Ormai imminente l’eradicazione della peste dei piccoli ruminanti

FAOA livello mondiale, negli ultimi anni, il numero di focolai di peste dei piccoli ruminanti (PPR – peste des petits ruminants), è diminuito di due terzi, mostrando l’impegno della comunità internazionale nel combattere questa malattia animale altamente contagiosa e alimentando le speranze di centrare l’obiettivo dell’eradicazione mondiale di questa malattia entro il 2030.

La PPR può essere letale per gli animali (con un tasso di mortalità che varia dal 30 al 70%) ma non colpisce l’uomo. Ciò premesso, la PPR produce comunque gravi conseguenze per la sicurezza alimentare, nonché per i mezzi di sussistenza e la resilienza delle comunità. Nel 2019 (anno cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili) sono scoppiati poco più di 1200 focolai di PPR in tutto il mondo, rispetto agli oltre 3500 del 2015, secondo i nuovi dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e i suoi partner.

La riduzione dei focolai di PPR è riconducibile all’impatto delle campagne di vaccinazione in oltre 50 paesi: campagne finanziate e portate avanti con il sostegno della FAO e dei suoi partner. In solo 12 di questi paesi, sono stati vaccinati oltre 300 milioni di capi ovini e caprini fra il 2015 e il 2018. Due le aree geografiche più colpite dalla PPR, con il maggior numero di focolai riscontrati nel periodo 2015-2019; l’Asia (oltre il 75%) e l’Africa (oltre il 24%), ma la malattia potrebbe anche non essere stata documentata in modo completo. Quasi la metà di tutti i focolai del periodo considerato ha interessato solo cinque paesi, sottolineando la necessità urgente di rafforzare la prevenzione e i meccanismi di controllo.

La PPR si è diffusa a un ritmo allarmante negli ultimi 15 anni. Più di 70 paesi, soprattutto in Asia, Africa e Medio Oriente, hanno segnalato la presenza della malattia da quando venne individuata per la prima volta in Côte d’Ivoire negli anni ‘40. Nella sua fase più critica, la malattia, se fuori controllo, rischia di infettare fino all’80% dei 2,5 miliardi di piccoli ruminanti a livello globale, esercitando enorme pressione su alcune delle popolazioni più vulnerabili al mondo.

Per circa 300 milioni di nuclei familiari, i piccoli ruminanti (ovini e caprini) costituiscono una fonte alimentare e di reddito. Tali nuclei, pertanto, rischiano di perdere i loro mezzi di sussistenza se la malattia non viene tenuta sotto controllo. Si stima, inoltre, che la PPR causi perdite economiche fino a 2,1 miliardi di USD l’anno. All’inizio era considerata una malattia come la peste bovina, ma che colpiva solo i piccoli ruminanti domestici. Nel recente passato, tuttavia, la PPR ha infettato cammelli, bovini, bufali e anche varie specie selvatiche, dal bufalo africano fino all’antilope saiga in Asia.

La strada per eradicare la PPR

Nel 2015, la comunità internazionale si è prefissata l’obiettivo di eradicare la PPR entro il 2030. Da allora, la FAO e l’Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE) hanno sviluppato e attuato la Strategia mondiale per il controllo e l’eradicazione della PPR. “Eradicare questa malattia è possibile e fondamentale per mettere fine a povertà e fame. Non solo salverebbe una preziosa fonte di cibo e di reddito per molte persone vulnerabili; potrebbe anche prevenire la migrazione di intere famiglie, un rischio che esiste quando vengono distrutti i loro mezzi di sussistenza. Un mondo libero dalla PPR offrirebbe anche più sicurezza e possibilità di emancipazione per le donne rurali, spesso responsabili del bestiame”, afferma Maria Helena Semedo, Vicedirettore generale della FAO.

Da maggio 2020 (ultimi dati disponibili), 58 paesi e una regione della Namibia sono stati riconosciuti “liberi dalla PPR”. Gli ultimi paesi a essere inseriti in questo elenco, l’anno scorso, sono la Russia e il Lesotho. Inoltre, 21 paesi, che non hanno registrato nuovi casi per cinque anni di seguito, possono preparare la documentazione per essere ufficialmente dichiarati, dall’OIE, “paesi liberi dalla PPR”. Per essere considerato ufficialmente libero dalla PPR, il paese è sottoposto a un rigoroso processo in quattro fasi (valutazione, controllo, eradicazione e post-eradicazione) portato avanti da FAO e OIE.

La vaccinazione è essenziale per la prevenzione e il controllo della PPR, sulla base dell’esperienza di successo dell’eradicazione della peste bovina nel 2011 da parte di FAO, OIE e dei loro partner, e della disponibilità di vaccini efficaci contro la PPR. La FAO e l’OIE raccomandano di portare avanti la vaccinazione contro la PPR per due anni consecutivi, seguita dalla vaccinazione degli animali neonati per uno o due anni di seguito.

Principali ostacoli alla lotta contro la PPR

“Se i focolai di PPR sono notevolmente diminuiti negli ultimi anni, resta invece estesa la portata dell’infezione da virus PPR, sia a livello geografico che di animali ospiti, e occorre fare di più per combattere la malattia”, spiega Felix Njeumi, veterinario e Coordinatore del programma PPR della FAO.

La mancanza di vaccini, i movimenti delle greggi e, soprattutto, le sfide logistiche per proseguire il programma vaccinale continuano a rimanere gli ostacoli principali per prevenire e controllare la PPR. Il costo di una dose di vaccino rappresenta circa un ottavo del costo di distribuzione del vaccino.

Nessuno dei vaccini esistenti è termotollerante e, pur esistendo una tecnologia capace di superare il problema della termotolleranza, la maggior parte dei paesi dove la PPR è endemica si trova nell’area geografica tropicale o subtropicale con risorse limitate per garantire la catena del freddo necessaria per la conservazione e il trasporto dei vaccini.

I vaccini esistenti al momento, inoltre, non fanno differenza fra animali infetti e non vaccinati. “Riconosciamo l’assoluta importanza della vaccinazione contro la PPR per eradicare questa malattia e proteggere la salute e il benessere animale, oltre ai mezzi di sussistenza delle persone. La banca dei vaccini contro la PPR offre tempestivamente agli agricoltori vaccini di alta qualità ed economicamente accessibili, grazie ai quali paesi e regioni possono poi dichiararsi liberi dalla PPR”, asserisce Jean-Philippe Dop, Vicedirettore generale dell’OIE per gli Affari istituzionali e le attività regionali.

La banca e le riserve di vaccino contro la PPR costituite dalla FAO, dall’OIE e da altri partner hanno migliorato la garanzia di qualità e la fornitura dei vaccini. Per riuscire a eradicare la PPR, tuttavia, occorre colmare la carenza di finanziamenti per le campagne di vaccinazione e altre attività del programma. La prima fase del programma mondiale contro la PPR prevedeva, come obiettivo, la vaccinazione di 1,5 miliardi di piccoli ruminanti entro la fine del 2021. Il 50% dell’obiettivo è stato raggiunto a metà del 2020, ma la pandemia da COVID-19, l’anno scorso, ha inciso molto negativamente sui servizi veterinari, tra cui anche le vaccinazioni contro la PPR e la documentazione dei focolai.

Conseguenze negative che continueranno nel 2021 con il mondo ancora alle prese con la pandemia. La FAO sottolinea la necessità di attuare misure di prevenzione e controllo, che devono essere coordinate tra paesi confinanti, al fine di limitare il passaggio transfrontaliero della malattia. Inoltre, risulta essenziale rafforzare la sorveglianza e il monitoraggio sierologico post-vaccinale a livello nazionale.

Si stima a 340 milioni di USD la carenza di finanziamenti per il Programma mondiale di eradicazione della PPR. Gravi problemi permangono, sia a livello finanziario che logistico. Tuttavia, gli ultimi dati evidenziano dei progressi, indicando l’impegno dei paesi, della FAO e dell’OIE per eradicare la PPR e giustificando un cauto ottimismo. La seconda fase (2022-2027) del programma sarà elaborata nel 2021.

Fonte: FAO




Febbre del topo da Hantavirus: moria di topi nel Nordest

In relazione alla mortalità di topi di diverse specie osservata nel Nordest italiano nelle ultime settimane, e alle informazioni riportate da diversi organi di stampa, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ritiene utile fornire alcune informazioni aggiornate dal punto di vista sanitario, in particolare per quanto riguarda il rischio di infezione per l’uomo da Hantavirus (“febbre del topo”).

In particolare, si precisa che:

  • campioni conferiti all’IZSVe a partire dallo scorso mese di maggio sono stati sottoposti ad un ampio spettro di analisi, non solo virologiche e batteriologiche ma anche istopatologiche e tossicologiche, che ad oggi hanno dato esito negativo per la ricerca di cause specifiche di mortalità;
  • l’infezione da Hantavirus è da tempo nota nei paesi confinanti e vicini (Austria, Slovenia, Croazia…), anche con focolai nell’uomo, mentre in Italia fino ad oggi essa non è stata ancora dimostrata nella popolazione murina ed umana. È naturalmente possibile che nell’uomo vi siano casi di importazione;
  • la mortalità di piccoli roditori non è necessariamente associata alla presenza di questi virus. Ad esempio in un analogo fenomeno, verificatosi sempre nel Nordest nel 2012, i campioni conferiti all’IZSVe, analizzati anche in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e l’IZS Lombardia ed Emilia Romagna, erano risultati negativi;
  • le mortalità “di massa” nei micromammiferi sono relativamente frequenti e possono costituire un fenomeno di regolazione della popolazione, ad esempio in seguito ad una precedente esplosione demografica dovuta a diverse cause, anche in associazione tra loro. Tra queste, stagioni con un’iperproduzione di risorse alimentari, o con una minore abbondanza di predatori naturali, o altri fattori meno noti. In caso di presenza di Hantavirus nella popolazione murina, è certamente prevedibile che ad un picco di popolazione si associ una maggior frequenza di casi nell’uomo, in relazione al notevole incremento della carica virale nell’ambiente ma, ripetiamo, mortalità nei microroditori e presenza di virus sono completamente indipendenti.

In relazione alla mortalità di topi di diverse specie osservata nel Nordest italiano nelle ultime settimane i campioni analizzati dall’IZSVe hanno dato esito negativo in relazione alla presenza di Hantavirus ma sono in corso approfondimenti diagnostici.

Tuttavia, dati la vicinanza dei focolai al nostro territorio e i mutamenti ecologico-ambientali particolarmente evidenti negli ultimi anni, non possiamo escludere che questi virus arrivino ad interessare anche il Nordest.

Per tale ragione sono in corso ulteriori approfondimenti diagnostici sui campioni ricevuti, anche in collaborazione con altri enti di sanità pubblica. Inoltre, l’IZSVe sta lavorando a stretto contatto con le autorità sanitarie per tracciare un quadro più completo e chiaro della situazione.

Regole di comportamento per ridurre il rischio di infezione da Hantavirus

L’infezione da roditore a uomo può avvenire per contatto diretto con feci, saliva o urina dei roditori infetti, e in particolare attraverso l’inalazione del virus presente in queste matrici biologiche. A titolo precauzionale possiamo già in questa sede richiamare l’attenzione su alcune basilari norme igieniche che, oltre ad essere certamente consigliabili in generale, ridurrebbero sensibilmente il rischio di infezione nel caso di presenza di Hantavirus:

  • è opportuno minimizzare il contatto con polvere e suolo contaminato da escreti di roditori. Ad esempio, utilizzando detersivi/disinfettanti liquidi quando si puliscono aree in cui possono raccogliersi feci e urine di questi animali, in modo da evitare il generarsi di aerosol, e utilizzando guanti resistenti possibilmente monouso e una mascherina di protezione;
  • lavarsi e lavare il proprio vestiario dopo aver effettuato tali operazioni di pulizia;
  • i cittadini possono segnalare tempestivamente fenomeni di mortalità significativa ai Servizi Veterinari delle Aziende Sanitarie, senza però manipolare o raccogliere direttamente le carcasse;
  • chi invece dovesse maneggiare tali carcasse, ad esempio per raccogliere campioni da analizzare o per allontanare le carcasse rinvenute nei pressi della propria abitazione, dovrà essere munito di guanti resistenti possibilmente monouso, mascherina di protezione e contenitori ben richiudibili, e lavarsi accuratamente dopo aver effettuato tali operazioni.

Fonte: IZS Venezie




COVID-19, identificato dall’IZS di Torino il primo caso in Italia di variante inglese su gatto

gattoI laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLV) hanno identificato il primo caso di variante inglese di SARS-CoV-2 (lineage B.1.1.7) in un gatto.

Da bibliografia è la prima segnalazione a livello nazionale.

Si tratta di un gatto maschio castrato di razza europea, otto anni, che vive nel novarese in un contesto domestico. I sintomi respiratori nel gatto sono comparsi una decina di giorni dopo l’insorgenza della malattia e dall’isolamento domiciliare dei suoi conviventi.

Grazie al tempestivo intervento del Servizio Veterinario della Asl di Novara, che ha seguito con scrupolo le linee guida del Ministro della Salute, i campioni del test sono stati trasmessi all’IZSPLV dove è stata diagnosticata la positività al Covid-19, e dove, a seguito di ulteriori accertamenti, è stata riscontrata la presenza della variante inglese.

Il gatto, come i suoi proprietari, ora sono in via di guarigione.

L’IZSPLV sta lavorando all’approfondimento del caso in stretta connessione con la Regione Piemonte e il Ministero della Salute.

«La positività del gatto non deve generare allarmi – osserva Bartolomeo Griglio, responsabile della Prevenzione della Regione Piemonte -; a causa della malattia dei loro proprietari, gli animali d’affezione si ritrovano a vivere in ambienti a forte circolazione virale. Non è dunque inatteso che anch’essi possano contrarre l’infezione, ma non esiste evidenza scientifica sul fatto che giochino un ruolo nella diffusione del Covid-19. Il contagio interumano rimane la principale via di diffusione della malattia».

Sul piano della gestione sanitaria degli animali di pazienti infetti, la raccomandazione generale è di adottare comportamenti utili a ridurre quanto più possibile l’esposizione degli animali al contagio, evitando, ad esempio, i contatti ravvicinati con il paziente, così come si richiede agli altri membri del nucleo familiare.

«Gli organismi internazionali che si sono occupati dell’argomento – rileva Griglio – consigliano di evitare effusioni e di mantenere le misure igieniche di base che andrebbero sempre tenute come il lavaggio delle mani prima e dopo essere stati a contatto con gli animali, con la lettiera o la scodella del cibo».

«La diagnosi di Covid-19 su un gatto e l’identificazione della variante inglese effettuate presso il nostro Istituto – dichiara il direttore generale dell’IZSPLV, Angelo Ferrari – dimostrano quanto il sistema dei controlli e la gestione integrata della pandemia siano efficaci e pronti ad agire tempestivamente rispetto a quanto accade sul territorio».

A complimentarsi per primo con l’Istituto Zooprofilattico è l’assessore regionale alla Sanità del Piemonte, Luigi Genesio Icardi: «Mi congratulo per il lavoro di alta professionalità che l’istituto sta svolgendo, nell’emergenza pandemica il sequenziamento dei virus è un’attività strategica. Anche in questo caso, l’Istituto si conferma un’eccellenza scientifica di livello nazionale».

L’approfondimento scientifico

La sequenza parziale del gene S con tecnica Sanger, comprendente la regione del “Receptor Binding Domain di Sars-CoV-2”, ha permesso di osservare la presenza dell mutazione N501Y e di altre tre mutazioni (A570D, P681H, T716I) che, insieme con la delezione 69-70, precedentemente rilevata con il test diagnostico in real time PCR (ThermoFisher), sono compatibili con la variante inglese VOC 202012/01. Sono in corso gli approfondimenti diagnostici, mediante sequenziamento dell’intero genoma con tecnica NGS, per l’attribuzione del “lineage” genomico.

Fonte: IZS Torino




SARS-CoV-2 nei visoni: raccomandazioni per migliorare il monitoraggio

logo-efsaIn un nuovo rapporto si raccomanda il rilevamento precoce di SARS-CoV-2 (coronavirus) negli allevamenti di visoni dell’Unione europea come obiettivo prioritario delle attività di monitoraggio.

Il rapporto, redatto dall’EFSA e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), propone alcune strategie di monitoraggio che contribuiranno a prevenire e controllare la diffusione della malattia.  Vi si conclude che tutti gli allevamenti di visoni vanno considerati a rischio di SARS-CoV-2 e che il monitoraggio dovrebbe comprendere, oltre alla sorveglianza passiva da parte di allevatori e veterinari, misure attive come test sugli animali e sul personale.

Il rapporto è stato richiesto dalla Commissione europea in seguito ai focolai epidemici di SARS-CoV-2 verificatisi negli allevamenti di visoni in vare parti d’Europa nel 2020.

Al gennaio 2021 il virus era stato rilevato in 400 allevamenti di visoni in otto Paesi dell’UE/SEE, di cui 290 in Danimarca, 69 nei Paesi Bassi, 21 in Grecia, 13 in Svezia, 3 in Spagna, 2 in Lituania, 1 in Francia e in Italia.

Fonte: EFSA




HPAI. Patogenicità comparata e trasmissibilità nelle recenti infezioni da virus H5.

influenza aviariaWageningen Bioveterinary Research fornisce informazioni sul decorso delle infezioni da influenza aviaria.

La minaccia di focolai di influenza aviaria altamente patogena (HPAI) nel pollame rimane alta, con diversi allevamenti di pollame che sono stati infettati negli ultimi anni. Al fine di ottenere maggiori informazioni sul decorso e la trasmissione delle infezioni da HPAI, Wageningen Bioveterinary Research (WBVR) ha esaminato i sintomi della malattia, la diffusione del virus e la mortalità a seguito di infezione recenti da virus H5.

La ricerca mostra che un’infezione da virus HPAI H5N8-2014, H5N8-2016 o H5N6-2017 differisce notevolmente tra polli, anatre e piccioni eurasiatici. La patogenicità dei virus per i polli è superiore a quella per anatre e piccioni eurasiatici.

I risultati suggeriscono anche che la patogenicità dei virus HPAI H5 e la diffusione del virus dalle anatre si sta evolvendo, il che può avere conseguenze sul rischio di introduzione di questi virus nel settore del pollame.

Il virus dell’influenza aviaria è facilmente trasmissibile attraverso l’acqua.

La ricerca ha anche osservato livelli più elevati di diffusione del virus da anatre e piccioni infettati dai virus del 2016 e del 2017 rispetto al virus del 2014. Gli uccelli selvatici infetti (come i piccioni) possono introdurre il virus negli allevamenti di pollame attraverso le loro feci.

Più il virus è presente nelle feci degli uccelli, più è facile trasmettere il virus al pollame. Questa ricerca mostra anche che il virus può sopravvivere a lungo in acqua (più di una settimana) e che i polli possono essere facilmente infettati dall’acqua potabile contaminata dalle feci degli uccelli.

La WBVR sta conducendo ulteriori ricerche sui fattori genetici e altri aspetti che determinano la patogenicità dei virus HPAI. Una migliore comprensione delle caratteristiche dei virus HPAI può contribuire alla prevenzione di future epidemie.

Fonte: IZS Abruzzo e Molise

Articolo completo (in inglese)




EYWA, sistema di allarme rapido per le malattie trasmesse dalle zanzare

EYWA (EarlY WArning System for Mosquito borne disease) è un sistema di monitoraggio che risponde alle esigenze di prevenzione e protezione dalla salute pubblica contro le malattie trasmesse da zanzare (MBD, mosquito-borne diseases). Ideato e coordinato dall’Osservatorio Nazionale di Atene / BEYOND Center of Earth Observation Research and Satellite Remote Sensing, dal 2020 EYWA si avvale della collaborazione di diverse realtà di ricerca europee impegnate nella ricerca e nel controllo della diffusione dei vettori, tra cui anche il Laboratorio di parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria (SCS3) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe)

Che cos’è EYWA?
EYWA è un insieme di modelli epidemiologici ed entomologici basati sui grandi dati di osservazione della Terra e combinati con parametri ambientali, climatici e meteorologici, socioeconomici e demografici. Obiettivo di EYWA è usare questa infrastruttura di dati per definire dei modelli predittivi di diffusione dei vettori, funzionali al monitoraggio e alla prevenzione delle malattie trasmesse da zanzare.

EYWA è un insieme di modelli epidemiologici ed entomologici, convalidati e dinamici, basati sui grandi dati di osservazione della Terra e combinati con parametri ambientali, climatici e meteorologici, socioeconomici e demografici. Obiettivo di EYWA è usare questa infrastruttura di dati per definire dei modelli predittivi di diffusione dei vettori, funzionali al monitoraggio e alla prevenzione delle MBD.

In linea con i principi della scienza aperta, EYWA raccoglie e combina nel proprio sistema dati relativi a parametri ambientali essenziali, serie temporali meteo, dati del portale GEOSS e dati dal programma di osservazione terrestre Copernicus (C3S, ERA5, IMERG, CLMS, ecc.). Questi vengono poi integrati con dati entomologici ed epidemiologici (casi di malattie negli animali e nell’uomo) che verranno forniti dai cinque Paesi europei membri del consorzio (Grecia, Francia, Germania, Italia e Serbia), dove l’Italia è rappresentata da IZSVe, Fondazione Edmund Mach e Università di Trento.

I dati sono pubblicati in una piattaforma Web GIS a disposizione delle organizzazioni sanitarie nazionali e delle autorità pubbliche, nonché degli istituti di ricerca e delle aziende private. Attraverso un continuo approccio di co-progettazione e co-creazione, EYWA ha raggiunto il livello di preparazione tecnologica TRL 7, che corrisponde alla “dimostrazione di un prototipo di sistema in ambiente operativo”. Negli anni a venire, EYWA includerà i dati anche di altri Paesi e di ulteriori MBD, per rendere il sistema sempre più globale, anche oltre i confini europei.

EYWA raccoglie e combina nel proprio sistema dati provenienti da diverse fonti, integrandoli con dati entomologici ed epidemiologici che vengono forniti dai cinque Paesi europei membri del consorzio (Grecia, Francia, Germania, Italia e Serbia). I dati sono pubblicati in un’apposita piattaforma Web GIS.

L’approccio EYWA è interdisciplinare: entomologia, epidemiologia, ecologia, big data analytics, intelligenza artificiale e citizen science sono combinati e integrati in un’unica filiera per offrire ai gestori del rischio e alle autorità sanitarie un sistema di allarme rapido (early warning system) a supporto dei sistemi decisionali per la gestione delle epidemie da vettori.

Sulla base dei dati raccolti e disponibili in EYWA, le autorità di sanità pubblica e le figure coinvolte nella gestione del rischio saranno facilitate nel processo di contenimento delle MBD: i modelli predittivi di distribuzione dei vettori e dei focolai forniranno indicazioni evidence based per pianificare in modo più efficiente e puntuale le azioni di monitoraggio dei vettori e di prevenzione dei focolai, mitigando il loro impatto sul territorio e ottimizzando risorse umane ed economiche a tutela della salute pubblica.

Il ruolo dell’IZSVe

Il Laboratorio di parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria dell’IZSVe è coinvolto in EYWA dal suo inizio, nel 2020. Tra i partner del progetto, l’IZSVe è stato il primo ente, in accordo con il Dipartimento di Prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria della Regione Veneto, a fornire ai coordinatori di EYWA dati entomologici ed epidemiologici (casi di West Nile disease nell’uomo) relativi al territorio di competenza. Grazie ai dati condivisi dall’IZSVe è stato possibile validare i primi modelli predittivi sviluppati dal sistema EYWA, collaborazione che continuerà anche nei prossimi anni per affinare le previsioni di insorgenza di MBD.

Per approfondire

Visita la pagina del progetto sul sito BEYOND: http://beyond-eocenter.eu/index.php/web-services/eywa




OIE: pubblicata la “Quinta relazione annuale sull’uso degli antibiotici negli animali a livello globale”

valutare_antibioticiL’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (OIE) ha pubblicato la sua quinta relazione annuale sull’uso degli antibiotici negli animali a livello globale (in inglese).

Sulla base dei dati comunicati da 69 paesi per gli anni tra il 2015 e il 2017, è stata rilevata una diminuzione complessiva del 34% dell’indicatore globale mg/kg che indica una tendenza verso un uso sempre più razionale degli antimicrobici negli animali.

L’OIE sta attualmente sviluppando un sistema IT interattivo e automatizzato che fornirà ai paesi accesso 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per rivedere, analizzare ed utilizzare i propri dati nazionali, consentendo all’OIE di mantenere il proprio impegno a fornire analisi dei dati globali al pubblico.

Fonte: alimenti-salute.it




Un nuovo metodo per la rilevazione delle tossine botuliniche senza l’impiego di animali da laboratorio

laboratorio di ricercaL’Istituto  Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha validato un  nuovo metodo per la rilevazione dell’attività biologica delle tossine botuliniche di tipo C e D ed i rispettivi mosaici  CD e DC alternativo all’uso di animali da laboratorio. Lo studio è stato condotto dai ricercatori dalla sezione di Treviso dell’IZSVe, in collaborazione con il Centro di riferimento nazionale per il botulismo dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta (USA), e pubblicato sulla rivista scientifica Toxins.

Le tossine botuliniche sono proteine neurotossiche, prodotte da batteri per lo più del genere Clostridium, che causano il botulismo, una malattia potenzialmente fatale che provoca paralisi flaccida. Sono attualmente conosciuti 7 sierotipi della  tossina botulinica, denominati con le lettere dalla A alla G. Le tossine di tipo A, B, E ed F sono principalmente  causa di botulismo nell’uomo, mentre i tipi C e D interessano gli animali.

Il test di riferimento per l’identificazione delle tossine botuliniche è la prova biologica su topo. L’IZSVe, in collaborazione con ISS e CDC, ha validato un nuovo metodo per la rilevazione dell’attività biologica delle tossine botuliniche di tipo C e D senza l’impiego di animali da laboratorio, basato sull’utilizzo di uno spettrometro di massa comunemente presente nei laboratori di microbiologia diagnostica.

La disponibilità di un metodo sensibile, affidabile e rapido per la rilevazione di queste tossine è determinante  sia per la salute umana sia per quella animale. Il test di riferimento per l’identificazione  delle tossine botuliniche è la prova biologica su topo. Tale metodo seppur molto sensibile e specifico grazie all’uso di antisieri per i singoli sierotipi, prevede però  il sacrificio di numerosi animali e richiede almeno quattro giorni per la conferma di un esito negativo. Il sacrificio di animali ad uso diagnostico pone inoltre numerosi problemi di carattere etico, e per tale motivo si stanno cercando sempre nuovi metodi alternativi che non prevedano l’uso di animali da laboratorio.

Il nuovo metodo denominato “EndoPep-MS” è stato inizialmente sviluppato dai ricercatori dei CDC di Atlanta utilizzando spettrometri di massa ad alta risoluzione, molto costosi e che possono essere utilizzati solo da personale altamente qualificato. Tale peculiarità lo rendeva poco impiegabile nei comuni laboratori di diagnostica. I ricercatori dell’IZSVe hanno invece validato e implementato il metodo “EndoPep-MS” utilizzando uno spettrometro di massa comunemente presente nei laboratori di microbiologia diagnostica sia in campo umano che veterinario.

I test hanno dimostrato che il metodo “EndoPep-MS” può essere applicato con risultati sovrapponibili o addirittura migliori in termini di sensibilità rispetto alla prova biologica per la rilevazione delle tossine botuliniche C e D e per le loro forme a mosaico CD e DC, anche su strumenti meno performanti di quelli con cui è stato sviluppato. I risultati permettono di considerare questo metodo come una valida alternativa alla prova biologica su topo, in quanto può essere facilmente eseguito nei laboratori di microbiologia senza la necessità di personale specializzato nella spettrometria di massa.

Fonte: IZS Venezie




Indagine sui potenziali vettori di Malaria in Italia

L’Italia è libera dalla malaria da diverse decadi, ma le zanzare che la trasmettevano sono ancora presenti sul nostro territorio. Queste zanzare possono essere in grado di trasmettere il Plasmodio all’arrivo di soggetti portatori di malattia, come accaduto recentemente in Grecia, con 109 casi localmente acquisiti dal 2009 al 2019.

Anche se la reintroduzione del ciclo della malattia è improbabile nel nostro paese; casi occasionali di malaria acquisiti localmente sono stati segnalati sporadicamente anche sul territorio Italiano. Dopo l’eradicazione della malaria l’interesse per le zanzare è venuto meno, e le informazioni sulla distribuzione delle specie di zanzare vettrici sono ormai datate. L’identificazione delle specie di zanzare presenti è inoltre complicata dalla presenza di complessi di specie indistinguibili morfologicamente, come il complesso Maculipennis, che raccoglie la maggior parte dei vettori che sostenevano, in passato, la trasmissione della malaria in Italia.

La ricerca svolta grazie alla collaborazione fra Istituti Zooprofilattici del nord Italia (IZS Lombardia ed Emilia Romagna, IZS delle Venezie, IZS del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta), Istituto Superiore di Sanità, Università La Sapienza, CAA (Centro Agricoltura Ambiente) e IPLA (Istituto per le Piante e l’Ambiente).ha permesso di aggiornare l’elenco delle specie del complesso presenti nella Pianura Padana.

La specie più abbondante è risultata Anopheles daciae sp. inq. (specie dal rango tassonomico ancora dibattuto, affine ad An. messeae), seguita da An. maculipennis s.s. Meno diffuse sono risultate An. melanoon e An. atroparvus, quest’ultima specie era considerato un vettore primario di malaria in Nord Europa. Non è stata invece trovata An. sacharovi, storico vettore della malaria in nord Italia, confermando la sua probabile scomparsa dal nostro territorio.

La raccolta di dati su di un così ampio territorio ha premesso di modellizzare l’idoneità dell’area indagata ad ospitare le specie più abbondanti, identificando il delta del Po e le zone risicole presenti sulla Pianura Padana come le aree più vocate alla proliferazione di queste zanzare. La presenza di An. atroparvus, anche se principalmente circoscritta ad un’area limitata fra Lombardia e Veneto, merita di essere attentamente monitorata. Questi dati possono essere un valido strumento per valutare il rischio della potenziale trasmissione locale del Plasmodio della malaria e di altri patogeni ( Batai virus ), legati alla presenza delle diverse specie di queste zanzare.

Fonte: IZS Lombardia Emilia Romagna




ISS: uno studio dimostra che i coronavirus dei ricci possono acquisire i geni dell’ospite

coronavirusUn recente studio condotto da ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca la Ambientale (ISPRA), dell’Università di Bologna (UNIBO), e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZLER) ha dimostrato la capacità di acquisire geni dell’ospite, da parte di Coronavirus (CoV) del riccio comune (Erinaceus europaeus).

Lo studio, pubblicato su Viruses descrive l’acquisizione del gene CD200 del riccio da parte di un gruppo di CoV identificati in una popolazione di ricci selvatici, campionati in nord Italia. Tali virus appartengono allo stesso gruppo dei CoV responsabili di COVID-19 e MERS, con i quali hanno una stretta somiglianza genetica.

Nei mammiferi, il CD200 ed il suo recettore agiscono come importanti checkpoint della risposta immunitaria che regolano negativamente al fine di prevenire l’eccessivo stimolo infiammatorio che si osserva talvolta nei confronti degli agenti infettivi, compreso SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile di COVID-19.

La capacità dei virus di acquisire geni dell’ospite è un fenomeno noto, tuttavia è la prima volta che viene descritto nei CoV. Sebbene il ruolo del CD200 non sia lo stesso in ogni virus, è stato dimostrato che la sua integrazione nel genoma di alcuni virus (Herpesvirus 8 dell’uomo, Rhesus rhadinovirus R15 e Myxoma Virus), ne aumenta la fitness rispetto alla risposta immunitaria dell’ospite.

Il risultato dello studio è di grande rilevanza poiché dimostra l’esistenza, tra i CoV, di un meccanismo evolutivo estremamente raffinato, potenzialmente in grado di conferire proprietà patogenetiche nuove e più vantaggiose a tali agenti infettivi e indica il valore dello studio delle malattie degli animali quali insostituibili modelli di comprensione della patologia nell’uomo.

Fonte: ISS