I numeri dell’inquinamento da plastica negli oceani

Vi siete mai chiesti quanto inquinamento da plastica si sia accumulato sulla superficie degli oceani di tutto il mondo? Un nuovo studio, in parte sostenuto dal progetto MINKE finanziato dall’UE, parla di un crescente «smog» pari a oltre 170 trilioni di particelle di plastica galleggianti negli oceani di tutto il mondo. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista a libero accesso «PLOS One». Per valutare i rischi attuali e potenziali futuri che il pianeta deve affrontare, e se le politiche attuate oggi sono efficaci, serve una migliore comprensione della progressione globale dell’inquinamento da plastica nel tempo. Lo studio, sostenuto dall’UE, si è esteso oltre gli oceani dell’emisfero settentrionale e i brevi periodi di tempo su cui si erano concentrati i ricercatori precedenti, coprendo l’inquinamento da plastica a livello superficiale raccolto da oltre 11 700 stazioni in sei regioni marine di tutto il mondo tra il 1979 e il 2019. Le regioni marine incluse nello studio erano l’Atlantico settentrionale, l’Atlantico meridionale, il Pacifico settentrionale, il Pacifico meridionale, l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo.

Milioni di tonnellate di particelle di plastica

I ricercatori hanno stimato che il livello di inquinamento superficiale odierno è compreso tra 82 e 358 trilioni di particelle di plastica (una media di 171 trilioni di particelle, per lo più microplastiche) per un peso compreso tra 1,1 e 4,9 milioni (o una media di 2,3 milioni) di tonnellate. Non hanno individuato una tendenza chiaramente rilevabile tra il 1979 e il 1990 a causa di una relativa mancanza di dati, seguita da quella che lo studio descrive come «una tendenza fluttuante ma stagnante» fino al 2005, per poi registrare un rapido aumento fino al 2019. «Abbiamo riscontrato una tendenza allarmante di crescita esponenziale delle microplastiche nell’oceano a partire dal nuovo millennio, raggiungendo oltre 170 trilioni di particelle di plastica. Si tratta di un monito forte che ci impone di agire subito su scala globale. Serve un trattato globale delle Nazioni Unite sull’inquinamento da plastica forte e legalmente vincolante, che fermi il problema alla fonte», osserva il primo autore dello studio, il dottor Marcus Eriksen del «5 Gyres Institute» negli Stati Uniti, in un comunicato stampa su «EurekAlert!». Secondo il dottor Eriksen e i suoi coautori, il rapido aumento dell’inquinamento da plastica negli oceani a partire dal 2005 potrebbe essere attribuito all’aumento esponenziale della produzione di plastica a livello globale e ai cambiamenti nella produzione e gestione dei rifiuti. Si ritiene che questi due fattori abbiano sopraffatto non solo i meccanismi naturali di esportazione che trasportano la plastica fuori dallo strato superficiale dell’oceano, ma anche qualsiasi impatto positivo prodotto da interventi politici tempestivi e vincolanti. Gli autori avvertono: «Senza sostanziali cambiamenti politici su scala globale, il tasso di ingresso della plastica negli ambienti acquatici aumenterà di circa 2,6 volte dal 2016 al 2040.» Gli autori dello studio sostenuto dal progetto MINKE (Metrology for Integrated Marine Management and Knowledge-Transfer Network) concludono che «è necessario un urgente intervento politico internazionale per ridurre al minimo i danni ecologici, sociali ed economici».

Fonte: Commissione Europea




Dal Cnr-Ismn un biosensore ottico per la sicurezza alimentare

La contaminazione di prodotti alimentari ha un impatto nefasto sulla loro qualità e pone seri rischi per la salute dei consumatori.

La presenza di contaminanti microbiologici e chimici nei prodotti alimentari può essere correlata a molteplici cause quali la contaminazione ambientale, i metodi di produzione agricola e di processo delle materie prime, il conseguente immagazzinamento, confezionamento e trasporto dei prodotti finito, fino a pratiche di adulterazione fraudolenta.

Inoltre, prodotti alimentari contaminati devono essere ritirati dal mercato e smaltiti in quanto non rispondenti ai criteri normativi europei o agli standard di qualità, con conseguente spreco di cibo ed ingente perdita economica.

Di conseguenza in questi ultimi anni si è di molto intensificato lo sforzo per realizzare nuove tecnologie per una sensoristica che sia non solo veloce, accurata, quantitativa e a basso costo ma che possa anche essere facilmente trasferita dai laboratori di analisi agli ambienti di lavoro reali (come le aziende agricole, i siti di depurazione delle acque, gli ambulatori territoriali solo per fare alcuni esempi) per realizzare una rilevazione di tipo point-of-need (PON).

Ad oggi rimane aperta la sfida per integrare in un singolo sistema miniaturizzato, robusto e user-friendly le molteplici tecnologie necessarie per abilitare una sensoristica selettiva, multiplexing e altamente sensibile.

“L’attività di ricerca sviluppata da Cnr-Ismn di Bologna e recentemente pubblica sulla rivista Advanced Materials riporta l’innovativo approccio di utilizzare dispositivi optoelettronici organici per realizzare una nuova architettura di biosensore ottico proprio in virtù delle peculiari caratteristiche di questi dispositivi come OLED (diodi organici ad emissione di luce) e OPD (fotodiodi organici) di essere integrabili, modulari, planari e con spessore di qualche centinaio di nanometri mostrando performance ottiche ormai comparabili con le tecnologie competitive basate su semiconduttori inorganici”, conferma Stefano Toffanin dirigente di ricerca presso Cnr-Ismn e coordinatore dei progetti europei H2020 MOLOKO e h-ALO. “Nel nuovo sensore, il meccanismo di bio-riconoscimento molecolare selettivo, sensibile e multiplexing tipico di superfici nanostrutturate che sfruttano il fenomeno della risonanza plasmonica di superficie (SPR) viene abilitato in un chip di circa 1 pollice quadrato proprio grazie all’optoelettronica organica che ha sostituito le usuali componenti ottiche ingombranti e dispendiose che finora avevano impedito l’utilizzo della tecnologia SPR al di fuori dei laboratori di analisi specializzati”.

“La vasta applicabilità del sensore in ambienti industrialmente rilevanti è stata dimostrata nella rilevazione di composti sia ad alto che a basso peso molecolare di interesse per la sicurezza e la qualità nella catena di produzione del latte: in particolare, la lattoferrina che è una proteina presente nel latte vaccino indicatrice di mastini ed infezioni delle mammelle nelle vacche e la streptomicina, un antibiotico tipicamente utilizzati negli allevamenti di bestiame e che può essere facilmente trasferito alla carne, al latte ed altri prodotti caseari contribuendo così al pericoloso problema di salute pubblica dell’antibiotico resistenza”, aggiunge Margherita Bolognesi, ricercatrice del Cnr-Ismn.

In tempistiche dell’ordine di 15 minuti a misurazione è stato possibile ottenere le curve dose-risposta in soluzioni buffer per tali analiti andando ad identificare un limite di rilevabilità (LOD) comparabile con la strumentazione analitica da banco SPR utilizzata come standard in laboratorio (BIACORE 3000).

“In futuro – svela Toffanin – il prototipo del sensore consentirà di effettuare le misurazioni direttamente sul campo e in tutti i punti della filiera del latte senza dover inviare i campioni presso laboratori attrezzati: ad esempio, in sala di mungitura mediante diretta integrazione nell’impianto di mungitura, o presso i diversi siti di interesse della filiera del latte (centri di raccolta latte, caseifici, ecc..) ed è disegnato per essere utilizzato come strumento portabile da operatori specializzati e non”.

L’attività di ricerca e sviluppo su questo tematica è stata sostenuta dai progetti Europei ICT MOLOKO (Grant Agreement n. 780839) e h-ALO (Grant Agreement n. 101016706) all’interno del progamma quadro Horizon 2020 dei quali Cnr-Ismn è coordinatore.

Fonte: CNR




Api e pesticidi: aggiornata la guida EFSA alla valutazione dei rischi

apeL’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha revisionato la propria guida sulle modalità per valutare i rischi derivanti dai prodotti fitosanitari per api da miele, bombi e api solitarie. La guida riveduta tiene conto delle più recenti acquisizioni scientifiche e adotta le metodologie più aggiornate per eseguire valutazioni del rischio in questo ambito.

Quali sono le caratteristiche principali della guida aggiornata?

Il documento descrive come valutare il rischio per le api da miele esposte a prodotti fitosanitari in aree agricole. Lo fa seguendo un approccio progressivo per valutare sia l’esposizione delle api ai pesticidi (per contatto o per via alimentare) sia gli effetti che ne derivano. La guida descrive anche gli studi che i richiedenti devono produrre quando non sia possibile escludere un elevato rischio in fase di valutazione iniziale.

Contempla quindi vari scenari e aspetti pertinenti alla valutazione del rischio. Tra questi: le diverse tempistiche degli effetti (acuti e cronici) e le diverse fasi di vita delle api (adulti e larve). Per le api da miele esamina i possibili effetti a lungo termine delle basse dosi e le preoccupazioni potenziali dovute agli effetti subletali. Il documento esprime inoltre raccomandazioni in merito ai rischi da metaboliti e miscele di prodotti fitosanitari.

Che cos’è un approccio progressivo?

Sia la stima dell’esposizione che la valutazione degli effetti possono essere eseguite seguendo un approccio per gradi, passando da valutazioni prudenziali a valutazioni più realistiche. Il concetto di approccio progressivo consiste nel partire con una valutazione semplice, come ad esempio uno screening basato su dati standard, per poi aggiungere complessità, se necessario, onde affinare il rischio. Ciò avviene quando un rischio elevato non può essere escluso al gradino inferiore, e può implicare l’uso di dati desunti da studi di campo o semi-campo.

Per quale ragione e in che modo è stata condotta la revisione?

Ai sensi della legislazione europea, i prodotti fitosanitari possono essere approvati solo se una valutazione del rischio dimostri che essi non hanno effetti inaccettabili sull’ambiente, comprese le specie non bersaglio come le api. Nel 2013 l’EFSA ha pubblicato la sua prima guida alla valutazione del rischio da prodotti fitosanitari per le api (Apis melliferaBombus spp. e api solitarie), che la Commissione europea ci ha chiesto di rivedere nel 2019.

In risposta alla richiesta abbiamo istituito un gruppo di lavoro composto da personale dell’EFSA ed esperti esterni e, in linea con il mandato ricevuto, abbiamo effettuato una revisione basata sulle evidenze scientifiche tenendo conto delle ultime conoscenze scientifiche emerse dal 2013. Abbiamo raccolto dati sulla mortalità delle api, rivisto i requisiti per gli studi su campo e aggiornato le metodologie di valutazione del rischio.

Per documentare in modo trasparente lo studio scientifico che è alla base della revisione, la guida con le sue appendici e gli allegati sono stati corredati da un documento supplementare che racchiude tutte le informazioni di base nonché su raccolte dati e analisi.

In che modo sono stati coinvolti gli Stati membri e i portatori di interesse?

Durante il processo di revisione l’EFSA ha consultato gli Stati membri tramite la Rete di indirizzo sui pesticidi  (Pesticide Steering Network) e una serie di soggetti interessati tramite un apposito gruppo di portatori di interesse. L’EFSA ha poi preso parte a una serie di seminari e sessioni informative rivolte a rappresentanti degli Stati membri e parti interessate, organizzati dalla Commissione europea (CE).

Inoltre l’EFSA ha mantenuto stretti contatti con la CE e ha collaborato con l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) per armonizzare gli approcci alla valutazione dei rischi per le api nell’ambito dei regolamenti su prodotti fitosanitari e biocidi.

Tra luglio e ottobre del 2022 l’EFSA ha tenuto una consultazione pubblica sulla versione in bozza della guida. I contributi pervenuti sono stati elaborati in un workshop apposito rivolto a rappresentati di Stati membri e parti interessate, confluendo poi nel documento finale.

Ci sono state criticità particolari?

Poiché la legislazione europea in materia non definisce quantitativamente gli “effetti inaccettabili”, questo obiettivo di protezione generico doveva essere tradotto in obiettivi di protezione specifici (SPG), che potessero essere collegati in modo trasparente agli schemi di valutazione del rischio descritti nella guida. Sebbene la definizione degli SPG non rientri nelle competenze dell’EFSA, che ha il mero ruolo di valutatore del rischio, tuttavia abbiamo assistito i gestori del rischio – la Commissione europea e gli Stati membri – in questo compito organizzando diverse consultazioni.

A seguito di questo mutuo scambio e sulla base dei  dati scientifici forniti dall’EFSA, i gestori del rischio hanno concordato un GSP per le api mellifere del 10%. Si tratta del livello massimo consentito di riduzione delle dimensioni delle colonie dopo l’esposizione ai pesticidi. Per i bombi e le api solitarie non è stato definito un SPG quantitativo per mancanza di dati. È emerso tuttavia un generale consenso sulla necessità di richiedere più frequentemente studi di grado superiore per ottenere dati più solidi per il futuro.

Quali sono ora i prossimi passi?

Ora che la guida dell’EFSA è stata pubblicata, la Commissione europea inizierà a lavorare con gli Stati membri per l’approvazione del documento in seno al Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi.

Chi fosse interessato a saperne di più sulla guida EFSA alla valutazione del rischio da prodotti fitosanitari per le api può partecipare alla nostra sessione informativa pubblica del 13 giugno 2023.

Fonte: EFSA




Artico: studio dimostra legame tra riscaldamento globale e aumento mercurio nel mare

Il mercurio, inquinante globale estremamente tossico per salute e ambiente, è al centro di un nuovo studio a guida italiana appena pubblicato sulla rivista scientifica “Nature Geoscience”. Scienziate e scienziati dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), Il mercurio, inquinante globale estremamente tossico per salute e ambiente, è al centro di un nuovo studio a guida italiana appena pubblicato sulla rivista scientifica “Nature Geoscience”. Scienziate e scienziati dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), in collaborazione con altri partner internazionali hanno esaminato la relazione tra le variazioni climatiche del passato con i livelli di mercurio in Artico per capire quali sono i fattori naturali che influenzano il ciclo biogeochimico di questo elemento.

Nel contesto del progetto EastGRIP (East GReenland Ice core Project) coordinato dal Centre for Ice and Climate di Copenaghen, il team di ricerca ha condotto l’analisi di una carota di ghiaccio proveniente dalla calotta groenlandese, osservando la dinamica del mercurio tra 9.000 e 16.000 anni fa, durante la transizione tra l’ultimo periodo glaciale e l’attuale periodo climatico, l’Olocene.

I risultati hanno evidenziato che i livelli di mercurio durante questa transizione sono stati fortemente influenzati dalla riduzione della copertura di ghiaccio marino.

“Il nostro studio mostra che la deposizione di mercurio in Artico è triplicata all’inizio dell’Olocene rispetto all’Ultimo Periodo Glaciale”, spiega Delia Segato, dottoranda in Scienza e Gestione dei Cambiamenti Climatici dell’Università Ca’ Foscari Venezia. “Grazie all’analisi e l’interpretazione di archivi paleoclimatici e lo sviluppo di un modello di chimica atmosferica del mercurio”, continua Segato, “lo studio ha concluso che la perdita di ghiaccio marino, specialmente quello perenne, nell’oceano Atlantico sub-polare a causa del riscaldamento climatico avvenuto 11.700 anni fa, è stata la maggior responsabile dell’aumento di deposizione di mercurio in Artico”.

Le emissioni di mercurio, attentamente monitorate a livello internazionale, non sono solamente di origine antropica. Il ciclo biogeochimico del mercurio è controllato anche da diverse fonti naturali, come le attività vulcaniche, nonché da una moltitudine di processi fisici, chimici e biologici che si verificano nel suolo, nell’oceano e nell’atmosfera.

“Nelle regioni polari, il ghiaccio marino svolge un ruolo fondamentale nel controllo di questi processi”, spiega Andrea Spolaor, ricercatore presso del Cnr-Isp di Venezia e coautore dello studio. “Infatti, è stato dimostrato che il ghiaccio marino perenne, spesso di diverse decine di metri di spessore, impedisce il trasferimento del mercurio dall’oceano all’atmosfera, che altrimenti avverrebbe a causa della volatilità di questo metallo”.

“Al contrario, il ghiaccio marino stagionale, essendo più sottile, permeabile e salino, consente il trasferimento del mercurio e favorisce complesse reazioni atmosferiche che coinvolgono il bromo e aumentano la frequenza di eventi di depauperamento atmosferico del mercurio, causando una più rapida deposizione nell’ambiente artico”, conclude Spolaor. “A causa del riscaldamento climatico attuale, l’estensione del ghiaccio marino perenne nell’Artico è diminuita di oltre il 50% rispetto all’inizio delle misurazioni satellitari negli anni ’70. Studi futuri ci aiuteranno a stimare come questo fenomeno influirà sui livelli di mercurio e quali sono i rischi associati per le popolazioni e gli ecosistemi artici”.

Fonte: sanitainformazione.it




Nutri-score, appello all’UE di 300 scienziati a favore dell’etichetta

Etichettatura alimentiNel 2021, nel quadro della strategia ‘Farm to Fork‘, la Commissione europea si è impegnata a proporre una nuova etichetta nutrizionale da adottare in tutti i Paesi entro il 2023. Dopo l’annuncio, alcune lobby alimentari si sono mobilitate per impedire che la scelta ricadesse sul modello di etichetta a semaforo francese Nutri-Score, o quanto meno per ritardarne l’adozione.

All’origine delle pressioni ci sono grandi aziende alimentari, e settori agricoli come quelli del formaggio e dei salumi, oltre a diversi partiti politici ed europarlamentari vicini al mondo agroalimentare. Anche il governo italiano (in particolare dopo le ultime elezioni) ritiene l’adozione dell’etichetta a semaforo Nutri-Score una sorta di complotto dell’Europa contro i prodotti “Made in Italy”.

A ostacolare la decisione della Commissione europea di adottare il Nutri-Score in tutta Europa contribuisce la violenta opposizione dell’Italia.

Nonostante queste pressioni siano basate su argomentazioni prive di fondamento e su fake news, il risultato è che la Commissione europea non ha mantenuto i suoi impegni lasciando intendere che potrebbe scartare l’ipotesi di adozione del Nutri-Score a causa di una situazione ‘complessa’ e troppo ‘polarizzante’.

Per queste ragioni 316 scienziati e professionisti della sanità pubblica si sono mobilitati e hanno diffuso un rapporto scientifico di 61 pagine (con 105 referenze bibliografiche che su può trovare qui) che riassume le argomentazioni a favore dell’adozione del Nutri-Score. Il documento focalizza l’attenzione su sei punti.

  • La presenza di un centinaio di studi scientifici realizzati nel corso degli anni in venti Paesi validano il Nutri-Score e dimostrano la sua efficacia;
  • Il recente aggiornamento dell’algoritmo ha permesso di correggere alcuni “limiti” dell’etichetta su prodotti come l’olio extravergine di oliva e le bibite con edulcoranti artificiali;
  • Le conclusioni del rapporto del Centro comune di ricerca europeo (della Commissione europea (Jrc) secondo cui i consumatori preferiscono loghi semplici, colorati come il Nutri-Score;
  • I risultati della consultazione pubblica lanciata dalla Commissione che hanno mostrato come la maggioranza delle organizzazioni dei consumatori, delle Ong, dei cittadini, delle istituzioni di ricerca e delle autorità sanitarie sostengono un‘etichetta a semaforo come il Nutri-Score in grado di fornire informazioni sulla qualità nutrizionale globale degli alimenti;
  • Il sostegno da parte di numerose associazioni scientifiche europee, delle associazioni dei consumatori e delle Ong;
  • L’adozione e l‘implementazione delle etichette a semaforo in: Francia, Belgio, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Lussemburgo e Svizzera.

Gli scienziati hanno redatto un rapporto di 61 pagine che riassume le argomentazioni a favore del Nutri-Score

Il rapporto fornisce anche risposte a domande legittime, spesso utilizzate in maniera scorretta per screditare il Nutri-Score, come “Perché è calcolato su 100 g/100 ml e non per porzione?”.

Lo scopo del documento è ricordare alle autorità europee che la decisione sull’etichetta a semaforo deve essere basata sulle evidenze scientifiche e nell’interesse della salute pubblica senza cedere alle pressioni delle lobby. Per questo i firmatari (fra cui sette italiani, con in testa Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri) chiedono alla Commissione di proporre al più presto una legislazione (vedi lista completa dei firmatari). Il semaforo aiuterà i consumatori a fare scelte più favorevoli sul piano nutrizionale e a ridurre il rischio di patologie legate all’alimentazione, come l’obesità, le malattie cardiovascolari, il diabete, l’ipertensione e i tumori, che hanno un importante costo umano ed economico in tutta Europa.

La presenza di un logo nutrizionale sulle confezioni non risolverà i problemi legati all’alimentazione, ma si tratta di tassello importante che aiuterà i consumatori a fare scelte migliori nel momento dell’acquisto, e indurrà le aziende a migliorare la qualità nutrizionale dei prodotti.

Clicca qui per leggere il comunicato integrale.

Clicca qui per scaricare il rapporto completo.




ISS pubblicate le linee guida al Regolamento (CE) 2023/2006

issNell’ambito del Progetto CAST (Contatto Alimentare Sicurezza e Tecnologia) sono state sviluppate linee guida per l’applicazione del Regolamento (CE) 2023/2006 sulle buone pratiche di fabbricazione nella filiera di produzione dei materiali e oggetti destinati a venire in contatto con gli alimenti.

Le linee guida sono strutturate in una parte di applicazione generale e in una parte di applicazione specifica, distinta per le filiere dei materiali e oggetti in alluminio, carta e cartone, imballaggi flessibili, legno, materie plastiche, metalli e leghe metalliche rivestiti e non rivestiti, sughero, vetro, prodotti verniciati su metalli (coating), adesivi sigillanti, inchiostri da stampa.

Scarica il rapporto

Fonte: Istituto Superiore di Sanità




Pesticidi negli alimenti: pubblicati gli ultimi dati

Nel 2021 è stato raccolto nell’Unione europea un insieme di 87 863 campioni di prodotti alimentari. Sottoposti ad analisi, il 96,1% di essi è risultato nei limiti di legge. Quanto al sottoinsieme di 13 845 campioni analizzati in base allo specifico programma di controllo coordinato dall’UE (EUCP) si è riscontrato che rientrava nei limiti di legge il 97,9% di essi.

Il programma EUCP dell’UE analizza campioni prelevati a caso da 12 prodotti alimentari. Per il 2021 questi erano: melanzane, banane, broccoli, funghi coltivati, pompelmi, meloni, peperoni, uva da tavola, olio vergine d’oliva, grano, grasso bovino e uova di gallina.

Dei campioni analizzati nell’ambito del programma coordinato:

  • 8 043, ovvero il 58,1%, sono risultati privi di residui quantificabili;
  • 5 507, ovvero il 39,8%, contenevano uno o più residui in concentrazioni inferiori o pari ai limiti ammessi (noti come livelli massimi di residui o LMR);
  • 295, ovvero il 2,1%, conteneva residui superiori ai livelli consentiti.

Il programma coordinato utilizza a rotazione triennale panieri degli stessi prodotti in modo da poter individuare tendenze in aumento o diminuzione.

Il tasso complessivo di sforamento degli LMR da parte dei residui di pesticidi è passato dall’1,4% nel 2018 al 2,1% nel 2021. Se si escludono i pompelmi, nel 2021 il tasso

medio di sforamento degli LMR risulta dell’1,4%, lo stesso del 2018.  Nel 2021 quindi gli Stati membri hanno richiamato l’attenzione sulla maggior presenza di residui di pesticidi nei pompelmi importati da Paesi extraeuropei e la Commissione europea ha aumentato i controlli alle frontiere.

L’EFSA ha tradotto le risultanze del programma coordinato in grafici e diagrammi disponibili sul proprio sito web, rendendo così i dati più accessibili al pubblico non specialista.

Oltre ai dati armonizzati e confrontabili raccolti nell’ambito del suddetto programma UE, il rapporto annuale dell’EFSA utilizza anche i dati provenienti dalle attività di controllo nazionali dei singoli Stati membri dell’UE[1], più Norvegia e Islanda.

I risultati dei programmi di monitoraggio sono la fonte essenziale di informazioni per stimare l’esposizione dei consumatori europei ai residui di pesticidi tramite l’alimentazione.

Nell’ambito dell’analisi dei risultati l’EFSA ha prodotto anche una valutazione dei rischi alimentari. È stata introdotta quest’anno anche una valutazione probabilistica pilota su un sottoinsieme di sostanze.

Il rapporto conclude che è improbabile che i prodotti alimentari analizzati nel 2021 rappresentino un problema per la salute dei consumatori. Con tutto ciò il rapporto comprende una serie di raccomandazioni per aumentare l’efficienza dei sistemi europei di controllo sui residui di pesticidi.

Fonte: EFSA




Pubblicato il volume – Igiene nei processi alimentari

Dal 21 aprile è in libreria e sulle piattaforme di eCommerce l’ultima opera di tre docenti dell’Ateneo teramano, i professori Antonello Paparella, Maria Schirone e Pierina Visciano.

Il volume, edito dalla Hoepli Academy e intitolato Igiene nei processi alimentari, è il frutto del lavoro coordinato di ben 90 ricercatori che, in 53 capitoli e 528 pagine, analizzano tutti gli aspetti dell’igiene degli alimenti in una chiave moderna che considera animali, vegetali, uomo e ambiente come elementi interconnessi nelle strategie per la sicurezza alimentare secondo un approccio chiamato One Health, cioè salute unica. Ricco di tabelle, figure e fotografie, il testo propone anche tecnologie e metodi innovativi da applicare nelle aziende alimentari per migliorare la qualità e la sostenibilità degli alimenti.

Si rivolge agli studenti, ai titolari o dipendenti di imprese alimentari, ai consulenti responsabili dell’autocontrollo, alle autorità di controllo ufficiale per il settore alimentare, agli operatori della distribuzione, ai laboratori di analisi ma anche ai cittadini che siano interessati ad approfondire le conoscenze in materia di igiene degli alimenti.

Elenco degli autori




Il bisfenolo A negli alimenti è un rischio per la salute

Gli esperti scientifici dell’EFSA hanno concluso, in una nuova valutazione, che l’esposizione al bisfenolo A (BPA) tramite gli alimenti costituisce una preoccupazione per la salute dei consumatori di tutte le fasce d’età.

Dopo un’accurata valutazione delle evidenze scientifiche e alla luce dei contributi ricevuti da una pubblica consultazione, gli esperti hanno riscontrato possibili effetti nocivi a carico del sistema immunitario.

La Commissione europea e le autorità nazionali esamineranno le misure normative adeguate a dar seguito alle risultanze del parere EFSA.

Il BPA è una sostanza chimica usata in genere in associazione con altre sostanze per produrre plastiche e resine.

Il BPA rientra ad esempio nel policarbonato, un tipo di plastica trasparente e rigida che si usa per produrre contenitori riutilizzabili per distributori d’acqua, bevande e conservazione di alimenti. Viene usato anche per produrre resine epossidiche impiegate in pellicole e verniciature interne per lattine e contenitori destinati a cibi e bevande.

Prodotti chimici come il BPA utilizzato nei contenitori possono trasmigrare in quantità esigue verso gli alimenti e le bevande che essi contengono, per questo motivo gli scienziati dell’EFSA ne rivedono periodicamente la sicurezza alla luce dei nuovi dati disponibili.

Ampio l’insieme di dati esaminato

Ha dichiarato il dr Claude Lambré, presidente del gruppo di esperti sui materiali a contatto con gli alimenti, gli enzimi, gli aromatizzanti e i coadiuvanti tecnologici (gruppo CEF) dell’EFSA: “Fin dalla nostra prima valutazione completa del rischio relativo alla sostanza (2006), i nostri scienziati hanno analizzato periodicamente e in modo molto approfondito la sicurezza del BPA.

“Per il riesame abbiamo vagliato una grande quantità di pubblicazioni scientifiche, tra cui oltre 800 nuovi studi pubblicati dal gennaio 2013. Questo ci ha permesso di orientarci tra notevoli elementi di incertezza circa la tossicità del BPA.

“Negli studi abbiamo osservato nella milza un aumento della percentuale dei linfociti del tipo T helper. Questi svolgono un ruolo chiave nei nostri meccanismi cellulari immunitari e un aumento di questo tipo potrebbe portare allo sviluppo di infiammazione allergica polmonare e malattie autoimmuni”, ha aggiunto.

Il gruppo di esperti, nella valutazione dei rischi, ha inoltre preso in considerazione altri effetti potenzialmente nocivi per la salute dell’apparato riproduttivo, del sistema metabolico e per lo sviluppo dell’organismo.

Un approccio sistematico

Il dr Henk Van Loveren, presidente del gruppo di lavoro dell’EFSA per il la valutazione ex novo del BPA, ha dichiarato: “Per valutare il gran numero di studi pubblicati dal 2013 – data limite per la nostra precedente valutazione del 2015 – abbiamo applicato un approccio sistematico e trasparente. Dapprima abbiamo sviluppato, con l’apporto delle parti interessate e delle autorità competenti degli Stati membri, un protocollo per la selezione e la valutazione di tutte le evidenze.

“I nostri risultati sono il frutto di un intenso processo di valutazione durato diversi anni e che abbiamo portato a termine con i contributi raccolti durante una pubblica consultazione di due mesi avviata nel dicembre 2021”, ha poi aggiunto.

Soglia inferiore di assunzione

Rispetto alla precedente valutazione del 2015, il gruppo di esperti dell’EFSA ha abbassato in modo significativo la soglia giornaliera tollerabile (DGT) del BPA, ovvero la quantità che può essere ingerita quotidianamente per tutta la vita senza rischi sensibili per la salute.

Nel 2015 i nostri esperti avevano stabilito una DGT temporanea a causa degli elementi di incertezza nelle evidenze, sottolineando la necessità di ulteriori dati sugli effetti tossicologici del BPA.

Il riesame ha toccato la maggior parte di tali carenze e i restanti elementi di incertezza sono stati presi in considerazione nello stabilire la nuova DGT, che hanno stabilito in 0,2 nanogrammi (2 miliardesimi di grammo), in sostituzione del precedente livello temporaneo di 4 microgrammi (4 milionesimi di grammo), per chilogrammo di peso corporeo al giorno.

La nuovo DGT è di circa 20 000 volte più bassa.

Esposizione al BPA

Confrontando la nuova DGT con le stime dell’esposizione dei consumatori al BPA tramite l’alimentazione, i nostri esperti hanno concluso che sia l’esposizione media che quella elevata al BPA superavano la nuova DGT per tutte le fasce di età, costituendo così motivo di preoccupazione per la salute.

Sebbene il nostro gruppo di esperti abbia usato per le stime dell’esposizione le valutazione del 2015, ammettiamo che le restrizioni introdotte dai legislatori dell’UE dopo il 2015 su alcuni usi della sostanza possono aver ridotto l’apporto tramite l’alimentazione. Ciò significa che lo scenario che abbiamo configurato è prudenziale.

Diverse variabili possono infatti influenzare il rischio globale per la salute di un individuo, compresi altri fattori di stress sull’organismo, la genetica e la nutrizione.

Rapporti congiunti

Oltre a consultarsi sul progetto di valutazione scientifica, nel 2017 l’EFSA ha tenuto una consultazione pubblica in merito al protocollo che descrive la metodologia proposta.

I nostri scienziati hanno inoltre discusso della metodologia e dei risultati con altri organismi scientifici per chiarire e/o risolvere le differenze emerse, come l’uso di “endpoint intermedi”, ovvero segnali precoci che indichino il potenziale sviluppo di effetti nocivi sulla salute.

In questo contesto abbiamo pubblicato relazioni congiunte che riassumono le discussioni intrattenute con l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e l’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi (BFR).

Discussioni di questo tipo con i nostri partner e le parti interessate aiutano a sviluppare ulteriormente le metodologie di valutazione dei rischi utilizzate per le nostre valutazioni della sicurezza, tenendo conto delle più recenti conoscenze scientifiche e della comprensione dei rischi potenziali.

Prossime tappe

I decisori pubblici dell’UE, vale a dire la Commissione europea e i rappresentanti degli Stati membri, hanno il compito di fissare le soglie quantitative di una sostanza chimica che può trasmigrare dalle confezioni alimentari ai prodotti.

Il parere scientifico dell’EFSA sul BPA fornirà ora gli argomenti da dibattere tra i legislatori dell’UE in ordine alle misure normative appropriate da adottare a tutela dei consumatori.

Fonte: EFSA




FAO e OMS pubblicano il report sulla sicurezza degli alimenti da colture cellulari

La FAO e l’OMS hanno pubblicato il primo rapporto sugli aspetti della sicurezza alimentare dei prodotti da colture cellulari. Il documento include una revisione della terminologia, dei principi di produzione e dei quadri normativi globali, sottolineando la necessità di ulteriori ricerche e condivisione dei dati per garantire sicurezza e regolamentazione della produzione di alimenti da colture cellulari.

Le produzioni animali si sono sviluppate nel corso di centinaia di anni. La carne è dunque un alimento di base da tempo immemore per una moltitudine di popoli, in quanto fornisce una fonte affidabile di proteine di alta qualità per il consumo umano. Tuttavia, con la crescente preoccupazione per l’impatto ambientale delle produzioni animali intensive, è stata esplorata una nuova alternativa: la produzione di alimenti basata sulle colture cellulari. Questo processo comporta la creazione di prodotti “di origine animale” direttamente da colture cellulari, da alcuni vista e considerata come un’alternativa più sostenibile. Considerando che gli studi per la produzione di alimenti a base di cellule continuano ad espandersi, è opportuno porsi domande sulla loro sicurezza e regolamentazione.

Per rispondere a questi interrogativi, la FAO e l’OMS hanno collaborato per sviluppare un documento che delinea le considerazioni sulla sicurezza alimentare per i prodotti da colture cellulari. Il documento include una revisione della letteratura sulla terminologia pertinente, i principi dei processi di produzione alimentare basati sulle cellule e il panorama globale dei quadri normativi per questo tipo di produzione alimentare. Sono stati anche inclusi gli studi dei casi di IsraeleQatar e Singapore per evidenziare diversi quadri normativi nei differenti contesti.

Il documento riporta anche i risultati della consultazione di 138 esperti condotta dalla FAO sull’argomento nel novembre scorso. L’identificazione dei pericoli per la sicurezza alimentare costituisce il nucleo del documento. Nel corso della consultazione è stata condotta l’identificazione completa di tali pericoli che riguardano quattro fasi del processo produttivo di questi alimenti:

  1. l’approvvigionamento di cellule;
  2. la crescita e la produzione di cellule;
  3. la raccolta di cellule;
  4. la lavorazione degli alimenti.

Gli esperti hanno convenuto che, mentre molti pericoli sono già ben noti ed esistono in alimenti prodotti convenzionalmente, potrebbe essere necessario porre l’attenzione su materiali specificiinputingredienti (compresi i potenziali allergeni), e sulle attrezzature che sono uniche per la produzione di alimenti da colture cellulari.

Mentre l’elenco dei rischi identificati costituisce una solida base per i passi futuri, la generazione e la condivisione di più dati a livello globale su questi temi è essenziale per creare un clima di apertura e fiducia che consentirà un impegno positivo da parte di tutte le parti interessate. Gli sforzi internazionali di collaborazione possono avvantaggiare varie autorità competenti in materia di sicurezza alimentare, in particolare quelle dei paesi a basso e medio reddito, per utilizzare un approccio basato su prove per preparare le necessarie azioni normative.

Secondo le organizzazioni, andando avanti la ricerca e lo sviluppo saranno cruciali per capire se i presunti benefici di una maggiore sostenibilità potranno essere realizzati. Sarà inoltre importante osservare attentamente eventuali differenze tra alimenti ottenuti tramite colture cellulari e alimenti prodotti in modo convenzionale. Poiché la domanda di fonti proteiche sicure e sostenibili continua a crescere, sarà dunque essenziale garantire la sicurezza e la regolamentazione della produzione alimentare da colture cellulari.

Leggi qui il report integrale.

Fonte: ruminantia.it