Vespa velutina segnalata tra Lombardia ed Emilia

Il gvespa velutinaiorno 23 aprile sono stati trovati due adulti di Vespa velutina in una bottiglia trappola posizionata presso un apiario a San Damiano al Colle, un comune della provincia di Pavia sulle colline dell’Oltrepò Pavese, ai confini con la provincia di Piacenza.

L’apicoltore che le ha trovate, Arcangelo Montemurro (che ringraziamo per la grande attenzione e sollecitudine), ha immediatamente segnalato il ritrovamento su un blog di apicoltura, da cui la notizia è giunta alla rete Stopvelutina, che tramite un apicoltore dell’Associazione Provinciale Apicoltori Piacentini (APAP) presente sul posto ha verificato la segnalazione.

Purtroppo questo ritrovamento apre scenari preoccupanti per la possibile diffusione di Vespa velutina in Lombardia ed Emilia, un territorio prevalentemente pianeggiante e senza barriere naturali.

E’ indispensabile che già dai prossimi giorni le associazioni locali e i singoli apicoltori della zona si impegnino ad attivare un monitoraggio con le bottiglie trappola, secondo le indicazioni fornite a questa pagina. Presso il CREA-AA di Bologna sono anche a disposizione tappi Tap Trap per gli apicoltori che effettuano il monitoraggio.

In questa stagione i nidi di Vespa velutina sono ancora piccoli e gli adulti presenti presso gli alveari, rappresentati da singole regine o dalle primissime operaie, sono in numero basso; è pertanto molto difficile vederle in volo e il monitoraggio con trappole risulta il mezzo più efficace per individuarle.

Fonte: STOP Velutina

 




IPBES: sfuggire all’era delle pandemie passando dalla reazione alla prevenzione

Un nuovo importante rapporto sulla biodiversità e pandemie, redatto da 22 maggiori esperti nel mondo, avverte che se non ci sarà un cambiamento trasformativo nell’approccio globale alla gestione delle malattie  infettive, future pandemie emergeranno più spesso, si diffonderanno più rapidamente, arrecheranno più  danni all’economia mondiale e uccideranno più persone rispetto a COVID-19.

Convocati dalla Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES) per partecipare a un seminario, in modalità virtuale, sulle connessioni tra il degrado  della natura e l’aumento dei rischi pandemici, gli esperti concordano sul fatto che sfuggire all’era delle  pandemie è possibile, ma che ciò richiederà un cambiamento profondo  dell’approccio applicato: dalla reazione alla prevenzione.

COVID-19 è almeno la sesta pandemia sanitaria globale dalla Grande Pandemia Influenzale del 1918, e sebbene abbia le sue origini in patogeni trasmessi dagli animali, come tutte le pandemie, la sua comparsa è  stata interamente determinata dalle attività umane, afferma il rapporto pubblicato a ottobre 2020.

Si stima che esistano attualmente altri 1,7 milioni di virus “non ancora conosciuti” che utilizzano mammiferi e uccelli come ospiti, di questi circa 850.000 potrebbero avere la capacità di infettare le persone.

“Non c’è un grande mistero sulla causa della pandemia COVID-19 – o di qualsiasi pandemia moderna”, ha  affermato il dott. Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, chiamato a presiedere il seminario IPBES. “Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente,conducono al rischio di pandemia,. I cambiamenti nell’uso del territorio; l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura; e il commercio, la produzione e il consumo non  sostenibili sconvolgono la natura e aumentano il contatto tra fauna selvatica, animali allevati, agenti  patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie “.

Il Rapporto afferma che il rischio di pandemia può essere notevolmente ridotto riducendo le attività umane che causano la perdita di biodiversità, aumentando il livello di conservazione della natura mediante l’aumento delle aree protette e attraverso misure che riducono lo sfruttamento insostenibile delle regioni del pianeta ad alta biodiversità. Ciò ridurrà il contatto tra fauna selvatica, bestiame e esseri umani e aiuterà  a prevenire la diffusione di nuove malattie.

La schiacciante evidenza scientifica indica una conclusione molto positiva“, ha detto il dott. Daszak.  “Possiamo contare su una crescente capacità di prevenire le pandemie, ma il modo in cui le stiamo  affrontando in questo momento ignora in gran parte questa capacità. Il nostro approccio si è effettivamente impantanato: facciamo ancora affidamento sui tentativi di contenere e controllare le  malattie dopo che si sono manifestate, attraverso vaccini e terapie. Possiamo sfuggire all’era delle  pandemie, ma ciò richiede una maggiore attenzione alla prevenzione oltre alla reazione“. “I cambiamenti radicali che l’attività umana è stata in grado di produrre sul nostro ambiente naturale non  devono essere sempre visti come eventi negativi. Questi forniscono anche una prova convincente del  nostro potere di guidare il cambiamento necessario per ridurre il rischio di future pandemie, generando  contemporaneamente vantaggi per la conservazione e riducendo il cambiamento climatico“.

Il rapporto afferma che fare affidamento sulle risposte alle malattie dopo la loro comparsa, per esempio ricorrendo a misure di salute pubblica e a soluzioni tecnologiche e in particolare alla rapida preparazione e  alla distribuzione di nuovi vaccini e terapie, è un “percorso lento e incerto”, sottolineando come la reazione  alle pandemie comporti una diffusa sofferenza umana e decine di miliardi dollari l’anno di danni  all’economia globale.

Il rapporto offre anche una serie di opzioni politiche che aiuterebbero a ridurre e affrontare il rischio di pandemia. Tra queste:

• Istituire una commissione intergovernativa di alto livello sulla prevenzione delle pandemie allo scopo di: fornire ai decisori la migliore scienza ed evidenza sulle malattie emergenti; prevedere le aree ad alto  rischio; valutare l’impatto economico di potenziali pandemie ed evidenziare le lacune conoscitive da colmare con le attività di ricerca. Questa commissione potrebbe anche coordinare la progettazione di unquadro di monitoraggio globale.
• Impegnare i Paesi a stabilire obiettivi o traguardi reciprocamente concordati nel quadro di un accordo o  trattato internazionale, con chiari vantaggi per le persone, gli animali e l’ambiente.
• Istituzionalizzazione dell’approccio “One Health” nei governi nazionali per costruire la preparazione alle pandemie, migliorare i programmi di prevenzione delle pandemie e indagare e controllare le epidemie in tutti i settori.
• Sviluppare e incorporare (integrare) valutazioni del rischio di impatto sulla salute di malattie pandemiche ed emergenti nei principali programmi e progetti di sviluppo e di uso del suolo, riformando al contempo gli aiuti finanziari per l’uso del suolo in modo che i benefici e i rischi per la biodiversità e la salute siano riconosciuti e mirati esplicitamente.
• Garantire che il costo economico delle pandemie sia preso in considerazione nei processi di produzione e consumo, come pure nelle politiche e nei budget del governo.
• Favorire le trasformazioni necessarie per ridurre i modelli di consumo, di espansione dell’agricoltura globalizzata e di commercio che hanno portato a pandemie, anche includendo tasse o fiscalità su consumo di carne, produzione di bestiame e altre forme di attività ad alto rischio pandemico.
• Ridurre i rischi di malattie zoonotiche nel commercio internazionale di specie selvatiche attraverso: un nuovo partenariato intergovernativo “Salute e Commercio”; la riduzione o l’eliminazione delle specie ad alto rischio di malattia nel commercio della fauna selvatica; il rafforzamento dell’applicazione della legge in tutti gli aspetti del commercio illegale della fauna selvatica; e il miglioramento dell’educazione delle comunità locali nei siti hotspot delle malattie rispetto ai rischi per la salute legati al commercio di fauna selvatica.
• Valorizzare l’impegno e la conoscenza delle popolazioni indigene e delle comunità locali nei programmi di prevenzione delle pandemie, assicurando un maggior livello di sicurezza alimentare e riducendo il consumo di fauna selvatica.
• Colmare le lacune di conoscenza critica come quelle sui comportamenti a rischio, l’importanza del commercio illegale, non regolamentato, ma anche di quello legale e regolamentato della fauna selvatica in relazione al rischio di insorgenza di malattie e migliorare la comprensione della relazione tra degrado dell’ecosistema e ripristino, struttura del paesaggio e rischio di comparsa della malattia.




Il biossido di titanio non è più ritenuto sicuro come additivo per mangimi

Il biossido di titanio non può più essere ritenuto sicuro se usato come additivo nei mangimi per animali, ha concluso l’EFSA. La valutazione effettuata dal gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sugli additivi e i prodotti o le sostanze usati nei mangimi (FEEDAP) fa seguito alla conclusione raggiunta dal gruppo di esperti EFSA sugli additivi alimentari e gli aromatizzanti (FAF) secondo cui il medesimo composto non può più essere considerato sicuro se usato come additivo alimentare.

Il gruppo FEEDAP non ha potuto escludere timori in termini di genotossicità, ovvero la capacità di una sostanza di danneggiare il DNA, il materiale genetico delle cellule.

Dopo l’ingestione l’assorbimento di particelle di biossido di titanio è basso, tuttavia esse possono accumularsi nell’organismo. Tale elemento, insieme alla carenza di dati, ha comportato per il gruppo di esperti scientifici l’impossibilità di trarre conclusioni circa la sicurezza del TiO2 per gli animali, i consumatori e l’ambiente. Per quanto riguarda la sicurezza dei consumatori, il biossido di titanio, se inalato, è considerato potenzialmente cancerogeno.

Attualmente il biossido di titanio è attualmente autorizzato per l’uso come colorante.




Lotta alle zanzare: approda in Italia MosquitoAlert, l’app che permette ai cittadini di contribuire con un click

Un’istantanea dell’insetto consentirà a cittadini ed esperti di conoscere il tipo di zanzara, la sua pericolosità, le aree da disinfestare

Un’app per conoscere i tipi di zanzare che vedremo arrivare, puntuali e numerose, con l’arrivo dei mesi caldi, ma soprattutto per contribuire a combatterne le infestazioni. Il tutto con una semplice fotografia dell’insetto da inviare tramite l’applicazione MosquitoAlert alla Task Force che ha riunito a collaborare a questo progetto esperti dell’Università Sapienza di Roma e dell’Ateneo di Bologna, dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e del MUSE di Trento.

Già utilizzata in Spagna, l’app ha consentito di raccogliere migliaia di fotografie validate in tempo reale da esperti entomologi e utilizzate per tracciare l’invasione da parte di eventuali nuove specie, per identificare le regioni ed aree più infestate e dirigere gli interventi di controllo. Quest’anno MosquitoAlert è disponibile anche in Italia e contemporaneamente in altri 20 paesi grazie al progetto europeo AIM-COST coordinato dalla Prof.ssa Alessandra della Torre dell’Università Sapienza di Roma.

La Task Force di MosquitoAlert Italia si fa promotrice dell’iniziativa nel nostro Paese, senz’altro uno dei più infestati d’Europa, dove le zanzare non rappresentano solo una fonte di fastidio (spesso elevato), ma possono trasmettere virus capaci di provocare serie patologie all’uomo come il virus del West Nile, o quelli tropicali del Chikungunya o del Dengue. “Chiediamo ai cittadini di scaricare gratuitamente sul proprio telefono l’app MosquitoAlert e di ricordarsi, ogni qual volta avvistano o riescono a catturare una zanzara anche dopo averla colpita per autodifesa, di inviarne una fotografia tramite la stessa app”, spiega il Dott. Beniamino Caputo, ricercatore della Sapienza e coordinatore di MosquitoAlert Italia. “L’app consente anche di mandare semplici segnalazioni di punture o segnalare la presenza di raccolte d’acqua stagnante dove si possono sviluppare le zanzare e fornisce inoltre un indirizzo a cui inviare eventualmente l’intero esemplare. In cambio, gli utenti potranno conoscere la specie che li infastidisce e informarsi sui rischi sanitari connessi e avere accesso ad una mappa delle diverse specie presenti sul proprio territorio”.

E’ proprio la primavera il periodo della prevenzione, in cui cioè intervenire con trattamenti nelle aree pubbliche e private (giardini, orti, terrazzi), per rimuovere, con prodotti idonei, o rendere inaccessibili alle zanzare tutte quelle piccole o grandi raccolte d’acqua in cui potrebbero deporre le uova e nelle quali si possono sviluppare le larve. Ma come capire dove indirizzare le disinfestazioni per colpire le specie più pericolose?

Quest’anno esiste uno strumento in più che richiede la collaborazione attiva di tutti i cittadini per raccogliere dati sulle diverse specie di zanzare, incluse quelle invasive come la zanzara tigre e altre specie di origine asiatica. MosquitoAlert è un progetto di scienza partecipata (citizen science), come ormai ne esistono diversi che grazie all’aiuto dei cittadini consentono di raccogliere preziosissime informazioni sulla biodiversità, sulle specie invasive, sui rifiuti in plastica, sulla qualità dell’aria e dell’acqua, sull’inquinamento acustico e luminoso. Le zanzare possono colpire meno l’attenzione di un bel fiore o di una farfalla, tuttavia rappresentano non solo motivo di forte fastidio per molti, ma anche un rischio per la salute pubblica a causa dei virus che tramettono con le loro punture. Ora, sono i ricercatori a chiedere una mano ai cittadini per conoscerle e combatterle meglio.

La Task force di Mosquito Alert Italia offre un supporto tecnico scientifico nella gestione di questa piattaforma contribuendo alla rapida validazione del materiale inviato tramite MosquitoAlert e al riconoscimento delle specie di zanzare rappresentate nelle immagini. “Per questo motivo” afferma il Dott. Francesco Severini, ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità da sempre impegnato nella ricerca e nelle attività che tutelano la salute dei cittadini, “la qualità delle foto inviate è di fondamentale importanza per un’accurata e valida identificazione. Inoltre la possibilità di inviare l’esemplare fotografato ai laboratori di riferimento consentirà di identificare anche gli esemplari difficilmente riconoscibili senza un microscopio o perché parzialmente danneggiati”.

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L’Università Sapienza è in prima linea nel progetto Mosquito Alert ITALIA che nasce dalla vasta esperienza del gruppo di ricerca di Entomologia Sanitaria del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive e si propone di coinvolgere tutti gli studenti e il personale dell’Ateneo nell’utilizzo dell’app. Oggi, 11 maggio, parte la campagna social #SCATTALAZANZARA con il contributo degli studenti del corso di Laurea Magistrale in Comunicazione Scientifica Biomedica, coordinati dalla Prof.ssa Michaela Liuccio. “L’obiettivo è sensibilizzare studenti e personale della Sapienza a contribuire alla ricerca fornendo fotografie e segnalazioni ai colleghi entomologi e, al tempo stesso, sensibilizzare ai rischi associati alle zanzare e alle misure di prevenzione individuale e pubblica”. Ai più volenterosi si chiede inoltre di conservare eventuali esemplari di zanzare in freezer, utilizzando il codice della foto inviata tramite MosquitoAlert, e di consegnarle presso il punto di raccolta nell’atrio del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive”.

Fonte: ISS




Studiare gli effetti di propagazione dei patogeni dagli animali agli esseri umani

zoonosiGli scienziati di tutto il mondo stanno facendo a gara per chiarire gli effetti di propagazione, ovvero quando la diffusione delle malattie si verifica tra comunità animali ed esseri umani. Questa ricerca potrebbe contribuire a una migliore protezione contro malattie future.

Come ha mostrato la pandemia di COVID-19, le malattie infettive hanno il potere di alterare il nostro stile di vita. Uno dei principali meccanismi di fondo che gli scienziati stanno tentando di comprendere è l’effetto di propagazione, vale a dire quando e come avviene la trasmissione di patogeni tra specie, passando dagli animali agli esseri umani. Questo fenomeno si verifica molto in natura, ma la sua velocità si è drasticamente impennata negli ultimi decenni. Gran parte di tale incremento è attribuibile all’invasione e al danneggiamento degli habitat animali a livello mondiale da parte degli esseri umani, ad esempio, tramite l’ampliamento delle aree agricole in regioni densamente boscose e remote. Il più recente e drammatico esempio è rappresentato dal salto di specie del virus SARS-CoV-2 da un serbatoio animale agli esseri umani, comportando l’affermarsi della devastante pandemia di COVID-19. Ulteriori esempi riguardano il virus dell’HIV e dell’Ebola. «È evidente che esiste un rischio costante di nuove malattie infettive emergenti nel prossimo futuro. Per cercare di arginare il salto di specie dei patogeni, si dimostra determinante comprendere i meccanismi biologici che trainano la propagazione», spiega Benny Borremans, ecologista delle malattie presso l’Università della California di Los Angeles, partner del progetto. Questo era l’obiettivo del progetto SpiL, finanziato dall’UE. Il progetto SpiL ha esaminato una serie di dati formidabile relativa alla diffusione della Leptospira, un patogeno batterico che provoca la leptospirosi tra popolazioni di leoni marini della California e di volpi delle Channel Islands. «Il progetto ha effettuato una sintesi di concetti e casi di studio provenienti dalla letteratura in materia per l’elaborazione di una nuova teoria sulla propagazione dei patogeni tra ecosistemi», afferma Borremans, responsabile della ricerca del progetto SpiL nonché borsista del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie.

Progressi scientifici

Il primo importante risultato affronta un problema diffuso quando si tratta di studiare la diffusione di una malattia in una popolazione, per cui è difficile conoscere il momento esatto in cui una persona si è contagiata, in particolare nelle popolazioni animali. Un nuovo e promettente approccio misura il decadimento nei biomarcatori di infezione, tra cui gli anticorpi o la presenza di materiale genetico del patogeno. Ciò permette ai ricercatori di calcolare in maniera retrospettiva il verificarsi dell’infezione. «Questo tipo di analisi è stato tradizionalmente condotto solo tramite dati di infezione sperimentali. Un grande passo in avanti compiuto dal nostro operato è stato permettere l’esclusivo utilizzo di dati sul campo», spiega Niel Hens, professore di biostatistica presso l’Università di Hasselt, in Belgio, e coordinatore del progetto SpiL. Una nuova analisi statistica creata dal gruppo del progetto ha consentito l’integrazione di biomarcatori differenti, migliorando il calcolo retrospettivo del momento in cui avviene l’infezione. «Questo metodo costituisce un importante passo in avanti in questo ambito», aggiunge Hens. Questa attività ha fornito un vantaggio immediato per la comprensione della risposta immunitaria contro il virus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della COVID-19. Uno studio di risposta rapida, condotto da Borremans, è stato pubblicato sulla rivista eLife. Un secondo fondamentale risultato è stato lo sviluppo di una nuova teoria sulla propagazione. Il concetto che l’incontro di diversi ecosistemi si traduca nella propagazione è in circolazione da un po’ di tempo, ma i progressi teorici in merito si rivelano carenti. «Tramite la sintesi della letteratura in materia, abbiamo promosso nuovi concetti sulla propagazione dei patogeni in prossimità dei confini tra ecosistemi», afferma Jamie Lloyd-Smith, professore di ecologia e coordinatore delle attività del progetto svolte presso l’Università della California. I risultati potrebbero trovare un impiego immediato nella prevenzione degli effetti da propagazione. «Riteniamo che, sebbene siano molti i motivi per aspettarsi effettivamente velocità di propagazione più elevate ai confini tra ecosistemi, esistono anche meccanismi che riducono le velocità di propagazione», spiega Lloyd-Smith.

Ricerca futura

Al fine di evitare l’insorgenza di pandemie future e di comprendere davvero la propagazione, gli scienziati dovranno istituire una rete globale di indagine volta al monitoraggio continuo dei campioni presenti nella fauna selvatica e negli esseri umani. «Al centro di molti di questi tentativi si pongono i metodi di modellizzazione quantitativa, come quelli elaborati durante il progetto SpiL», afferma Borremans.

Fonte: Commissione Europea




Influenza Aviaria – EFSA: 25 paesi UE/SEE interessati

Circa 1 000 rilevamenti di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) sono stati segnalati in 25 Paesi UE/SEE e nel Regno Unito tra l’8 dicembre 2020 e il 23 febbraio 2021, si segnala in un recente rapporto sull’HPAI in Europa.

La maggior parte dei 1 022 rilevamenti – 592 – sono stati segnalati negli allevamenti di pollame, il resto in uccelli selvatici e uccelli in cattività. La maggior parte dei rilevamenti sono stati segnalati dalla Francia tra le anatre.

A causa della continua presenza di virus HPAI negli uccelli selvatici e nell’ambiente, c’è tuttora rischio di ulteriore diffusione, principalmente nelle aree ad alta densità di pollame.

In Russia sono stati segnalati nell’uomo sette casi di infezione da virus A(H5N8) HPAI, con sintomi lievi o nulli, tra addetti del settore pollame.

Il rischio di infezione legato al virus dell’influenza aviaria A(H5N8) rimane molto basso per la popolazione dell’UE/SEE in genere e basso per le persone esposte al virus per motivi professionali.

Rimane la possibilità che emergano nuovi ceppi con un maggiore potenziale di infettare gli esseri umani, ma a oggi non c’è evidenza di alcuna mutazione nota per il suo potenziale zoonotico.

Maggiori informazioni sulla situazione in Russia si possono reperire nel rapporto pubblicato questa settimana dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.

Fonte: EFSA




Il cambiamento climatico ha modificato la distribuzione dei pipistrelli favorendo la comparsa del virus SarsCov2

Il riscaldamento globale potrebbe avere favorito l’emergere del virus SarsCoV2. Lo indica la ricerca dell’università di Cambridge pubblicata sulla rivista Science of the total environment, che per la prima volta stabilisce un collegamento fra le condizioni climatiche delle foreste nel Sud della Cina e la comparsa di nuovi coronavirus veicolati dai pipistrelli.

La ricerca ha studiato i cambiamenti su larga scala avvenuti nella vegetazione della provincia meridionale cinese dello Yunnan, nel Myanmar e in Laos. Con l’aumento delle temperature, della luce solare e dell’anidride carbonica nell’atmosfera, il cambiamento climatico ha modificato gli habitat naturali, dalla savana tropicale alle foreste decidue, che sono così diventati gli ambienti adatti per molte specie delle specie di pipistrelli che vivono nelle foreste.

I ricercatori hanno infatti riscontrato che, rispetto alla media, sono aumentate del 40% le specie di pipistrelli che nell’utimo secolo si sono spostate nel Sud della Cina, dove sono stati isolati più di 100 tipi di coronavirus che hanno origine nei pipistrelli. Questa zona è inoltre quella in cui i dati genetici suggeriscono che possa essere nato il coronavirus SarsCoV2.

Il cambiamento climatico degli ultimi 100 anni ha reso la provincia dello Yunnan l’habitat ideale per più specie di pipistrelli“, commenta Robert Beyer, primo autore dello studio. Poiché il clima ha modificato gli habitat, le specie hanno lasciato delle aree spostandosi in altre, portandosi i virus con sé. “Sono cambiate così le regioni dove erano presenti i virus e – osserva . sono diventate possibili nuove interazioni tra gli animali e i patogeni, facendo evolvere alcuni virus in modo da rendendoli più dannosi nel trasmettersi“.

Nel mondo ci sono circa 3.000 i tipi di coronavirus veicolati dai pipistrelli finora noti e ogni specie di questi mammiferi ne ospita in media 2,7, senza quasi mai mostrare sintomi. Il cambiamento climatico ha inoltre aumentato il numero di specie di pipistrelli in Africa Centrale, Centro e Sud America. “Servono limiti all’espansione delle aree urbane e agricole – dicono i ricercatori – e bisogna cercare spazi negli habitat naturali per ridurre il contatto tra umani e animali che veicolano malattie“.

Fonte: ANSA




Proteggere le api: una nuova via per la valutazione dei rischi

apiL’EFSA ha compiuto un importante passo avanti nei suoi sforzi per contribuire a invertire la diminuzione di insetti impollinatori in Europa proponendo un nuovo approccio alla valutazione dei rischi ambientali (VRA) per le api da miele.

Un nuovo parere scientifico, richiesto dal Comitato per l’ambiente, la salute pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento europeo, mette a disposizione un quadro integrato e olistico per valutare gli effetti congiunti dei molteplici fattori di stress sulle api da miele, quadro noto come MUST-B.

Ha dichiarato Bernhard Url, direttore esecutivo dell’EFSA: “Si tratta di un rapporto importante per tutti coloro che vogliono preservare i ricchi ecosistemi europei, al centro dei quali si trovano non solo le api ma tutti i nostri insetti impollinatori. Definisce una chiara visione per trasformare il modo in cui valutiamo i rischi ambientali per gli impollinatori nell’UE.

“Siamo grati al Parlamento europeo per averci dato l’opportunità di fornire questo importante contributo alle ambiziose strategie dell’UE per aumentare la sostenibilità e la diversità”.

Il professor Simon More, presidente del gruppo di lavoro MUST-B, ha dichiarato: “Abbiamo lavorato sodo per consegnare quella che crediamo sia una proposta innovativa e lungimirante che farà progredire la teoria ma soprattutto la pratica della valutazione del rischio ambientale. Particolarmente gratificante è il fatto che siamo stati in grado di farlo collaborando con le principali parti interessate come gli apicoltori”.

Il parere scientifico MUST-B propone un approccio sistemico che combina la modellazione e i sistemi di monitoraggio finalizzati alla VRA da fattori molteplici di stress come pesticidi e altre sostanze chimiche ambientali, parassiti e malattie, come pure fattori quali la disponibilità di cibo, il clima e le pratiche di gestione dell’apicoltura.

Modellazione e dati

Il modello si basa su un simulatore di colonia di api, chiamato ApisRAM, che valuta  singoli pesticidi o più pesticidi nella loro interazione con altri elementi e fattori di stress. ApisRAM è ancora in fase di sviluppo ma sarà pronto per l’impiego nella valutazione del rischio connesso ai pesticidi nei prossimi due o tre anni.

Guardando ancora oltre ApisRAM renderà possibile valutare gli effetti dell’esposizione a miscele chimiche più complesse andando oltre l’approccio di valutazione singola coltura/singolo pesticida, in modo da rispecchiare la complessità dell’ambiente in cui vivono le api. Sarà anche possibile valutare gli effetti cronici, subletali e a livello di colonia di più sostanze chimiche sulla base della guida EFSA alla valutazione del rischio da miscele chimiche.

Il modello sarà alimentato in futuro dalla raccolta di dati in tempo reale da alveari sentinella dotati di sensori. Inizialmente utilizzerà i dati raccolti da progetti di raccolta sul campo finanziati dall’EFSA in Danimarca e Portogallo – che rappresentano, rispettivamente, le zone climatiche dell’Europa settentrionale e meridionale – disponibili più in avanti quest’anno.

I portatori di interesse

Le parti interessate svolgeranno un ruolo cruciale nella raccolta e condivisione di dati accessibili, affidabili e armonizzati sotto la guida del partenariato EU per le api (EU Bee Partnership), che nei prossimi mesi varerà un prototipo di piattaforma dati basata sul concetto di “centrale per le api”.

Il partenariato include rappresentanti UE dell’apicoltura, di associazioni veterinarie e agricole, del mondo accademico, delle ONG e dell’industria.

Oltre a incorporare i punti di vista delle parti interessate tramite il partenariato dell’UE per le api, il parere MUST-B tiene anche conto del più ampio contesto sociale grazie a una ricerca mirata condotta tra gli apicoltori in alcuni Paesi dell’UE.




Interventi Assistiti con gli Animali, report sulla normativa regionale italiana

Interventi assistiti con gli animaliÈ disponibile online il report riassuntivo riguardante la regolamentazione da parte delle Regioni e delle Province Autonome del settore degli Interventi Assistiti con gli Animali (IAA) elaborato dal Centro di referenza nazionale per gli IAA.

Questo documento ha lo scopo di rendere più agevole la consultazione dei punti chiave dei provvedimenti attuativi che le singole amministrazioni hanno emanato successivamente all’Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano del 25/03/2015 al fine di applicare efficacemente sul proprio territorio le “Linee guida nazionali per gli interventi assistiti con gli animali (IAA)”.

Questa prima versione, aggiornata a febbraio 2021, riporta in sintesi i contenuti dei provvedimenti regionali raggruppati nei macro-argomenti: formazione, figure sanitarie e operatori, centri e strutture; corredati da indicazioni sulla presenza o meno di elenchi dedicati e modulistica. Inoltre per ogni singola regione/provincia autonoma e norma sono linkati i siti e le normative complete, facilitando così l’accesso agli interessati.

Tale report funge da supporto sia per chi si sta approcciando agli IAA sia per chi già vi opera, verrà periodicamente aggiornato dal CRN IAA e sarà consultabile/scaricabile dall’indirizzo: 10.5281/zenodo.4636864

Visualizza il report »

Fonte: IZS Venezie




COVID-19: studi e riflessioni dell’epidemiologia italiana nel primo semestre della pandemia

Sul sito di Epidemiologia & Prevenzione è disponibile in formato open access il secondo blocco di articoli della monografia fortemente voluta dagli epidemiologi italiani per documentare i lavori prodotti durante la fase iniziale della pandemia di COVID-19.

Dopo gli editoriali e i lavori dei Gruppi AIE, e dopo gli articoli della sezione SORVEGLIANZA, è ora la volta della sezione METODI e della sezione AMBIENTE, in quest’ultima segnaliamo due articoli di grande interesse per chi studia la relazione tra inquinamento atmosferico e COVID-19.

A distanza di pochi giorni, e con cadenza costante, seguirà la pubblicazione di tutti gli articoli che ora vedete elencati nell’indice, dedicati agli studi di mortalità, ai test sierologici, alle condizioni di lavoro, alla salute materno-infantile, ai fattori di rischio, all’epidemiologia clinica, alle conseguenze sul nostro SSN, alle diseguaglianze e alle differenze di genere, senza tralasciare uno sforzo per capire cosa  avviene in altri continenti.