Il cimurro delle volpi nelle Valli lombarde e in Romagna

volpeIl cimurro (CD) è una malattia mortale e altamente contagiosa dei carnivori selvatici e domestici. Nel territorio alpino, negli ultimi decenni, si sono verificati diversi focolai all’interno di popolazioni selvatiche. Il virus del cimurro si è ripresentato con particolare virulenza negli ultimi anni nelle valli lombarde determinando la morte di parecchie volpi e di altre specie come tassi e faine. Il cimurro è presente oramai da qualche anno nelle valli lombarde ormai popolate da numerose volpi; il virus, presente sotto forma di due varianti provenienti rispettivamente dal nord Europa e dalle zone alpine dell’ Italia orientale si è progressivamente diffuso nelle Alpi Lombarde interessando la provincia di Bergamo e Brescia, di Sondrio e quindi di Varese/Como. Negli ultimi giorni, ad ulteriore conferma di presenza di questa malattia in forma endemica, sono state conferite alla Unità Territoriale di Binago numerose volpi morte e di esse 5 sono risultate positive per il virus del cimurro. Un ulteriore segnale questo che la malattia ha raggiunto una notevole diffusione ed espansione sud-occidentale negli animali selvatici e segnatamente nella volpe che è la specie più rappresentata in termini di densità di popolazione, ma anche in altri selvatici come il tasso e la faina.

I ricercatori del Reparto Virologia dell’IZSLER con i colleghi delle Sedi territoriali di Bergamo, Brescia, Sondrio e Varese hanno seguito l’andamento epidemiologico della malattia negli anni dal 2018 al 2020 e descritto le caratteristiche del virus circolante in Lombardia in una pubblicazione open source dal titolo: Canine distemper outbreaks in wild carnivores in Northern Italy pubblicata sulla rivista Viruses (https://doi.org/10.3390/v13010099).

Una situazione molto simile si è verificata nelle colline della Romagna attorno a San Marino, da dove sono state conferite alla Sede Territoriale di Forlì dell’IZSLER dall’ambulatorio del CRAS (Centro di Recupero Animali Selvatici) 4 volpi morte con segni di chiari di cimurro, confermato successivamente dalle analisi di laboratorio. I materiali sono stati inviati dalla Virologia della Sede Centrale dove sono in corso di valutazione per confrontare i ceppi con gli altri isolati.

Il virus del cimurro, pur imparentato con il virus del morbillo, non infetta l’uomo, ma è tipico dei carnivori selvatici, come la volpe, e domestici, tra cui cane, furetto ed visone che possono contrarre una malattia, spesso mortale, che si manifesta con febbre, segni di difficoltà respiratoria, vomito, diarrea ed con sintomatologia nervosa.

Da un punto di vista epidemiologico il ciclo silvestre e urbano si possono sovrapporre; infatti, i cani possono contrarre la malattia sia a seguito di contatto con carcasse di animali morti che con le feci di animali ammalati. La vaccinazione del cane è estremamente efficace nel prevenire la malattia ed è pertanto indispensabile che i cani siano vaccinati e richiamati periodicamente, in modo particolare gli ausiliari e quelli che frequentano zone all’aperto dove possono essere transitate anche le volpi.

Fonte: IZS LER




COVID-19, identificato dall’IZS di Torino il primo caso in Italia di variante inglese su gatto

gattoI laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLV) hanno identificato il primo caso di variante inglese di SARS-CoV-2 (lineage B.1.1.7) in un gatto.

Da bibliografia è la prima segnalazione a livello nazionale.

Si tratta di un gatto maschio castrato di razza europea, otto anni, che vive nel novarese in un contesto domestico. I sintomi respiratori nel gatto sono comparsi una decina di giorni dopo l’insorgenza della malattia e dall’isolamento domiciliare dei suoi conviventi.

Grazie al tempestivo intervento del Servizio Veterinario della Asl di Novara, che ha seguito con scrupolo le linee guida del Ministro della Salute, i campioni del test sono stati trasmessi all’IZSPLV dove è stata diagnosticata la positività al Covid-19, e dove, a seguito di ulteriori accertamenti, è stata riscontrata la presenza della variante inglese.

Il gatto, come i suoi proprietari, ora sono in via di guarigione.

L’IZSPLV sta lavorando all’approfondimento del caso in stretta connessione con la Regione Piemonte e il Ministero della Salute.

«La positività del gatto non deve generare allarmi – osserva Bartolomeo Griglio, responsabile della Prevenzione della Regione Piemonte -; a causa della malattia dei loro proprietari, gli animali d’affezione si ritrovano a vivere in ambienti a forte circolazione virale. Non è dunque inatteso che anch’essi possano contrarre l’infezione, ma non esiste evidenza scientifica sul fatto che giochino un ruolo nella diffusione del Covid-19. Il contagio interumano rimane la principale via di diffusione della malattia».

Sul piano della gestione sanitaria degli animali di pazienti infetti, la raccomandazione generale è di adottare comportamenti utili a ridurre quanto più possibile l’esposizione degli animali al contagio, evitando, ad esempio, i contatti ravvicinati con il paziente, così come si richiede agli altri membri del nucleo familiare.

«Gli organismi internazionali che si sono occupati dell’argomento – rileva Griglio – consigliano di evitare effusioni e di mantenere le misure igieniche di base che andrebbero sempre tenute come il lavaggio delle mani prima e dopo essere stati a contatto con gli animali, con la lettiera o la scodella del cibo».

«La diagnosi di Covid-19 su un gatto e l’identificazione della variante inglese effettuate presso il nostro Istituto – dichiara il direttore generale dell’IZSPLV, Angelo Ferrari – dimostrano quanto il sistema dei controlli e la gestione integrata della pandemia siano efficaci e pronti ad agire tempestivamente rispetto a quanto accade sul territorio».

A complimentarsi per primo con l’Istituto Zooprofilattico è l’assessore regionale alla Sanità del Piemonte, Luigi Genesio Icardi: «Mi congratulo per il lavoro di alta professionalità che l’istituto sta svolgendo, nell’emergenza pandemica il sequenziamento dei virus è un’attività strategica. Anche in questo caso, l’Istituto si conferma un’eccellenza scientifica di livello nazionale».

L’approfondimento scientifico

La sequenza parziale del gene S con tecnica Sanger, comprendente la regione del “Receptor Binding Domain di Sars-CoV-2”, ha permesso di osservare la presenza dell mutazione N501Y e di altre tre mutazioni (A570D, P681H, T716I) che, insieme con la delezione 69-70, precedentemente rilevata con il test diagnostico in real time PCR (ThermoFisher), sono compatibili con la variante inglese VOC 202012/01. Sono in corso gli approfondimenti diagnostici, mediante sequenziamento dell’intero genoma con tecnica NGS, per l’attribuzione del “lineage” genomico.

Fonte: IZS Torino




Covid19: al G20 Iss propone piattaforma di formazione in sanità pubblica per fronteggiare le crisi sanitarie future

logo ISSSarà il Public Health Officer la risposta alle emergenze sanitarie future e l’Istituto Superiore di Sanità propone una piattaforma per la formazione. È questa la proposta lanciata in occasione del G20, il meeting organizzato daPalazzo Chigi che ha visto partecipare i delegati di tutti i Paesi membri, i rappresentanti di alcuni Paesi ospiti, delle Agenzie delle Nazioni Unite e di Istituzioni italiane ed internazionali, in occasione dell’evento virtuale “G20 Public Health Officers (PHOs) training Laboratorium to lead preparedness and response to health crisis”.
“Il Public Health Officer rappresenta un trait d’union tra il mondo scientifico della medicina e della sanità pubblica e l’universo dei decisori – dice Silvio Brusaferro – da qui nasce la proposta di creare un Laboratorium internazionale, un luogo virtuale di incontro e scambio di idee, che ha l’obiettivo di rendere armonica la formazione d’eccellenza dei professionisti di sanità pubblica, per guidare la prevenzione, la preparazione e la risposta alle crisi sanitarie in tutto il mondo”.
L’Istituto Superiore di Sanità si propone di ospitare le migliori attività formative in tema di sanità pubblica, nate e consolidate durante la pandemia, fondamentali per la risposta a tutte le future crisi sanitarie internazionali.

Fonte: ISS




Studiare gli effetti di propagazione dei patogeni dagli animali agli esseri umani

zoonosiGli scienziati di tutto il mondo stanno facendo a gara per chiarire gli effetti di propagazione, ovvero quando la diffusione delle malattie si verifica tra comunità animali ed esseri umani. Questa ricerca potrebbe contribuire a una migliore protezione contro malattie future.

Come ha mostrato la pandemia di COVID-19, le malattie infettive hanno il potere di alterare il nostro stile di vita. Uno dei principali meccanismi di fondo che gli scienziati stanno tentando di comprendere è l’effetto di propagazione, vale a dire quando e come avviene la trasmissione di patogeni tra specie, passando dagli animali agli esseri umani. Questo fenomeno si verifica molto in natura, ma la sua velocità si è drasticamente impennata negli ultimi decenni. Gran parte di tale incremento è attribuibile all’invasione e al danneggiamento degli habitat animali a livello mondiale da parte degli esseri umani, ad esempio, tramite l’ampliamento delle aree agricole in regioni densamente boscose e remote. Il più recente e drammatico esempio è rappresentato dal salto di specie del virus SARS-CoV-2 da un serbatoio animale agli esseri umani, comportando l’affermarsi della devastante pandemia di COVID-19. Ulteriori esempi riguardano il virus dell’HIV e dell’Ebola. «È evidente che esiste un rischio costante di nuove malattie infettive emergenti nel prossimo futuro. Per cercare di arginare il salto di specie dei patogeni, si dimostra determinante comprendere i meccanismi biologici che trainano la propagazione», spiega Benny Borremans, ecologista delle malattie presso l’Università della California di Los Angeles, partner del progetto. Questo era l’obiettivo del progetto SpiL, finanziato dall’UE. Il progetto SpiL ha esaminato una serie di dati formidabile relativa alla diffusione della Leptospira, un patogeno batterico che provoca la leptospirosi tra popolazioni di leoni marini della California e di volpi delle Channel Islands. «Il progetto ha effettuato una sintesi di concetti e casi di studio provenienti dalla letteratura in materia per l’elaborazione di una nuova teoria sulla propagazione dei patogeni tra ecosistemi», afferma Borremans, responsabile della ricerca del progetto SpiL nonché borsista del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie.

Progressi scientifici

Il primo importante risultato affronta un problema diffuso quando si tratta di studiare la diffusione di una malattia in una popolazione, per cui è difficile conoscere il momento esatto in cui una persona si è contagiata, in particolare nelle popolazioni animali. Un nuovo e promettente approccio misura il decadimento nei biomarcatori di infezione, tra cui gli anticorpi o la presenza di materiale genetico del patogeno. Ciò permette ai ricercatori di calcolare in maniera retrospettiva il verificarsi dell’infezione. «Questo tipo di analisi è stato tradizionalmente condotto solo tramite dati di infezione sperimentali. Un grande passo in avanti compiuto dal nostro operato è stato permettere l’esclusivo utilizzo di dati sul campo», spiega Niel Hens, professore di biostatistica presso l’Università di Hasselt, in Belgio, e coordinatore del progetto SpiL. Una nuova analisi statistica creata dal gruppo del progetto ha consentito l’integrazione di biomarcatori differenti, migliorando il calcolo retrospettivo del momento in cui avviene l’infezione. «Questo metodo costituisce un importante passo in avanti in questo ambito», aggiunge Hens. Questa attività ha fornito un vantaggio immediato per la comprensione della risposta immunitaria contro il virus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della COVID-19. Uno studio di risposta rapida, condotto da Borremans, è stato pubblicato sulla rivista eLife. Un secondo fondamentale risultato è stato lo sviluppo di una nuova teoria sulla propagazione. Il concetto che l’incontro di diversi ecosistemi si traduca nella propagazione è in circolazione da un po’ di tempo, ma i progressi teorici in merito si rivelano carenti. «Tramite la sintesi della letteratura in materia, abbiamo promosso nuovi concetti sulla propagazione dei patogeni in prossimità dei confini tra ecosistemi», afferma Jamie Lloyd-Smith, professore di ecologia e coordinatore delle attività del progetto svolte presso l’Università della California. I risultati potrebbero trovare un impiego immediato nella prevenzione degli effetti da propagazione. «Riteniamo che, sebbene siano molti i motivi per aspettarsi effettivamente velocità di propagazione più elevate ai confini tra ecosistemi, esistono anche meccanismi che riducono le velocità di propagazione», spiega Lloyd-Smith.

Ricerca futura

Al fine di evitare l’insorgenza di pandemie future e di comprendere davvero la propagazione, gli scienziati dovranno istituire una rete globale di indagine volta al monitoraggio continuo dei campioni presenti nella fauna selvatica e negli esseri umani. «Al centro di molti di questi tentativi si pongono i metodi di modellizzazione quantitativa, come quelli elaborati durante il progetto SpiL», afferma Borremans.

Fonte: Commissione Europea




Etica e trial dei vaccini anti-COVID, online il Rapporto ISS

vaccinoÈ stato pubblicato il Rapporto ISS COVID-19 “Aspetti di etica nella sperimentazione di vaccini anti-COVID-19”, elaborato del Gruppo di Lavoro “Bioetica COVID-19” dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Nel testo si presentano, analizzano e discutono i principali di aspetti di etica riguardanti la sperimentazione clinica di vaccini anti-COVID-19.

La risposta alla pressante richiesta di disponibilità di vaccini su larga scala ha determinato una contrazione dei tempi della sperimentazione di vaccini anti-COVID-19, mantenendo il rispetto dei requisiti previsti per gli studi convenzionali. Ciò è stato possibile grazie all’applicazione di strategie di salvaguardia della sicurezza, che hanno consentito di superare gran parte dei limiti intrinseci dell’accelerazione e supportare l’evidenza scientifica sulla sicurezza. Nel contesto della pandemia occorre evitare ritardi nelle procedure autorizzative, ma è doveroso anche non cedere sul rigore nella metodologia scientifica: è importante arrivare presto, ma è ancor più importante arrivare bene.

Il testo si apre con una panoramica sugli aspetti tecnico-scientifici delle sperimentazioni dei candidati vaccini anti-COVID-19.

Sono poi descritti e analizzati gli aspetti giuridici e regolatori, sia a livello internazionale, sia specifici della nostra nazione, per la sperimentazione di vaccini anti-COVID-19.

Nell’approfondimento sugli aspetti di etica si sottolinea che le sperimentazioni di vaccini anti-COVID-19 devono essere conformi ai criteri di etica che si applicano a qualsiasi sperimentazione clinica. Tuttavia, nelle emergenze pandemiche l’applicazione di alcuni di tali criteri può essere difficoltosa. Occorre particolare attenzione nel bilanciare la necessità di rigore sia nella metodologia scientifica, sia di rispetto dei criteri di etica: non sono ammesse deroghe né nella scientificità, né nell’eticità. Particolarmente critico è l’uso del placebo. Vale la regola generale che non dovrebbe essere ammesso l’uso del placebo quando è disponibile un prodotto efficace. Deroghe a tale regola sono ammissibili solo entro i limiti stabiliti nei documenti di riferimento, tra cui la Dichiarazione di Helsinki. L’analisi include anche il tema di cosiddetti “challenge studies”, in cui vi è deliberata infezione dei volontari sani partecipanti. Sebbene in alcuni casi eccezionali studi di tale tipo potrebbero essere ammissibili, l’impianto stesso della metodologia suscita perplessità e pare, sotto il profilo etico, non accettabile per la sperimentazione di vaccini anti-COVID-19.

Il Gruppo di Lavoro è coordinato da Carlo Petrini (Direttore dell’Unità di Bioetica e Presidente del Comitato Etico dell’ISS) e include esperti, interni e esterni all’ISS, che coprono molteplici aree disciplinari, oltre la bioetica: sanità pubblica, epidemiologia, medicina clinica, giurisprudenza, biodiritto, scienze infermieristiche, filosofia, pediatria, cure palliative, e altre. Grazie alla molteplicità di competenze, il Gruppo di Lavoro “Bioetica COVID-19” ha prodotto documenti su varie tematiche con implicazioni di etica poste dalla pandemia.

Per la redazione del Rapporto il Gruppo di Lavoro si è avvalso della collaborazione di esperti di varie strutture dell’ISS: il Centro Nazionale per la Ricerca e la Valutazione Preclinica e Clinica dei Farmaci, il Dipartimento di Malattie Infettive, il Servizio di Coordinamento e Supporto alla Ricerca.

L’auspicio è che il Rapporto sia di aiuto a chi programma, valuta, esegue o partecipa a sperimentazioni di vaccini anti-COVID-19.

Si è, però, adottato uno stile semi-divulgativo, con lo scopo di offrire anche ai cittadini non esperti un testo accessibile per approfondire la tematica.

Il Rapporto è pubblicato mentre si affaccia la disponibilità dei primi vaccini sperimentati a partire dai mesi immediatamente successivi all’inizio della pandemia. Ciò, tuttavia, non rende il Rapporto intempestivo: numerose sperimentazioni di vaccini anti-COVID-19 proseguiranno e ne verranno avviate nuove, con lo scopo non solo di rendere disponibili un maggior numero di vaccini, ma anche di affrontare le nuove varianti che nel tempo compaiono e si diffondono.

Fonte: ISS




Epidemia di EHV-1 in Europa. Prime indicazioni operative sulla diagnosi di possibili casi sospetti

La diffusione della Rinopolmonite Equina da Herpes Equino di tipo 1 (EHV-1) in Europa sta destando una certa preoccupazione nelle autorità sanitarie europee; anche il Ministero della Salute italiano sta monitorando e analizzando attentamente la situazione.

Dopo il primo focolaio scoperto a Valencia lo scorso febbraio, sono stati segnalati casi analoghi anche in Francia, Belgio e Germania. Dalle prime informazioni sembra si tratti dell’epidemia di EHV-1 più grave che si sia registrata in Europa da diversi decenni, causata da un ceppo di EHV-1 particolarmente aggressivo che ha già causato decessi di equini e un numero molto elevato di casi clinici gravi. La Federazione Equestre Internazionale (FISE) ha pertanto comunicato alcuni giorni fa alle Federazioni nazionali, e poi anche alla stampa, le misure di controllo assunte per prevenirne l’espansione.

Tutte le info sul sito dell’ IZS Venezie

 

 




Peste suina africana: elaborare una “strategia di uscita” per i Paesi interessati dalla malattia

cinghiale

L’EFSA ha elaborato strategie di sorveglianza che aiuteranno i Paesi interessati dalla peste suina africana (PSA) a determinare quando il virus abbia smesso di circolare tra le proprie popolazioni di cinghiali selvatici.

Il parere scientifico raccomanda una “strategia di uscita” che consta di due fasi: un periodo di sorveglianza di routine dei cinghiali selvatici (fase di screening) seguito da un periodo più breve di sorveglianza intensa (fase di conferma).

La modellazione ha dimostrato che:

  • La precisione dell’approccio aumenta in linea con il numero di carcasse di cinghiale selvatici raccolte e testate.
  • L’allungamento del periodo di monitoraggio aumenta le possibilità di verificare che il virus della PSA non circoli più.
  • L’uso della sorveglianza attiva basata sulla caccia ha un impatto limitato sull’ della strategia di uscita.

Il parere fornisce esempi pratici di come applicare la strategia di uscita sia alle grandi che alle piccole aree interessate. Esprime anche raccomandazioni sui periodi minimi di monitoraggio necessari per rendere efficace la strategia.

Fonte: EFSA




Basso rischio di infezione parassitaria in gran parte delle specie ittiche allevate nelle acque europee

pesciBuone notizie per i consumatori di pesce europei: c’è un parassita di cui non si devono preoccupare quando consumano pesce d’allevamento prodotto dalla maricoltura d’Europa. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista «Eurosurveillance», il rischio correlato a questo parassita, chiamato Anisakidae, è trascurabile per il pesce di mare allevato in Europa. L’aumento della domanda di prodotti ittici in Europa e le nuove tendenze alimentari che prevedono il consumo di pesce crudo o poco cotto potrebbero avere aumentato la nostra esposizione ai parassiti dei pesci. Il diritto europeo richiede pertanto l’applicazione di un trattamento di congelamento ai prodotti ittici destinati a essere consumati crudi o poco cotti. L’unica specie esente da tale trattamento è il salmone atlantico per il quale, come dimostrato dagli studi precedenti, il rischio che contenga parassiti è molto basso. Con il sostegno del progetto ParaFishControl, finanziato dall’UE, lo studio in questione si è dunque concentrato sulla presenza di parassiti di Anisakidae zoonotici, ovvero trasmessi dagli animali agli esseri umani, nelle specie ittiche marine più allevate in Europa, ad esclusione del salmone atlantico. L’Anisakidae è una famiglia di vermi nematodi parassiti presenti nell’intestino degli animali. Se questi vermi vengono ingeriti da una persona tramite il consumo di pesce crudo o poco cotto, le loro larve possono provocare una malattia chiamata anisachiasi. Identificata per la prima volta negli esseri umani nel 1960, questa malattia è considerata una grave minaccia per la salute umana ed è la causa di migliaia di sindromi invasive e allergiche correlate in tutto il mondo, come affermato dallo studio.

Le specie ittiche studiate

I ricercatori hanno valutato il rischio di presenza del parassita Anisakidae zoonotico in orate, branzini, rombi chiodati e trote iridee marine allevati nei mari europei. Da marzo 2016 a novembre 2018 sono stati analizzati in totale 6 549 pesci marini: 2 753 orate, 2 761 branzini e 1 035 rombi chiodati. I campioni sono stati raccolti da 14 allevamenti in Grecia, Spagna e Italia. In aggiunta, sono stati esaminate 200 trote iridee provenienti dalla Danimarca, oltre a 290 branzini e 352 orate importati in Spagna e in Italia da Croazia, Grecia e Turchia. Secondo lo studio, l’orata, il branzino e il rombo chiodato «rappresentano il 95 % della produzione della maricoltura dell’UE, escludendo il salmone atlantico, e vengono allevati quasi interamente in 19 paesi mediterranei, tra cui Grecia, Spagna e Italia sono i più importanti produttori dell’UE». Data l’assenza di vermi di Anisakidae zoonotici nel pesce esaminato, il gruppo di ricerca ha scoperto che il rischio di infezione è trascurabile per la gran parte delle specie ittiche prodotte dalle attività della maricoltura europea. Gli autori dello studio concludono: «Orate, branzini, rombi chiodati e trote iridee marine allevati dovrebbero pertanto essere considerati adatti, al pari del salmone atlantico, a beneficiare dell’esenzione dal trattamento di congelamento previsto dal regolamento UE 1276/2011 per i prodotti di itticoltura, nella forma di “prodotti della pesca che vanno consumati crudi o praticamente crudi; oppure i prodotti della pesca marinati, salati e qualunque altro prodotto della pesca trattato, se il trattamento praticato non garantisce l’uccisione del parassita vivo”». Il progetto ParaFishControl (Advanced Tools and Research Strategies for Parasite Control in European farmed fish) si è concluso a marzo 2020. Il suo obiettivo generale è stato rendere il settore dell’acquacoltura europea più sostenibile e competitivo. Per raggiungerlo, il progetto ha migliorato la comprensione scientifica delle interazioni tra pesci e parassiti, trovando modi per evitare, controllare e mitigare la presenza dei parassiti più pericolosi che interessano le specie ittiche maggiormente allevate in Europa.

Per ulteriori informazioni, consultare: sito web del progetto ParaFishControl

Fonte: Commissione Europea




Influenza Aviaria – EFSA: 25 paesi UE/SEE interessati

Circa 1 000 rilevamenti di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) sono stati segnalati in 25 Paesi UE/SEE e nel Regno Unito tra l’8 dicembre 2020 e il 23 febbraio 2021, si segnala in un recente rapporto sull’HPAI in Europa.

La maggior parte dei 1 022 rilevamenti – 592 – sono stati segnalati negli allevamenti di pollame, il resto in uccelli selvatici e uccelli in cattività. La maggior parte dei rilevamenti sono stati segnalati dalla Francia tra le anatre.

A causa della continua presenza di virus HPAI negli uccelli selvatici e nell’ambiente, c’è tuttora rischio di ulteriore diffusione, principalmente nelle aree ad alta densità di pollame.

In Russia sono stati segnalati nell’uomo sette casi di infezione da virus A(H5N8) HPAI, con sintomi lievi o nulli, tra addetti del settore pollame.

Il rischio di infezione legato al virus dell’influenza aviaria A(H5N8) rimane molto basso per la popolazione dell’UE/SEE in genere e basso per le persone esposte al virus per motivi professionali.

Rimane la possibilità che emergano nuovi ceppi con un maggiore potenziale di infettare gli esseri umani, ma a oggi non c’è evidenza di alcuna mutazione nota per il suo potenziale zoonotico.

Maggiori informazioni sulla situazione in Russia si possono reperire nel rapporto pubblicato questa settimana dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.

Fonte: EFSA




Casi di Campylobacter e Salmonella stabili nell’UE

In Europa il numero di casi di malattia provocata nell’uomo dai batteri Campylobacter e Salmonella sembra essersi stabilizzato negli ultimi cinque anni. È quanto emerge dall’ultima relazione sulle malattie zoonotiche dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC).

La campilobatteriosi, dal 2005 la malattia gastrointestinale più diffusa nell’Unione europea (UE), ha colpito oltre 220 000 persone nel 2019. La seconda malattia zoonotica segnalata con maggior frequenza nell’UE è stata la salmonellosi, che ha interessato circa 88 000 persone.

Dall’esame di 66 113 campioni di alimenti pronti al consumo, ossia alimenti che non necessitano di cottura prima di essere consumati, lo 0,3 % è risultato positivo a Salmonella, mentre su 191 181 campioni di alimenti non pronti al consumo è risultato positivo l’1,5 %. Diciotto dei 26 Stati membri che comunicano dati sui programmi di controllo di Salmonella nelle popolazioni di pollame hanno centrato tutti gli obiettivi di riduzione rispetto a quanto hanno fatto 14 Stati membri nel 2018.

Le altre malattie maggiormente segnalate sono state le infezioni da Escherichia coli produttore di tossine Shiga (STEC), yersiniosi e listeriosi. Dopo una lunga fase di incremento, i casi conclamati di listeriosi nell’uomo si sono stabilizzati nel periodo 2015-2019. Nel 2019 i casi segnalati sono stati 2 621 e hanno riguardato perlopiù soggetti di oltre 64 anni di età. A causa degli elevati tassi di ospedalizzazione (92 %) e di mortalità (17,6 %), si è rivelata la malattia zoonotica più grave.

Mediante la relazione vengono monitorati anche i focolai di malattie di origine alimentare nell’UE, ossia casi in cui almeno due persone contraggono la stessa malattia dopo aver consumato lo stesso cibo contaminato. Benché Salmonella sia rimasto l’agente riscontrato con maggior frequenza, responsabile di 926 focolai, il numero dei focolai dovuti a S. Enteritidis è diminuito. Le più comuni fonti di infezione da Salmonella sono state rappresentate da uova e ovoprodotti. I norovirus nel pesce e nei prodotti della pesca hanno provocato il più elevato numero di focolai (145) per i quali sono state riscontrate “solide evidenze” a sostegno di un’origine alimentare.

Nel 2019 sono stati registrati complessivamente 5 175 casi di focolai infettivi di origine alimentare, in calo del 12,3 % rispetto al 2018.

La relazione contiene dati riguardanti anche Mycobacterium bovis/capraeBrucellaYersiniaTrichinellaEchinococcusToxoplasma gondii, rabbia, febbre Q, virus della Valle del Nilo e tularemia.

Fonte: EFSA