Prevenire la trasmissione di SARS CoV 2 dall’uomo ai mammiferi selvatici. Linee guida OIE

L’Oie, Organizzazione mondiale per la sanità animale ha elaborato delle linee guida rivolte ai lavoratori che operano a contatto con la fauna selvatica, in particolare mammiferi.

Secondo le conoscenze attuali, il virus SARS CoV 2 è da considerare un patogeno umano di probabile origine zoonotica la quale tuttavia ancora non è stata identificata con certezza, né è stato identificato l’animale “ospite intermedio” che acquisendo il virus lo avrebbe poi trasmesso all’uomo. Sarebbero quindi gli esseri umani ad agire come serbatoio del virus e a sostenerne la trasmissione, anche nei confronti di altri animali, come confermato anche da due recenti studi scientifici [*].

L’attenzione su possibili zoonosi inverse era già stata posta da Ilaria Capua (“COVID-19. La prima epidemia a evolvere in panzoozia?“) e Giovanni Di Guardo (“Nuovo coronavirus, dagli animali all’uomo, dall’uomo agli animali e……..“), che appellandosi all’approccio One Health, hanno sottolineato il pericolo derivante dal coinvolgimento di altre specie animali suscettibili nei confronti SARS-CoV-2, fra cui anche primati non umani.

Al momento la trasmissione uomo-animale del virus ha riguardato cani e gatti domestici, visoni da allevamento, tigri e leoni in cattività.

Ma il rischio di trasmissione da uomo ad animale selvatico non in cattività desta parecchia preoccupazione anche per l’Oie: se alcune specie selvatiche diventassero a loro volta reservoir del virus si complicherebbe ulteriormente l’azione di controllo della salute pubblica, aumenterebbero i rischi di zoonosi e di trasmissione ad altre specie animali, con notevoli impatti sulla salute e sulla conservazione della fauna selvatica.

In tal senso le linee guida sono state sviluppate dall’Oie per ridurre al minimo il rischio di trasmissione della SARS CoV 2 dalle persone ai mammiferi selvatici in libertà e sono rivolte in particolare, alle persone che operano con la fauna selvatica sia sul campo, sia a diretto contatto (Manipolazione) che indiretto (Entro 2 metri o in uno spazio ristretto) con mammiferi selvatici liberi, o che lavorano in situazioni in cui tali animali possono entrare in contatto con superfici o materiali contaminati da infezioni.

[*] Possibility for reverse zoonotic transmission of SARS-CoV-2 to free-ranging wildlife: A case study of bats e Jumping back and forth: anthropozoonotic and zoonotic transmission of SARS-CoV-2 on mink farms

A cura della segreteria SIMeVeP




ISS: Indicazioni ad interim sulla gestione e smaltimento di mascherine e guanti monouso provenienti da utilizzo domestico e non domestico

L’Istituto Superiore di sanità ha pubblicato il “Rapporto ISS COVID-19 n. 26/2020 – Indicazioni ad interim sulla gestione e smaltimento di mascherine e guanti monouso provenienti da utilizzo domestico e non domestico. Versione del 18 maggio 2020”

Il documento fornisce raccomandazioni per la gestione di mascherine e guanti monouso come rifiuti prodotti da utilizzo domestico e non domestico, compresi Enti pubblici e privati, attività commerciali e produttive, diverse dalle attività sanitarie e sociosanitarie. Vengono fornite raccomandazioni anche sulle caratteristiche, posizionamento e movimentazione dei contenitori per la raccolta di tali rifiuti.

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Scarica il poster su smaltimento di guanti e mascherine




Covid-19, il report bisettimanale dell’ISS

issL’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato ieri i dati del report bisettimanale della Sorveglianza integrata COVID-19 con l’appendice al bollettino con il dettaglio regionale  e l’Infografica bisettimanale relativa alle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a COVID-19 in Italia.




ISS: malattia di Kawasaki e sindrome infiammatoria acuta, bambini sorvegliati speciali

Sulla base delle evidenze scientifiche disponibili ad oggi non è dimostrato che i pazienti pediatrici che in passato hanno avuto diagnosi di malattia di Kawasaki siano esposti ad un rischio maggiore rispetto agli altri bambini di contrarre SARS-CoV-2, né di presentare una recidiva di malattia di Kawasaki. Tuttavia, recenti pubblicazioni scientifiche descrivono una sindrome infiammatoria acuta multisistemica in età pediatrica e adolescenziale, associata a positività per il SARS-CoV-2 o presenza di anticorpi anti SARS-CoV-2. Questa sindrome sembrerebbe condividere alcune caratteristiche cliniche con la malattia di Kawasaki ma, secondo le indicazioni dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e della World Health Organization (WHO), si tratta di una forma clinica che va differenziata dalla malattia di Kawasaki e che è ancora in via di definizione.

L’ISS, al riguardo, ha pubblicato il RAPPORTO COVID-19 “Indicazioni ad interim su malattia di Kawasaki e sindrome infiammatoria acuta multisistemica in età pediatrica e adolescenziale nell’attuale scenario emergenziale da infezione da SARS-CoV-2” , elaborato da un gruppo interdisciplinare di esperti, coordinato da Domenica Taruscio. Il Rapporto è un documento operativo di sanità pubblica che fornisce indicazioni essenziali e raccomandazioni per affrontare e gestire questa sindrome pediatrica e adolescenziale ancora in via di completa definizione.

“Si tratta di un evento grave, ancorché raro, che merita tutta l’attenzione dei pediatri, degli infettivologi, dei reumatologi, dei cardiologici e degli altri professionisti della salute, soprattutto considerando l’associazione con la pandemia da COVID-19 tuttora in corso – afferma Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare (ISS) e coordinatrice del Gruppo di lavoro “COVID-19 e Malattie rare” – E’ infatti importante identificare precocemente i pazienti, ricoverarli tempestivamente ed effettuare l’accertamento diagnostico accurato per avviarli al trattamento appropriato”.

La malattia di Kawasaki

La malattia di Kawasaki è una vasculite sistemica che colpisce prevalentemente i bambini di età inferiore a 5 anni e la cui prognosi dipende essenzialmente dal coinvolgimento delle arterie coronarie. Ha un’incidenza in Italia di circa 14 su 100.000/anno in bambini sotto i 5 anni, con un numero di casi di circa 450/anno calcolato sulla base delle dimissioni ospedaliere. I sintomi sono febbre (≥38°C), congiuntivite bilaterale senza secrezioni, arrossamento delle labbra e della mucosa orale, eruzione cutanea e linfoadenopatia cervicale monolaterale, che possono anche non essere tutti presenti contemporaneamente. E’importante che il bambino con questi sintomi venga rapidamente valutato dal pediatra e portato in ospedale per effettuare gli accertamenti clinici e laboratoristici. Se la diagnosi viene confermata, si deve iniziare la terapia farmacologia appropriata nei tempi previsti dalle linee guida. Pertanto, l’appropriatezza e la tempestività della diagnosi incidono in modo considerevole sulla prognosi. Non ci sono al momento evidenze che il trattamento della malattia di Kawasaki debba essere modificato in epoca di pandemia COVID-19 rispetto alle linee guida esistenti.

I dati epidemiologici della malattia di Kawasaki suggeriscono un’eziologia infettiva, sebbene l’agente causale non sia ancora stato identificato. Non è stabilita, al momento, un’associazione con l’infezione da SARS-CoV-2. In particolare non è possibile al momento attuale verificare se il numero dei soggetti affetti sia aumentato quest’anno, in concomitanza con l’epidemia da COVID-19.

La sindrome infiammatoria acuta multisistemica

L’ECDC ha pubblicato, lo scorso 15 maggio, un Rapid Risk Assessement sulla sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica e adolescenziale e l’infezione da SARS-CoV-2, in cui vengono riportati 230 casi sospetti nell’Unione Europea e nel Regno Unito, con due decessi. I soggetti colpiti hanno un’età media di 7-8 anni, fino 16 anni, e hanno presentato interessamento multisistemico grave, a volte con necessità di ricovero in terapia intensiva. Il reale numero di questi soggetti è ancora in fase di valutazione, così come il preciso inquadramento nosologico di questa condizione, attualmente chiamata “sindrome infiammatoria acuta multisistemica”. Dati sia italiani che inglesi dimostrano che lo sviluppo di questa sindrome segue di 2-4 settimane il picco di infezione da SARS-CoV-2, per cui si ipotizza una patogenesi immunomediata e non legata ad un’infezione diretta del virus. Le caratteristiche della sindrome comprendono un’aberrante risposta infiammatoria, con febbre elevata, shock e prevalente interessamento miocardico e/o gastrointestinale. Le opzioni terapeutiche comprendono immunoglobuline, steroidi, farmaci anticitochinici.

Il documento evidenzia che, al momento, pur in assenza di una definizione di caso condivisa a livello europeo, è plausibile una correlazione fra infezione da SARS-CoV-2 e insorgenza della sindrome, pur in presenza di evidenze limitate del nesso di

causalità. “L’esistenza della sindrome è una realtà clinica riconosciuta – va avanti l’esperta – tuttavia è indispensabile una definizione condivisa dei criteri diagnostici, questo permetterà una registrazione sistematica dei casi per valutare la reale incidenza”.

L’infezione da SARS -CoV-2 nei bambini

La reale prevalenza di SARS-CoV-2 nella popolazione pediatrica, così come in quella adulta, non è conosciuta, tuttavia le evidenze scientifiche disponibili ad oggi indicano che l’infezione da SARS-CoV-2 si manifesta nei pazienti pediatrici con un andamento clinico più benigno rispetto all’adulto e con una letalità molto bassa (0,06% nella fascia di età 0-15 anni).

Gli studi effettuati

Un’analisi pubblicata su Pediatrics è stata realizzata in Cina su 2135 bambini con infezione da SARS-CoV-2, diagnosticata o sospetta, segnalati al Chinese Center for Disease Control and Prevention nel periodo tra il 16 gennaio e l’8 febbraio 2020. Di tutti i casi esaminati, 112 (5,2%) hanno sviluppato una forma grave della malattia con una rapida insorgenza di dispnea, ipossia, febbre, tosse e sintomi gastrointestinali, inclusa diarrea. Altri 13 bambini (0,6%) erano in condizioni critiche e hanno manifestato in breve tempo una sindrome da difficoltà respiratoria acuta o insufficienza respiratoria; in questi casi si è potuto anche osservare shock, encefalopatia, danno miocardico o insufficienza cardiaca, coagulopatia e danno renale acuto.

Nell’aprile 2020, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli USA hanno pubblicato uno studio sul Morbidity and Mortality Weekly Report, nel quale sono stati analizzati, 149.760 casi risultati positivi per SARS-CoV-2 di cui 2.572 (1,7%) casi avevano un’età inferiore ai 18 anni nel periodo compreso tra il 12 febbraio e il 2 aprile. Nel 73% dei bambini SARS-CoV-2 positivi, era presente almeno uno dei sintomi clinici che sono alla base del sospetto diagnostico (febbre, tosse e dispnea) mentre negli adulti tale percentuale era il 93% (3). Lo stesso documento riportava un tasso di ospedalizzazione in un intervallo stimato tra il 5,7% e il 20%, e di ricovero in terapia intensiva in un range tra lo 0,6% e il 2%. Il tasso di ospedalizzazione era molto maggiore fra i bambini al di sotto di un anno di età (range stimato 15%-62%) mentre nella fascia superiore di età il range stimato era del 4,1-14%. Per 295 casi pediatrici erano disponibili informazioni sanitarie sia sull’ospedalizzazione sia sulle patologie concomitanti. Circa il 77% (28 su 37 casi) dei pazienti ospedalizzati presentavano una o più patologie concomitanti, mentre dei restanti 258 pazienti che non necessitarono di ricovero, 30 (12%) presentavano altre patologie.

In Italia, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) riportano che al 14 maggio 2020 fra i 29.692 deceduti positivi all’infezione SARS-CoV-2 sono stati rilevati 3 casi relativi alla fascia di età 0-19 anni.

In una casistica, pubblicata su Jama Pediatrics, di 41 pazienti pediatrici spagnoli con confermata infezione da SARS-CoV-2 il 60% (25 casi) ha avuto la necessità di essere ospedalizzato: di questi 4 casi sono stati ricoverati in terapia intensiva e altri 4 hanno avuto necessità di ventilazione assistita.

Secondo il sistema di sorveglianza europeo (The European Surveillance System, TESSy), al 13 maggio 2020, i bambini rappresentano una percentuale molto bassa dei 193.351 casi COVID-19 confermati in Italia; nell’intervallo di età tra i 0-10 anni i casi segnalati sono stati 1,1% e 1% tra 10-19 anni. L’indice di letalità del COVID-19 è quindi pari a 0,06% nella fascia di età 0-15 anni, rispetto al 16,9% nel gruppo di ultra-quindicenni. I 3 bambini deceduti in Italia erano affetti da importanti e gravi patologie (malattia metabolica, cardiopatia, neoplasia).

In una casistica di 100 bambini con tampone positivo al SARS-CoV-2 che hanno fatto accesso al Pronto Soccorso di 17 ospedali italiani, solo il 52% dei pazienti con febbre presentava gli altri due sintomi indicativi di COVID-19 (tosse e dispnea). Il 38% dei bambini, secondo uno studio italiano pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha necessitato di ricovero, 9 dei quali hanno avuto bisogno di supporto respiratorio (6 con patologie preesistenti). Tutti i 100 bambini della casistica risultano guariti.

Questi dati sembrano tranquillizzanti riguardo al COVID-19 pediatrico. Va comunque posta molta attenzione quando a manifestare i sintomi dell’infezione sono i bambini con meno di un anno. Studi eseguiti da scienziati cinesi e pubblicati su Jama su madri in gravidanza con infezione da SARS-CoV-2 hanno indagato la relazione fra immunità materna e protezione del neonato dall’infezione, senza giungere però a risultati conclusivi. Il riscontro quindi, in neonati figli di madre SARS-CoV-2 positive, di sintomi indicativi come febbre, difficoltà respiratoria, tosse, sintomi gastrointestinali e tendenza al sopore, deve allertare i genitori e il pediatra.

Fonte: ISS




Vaccini: Iss, test in vitro alternativo a quello su animali

logo ISS

Un metodo in vitro per controllare i lotti di vaccino, affinché siano sicuri prima del loro rilascio in commercio, può costituire una valida alternativa al controllo condotto attualmente sugli animali. In particolare, si tratta del saggio di attivazione monocitaria (MAT) che serve ad identificare l’eventuale presenza di molecole – definite pirogeni – che possono indurre indesiderati processi febbrili. La messa a punto e ottimizzazione del saggio sono frutto dell’attività di ricerca di un gruppo di ricercatori dell’ISS, pubblicata sulla rivista ALTEX e finanziata dall’Innovative Medicine Initiative nell’ambito del progetto “Vaccine batch to vaccine batch comparison by consistency testing” VAC2VAC. “Questo metodo costituisce una valida alternativa al saggio dei pirogeni attualmente condotto nei conigli – dichiara Eliana M. Coccia, primo ricercatore del Reparto di Immunologia nel Dipartimento di Malattie Infettive (ISS) a capo del team di ricerca – ed è perciò in linea con la Direttiva 2010/63/EU sulla protezione degli animali utilizzati ai fini scientifici. In particolare, nel saggio MAT i vaccini sono testati direttamente sui monociti umani presenti nel sangue periferico, che rappresentano le principali cellule in grado di attivarsi in presenza di pirogeni. Queste cellule rilasciano sostanze che inducono l’infiammazione, provocando quindi la febbre, come l’interleuchina 6 (IL-6), IL-1β e il tumor necrosis factor alpha (TNF-α). Rilevandone l’eventuale presenza è possibile quindi stabilire se ci sono pirogeni nel vaccino da testare”. Nello studio, “il MAT è stato ottimizzato per determinare il contenuto di pirogeni del vaccino umano contro l’encefalite da zecca – continua l’esperta con cui hanno collaborato anche Christina von Hunolstein e Andrea Gaggioli del Centro Nazionale per il Controllo e la Valutazione dei Farmaci (ISS) – ma la sua applicazione può potenzialmente essere estesa a molti altri vaccini per uso umano”. “Il valore aggiunto di questo saggio – aggiunge Marilena P. Etna, ricercatore del team ISS – consiste anche nel potere eseguire le rilevazioni dei pirogeni in vaccini destinati all’uomo su una piattaforma basata su cellule umane che possiedono una sensibilità più adeguata rispetto a quanto rilevabile nel coniglio”. “In questo contesto – conclude Eliana Coccia – grazie all’esperienza acquisita con la messa a punto del saggio MAT, l’Istituto Superiore di Sanità si posiziona tra i pochi laboratori ufficiali di controllo europei che al momento sono in grado di eseguire questo saggio, promuovendo e contribuendo in maniera fattiva alla messa a punto di strategie alternative all’utilizzo degli animali”.




Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia – Aggiornamento

issL’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato l’aggiornamento bisettimanale del rapporto sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a COVID-19.

L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARSCoV-2 è 79 anni.
Al 20 aprile sono 238 dei 21.551 (1,1%) pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 54 di questi avevano meno di 40 anni (34 uomini e 20 donne con età compresa tra 0 e 39 anni). Di 6 pazienti di età inferiore ai 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche, gli altri 38 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 10 non avevano diagnosticate patologie di rilievo.

 




Impatto dell’epidemia COVID-19 sulla mortalità totale della popolazione residente primo trimestre 2020

È online il rapporto “Impatto dell’epidemia COVID-19 sulla mortalità totale della popolazione residente primo trimestre 2020” realizzato da ISS e ISTAT per fornire una lettura integrata dei dati epidemiologici di diffusione dell’epidemia di COVID-19 e dei dati di mortalità totale acquisiti e validati da ISTAT.

Si tratta della prima volta che l’Istat diffonde questa informazione riferita a un numero così consistente di comuni.

L’ampia base dati, relativa all’86% della popolazione residente in Italia, consente di valutare gli effetti dell’impatto della diffusione di Covid-19 sulla mortalità totale per genere ed età nel periodo iniziale e di più rapida diffusione del contagio: marzo 2020.

Fonte: ISS




ISS: i bollettini della sorveglianza integrata COVID-19 in Italia e l’analisi sui pazienti deceduti

issL’Istituo Superiore di Sanità ha pubblicato il documento “Epidemia COVID-19. Aggiornamento nazionale 6 aprile 2020”,  con l’appendice al bollettino con il dettaglio regionale  e l’infografica sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a COVID-19 in Italia.

E inoltre disponibile l’Indagine sul contagio da COVID-19 nelle RSA: on line il secondo rapporto




ACE-inibitori e sartani (ARBs) in pazienti affetti da CoViD-19: un Giano bifronte?

E’ stata pubblicata sul BMJ – British Medical Journal – la rapid reponse a firma di Adriana Albini  – Polo scientifico e tecnologico dell’IRCCS Multimedica di Milano-, Giovanni Di Guardo – Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Teramo –  e Michele Lombardo – Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale San Giuseppe – MultiMedica di Milano “Inhibitors of the renin-angiotensin-aldosterone system and CoViD-19-affected patients: A two-faced Janus?”, in risposta all’articolo “Clinical characteristics of 113 deceased patients with coronavirus disease 2019: Retrospective study“.

Secondo gli scienziati italiani sono assolutamente necessari e urgenti studi  adeguatamente finanziati che forniscano dati solidi, basati su evidenze scientifiche, finalizzati a valutare l’eventuale impatto degli ACE-inibitori e dei sartani (farmaci bloccanti il recettore dell’angiotensina II; ARBs) – considerati i farmaci di prima scelta per la cura dell’ipertensione-  sull’evoluzione in ambito clinico-patologico dell’infezione da SARS-CoV-2. Ciò al fine di fornire una risposta “non equivoca” alla domanda cruciale secondo cui le due  sopracitate classi di farmaci possano essere utilizzate in sicurezza oppure debbano, in alternativa, sostituite da altri farmaci antipertensivi nella gestione terapeutica di pazienti SARS-CoV-2-infetti  e contestualmente affetti da comorbidità quali ipertensione, malattie cardiovascolari e/o diabete.

Non meno importanti, al fine di poter fornire risposte adeguate ed “evidence based” alle numerose questioni aperte riguardanti  la patogenesi dell’infezione da SARS-CoV-2, saranno le indagini post mortem che andranno eseguite sui pazienti con CoViD-19 deceduti.

A cura della segreteria SIMeVeP




Covid19: dalla suola delle scarpe alle zampe degli animali. Le indicazioni dell’ISS

issL’Istituto superiore di sanità fa chiarezza su alcune domande frequenti legate al Sars Cov 2:

Il pane fresco o le verdure crude possono essere contaminate da nuovo coronavirus e trasmettere l’infezione a chi li mangia?

Allo stato attuale non vi sono informazioni sulla sopravvivenza del virus sulla superficie degli alimenti, ma la possibilità di trasmissione del virus attraverso il pane fresco, o altri tipi di alimenti è poco probabile, visto che la modalità di trasmissione è principalmente attraverso le goccioline che contengono secrezioni respiratorie (droplets) o per contatto, purché manipolando il pane, come altri alimenti, sia rispettata l’igiene delle mani, che consiste nel lavaggio accurato con acqua e sapone per almeno 20 secondi, e in caso di tosse o starnuti si usi un fazzoletto usa e getta per coprire le vie respiratorie e poi si lavino subito le mani prima di toccare il pane o le verdure.

La suola delle scarpe può portare il virus in casa contaminando le superfici e esponendo al contagio?

Il tempo di sopravvivenza del virus in luoghi aperti non è attualmente noto. Teoricamente se si passa con la suola delle scarpe su una superficie in cui una persona infetta ha espulso secrezioni respiratorie come catarro, ecc. è possibile che il virus sia presente sulla suola e possa essere portato in casa. Tuttavia, il pavimento non è una delle superfici che normalmente tocchiamo, quindi il rischio è trascurabile. In presenza di bambini si può mantenere un atteggiamento prudente nel rispetto delle normali norme igieniche, togliendosi le scarpe all’ingresso in casa e pulendo i pavimenti con prodotti a base di cloro all’0.1% (semplice candeggina o varechina diluita)

Se torno da una passeggiata con il mio cane devo pulirgli le zampe?

La sopravvivenza del nuovo Coronavirus negli ambienti esterni non è al momento nota con certezza. Se il cane viene a contatto con le zampe con secrezioni respiratorie espulse a terra da persone infette è teoricamente possibile che possa trasportare il virus anche se non vi sono al momento evidenze di contagi avvenuti in questo modo. Quindi, si tratta di osservare l’igiene accurata delle superfici e delle mani lavando i pavimenti con soluzioni a base di cloro all’0.1% (la comune candeggina o varechina), le altre superfici con soluzioni a base di cloro allo 0,5% e le mani con acqua e sapone per oltre 20 secondi o con soluzioni/gel a base alcolica, per uccidere i virus. E’ possibile al rientro a casa lavare le zampe del cane con acqua e sapone, analogamente a quanto facciamo con le nostre mani, avendo cura di asciugarle bene e comunque è opportuno evitare di farlo salire con le zampe su superfici con le quali veniamo a contatto (ad esempio su letti o divani)

Se si è dovuti uscire per lavoro o emergenze, al rientro in casa bisogna lavare i capelli e gli indumenti indossati? Il virus sopravvive su capelli e indumenti?

Con il rispetto della distanza di almeno un metro dalle altre persone è poco plausibile che i nostri vestiti, o noi stessi, possano essere contaminati da virus in una quantità rilevante. Tuttavia, sempre nel rispetto delle buone norme igieniche, quando si torna a casa è opportuno riporre correttamente la giacca o il soprabito senza, ad esempio, poggiarli sul divano, sul tavolo o sul letto.