ISS: Come raccogliere e gettare mascherine e guanti monouso
Al lavoro e a casa: tre infografiche a cura dell’Istituto Superiore di Sanità su come smaltire questi rifiuti, anche in caso di positività al virus.
Al lavoro e a casa: tre infografiche a cura dell’Istituto Superiore di Sanità su come smaltire questi rifiuti, anche in caso di positività al virus.
Gli allevamenti rappresentano potenziali hotspot per la diffusione e l’amplificazione di virus che potrebbero causare epidemie negli animali o fornire un bacino per la futura comparsa in altri ospiti. In questo momento l’attenzione è particolarmente focalizzata sugli allevamenti di suini come specie suscettibile all’infezione, in particolare da parte di coronavirus.
In tempi recenti si è registrato un aumento delle malattie infettive emergenti, anche a causa del confine sempre più labile nell’interfaccia tra esseri umani, animali domestici e fauna selvatica. In particolare, gli allevamenti rappresentano potenziali hotspot per la diffusione e l’amplificazione di virus che potrebbero causare epidemie negli animali o fornire un bacino per la futura comparsa in altri ospiti. Gli animali d’allevamento potrebbero essere infettati sia dalla fauna selvatica che dagli esseri umani e potrebbero fungere da ponte tra questi ospiti, portando all’infezione in modo reciproco.
In questo momento l’attenzione è particolarmente focalizzata sugli allevamenti di suini come specie suscettibile all’infezione. Il mantenimento dei virus nelle popolazioni di suini in seguito allo spillover iniziale potrebbe complicare il controllo del patogeno nell’ospite naturale ed alimentare la ricomparsa del virus una volta eliminato. Qualora poi virus simili circolassero naturalmente nelle popolazioni suine, è possibile che lo spillover in questa specie porti alla comparsa di varianti ricombinanti pericolose per gli animali o l’uomo.
L’attuale pandemia di COVID-19 ha confermato che i coronavirus hanno un’alta probabilità di spillover, possono facilmente adattarsi a nuovi ospiti e possono provocare gravi danni nelle popolazioni naïve. In effetti, i coronavirus emergenti sono considerati una delle principali minacce per la salute umana e per la produzione suina in tutto il mondo.
Nell’ambito del bando Era-Net ICRAD cofinanziato da Unione Europea e Stati Membri, è stato finanziato il progetto ConVErgence – Assessing swine as potential hosts for emerging Coronaviruses, allo scopo di indagare il processo di comparsa dei coronavirus nell’industria suinicola, concentrandosi su pipistrelli e uomo come le più probabili fonti di infezione. Il consorzio di ricerca comprende l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe, capofila), l’Erasmus Medical Center di Rotterdam (Paesi Bassi) e l’Università del Sussex (Regno Unito), ognuno finanziato dei rispettivi enti nazionali, il Ministero della Salute Italiano, il Consiglio Inglese per la Ricerca e l’Innovazione (BBRSC) e il Ministero dell’Agricoltura Olandese.
Il progetto europeo ConVErgenze, che vede l’IZSVe come capofila, vuole indagare il processo di comparsa dei coronavirus nell’industria suinicola, concentrandosi su pipistrelli e uomo come le più probabili fonti di infezione. Gli obiettivi del progetto sono: (1) studiare la relazione tra i suini, i pipistrelli e gli esseri umani in diversi sistemi di allevamento; (2) determinare il livello di esposizione dei suini ai CoV noti di pipistrelli e umani misurando la loro risposta anticorpale; (3) individuare l’eventuale circolazione di CoV di pipistrello/uomo nelle popolazioni suine dell’Italia nord-orientale.
Attualmente si conoscono sette specie di Coronavirus (CoV) che infettano gli esseri umani, di cui tre sono endemiche e causano infezioni stagionali simil-influenzali e una è responsabile dell’attuale pandemia. D’altra parte, i coronavirus sono estremamente diversificati e frequenti nei pipistrelli, al punto che la maggior parte delle specie virali presenti nei mammiferi sembra derivare dal pool di CoV dei pipistrelli, eccezione fatta per un grande cluster di virus che raggruppa specie comuni nell’uomo e nel bestiame, compresi i maiali, ma che non è mai stato descritto nei pipistrelli.
Anche se ad oggi non si sa se i coronavirus umani e dei pipistrelli possano infettare i suini, è ipotizzabile che gli animali che hanno un contatto più stretto con i pipistrelli e gli esseri umani abbiano maggiori probabilità di essere esposti ai loro virus e che l’esposizione nel lungo periodo aumenti le possibilità di trasmissione da una specie all’altra.
Gli obiettivi di ConVErgence sono:
Inoltre, anche sulla base del fatto che la diffusione dei coronavirus è altamente stagionale sia nei pipistrelli che negli esseri umani, i dati di campo raccolti sia dai suini che da popolazioni di chirotteri saranno utilizzati per costruire un modello matematico dello spillover che possa essere utile nell’individuare le situazioni a rischio più elevato. Infine, nel caso in cui lo studio abbia successo nell’identificazione di nuovi CoV, di nuove varianti o di virus associati a nuovi ospiti, si procederà alla caratterizzazione del loro genoma e alla valutazione dell’adattamento nel suino e nell’uomo, della loro capacità di causare danni al nuovo ospite e del potenziale di infettare altre specie.
ConVErgence utilizzerà tecnologie all’avanguardia e professionalità provenienti da diversi campi, tra cui medicina veterinaria, ecologia, virologia, epidemiologia e modelli matematici, sfruttando l’esperienza dei diversi partner inclusi nel consorzio.
Fonte: IZS Venezie
La “seconda ondata” della pandemia potrebbe non avere nulla a che vedere con la mancanza di prudenza o di adeguate misure di controllo. Secondo uno studio condotto da Talib Dbouk e Dimitris Drikakis, ricercatori dell’Università di Nicosia a Cipro, avere due focolai all’anno durante una pandemia è praticamente inevitabile, a causa dell’impatto delle temperature, dell’umidità e del vento.
I risultati, pubblicati sulla rivista Physics of Fluids, evidenziano che sebbene le mascherine, le restrizioni dei viaggi e le linee guida per il distanziamento sociale aiutino a rallentare la crescita dei nuovi contagi a breve termine, a giocare un ruolo chiave a lungo termine sono soprattutto gli effetti climatici.
Per questo, gli studiosi sostengono che bisognerebbe incorporarli nei modelli epidemiologici.
Attualmente i modelli per prevedere il comportamento di un’epidemia contengono solo due parametri di base: la velocità di trasmissione e la velocità di recupero. Questi tassi tendono a essere trattati come costanti, ma Dbouk e Drikakis pensano che in realtà non sia così. Secondo gli studiosi, temperatura, umidità relativa e velocità del vento giocano tutti un ruolo significativo.
Per questo, gli studiosi suggeriscono di modificare i modelli in modo che tengano conto anche di queste condizioni climatiche.
I ricercatori hanno chiamato questa nuova variabile Indice del tasso di infezione nell’aria (Air). Quando hanno applicato l’indice AIR ai modelli di Parigi, New York City e Rio de Janeiro, hanno scoperto che prediceva accuratamente il momento della seconda epidemia in ciascuna città, suggerendo che due focolai all’anno sono un fenomeno naturale.
Inoltre, il comportamento del virus a Rio de Janeiro è risultato nettamente diverso dal comportamento del virus a Parigi e New York, a causa delle variazioni stagionali negli emisferi settentrionale e meridionale, coerenti con i dati reali. Gli autori sottolineano l’importanza di tenere conto di queste variazioni stagionali quando si progettano misure per la gestione della pandemia.
“Proponiamo che i modelli epidemiologici debbano incorporare gli effetti climatici attraverso l’indice AIR”, dice Drikakis. “I lockdown nazionali o i lockdown su larga scala non dovrebbero essere basati su modelli di previsione a breve termine che escludono gli effetti della stagionalità meteorologica“, aggiunge. “In caso di pandemia, dove non è disponibile una vaccinazione massiccia ed efficace, la pianificazione del governo dovrebbe essere a lungo termine, considerando gli effetti meteorologici e progettando di conseguenza le linee guida per la salute e la sicurezza pubblica“, sottolinea Dbouk. Man mano che la temperatura aumenta e l’umidità diminuisce, Drikakis e Dbouk si aspettano un altro miglioramento nel numero di infezioni, sebbene notino che le linee guida su uso mascherine e su distanziamento sociale dovrebbero continuare a essere seguite con le opportune modifiche basate sul clima.
Fonte: AGI
A livello mondiale, negli ultimi anni, il numero di focolai di peste dei piccoli ruminanti (PPR – peste des petits ruminants), è diminuito di due terzi, mostrando l’impegno della comunità internazionale nel combattere questa malattia animale altamente contagiosa e alimentando le speranze di centrare l’obiettivo dell’eradicazione mondiale di questa malattia entro il 2030.
La PPR può essere letale per gli animali (con un tasso di mortalità che varia dal 30 al 70%) ma non colpisce l’uomo. Ciò premesso, la PPR produce comunque gravi conseguenze per la sicurezza alimentare, nonché per i mezzi di sussistenza e la resilienza delle comunità. Nel 2019 (anno cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili) sono scoppiati poco più di 1200 focolai di PPR in tutto il mondo, rispetto agli oltre 3500 del 2015, secondo i nuovi dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e i suoi partner.
La riduzione dei focolai di PPR è riconducibile all’impatto delle campagne di vaccinazione in oltre 50 paesi: campagne finanziate e portate avanti con il sostegno della FAO e dei suoi partner. In solo 12 di questi paesi, sono stati vaccinati oltre 300 milioni di capi ovini e caprini fra il 2015 e il 2018. Due le aree geografiche più colpite dalla PPR, con il maggior numero di focolai riscontrati nel periodo 2015-2019; l’Asia (oltre il 75%) e l’Africa (oltre il 24%), ma la malattia potrebbe anche non essere stata documentata in modo completo. Quasi la metà di tutti i focolai del periodo considerato ha interessato solo cinque paesi, sottolineando la necessità urgente di rafforzare la prevenzione e i meccanismi di controllo.
La PPR si è diffusa a un ritmo allarmante negli ultimi 15 anni. Più di 70 paesi, soprattutto in Asia, Africa e Medio Oriente, hanno segnalato la presenza della malattia da quando venne individuata per la prima volta in Côte d’Ivoire negli anni ‘40. Nella sua fase più critica, la malattia, se fuori controllo, rischia di infettare fino all’80% dei 2,5 miliardi di piccoli ruminanti a livello globale, esercitando enorme pressione su alcune delle popolazioni più vulnerabili al mondo.
Per circa 300 milioni di nuclei familiari, i piccoli ruminanti (ovini e caprini) costituiscono una fonte alimentare e di reddito. Tali nuclei, pertanto, rischiano di perdere i loro mezzi di sussistenza se la malattia non viene tenuta sotto controllo. Si stima, inoltre, che la PPR causi perdite economiche fino a 2,1 miliardi di USD l’anno. All’inizio era considerata una malattia come la peste bovina, ma che colpiva solo i piccoli ruminanti domestici. Nel recente passato, tuttavia, la PPR ha infettato cammelli, bovini, bufali e anche varie specie selvatiche, dal bufalo africano fino all’antilope saiga in Asia.
La strada per eradicare la PPR
Nel 2015, la comunità internazionale si è prefissata l’obiettivo di eradicare la PPR entro il 2030. Da allora, la FAO e l’Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE) hanno sviluppato e attuato la Strategia mondiale per il controllo e l’eradicazione della PPR. “Eradicare questa malattia è possibile e fondamentale per mettere fine a povertà e fame. Non solo salverebbe una preziosa fonte di cibo e di reddito per molte persone vulnerabili; potrebbe anche prevenire la migrazione di intere famiglie, un rischio che esiste quando vengono distrutti i loro mezzi di sussistenza. Un mondo libero dalla PPR offrirebbe anche più sicurezza e possibilità di emancipazione per le donne rurali, spesso responsabili del bestiame”, afferma Maria Helena Semedo, Vicedirettore generale della FAO.
Da maggio 2020 (ultimi dati disponibili), 58 paesi e una regione della Namibia sono stati riconosciuti “liberi dalla PPR”. Gli ultimi paesi a essere inseriti in questo elenco, l’anno scorso, sono la Russia e il Lesotho. Inoltre, 21 paesi, che non hanno registrato nuovi casi per cinque anni di seguito, possono preparare la documentazione per essere ufficialmente dichiarati, dall’OIE, “paesi liberi dalla PPR”. Per essere considerato ufficialmente libero dalla PPR, il paese è sottoposto a un rigoroso processo in quattro fasi (valutazione, controllo, eradicazione e post-eradicazione) portato avanti da FAO e OIE.
La vaccinazione è essenziale per la prevenzione e il controllo della PPR, sulla base dell’esperienza di successo dell’eradicazione della peste bovina nel 2011 da parte di FAO, OIE e dei loro partner, e della disponibilità di vaccini efficaci contro la PPR. La FAO e l’OIE raccomandano di portare avanti la vaccinazione contro la PPR per due anni consecutivi, seguita dalla vaccinazione degli animali neonati per uno o due anni di seguito.
Principali ostacoli alla lotta contro la PPR
“Se i focolai di PPR sono notevolmente diminuiti negli ultimi anni, resta invece estesa la portata dell’infezione da virus PPR, sia a livello geografico che di animali ospiti, e occorre fare di più per combattere la malattia”, spiega Felix Njeumi, veterinario e Coordinatore del programma PPR della FAO.
La mancanza di vaccini, i movimenti delle greggi e, soprattutto, le sfide logistiche per proseguire il programma vaccinale continuano a rimanere gli ostacoli principali per prevenire e controllare la PPR. Il costo di una dose di vaccino rappresenta circa un ottavo del costo di distribuzione del vaccino.
Nessuno dei vaccini esistenti è termotollerante e, pur esistendo una tecnologia capace di superare il problema della termotolleranza, la maggior parte dei paesi dove la PPR è endemica si trova nell’area geografica tropicale o subtropicale con risorse limitate per garantire la catena del freddo necessaria per la conservazione e il trasporto dei vaccini.
I vaccini esistenti al momento, inoltre, non fanno differenza fra animali infetti e non vaccinati. “Riconosciamo l’assoluta importanza della vaccinazione contro la PPR per eradicare questa malattia e proteggere la salute e il benessere animale, oltre ai mezzi di sussistenza delle persone. La banca dei vaccini contro la PPR offre tempestivamente agli agricoltori vaccini di alta qualità ed economicamente accessibili, grazie ai quali paesi e regioni possono poi dichiararsi liberi dalla PPR”, asserisce Jean-Philippe Dop, Vicedirettore generale dell’OIE per gli Affari istituzionali e le attività regionali.
La banca e le riserve di vaccino contro la PPR costituite dalla FAO, dall’OIE e da altri partner hanno migliorato la garanzia di qualità e la fornitura dei vaccini. Per riuscire a eradicare la PPR, tuttavia, occorre colmare la carenza di finanziamenti per le campagne di vaccinazione e altre attività del programma. La prima fase del programma mondiale contro la PPR prevedeva, come obiettivo, la vaccinazione di 1,5 miliardi di piccoli ruminanti entro la fine del 2021. Il 50% dell’obiettivo è stato raggiunto a metà del 2020, ma la pandemia da COVID-19, l’anno scorso, ha inciso molto negativamente sui servizi veterinari, tra cui anche le vaccinazioni contro la PPR e la documentazione dei focolai.
Conseguenze negative che continueranno nel 2021 con il mondo ancora alle prese con la pandemia. La FAO sottolinea la necessità di attuare misure di prevenzione e controllo, che devono essere coordinate tra paesi confinanti, al fine di limitare il passaggio transfrontaliero della malattia. Inoltre, risulta essenziale rafforzare la sorveglianza e il monitoraggio sierologico post-vaccinale a livello nazionale.
Si stima a 340 milioni di USD la carenza di finanziamenti per il Programma mondiale di eradicazione della PPR. Gravi problemi permangono, sia a livello finanziario che logistico. Tuttavia, gli ultimi dati evidenziano dei progressi, indicando l’impegno dei paesi, della FAO e dell’OIE per eradicare la PPR e giustificando un cauto ottimismo. La seconda fase (2022-2027) del programma sarà elaborata nel 2021.
Fonte: FAO
In un nuovo rapporto si raccomanda il rilevamento precoce di SARS-CoV-2 (coronavirus) negli allevamenti di visoni dell’Unione europea come obiettivo prioritario delle attività di monitoraggio.
Il rapporto, redatto dall’EFSA e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), propone alcune strategie di monitoraggio che contribuiranno a prevenire e controllare la diffusione della malattia. Vi si conclude che tutti gli allevamenti di visoni vanno considerati a rischio di SARS-CoV-2 e che il monitoraggio dovrebbe comprendere, oltre alla sorveglianza passiva da parte di allevatori e veterinari, misure attive come test sugli animali e sul personale.
Il rapporto è stato richiesto dalla Commissione europea in seguito ai focolai epidemici di SARS-CoV-2 verificatisi negli allevamenti di visoni in vare parti d’Europa nel 2020.
Al gennaio 2021 il virus era stato rilevato in 400 allevamenti di visoni in otto Paesi dell’UE/SEE, di cui 290 in Danimarca, 69 nei Paesi Bassi, 21 in Grecia, 13 in Svezia, 3 in Spagna, 2 in Lituania, 1 in Francia e in Italia.
Fonte: EFSA
Wageningen Bioveterinary Research fornisce informazioni sul decorso delle infezioni da influenza aviaria.
La minaccia di focolai di influenza aviaria altamente patogena (HPAI) nel pollame rimane alta, con diversi allevamenti di pollame che sono stati infettati negli ultimi anni. Al fine di ottenere maggiori informazioni sul decorso e la trasmissione delle infezioni da HPAI, Wageningen Bioveterinary Research (WBVR) ha esaminato i sintomi della malattia, la diffusione del virus e la mortalità a seguito di infezione recenti da virus H5.
La ricerca mostra che un’infezione da virus HPAI H5N8-2014, H5N8-2016 o H5N6-2017 differisce notevolmente tra polli, anatre e piccioni eurasiatici. La patogenicità dei virus per i polli è superiore a quella per anatre e piccioni eurasiatici.
I risultati suggeriscono anche che la patogenicità dei virus HPAI H5 e la diffusione del virus dalle anatre si sta evolvendo, il che può avere conseguenze sul rischio di introduzione di questi virus nel settore del pollame.
Il virus dell’influenza aviaria è facilmente trasmissibile attraverso l’acqua.
La ricerca ha anche osservato livelli più elevati di diffusione del virus da anatre e piccioni infettati dai virus del 2016 e del 2017 rispetto al virus del 2014. Gli uccelli selvatici infetti (come i piccioni) possono introdurre il virus negli allevamenti di pollame attraverso le loro feci.
Più il virus è presente nelle feci degli uccelli, più è facile trasmettere il virus al pollame. Questa ricerca mostra anche che il virus può sopravvivere a lungo in acqua (più di una settimana) e che i polli possono essere facilmente infettati dall’acqua potabile contaminata dalle feci degli uccelli.
La WBVR sta conducendo ulteriori ricerche sui fattori genetici e altri aspetti che determinano la patogenicità dei virus HPAI. Una migliore comprensione delle caratteristiche dei virus HPAI può contribuire alla prevenzione di future epidemie.
Fonte: IZS Abruzzo e Molise
Articolo completo (in inglese)
Un recente studio condotto da ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca la Ambientale (ISPRA), dell’Università di Bologna (UNIBO), e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZLER) ha dimostrato la capacità di acquisire geni dell’ospite, da parte di Coronavirus (CoV) del riccio comune (Erinaceus europaeus).
Lo studio, pubblicato su Viruses descrive l’acquisizione del gene CD200 del riccio da parte di un gruppo di CoV identificati in una popolazione di ricci selvatici, campionati in nord Italia. Tali virus appartengono allo stesso gruppo dei CoV responsabili di COVID-19 e MERS, con i quali hanno una stretta somiglianza genetica.
Nei mammiferi, il CD200 ed il suo recettore agiscono come importanti checkpoint della risposta immunitaria che regolano negativamente al fine di prevenire l’eccessivo stimolo infiammatorio che si osserva talvolta nei confronti degli agenti infettivi, compreso SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile di COVID-19.
La capacità dei virus di acquisire geni dell’ospite è un fenomeno noto, tuttavia è la prima volta che viene descritto nei CoV. Sebbene il ruolo del CD200 non sia lo stesso in ogni virus, è stato dimostrato che la sua integrazione nel genoma di alcuni virus (Herpesvirus 8 dell’uomo, Rhesus rhadinovirus R15 e Myxoma Virus), ne aumenta la fitness rispetto alla risposta immunitaria dell’ospite.
Il risultato dello studio è di grande rilevanza poiché dimostra l’esistenza, tra i CoV, di un meccanismo evolutivo estremamente raffinato, potenzialmente in grado di conferire proprietà patogenetiche nuove e più vantaggiose a tali agenti infettivi e indica il valore dello studio delle malattie degli animali quali insostituibili modelli di comprensione della patologia nell’uomo.
Fonte: ISS
La diffusione della Rinopolmonite Equina da Herpes Equino di tipo 1 (EHV-1) in Europa sta destando una certa preoccupazione nelle autorità sanitarie europee; anche il Ministero della Salute italiano sta monitorando e analizzando attentamente la situazione.
Dopo il primo focolaio scoperto a Valencia lo scorso febbraio, sono stati segnalati casi analoghi anche in Francia, Belgio e Germania. Dalle prime informazioni sembra si tratti dell’epidemia di EHV-1 più grave che si sia registrata in Europa da diversi decenni, causata da un ceppo di EHV-1 particolarmente aggressivo che ha già causato decessi di equini e un numero molto elevato di casi clinici gravi. La Federazione Equestre Internazionale (FISE) ha pertanto comunicato alcuni giorni fa alle Federazioni nazionali, e poi anche alla stampa, le misure di controllo assunte per prevenirne l’espansione.
Tutte le info sul sito dell’ IZS Venezie
“CS n°13/2021 – Trovate le varianti di SARS-CoV-2 nelle acque di scarico: la ricerca dell’ISS”
Lucentini: risultati importanti per esplorare la variabilità genetica del virus
Bonadonna: le potenzialità della sorveglianza sui reflui riconosciute nel Piano europeo contro le varianti
Le varianti del virus SARS-CoV-2 inglese e brasiliana sono state individuate per la prima volta nelle acque di scarico italiane.
La ricerca, prima in assoluto sulle varianti in reflui urbani in Italia e tra le prime al mondo, è stata condotta dal gruppo di lavoro coordinato da Giuseppina La Rosa* del Dipartimento Ambiente e Salute e da Elisabetta Suffredini del Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità pubblica Veterinaria dell’ISS, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico della Puglia e della Basilicata. I risultati dello studio dimostrano che le acque di scarico posso essere un utile strumento per valutare la circolazione delle varianti di SARS-CoV-2 nei centri urbani.
Per consentire uno screening rapido, pratico e semplice delle varianti circolanti nella popolazione italiana è stato sviluppato, infatti, un metodo che prevede l’amplificazione e il sequenziamento di una parte del gene S contenente specifiche mutazioni in grado di caratterizzarle. Il metodo, testato inizialmente su campioni clinici (tamponi naso-faringei), è stato successivamente applicato all’analisi delle acque di scarico raccolte in fognatura prima dei trattamenti di depurazione. L’esame di questa matrice ha individuato, per la prima volta in campioni ambientali, la presenza di mutazioni caratteristiche delle varianti UK e brasiliana in alcune aree del nostro paese dove la circolazione di tali varianti era stata accertata in campioni clinici di pazienti CoViD-19.
In particolare sono state individuate sequenze con mutazioni tipiche di variante brasiliana e inglese in reflui raccolti a Perugia dal 5 all’8 febbraio e mutazioni tipiche della variante spagnola in campioni raccolti da impianti di depurazione a Guardiagrele, in Abruzzo dal 21 al 26 gennaio 2021.
“I nostri risultati – sottolinea Luca Lucentini, direttore del Reparto Qualità dell’Acqua e Salute – confermano le potenzialità della wastewater based epidemiology, non solo per lo studio dei trend epidemici, come già dimostrato in precedenti nostre ricerche e ormai consolidato nella letteratura scientifica, ma anche per esplorare la variabilità genetica del virus”.
“Le prospettive sono promettenti – dice Lucia Bonadonna, direttore del Dipartimento Ambiente e Salute dell’ISS – in particolare se pensiamo che la sorveglianza sui reflui è applicata in diversi paesi europei, anche se non ancora per la ricerca delle varianti. L’importanza della sorveglianza ambientale è stata riconosciuta, grazie anche al contributo dei risultati italiani, nel Piano europeo contro le varianti del COVID-19 (Hera incubator), che mira a rafforzare le difese dell’Unione davanti al crescente numero di mutazioni del virus”.
*gruppo di lavoro: Marcello Iaconelli, Giusy Bonanno Ferraro, Pamela Mancini e Carolina Veneri
Fonte: ISS
Il cimurro (CD) è una malattia mortale e altamente contagiosa dei carnivori selvatici e domestici. Nel territorio alpino, negli ultimi decenni, si sono verificati diversi focolai all’interno di popolazioni selvatiche. Il virus del cimurro si è ripresentato con particolare virulenza negli ultimi anni nelle valli lombarde determinando la morte di parecchie volpi e di altre specie come tassi e faine. Il cimurro è presente oramai da qualche anno nelle valli lombarde ormai popolate da numerose volpi; il virus, presente sotto forma di due varianti provenienti rispettivamente dal nord Europa e dalle zone alpine dell’ Italia orientale si è progressivamente diffuso nelle Alpi Lombarde interessando la provincia di Bergamo e Brescia, di Sondrio e quindi di Varese/Como. Negli ultimi giorni, ad ulteriore conferma di presenza di questa malattia in forma endemica, sono state conferite alla Unità Territoriale di Binago numerose volpi morte e di esse 5 sono risultate positive per il virus del cimurro. Un ulteriore segnale questo che la malattia ha raggiunto una notevole diffusione ed espansione sud-occidentale negli animali selvatici e segnatamente nella volpe che è la specie più rappresentata in termini di densità di popolazione, ma anche in altri selvatici come il tasso e la faina.
I ricercatori del Reparto Virologia dell’IZSLER con i colleghi delle Sedi territoriali di Bergamo, Brescia, Sondrio e Varese hanno seguito l’andamento epidemiologico della malattia negli anni dal 2018 al 2020 e descritto le caratteristiche del virus circolante in Lombardia in una pubblicazione open source dal titolo: Canine distemper outbreaks in wild carnivores in Northern Italy pubblicata sulla rivista Viruses (https://doi.org/10.3390/v13010099).
Una situazione molto simile si è verificata nelle colline della Romagna attorno a San Marino, da dove sono state conferite alla Sede Territoriale di Forlì dell’IZSLER dall’ambulatorio del CRAS (Centro di Recupero Animali Selvatici) 4 volpi morte con segni di chiari di cimurro, confermato successivamente dalle analisi di laboratorio. I materiali sono stati inviati dalla Virologia della Sede Centrale dove sono in corso di valutazione per confrontare i ceppi con gli altri isolati.
Il virus del cimurro, pur imparentato con il virus del morbillo, non infetta l’uomo, ma è tipico dei carnivori selvatici, come la volpe, e domestici, tra cui cane, furetto ed visone che possono contrarre una malattia, spesso mortale, che si manifesta con febbre, segni di difficoltà respiratoria, vomito, diarrea ed con sintomatologia nervosa.
Da un punto di vista epidemiologico il ciclo silvestre e urbano si possono sovrapporre; infatti, i cani possono contrarre la malattia sia a seguito di contatto con carcasse di animali morti che con le feci di animali ammalati. La vaccinazione del cane è estremamente efficace nel prevenire la malattia ed è pertanto indispensabile che i cani siano vaccinati e richiamati periodicamente, in modo particolare gli ausiliari e quelli che frequentano zone all’aperto dove possono essere transitate anche le volpi.
Fonte: IZS LER