Vaccini, le Faq di ISS e Aifa

Sui siti istituzionali dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Agenzia Italiana per il farmaco sono disponibili due differenti serie di domande e risposte sui vaccini anti Covid-19.

Entrambe le sezioni vengono aggiornate costantemente.

Le Faq di Aifa sono particolarmente orientate sulla farmacovigilanza: “con cadenza mensile – informa l’Agenzia – saranno pubblicati inoltre i Report sui risultati dell’attività di farmacovigilanza. Si è scelta la cadenza mensile al fine di avere dati sufficienti che assicurino robustezza nelle analisi, nei confronti e nella valutazione. Questi Report saranno prioritariamente dedicati a illustrare i risultati delle analisi di associazione degli eventi segnalati con la vaccinazione e, ove possibile, riporteranno valori di riferimento e valori attesi che agevolino il giudizio sulla sicurezza dei diversi vaccini”.

Faq ISS

Faq AIFA




COVID-19: studi e riflessioni dell’epidemiologia italiana nel primo semestre della pandemia

Sul sito di Epidemiologia & Prevenzione è disponibile in formato open access il secondo blocco di articoli della monografia fortemente voluta dagli epidemiologi italiani per documentare i lavori prodotti durante la fase iniziale della pandemia di COVID-19.

Dopo gli editoriali e i lavori dei Gruppi AIE, e dopo gli articoli della sezione SORVEGLIANZA, è ora la volta della sezione METODI e della sezione AMBIENTE, in quest’ultima segnaliamo due articoli di grande interesse per chi studia la relazione tra inquinamento atmosferico e COVID-19.

A distanza di pochi giorni, e con cadenza costante, seguirà la pubblicazione di tutti gli articoli che ora vedete elencati nell’indice, dedicati agli studi di mortalità, ai test sierologici, alle condizioni di lavoro, alla salute materno-infantile, ai fattori di rischio, all’epidemiologia clinica, alle conseguenze sul nostro SSN, alle diseguaglianze e alle differenze di genere, senza tralasciare uno sforzo per capire cosa  avviene in altri continenti.

 




Verso l’identificazione in silico del sierotipo di Salmonella

Ricercatori del Centro di referenza nazione per le salmonellosi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno messo a punto un nuovo protocollo basato sul sequenziamento dell’intero genoma batterico (Whole Genome Sequencing, WGS), per l’identificazione in silico – ovvero attraverso una simulazione informatica – dei più frequenti sierotipi di Salmonella circolanti in Italia. Il metodo è stato ottimizzato per identificare il pannello più ampio possibile di sierotipi.

La ricerca di metodi per sierotipizzare Salmonella enterica

Salmonella enterica rappresenta una delle principali cause di gastroenteriti in molti Paesi. Nella sola Unione Europea nel 2020, sono stati riportati un totale di 87.923 casi umani di salmonellosi. La tipizzazione di Salmonella si basa sull’identificazione del sierotipo, di cui ne sono stati censiti più di 2.600, che rappresenta uno strumento essenziale per la classificazione epidemiologica degli isolati.

Il metodo universalmente accettato per l’identificazione dei sierotipi di Salmonella è storicamente lo schema di Kauffmann-White, un test fenotipico che si basa sull’identificazione di antigeni presenti sulla parete batterica, la cui combinazione è specifica per ogni sierotipo. Nonostante l’utilità della sierotipizzazione tradizionale, questo metodo presenta molte limitazioni: richiede notevole esperienza da parte degli operatori, necessita di tempi di analisi variabili dipendenti dalle caratteristiche dell’isolato, e non sempre consente di ottenere un risultato soddisfacente in termini di completezza, dal momento che i batteri esprimono gli antigeni in risposta a specifiche situazioni ambientali, che non sempre possono essere controllate in condizioni di laboratorio.

Ricercatori del Centro di referenza nazione per le salmonellosi dell’IZSVe hanno messo a punto un nuovo protocollo basato sul sequenziamento dell’intero genoma batterico (WGS), per l’identificazione in silico – ovvero attraverso una simulazione informatica – dei più frequenti sierotipi di Salmonella circolanti in Italia. Lo studio rappresenta un’evidenza a supporto della fattibilità di sostituire i metodi tradizionali di tipizzazione con metodi basati sul sequenziamento del genoma.

A causa di queste evidenti criticità la comunità scientifica è impegnata da anni nella ricerca di metodi alternativi basati su caratteristiche batteriche meno soggette all’influenza dell’ambiente esterno. L’implementazione di metodiche basate sul sequenziamento dell’intero genoma batterico risponde pienamente a questa esigenza, dal momento che la composizione del DNA è geneticamente definita e non modificabile a seguito di esposizione a condizioni ambientali differenti, consentendo ai laboratori di eseguire in prima istanza la sub-tipizzazione e, contemporaneamente, di capitalizzare il dato prodotto per ulteriori  caratterizzazioni degli isolati (es. Multilocus Sequence Typing, identificazione di plasmidi e di geni di antibiotico resistenza, filogenesi).

Lo studio dell’IZSVe

Lo studio condotto dai ricercatori dell’IZSVe, finanziato dal Ministero della Salute (RC 13/17), ha evidenziato una ottima concordanza tra il metodo considerato gold standard (sierotipizzazione tradizionale) e la sierotipizzazione ottenibile in silico a partire da dati di WGS su 28 sierotipi diversi, che sono stati identificati con il 100% di accuratezza. Inoltre le caratteristiche di sensibilità e specificità, ovvero inclusività ed esclusività, del nuovo metodo sono risultate adatte ad essere applicate anche a campioni contaminati.

In una fase – come quella attuale- di transizione verso l’utilizzo sempre più diffuso di analisi molecolari e/o genotipiche per la caratterizzazione di ceppi rilevanti di Salmonella, lo studio condotto dal CRN per le salmonellosi costituisce un’evidenza a supporto della fattibilità di sostituire metodi tradizionali con metodi basati sul sequenziamento dell’intero genoma batterico, anche alla luce della possibilità di capitalizzare il dato prodotto per ottenere ulteriori caratterizzazione degli isolati in un’unica sessione sperimentale.

Inoltre l’uso di metodi di sierotipizzazione basati sul sequenziamento del genoma sembra essere una strada promettente al fine di garantire continuità e retrocompatibilità con la sierotipizzazione tradizionale, da anni pietra miliare nell’ambito della sicurezza alimentare e delle azioni di sanità pubblica volte a contenere e ridurre l’impatto della Salmonellosi.

Tuttavia, prima che il WGS possa essere utilizzato per la sierotipizzazione di Salmonella, è necessaria una rigorosa fase di validazione e una valutazione attenta dei piani di transizione metodologica, che assicurino che i dati a disposizione siano appropriati per sostituire la sierotipizzazione tradizionale senza interrompere gli attuali programmi di sorveglianza. Il presente studio costituisce un passo in tale direzione, avendo dimostrato la possibilità di mantenere la compatibilità con i dati storici di sierotipizzazione, con i sistemi di sorveglianza e le strutture di prevenzione.

 Fonte: IZS delle Venezie



Prima segnalazione confermata di Vespa orientalis in Sardegna

Il calabrone orientale, Vespa orientalis, sembra essere sbarcato anche in Sardegna. E’ del 9 Settembre la segnalazione della presenza di tale calabrone nell’isola, pervenuta alla rete STOPVelutina per mezzo di un video registrato a Cagliari da Ignazio Trogu, in cui viene ripreso un individuo adulto di Vespa orientalis.

Non è possibile sapere al momento se la segnalazione riguardi un singolo individuo giunto per caso nel capoluogo sardo tramite i trasporti e gli scambi marittimi, o se l’osservazione di tale adulto possa essere la spia della presenza di un nido di Vespa orientalis nell’isola.

La Sardegna rappresenterebbe in tal caso una nuova regione colonizzata da Vespa orientalis, che tuttavia non è l’unico calabrone “alieno” in Sardegna; nell’isola, infatti, non sono presenti naturalmente specie del genere Vespa e solo in anni recenti il calabrone europeo, Vespa crabro, è stato accidentalmente introdotto nel nord dell’isola, nella zona portuale di Olbia, presumibilmente tramite i trasporti marittimi, e da qui si sta spostando progressivamente in altre aree dell’isola.

La rete STOPVelutina ha prontamente allertato i colleghi dell’università di Sassari che si occupano del monitoraggio di Vespa crabro nell’isola, così da poter attivare la loro rete anche nella zona di Cagliari per valutare l’effettiva presenza di Vespa orientalis.

Per chiunque volesse aderire alla campagna di monitoraggio e segnalazione di Vespa crabro e Vespa orientalis in Sardegna, oltre che sul sito STOPVelutina, è possibile inviare le segnalazioni alla Dr.ssa M. Pusceddu dell’Università di Sassari, all’indirizzo email mpusceddu@uniss.it, e sulla pagina Facebook “Monitoraggio Vespa crabro in Sardegna“.

Fonte: stopvetulina.it




Primo nido di Vespa orientalis in Toscana

Continuano, le segnalazioni di Vespa orientalis nel sud della Toscana. Dopo la conferma della presenza di tale specie nel territorio regionale con la prima segnalazione documentata nell’autunno 2020 a Grosseto, è notizia di questi giorni il ritrovamento della prima colonia ancora attiva di tale calabrone, ancora una volta nel centro di Grosseto.

Altre 2 segnalazioni di adulti di Vespa orientalis concentrate nei pressi del centro urbano di Grosseto. Non è possibile escludere che gli adulti osservati possano provenire anche da altre colonie.

L’articolo integrale sul sito Stop Velutina




Cala l’uso di antibiotici negli animali

AntibioticoresistenzaCala l’uso di antibiotici, che ora negli animali da produzione alimentare risulta più basso che nell’uomo, si afferma nel recente studio pubblicato congiuntamente dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC).

Applicando un approccio del tipo “One Health” (di salute unica, globale) lo studio curato dalle tre agenzie dell’UE presenta dati sul consumo di antibiotici e sullo sviluppo di antibiotico-resistenza (AMR) in Europa nel periodo 2016-2018.

Il calo significativo nell’impiego di antibiotici negli animali da produzione alimentare indica che le misure assunte a livello nazionale per limitarne l’uso si stanno rivelando efficaci. Tra il 2016 e il 2018 si è quasi dimezzato negli animali da produzione alimentare l’uso di una classe di antibiotici chiamati polimixine, che include la colistina. Si tratta di uno sviluppo positivo in quanto le polimixine sono utilizzate anche negli ospedali per curare i pazienti infettati da batteri resistenti a più farmaci.

Nell’UE il quadro non è omogeneo: la situazione varia notevolmente da Paese a Paese e da una classe di antibiotici all’altra. Per esempio le aminopenicilline, le cefalosporine di terza e quarta generazione e i chinoloni (fluorochinoloni e altri chinoloni) vengono usati più nell’uomo che negli animali da produzione alimentare, mentre le polimixine (colistina) e le tetracicline sono usate più negli animali da produzione alimentare che nell’uomo.

Il nesso tra uso di antibiotici e resistenza dei batteri

Lo studio evidenzia che nelle infezioni umane da Escherichia coli l’uso di carbapenemi, cefalosporine di terza e quarta generazione e chinoloni è associato a resistenza ai medesimi antibiotici. Analoghe associazioni sono state riscontrate negli animali da produzione alimentare.

Lo studio mette in luce anche i nessi tra l’impiego di antimicrobici negli animali e l’AMR nei batteri presenti in animali da produzione alimentare, a loro volta associati ad AMR nei batteri presenti in esseri umani. Ne è un esempio il batterio Campylobacter spp. che si riscontra negli animali da produzione alimentare e causa infezioni alimentari nell’uomo. Gli esperti hanno rilevato un’associazione tra la resistenza in tali batteri negli animali e la resistenza dei medesimi batteri nell’uomo.

Combattere l’antibiotico-resistenza mediante la cooperazione

L’AMR è un grave problema di salute pubblica mondiale con gravi ripercussioni economiche. L’approccio “One Health” (vedi sopra) messo in atto grazie alla cooperazione tra EFSA, EMA ed ECDC e i risultati presentati in questo studio incoraggiano a proseguire gli sforzi per far fronte all’AMR a livello nazionale, europeo e mondiale in tutti i settori sanitari.

Fonte: EFSA




Peste suina africana: rischi da allevamenti suini all’aperto

L’EFSA ha valutato il rischio di diffusione della peste suina africana (PSA) negli allevamenti suini all’aperto e ha proposto misure di biosicurezza e controllo per gli allevamenti all’aperto nelle zone dell’UE colpite dalla PSA. 

L’allevamento all’aperto di maiali è comune nell’UE. Non esiste tuttavia una legislazione a livello europeo che categorizzi tale tipo di allevamenti, per cui le informazioni sono limitate, non armonizzate tra loro e da interpretare con attenzione.

Il gruppo di esperti scientifici EFSA sulla salute e il benessere degli animali ha concluso che gli allevamenti di suini all’aperto comportano un rischio notevole di introdurre e diffondere la PSA, ritenendo però che l’installazione di robuste recinzioni singole o di recinzioni doppie in tutti gli allevamenti di suini all’aperto nelle zone dell’UE in cui è presente la PSA potrebbe ridurre tale rischio almeno del 50%.

Inoltre l’attuazione di valutazioni in termini di biosicurezza complete e obiettive in allevamento e l’approvazione di allevamenti suini all’aperto sulla base del rispettivo rischio di biosicurezza ridurrebbero ulteriormente il rischio di introduzione e diffusione della malattia. Le valutazioni effettuate sul sito dell’allevamento sono uno strumento efficace non solo per migliorare la biosicurezza, ma anche per affrontare questioni zootecniche più ampie.

L’EFSA è dell’avviso che le deroghe alle attuali restrizioni sull’allevamento di suini all’aperto nelle zone interessate da PSA possano essere prese in considerazione caso per caso, una volta attuate tali misure e altre misure specifiche di biosicurezza.

Il parere scientifico si basa su evidenze raccolte da enti veterinari nazionali, associazioni di agricoltori e letteratura scientifica. E’ stata effettuata un’elicitazione della conoscenza di esperti (EKE) per classificare gli allevamenti di suini all’aperto in base al loro rischio di introdurre e diffondere la PSA, onde classificare le misure di biosicurezza in base alla loro efficacia, e proporre migliorie in termini di biosicurezza.

Scientific opinion on African swine fever and outdoor farming of pigs

Fonte: EFSA




Parere CNSA – Micotossine non regolamentate e Metaboliti dell’aflatossina B1 in prodotti lattiero-caseari

E’ pubblicato sul sito del Ministero della salute il parere del Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare  – Sezione Sicurezza Alimentare “Micotossine non regolamentate: Metaboliti dell’aflatossina B1 (aflatossina M1 e aflatossicolo) e sterigmatocistina in prodotti lattiero-caseari”

L’aflatossina B1 (AFB1) e la sterigmatocistina sono prodotte dal fungo Aspergillus sp. L’AFB1, una volta ingerita, viene metabolizzata prevalentemente nel fegato; aflatossina M1 e aflatossicolo sono i suoi principali metaboliti. La sterigmatocistina, prodotta in oltre 55 generi di funghi, è strutturalmente simile alla AFB1 e alcuni autori la considerano un suo precursore, diretto o indiretto. Sia i metaboliti di AFB1 sia la sterigmatocistina sono considerati come cancerogeni genotossici, anche se meno potenti di AFB1. E’ pertanto importante valutare i possibili rischi per la salute dell’esposizione attraverso specifiche filiere alimentari.

Sulla base delle conoscenze attuali e dei dati disponibili, è stata effettuata una valutazione del rischio di esposizione del consumatore ad aflatossina M1, aflatossicolo e sterigmatocistina, attraverso il consumo di latte e prodotti lattiero-caseari. L’aflatossina M1 è il metabolita principale della AFB1 nel latte dei mammiferi, ruminanti e non: i numerosi dati disponibili per il latte italiano non evidenziano particolari problemi, mentre i dati relativi ai formaggi sono molto variabili e legati al fattore di concentrazione e alla ripartizione fra proteine del siero e caseine. Per quanto riguarda l’aflatossicolo e la sterigmatocistina in latte e derivati, i dati disponibili sono molto limitati. La presenza nei latticini può originare da mangimi contaminati con AFB1 (aspetto predominante per la AFM1) oppure da  infestazioni fungine incontrollate durante i processi di maturazione.

Considerate le preoccupanti caratteristiche delle micotossine in esame, il CNSA raccomanda di mantenere e rafforzare le misure di controllo e prevenzione già in atto per le filiere lattiero-casearie; e  di effettuare studi specifici per i metaboliti dell’aflatossina B1 in questione e per la sterigmatocistina sul latte di tutte le specie e sui suoi derivati per una più accurata valutazione dell’esposizione attraverso il consumo di questi alimenti e dei potenziali rischi per la salute, anche ai fini di un eventuale valutazione di estensione delle misure di controllo.




Trichinella in un falco di palude, un evento raro

Falco di paludeLa trichinellosi (o trichinosi) è una malattia causata da nematodi appartenenti al genere Trichinella. Il parassita è in grado di infestare i mammiferi, gli uccelli e i rettili, soprattutto quelli carnivori e onnivori (maiale, volpe, cinghiale, cane, gatto, uomo). Il ciclo origina dal consumo di carne cruda o poco cotta di animali infestati a seguito del quale il parassita si localizza inizialmente a livello intestinale. Segue poi una fase in cui le larve migrano nei muscoli attraverso il torrente circolatorio e linfatico. A questa localizzazione muscolare nell’uomo sono associati sintomi quali edema periorbitale, dolore muscolare, febbre ed eosinofilia.

Il 29 Marzo 2021 i laboratori della Sede territoriale di Modena dell’IZSLER hanno rinvenuto larve di Trichinella in un falco di palude (Circus aeruginosus), specie migratrice che frequenta e nidifica nelle aree umide dell’Europa e sverna in Africa sub-sahariana e Sud-Est asiatico. Il falco, un esemplare di femmina adulta, è stato campionato nel comune di Albareto (MO) nell’ambito del Piano di Monitoraggio Regionale della Fauna Selvatica dell’Emilia Romagna. A seguito della tipizzazione eseguita dall’Istituto Superiore di Sanità, le larve sono risultate appartenere alla specie T. pseudospiralis.

In Italia il primo rinvenimento di T. pseudospiralis è stato documento nelle Marche nel 1998, con un’infestazione di un allocco, mentre nel 2010 la Sede Territoriale di Bologna ha rilevato la sua presenza per la prima volta in un cinghiale. L’infestazione nel falco di palude è stata descritta solamente in un caso in Australia nel 1990; in genere le infestazioni negli uccelli sono meno segnalate, probabilmente anche per il maggior numero di mammiferi sottoposti al test per la rilevazione delle larve.

T. pseudospiralis ha una distribuzione cosmopolita, suggerendo un ruolo importante degli uccelli migratori nella diffusione di questo nematode. Riuscendo a parassitare alcuni mammiferi come il suino ed il cinghiale, rappresenta una potenziale fonte di infezione per l’uomo, sebbene la presenza di T. pseudospiralis nei mammiferi sia più limitata rispetto a quella di altre specie di Trichinella. Il monitoraggio della fauna selvatica risulta uno strumento utile per la valutazione del rischio di malattie infettive e parassitarie zoonotiche e le segnalazioni di Trichinella, come nel caso del falco di palude, possono contribuire ad approfondire le conoscenze sulla diffusione ed epidemiologia di questo parassita.

Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




Covid-19: in Italia la ‘variante inglese’ all’86,7% Il 4,0% dei casi con quella ‘brasiliana’

In Italia al 18 marzo scorso la prevalenza della cosiddetta ‘variante inglese’ del virus Sars-CoV-2 era del 86,7%, con valori oscillanti tra le singole regioni tra il 63,3% e il 100%. Per quella ‘brasiliana’ la prevalenza era del 4,0% (0%-32,0%), mentre le altre monitorate sono sotto lo 0,5%. La stima viene dalla nuova indagine rapida condotta dall’Iss e dal Ministero della Salute insieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler, che fa seguito a quelle diffuse nelle scorse settimane da cui era emersa una maggior trasmissibilità per la variante ‘inglese’ del 37%.

Per l’indagine è stato chiesto ai laboratori delle Regioni e Province autonome di selezionare dei sottocampioni di casi positivi e di sequenziare il genoma del virus, secondo le modalità descritte nella circolare del Ministero della Salute dello scorso 17 marzo. Il campione richiesto è stato scelto dalle Regioni/PPAA in maniera casuale fra i campioni positivi garantendo una certa rappresentatività geografica e se possibile per fasce di età diverse. In totale, hanno partecipato all’indagine le 21 Regioni/PPAA e complessivamente 126 laboratori.

Queste le principali riflessioni emerse dalla survey

  • La rilevazione della variante lineage B.1.1.7 (la cosiddetta ‘inglese’) nella totalità delle Regioni/PPAA partecipanti è indicativa di una sua ampia diffusione sul territorio nazionale. La prevalenza nazionale della variante lineage B.1.1.7 stimata nella indagine rapida precedente del 18 febbraio pari a 54% è ora pari a 86.7%.
  • La variante lineage P.1 (la cosiddetta ‘brasiliana’) ha mantenuto una prevalenza pari al 4% (nella precedente era pari a 4.3%); ma nell’indagine precedente era stata segnalata in Umbria, Toscana e Lazio, nell’indagine del 18 marzo anche in Emilia-Romagna e in diminuzione nel numero totale in Umbria e in aumento, invece, nel Lazio.
  • Al fine di contenerne ed attenuarne l’impatto sulla circolazione e sui servizi sanitari è essenziale, mantenendo le misure di mitigazione in tutto il Paese nel contenere e ridurre la diffusione del virus SARS-CoV-2 mantenendo o riportando rapidamente i valori di Rt a valori <1 e l’incidenza a valori in grado di garantire la possibilità del sistematico tracciamento di tutti i casi.
  • Fonte: ISS