022 è stato raccolto nell’Unione europea (UE) un numero senza precedenti di 110 829 campioni di prodotti alimentari, un quarto in più rispetto al 2021. Il 96,3% di essi è risultato nei limiti di legge. Quanto al sottoinsieme di 11 727 campioni analizzati in base allo specifico programma di controllo coordinato dall’UE (EU MACP) si è riscontrato che rientrava nei limiti di legge il 98,4% di essi.

Risultati del programma coordinato dall’UE

Il programma EU MACP analizza campioni prelevati a caso da 12 prodotti alimentari. Per il 2022 si è trattato di mele, fragole, pesche, vino (rosso e bianco), lattughe, cavoli cappucci, pomodori, spinaci, avena in grani, orzo in grani, latte di mucca e grasso di maiale.

Dei campioni analizzati all’interno del programma coordinato:

  • 6 023, ovvero il 51,4%, sono risultati privi di residui quantificabili;
  • 5 512, ovvero il 47%, contenevano uno o più residui in concentrazioni inferiori o pari ai limiti ammessi (noti come livelli massimi di residui o LMR );
  • 192 ovvero il 1,6% conteneva residui superiori ai limiti consentiti.

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Fonte: EFSA




Parassiti nei pesci d’allevamento, le specie indenni secondo l’Efsa

Un nuovo parere pubblicato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) dimostra che non vi sono prove di infezione da parassiti zoonotici nella maggior parte dei pesci allevati in sistemi di acquacoltura a ricircolo (Sar). Il salmone atlantico, la trota iridea, l’orata, il rombo, il moscardino, l’ippoglosso atlantico, la carpa comune e il pesce gatto europeo possono essere consumati senza alcuna preoccupazione.

Lo studio
Un parere scientifico pubblicato dall’Efsa ha valutato i dati provenienti dall’area Ue/Efta e i nuovi metodi per individuare ed eliminare i parassiti dai pesci. Sebbene limitati, i dati indicano che molte specie di pesci d’allevamento destinate al mercato – il salmone atlantico, la trota iridea, l’orata, il rombo, il moscardino, l’ippoglosso atlantico, la carpa e il pesce gatto europeo – sono indenni da infezioni da parassiti.
Tuttavia, il ritrovamento di parassiti come l’Anisakis in spigole europee, tonno rosso dell’Atlantico, merluzzo e tinca, allevati in gabbie aperte in mare aperto o in bacini a flusso continuo, rende necessarie ulteriori analisi.
Lo studio riporta che i pesci allevati in sistemi chiusi di acquacoltura a ricircolo di acqua filtrata e mangime trattato termicamente sono quasi sicuramente indenni.
Gli esperti dell’Efsa necessitano di ulteriori dati per stimare la prevalenza di parassiti specifici nelle specie ittiche selezionate, nei vari sistemi di allevamento e nelle zone di produzione dell’area studiata, e per poter fornire un quadro completo delle varie combinazioni tra le principali specie ittiche d’allevamento e i loro parassiti.

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Fonte:vet33




Gli PFAS in pesci e molluschi: occorrono linee guida specifiche

Gli PFAS, o sostanze perfluoroalchiliche, estremamente versatili, usatissimi e quasi indistruttibili, perché conferiscono proprietà idro- e oleo-repellenti, si trovano in concentrazioni variabili, e non di rado elevate, anche nei pesci, nei molluschi e nei crostacei. Un riscontro che non stupisce, dal momento che gli PFAS sono presenti in tutte le acque del mondo. Eppure questo tipo di contaminazione, oltre ad essere ancora sconosciuta ai più, resta da approfondire, oltre a non esistere linee guida adeguate.

 I pesci del New Hampshire

A dimostrare che una fonte di quantità non irrilevanti di PFAS possono essere i pesci, i crostacei e i molluschi, è uno studio appena pubblicato su Exposure and Healthcondotto dai ricercatori del Darmouth College di Lebanon, in New Hampshire, stato che ha una competenza specifica nel settore. Nella zona, come in tutto il New England, infatti, esistono diverse fabbriche di plastificanti che per anni hanno sversato rifiuti nelle acque dolci e salate. Per questo lì sono stati effettuati alcuni dei primi studi che hanno mostrato, senza possibilità di equivoco, la contaminazione delle acque potabili. Al tempo stesso, il New Hampshire ha una tradizione culinaria incentrata sul pesce, ed è quindi una zona ideale, per studiare l’assunzione regolare di quantità significative di cibo che contiene PFAS.

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Fonte: ilfattoalimentare.it




I Pfas vengono riemessi nell’aria dalle onde oceaniche

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Stoccolma ha scoperto che i Pfas vengono riemessi nell’aria dalle onde oceaniche con una frequenza maggiore rispetto a quanto si pensasse.

Lo studio, pubblicato su Science Advances, mette in discussione l’idea che mari e oceani diluiscano i PFAS che arrivano dai fiumi, asserendo invece che spingano queste sostanze di nuovo verso riva. I livelli di riemissione dovuti alla risacca, stima lo studio, possono essere paragonabili o superiori a quelli di altre fonti.

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Fonte: fosan.org




Uno studio rivela la presenza pervasiva di Pfas nei MOCA

MocaUn nuovo studio pubblicato su Environmental Science & Technology (ES&T) ha rilevato la presenza in imballaggi alimentari di Pfas che non dovrebbero essere presenti al loro interno.

Il report, che analizza i dati di 47 studi scientifici di diversi Paesi del mondo, denuncia che sono state rinvenute 68 tipologie di Pfas, 61 delle quali non autorizzate per l’utilizzo nelle confezioni alimentari. Nel 72,5% dei casi i Pfas sono stati trovati nella carta e nel cartone, ma sono stati identificati anche all’interno di confezioni in plastica.

7 dei 68 PFAS riscontrati nei contenitori alimentari risultano essere stati inseriti negli elenchi normativi o industriali delle sostanze chimiche specificamente utilizzate nella fase della fabbricazione di quei materiali. Gli altri 61 invece, ovvero il 90% dei Pfas rintracciati, non sono specificatamente menzionati in quelle liste. Alcuni PFAS, invece, sono stati rinvenuti in materiali per il quali non è stato indicato il loro utilizzo (come ad esempio il bisfenolo, rinvenuto in plastica e metalli rivestiti, che è in elenco solo per l’uso nella gomma).

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Fonte: fosan.org




Online il manuale «Valutazione e comunicazione del rischio in sicurezza alimentare»

Il volume è stato pensato per offrire agli studenti universitari interessati a diventare valutatori e comunicatori del rischio in sicurezza alimentare uno strumento di studio e di approfondimento, in cui trovare tutte le informazioni di base per avvicinarsi a questa importante professione, che rappresenta la scienza alla base della sicurezza del cibo che arriva sulle nostre tavole.

L’idea nasce da una collaborazione, con finalità didattiche e divulgative, tra l’Ufficio 3 – EFSA e focal point della Direzione generale degli organi collegiali per la tutela della salute del Ministero della Salute e l’Università degli Studi di Milano, che ha portato alla realizzazione di questo manuale e di una giornata di formazione trasversale dal titolo “Risk assessment: dalla formazione al lavoro” (Lodi, novembre 2021) rivolta agli studenti degli ultimi anni dei corsi di laurea in Agraria, Medicina Veterinaria e Biotecnologie.

Il testo presenta i concetti chiave e le competenze necessarie alla valutazione e comunicazione del rischio, passando da un livello teorico a un livello pratico-operativo grazie a numerosi esempi, a un approccio didattico e divulgativo, proprio per favorire la traduzione della teoria in una pratica professionale che risulti anche interessante e avvincente.

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Fonte: IZS Venezie