Batteri, la resistenza agli antibiotici raggiunge il plateau in 20 anni

antibioticoresistenza

La resistenza agli antibiotici tende a stabilizzarsi in un arco relativamente lungo di tempo. A questa la conclusione è giunto uno studio dell’Università di Losanna, in Svizzera, coordinato da Sonja Lehtinen e pubblicato da PLoS Pathogens.

Comprendere i modelli di resistenza a lungo termine è importante per monitorare e caratterizzare la resistenza ai farmaci, nonché per dare informazioni sull’impatto degli interventi di contrasto al fenomeno.

Lo studio Il team ha analizzato la resistenza ai farmaci in oltre 3 milioni di campioni batterici raccolti in 30 paesi in Europa dal 1998 al 2019, che comprendevano otto specie batteriche, tra cui Streptococcus pneumoniae, Staphylococcus aureus, Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae.

Dall’analisi è emerso che, sebbene le resistenze antimicrobiche aumentino all’inizio, in risposta all’uso di antibiotici, questo fenomeno non prosegue in in modo indefinito. Al contrario, nella maggior parte dei batteri esaminati, i tassi di resistenza raggiungono il plateau nell’arco temporale di 20 anni.

L’uso di antibiotici ha contribuito alla rapidità con cui i livelli di resistenza si sono stabilizzati, così come alla variabilità dei tassi di resistenza nei diversi Paesi. Tuttavia, l’associazione tra i cambiamenti nella resistenza ai farmaci e l’uso di antibiotici è risultata debole in questo studio, suggerendo l’ipotesi che in gioco vi siano ulteriori fattori, ancora sconosciuti.

“In questo studio volevamo verificare se le frequenze di resistenza agli antibiotici in Europa stessero aumentando nel lungo termine – conclude Sonja Lehtinen – Invece, abbiamo riscontrato un andamento in cui, dopo un aumento iniziale, le resistenze tendono a raggiungere un plateau stabile”.

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Fonte: quotidianosanita.it




Due sistemi per isolare l’Escherichia coli

La presenza di Escherichia coli produttore della tossina Shiga (STEC) nei prodotti lattiero-caseari a base di latte crudo è una delle principali preoccupazioni per le autorità e le industrie preposte alla sicurezza alimentare. Un confronto tra due protocolli di isolamento: isolamento diretto di STEC e tecniche basate sull’immunoconcentrazione.

Sono stati proposti due approcci per isolare l’Escherichia coli produttore della tossina Shiga (STEC) in brodi di arricchimento di formaggio a base di latte vaccino crudo gli STEC dagli alimenti.

Nel protocollo IC (protocollo di immunoconcentrazione), i sierogruppi specifici vengono identificati nel brodo di arricchimento dopo la rilevazione dei geni stx ed eae. Viene eseguita un’immunoconcentrazione dei sierogruppi target prima di isolarli su terreni specifici.

Nel protocollo DI (protocollo di isolamento diretto) viene effettuato un isolamento diretto di tutti gli STEC presenti nel brodo di arricchimento dopo il rilevamento di stxgeni.

Sono state confrontate la capacità di questi due metodi di isolare STEC O26:H11, O103:H2, O111:H8, O145:H28 e O157:H7 dopo l’inoculazione artificiale in quattro diversi formaggi a latte crudo.

Considerando tutti i sierogruppi e i tipi di formaggio, gli STEC sono stati isolati nell’83,3% dei campioni utilizzando il protocollo IC, ma solo nel 53,3% dei campioni con il protocollo DI. Per due tipi di formaggio, il protocollo DI non è riuscito a isolare del tutto i ceppi STEC O157:H7.

I risultati suggeriscono che il protocollo IC è una metodologia solida per isolare efficacemente gli STEC in una vasta gamma di tipi di formaggio.

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Fonte: alimentinews.it




Influenza aviaria nei gatti

Il 17 gennaio 2025, in provincia di Bologna, è stato rilevato un caso di Influenza Aviaria (IA) da virus A(H5N1) ad alta patogenicità in un gatto domestico che viveva a stretto contatto con il pollame di un piccolo allevamento familiare, già interessato da un focolaio confermato di IA.

La letteratura scientifica riconosce i gatti come animali sensibili all’infezione da virus influenzali aviari. Sono infatti già stati segnalati diversi casi (circa una dozzina) di decessi felini correlati all’infezione in Stati Uniti, Canada e in diversi Paesi europei, tra cui Belgio, Francia, Islanda, Paesi Bassi e Polonia. La principale fonte di contagio per i gatti resta l’esposizione diretta a uccelli infetti ed i prodotti di questi non trattati, anche se recenti evidenze provenienti dagli Stati Uniti sulla possibilità di trasmissione da bovini infetti.

È importante sottolineare che il rischio di trasmissione del virus da gatto a gatto o da gatto a essere umano è considerato basso, e ad oggi non sono stati documentati casi di questo tipo.

Nei gatti, l’infezione può manifestarsi inizialmente con precisi sintomi clinici, perdita di appetito, letargia e febbre, seguiti da sintomi neurologici come incoordinazione, tremori, convulsioni, cecità e grave depressione. Possono inoltre comparire abbondanti secrezioni nasali e oculari, sintomi respiratori come respiro accelerato o difficoltoso, starnuti e tosse.

Cosa deve fare il proprietario del gatto in presenza di sintomi sospetti di Influenza Aviaria?

Nel caso in cui il gatto manifesti sintomi compatibili con l’infezione da virus A(H5N1), il proprietario deve:

  • contattare tempestivamente il medico veterinario, prima di recarsi in ambulatorio, descrivendo con precisione i sintomi che presenta il gatto;
  • limitare il contatto del gatto con persone del nucleo familiare vulnerabili, in particolare soggetti immunocompromessi;
  • adottare misure di protezione personale, incluso l’uso di dispositivi di protezione individuale (DPI), per ridurre il rischio di esposizione;
  • monitorare lo stato di salute degli altri membri della famiglia e degli eventuali animali conviventi; in presenza di sintomi compatibili con l’influenza aviaria, segnalarli prontamente o al medico competente o ai Servizi Veterinari dell’ASL.

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




L’Oms lancia il database globale degli elenchi nazionali dei medicinali essenziali

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato il database delle Liste Nazionali dei Medicinali Essenziali (nEML), una piattaforma digitale centralizzata che raccoglie 150 elenchi nazionali di medicinali essenziali provenienti da sei regioni del mondo. Una risorsa completa che migliora l’accesso a dati sanitari essenziali, supportando decisori politici, operatori sanitari e ricercatori.

Sviluppato attraverso ricerche approfondite, ricerche online e collaborazioni, il repository offre una raccolta aggiornata e completa di elenchi di farmaci essenziali che coprono il periodo dal 2005 al 2024. Riflette quindi, spiega Oms in una nota, l’evoluzione delle priorità sanitarie, bilanciando necessità mediche, convenienza e accessibilità.

Oltre a essere un database statico, il repository nEMLs funge da strumento collaborativo che invita gli Stati membri, gli uffici regionali dell’Oms e i ricercatori a contribuire per garantirne la completezza e la pertinenza. Costituisce la base per un processo decisionale basato sull’evidenza, per l’approvvigionamento dei farmaci e per l’armonizzazione delle politiche sanitarie.

In cifre: l’archivio comprende 47 elenchi nazionali della regione africana dell’Oms, 18 della regione del Mediterraneo orientale, 31 dell’Europa, 22 della regione delle Americhe, 11 del Sud-est asiatico e 21 della regione del Pacifico occidentale. Ogni elenco riflette le esigenze, le priorità

“Il lancio del database nazionale degli elenchi dei farmaci essenziali segna un significativo passo avanti nella collaborazione sanitaria globale – ha affermato Deus Mubangizi, Direttore del Dipartimento per le politiche e gli standard dei prodotti sanitari dell’OMS – offrendo una piattaforma centralizzata e accessibile, stiamo fornendo a decisori politici, operatori sanitari e ricercatori i dati essenziali necessari per prendere decisioni informate e promuovere un accesso equo ai farmaci essenziali in tutto il mondo”.

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Fonte: quotidianosanità.it




Istanza di esonero/esenzione ECM

Ecm

Nel rispetto delle disposizioni di cui al Regolamento EU 2016/679 (GDPR), e nelle more dell’implementazione di una piattaforma dedicata, si invitano i professionisti sanitari interessati a trasmettere l’istanza di esonero/esenzione per i casi non espressamente normati dal Manuale sulla formazione continua del professionista, ex par. 4.3, attraverso l’invio telematico via pec all’indirizzo ecm@pec.agenas.it, utilizzando l’allegato V debitamente compilato e corredato di ogni documentazione utile.

Nei casi espressamente previsti dal citato Manuale, ex par 4.1/4.2, il professionista, invece, dovrà presentare la richiesta all’Ordine di appartenenza attraverso il portale COGEAPS (Consorzio gestione anagrafica delle professioni sanitarie), previo accesso alla propria area riservata mediante SPID o CIE, seguendo la procedura in esso dedicata.

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Agenzia europea per l’ambiente pubblica: “Prevenire i rifiuti in Europa. Progressi e sfide, con particolare attenzione ai rifiuti alimentari”

Spreco alimentareSecondo il Rapporto pubblicato il 31 marzo 2025 dall’Agenzia europea per l’ambiente “Preventing waste in Europe — Progress and challenges, with a focus on food waste” (Prevenire i rifiuti in Europa — Progressi e sfide, con particolare attenzione ai rifiuti alimentari – Documento in inglese) lo spreco alimentare rappresenta una delle maggiori sfide a livello europeo e mondiale.

Il documento dell’Aea rileva che nel 2022 nell’Unione europea sono stati generati circa 132 chilogrammi di rifiuti alimentari per persona, pari a poco più di 59 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, con un elevato impatto ambientale ed economico.

La Regione Emilia-Romagna all’interno del Piano Regionale per la gestione dei Rifiuti e la Bonifica delle aree inquinate 2022-2027 ha approvato diverse azioni per il contrasto allo spreco alimentare che interessano tutte le fasi della filiera alimentare ed è impegnata attivamente su questo fronte.

Le misure, che coinvolgono tutte le strutture regionali sulla base delle loro specifiche competenze, riguardano la donazione di eccedenze favore di enti caritatevoli, l’incentivazione della simbiosi industriale in modo che uno scarto di un processo produttivo possa diventare risorsa per un altro, il supporto all’innovazione, l’informazione e sensibilizzazione della cittadinanza.

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Fonte: alimentiesalute.emilia-romagna.it




Campagna Safe2Eat: rafforzare la fiducia nella sicurezza alimentare dell’UE

Sulla scia del successo riscosso dalla scorsa edizione della campagna Safe2Eat, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e i suoi partner di tutta Europa lanciano oggi l’edizione 2025 con un obiettivo ancora più ambizioso: raggiungere un numero ancor maggiore di cittadini e continuare a fornire informazioni scientifiche affidabili sulla sicurezza alimentare. Quest’anno la campagna si allarga a 23 Paesi, in crescita rispetto ai 18 del 2024, segnando un traguardo significativo nel compito di aiutare sempre più europei a scegliere i propri alimenti in tutta fiducia.

I Paesi partecipanti per il 2025 sono Albania, Austria, Belgio, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Cipro, Cechia, Estonia, Finlandia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Montenegro, Macedonia del Nord, Norvegia, Polonia, Romania, Slovacchia, Spagna e Turchia.

Alto impatto, nuovi comportamenti: i punti salienti del 2024

Safe2Eat ha registrato un impatto senza precedenti nel 2024. Secondo un sondaggio Ipsos condotto a dicembre la campagna ha raggiunto oltre il 45% del pubblico target in Europa, in forte crescita rispetto al 19% del 2023. Grazie a una combinazione di attività sui social media, collaborazioni con influencer e iniziative mirate sui media, Safe2Eat ha coinvolto con successo oltre 50 milioni di europei, rafforzando l’importanza della sicurezza alimentare nelle scelte quotidiane.

La campagna ha positivamente influenzato anche i comportamenti dei consumatori. I risultati dell’indagine hanno infatti rivelato che coloro che hanno seguito la campagna sono ora più inclini a tenere conto della sicurezza durante l’acquisto di prodotti alimentari. Inoltre, a seguito della campagna, è diminuita la percezione che le informazioni sulla sicurezza alimentare siano troppo tecniche o complesse, con un numero crescente di persone che dichiara oggi di sentirsi più informato sui rischi alimentari e su come prevenirli.

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Fonte: EFSA




L’epidemiologia nei piani pandemici

zoonosi viralePrima del 2020, nei confronti di un’eventuale pandemia avevamo forse un rametto di esperienza e tutti i nostri programmi e progetti erano basati su raccomandazioni e avvertenze formulate seguendo indicazioni razionali ma teoriche. Dal 2020 ci siamo trovati (e spesso anche persi) in una foresta di esperienza: 27 milioni di casi di una malattia infettiva, quasi 200mila morti, mezzo milione di casi tra gli operatori sanitari e una sequela, non prevista, di conseguenze sanitarie, sociali, economiche.

Uno degli aspetti teorici dei piani contro un’eventuale pandemia influenzale, prima del Covid-19, erano i piani di continuità assistenziale e produttiva. La situazione reale, di fronte alla valanga di eventi, è stata ben diversa, con un totale blocco di tutte le attività economiche, sociali, culturali, della vita di tutti i giorni, come soluzione migliore per spegnere un incendio indomabile. Avevamo avuto una foresta di avvertenze, ma non eravamo preparati.

L’unica cosa sensata da fare

Oggi non possiamo dire altrettanto. Per quanto imprevedibile sul quando, sappiamo che una pandemia non è un evento impossibile e che prepararci è l’unica cosa sensata da fare. La foresta di esperienze fatte non deve essere dimenticata e tornare a quanto vissuto e osservato deve guidare le decisioni sui nuovi piani pandemici. La disponibilità di una bozza di Piano Pandemico, al momento in valutazione alla conferenza Stato-Regioni, è l’occasione per valutare il ruolo dell’epidemiologia nel contrasto alla pandemia e verificare se la bozza di Piano nazionale risponde ai punti critici per migliorare la risposta dei nostri servizi sanitari all’emergenza. Un piano strategico e operativo dovrebbe fornire alle Regioni e PA le indicazioni essenziali per la redazione di piani locali che evitino frammentazioni inefficaci e inefficienti e potenzino le capacità di risposta.

Durante la pandemia l’epidemiologia ha fornito strumenti essenziali alla descrizione e comprensione della diffusione delle infezioni, ma molti sono stati gli ostacoli anche strutturali agli interventi di contrasto. Tra le lezioni apprese sottolineiamo qui quelle da tenere presente e per le quali l’epidemiologia può giocare un ruolo determinante.

Abbiamo imparato che, anche se la pandemia si basa sulla completa suscettibilità di tutta la popolazione mondiale, non tutti hanno la stessa probabilità di sperimentare conseguenze severe al contagio e avere necessità di assistenza sanitaria. L’età media dei deceduti è stata di 40 anni più elevata dell’età media dei contagiati e lo studio delle cartelle cliniche condotto dall’Istituto superiore di sanità su circa 8.000 pazienti ha evidenziato come la stragrande maggioranza dei deceduti fosse affetta da diverse patologie croniche. Si è parlato di sindemia per definire il sovrapporsi della diffusione di patologie croniche alle infezioni da Covid-19 e il loro potenziamento reciproco. La lotta alle malattie croniche è nell’agenda della sanità pubblica da diversi anni, e sono in corso diverse iniziative per stratificare la popolazione in livelli di rischio assistenziale. Le iniziative sono soprattutto a scopo programmatorio, ma la pandemia ha sottolineato come la spesso auspicata medicina di iniziativa, per indirizzare le raccomandazioni e gli interventi di mitigazione e prevedere le richieste di assistenza, dovrebbe basarsi sulla conoscenza della propria popolazione di assistiti, definita secondo metodi condivisi.

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Fonte: scienzainrete.




Resistenza ai carbapenemi nella catena alimentare

Sebbene non vi siano prove definitive che questi batteri si trasmettano all’uomo tramite il cibo, sono stati trovati ceppi identici sia negli animali che nell’uomo, il che farebbe supporre una possibile trasmigrazione.

I CPE sono batteri che producono enzimi (carbapenemasi) che inattivano gli antibiotici carbapenemici, utilizzati per trattare infezioni gravi nell’essere umano. La resistenza a tali farmaci rappresenta un rischio significativo per la salute pubblica data la scarsità di altenative terapeutiche efficaci.

Il più recente parere dell’EFSA, basato su una precedente valutazione del 2013, esamina dati e letteratura scientifica fino a tutto il febbraio 2025, attingendo anche a informazioni raccolte nei Paesi dell’UE e dell’EFTA con il contributo del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC).

Risultanze principali

  • Dal 2011 a oggi sono stati rilevati CPE nella catena alimentare in 14 dei 30 Paesi UE/EFTA;
  • i CPE più frequentemente segnalati sono E. coli, Enterobacter, Klebsiellae Salmonella, provenienti principalmente da animali terrestri da reddito (suini, bovini e, in misura minore, pollame – le specie animali monitorate di routine nell’UE quanto a resistenza agli antimicrobici);
  • il numero di casi di CPE segnalati è cresciuto sia nei suini che nei bovini e nel pollame, con aumenti significativi in diversi Stati membri nel 2021 e nel 2023;
  • 10 dei 30 Paesi dell’UE/EFTA hanno istituito piani di emergenza per il controllo e le indagini su questi batteri.

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Fonte: EFSA




Accordo nazionale sulla trasparenza nella ricerca con l’impiego di animali

Il Ministero della Salute, su iniziativa del Comitato nazionale per la protezione degli animali usati a fini scientifici, promuove la sottoscrizione, da parte dei soggetti che svolgono ricerca mediante l’utilizzo di animali a fini scientifici, del Concordato di Trasparenza per l’impiego degli animali nella ricerca scientifica in Italia.

L’accordo, indirizzato ai legali rappresentanti delle istituzioni aderenti, nasce con l’obiettivo di garantire maggiore trasparenza, informazione e consapevolezza pubblica riguardo all’uso degli animali nella ricerca scientifica. La sperimentazione animale, sebbene oggetto di continuo miglioramento attraverso lo sviluppo di metodi alternativi, rimane un elemento fondamentale per il progresso della biomedicina e per il miglioramento della salute umana e animale, nel rispetto del principio One Health.

Le organizzazioni aderenti al concordato si impegnano a:

  • Comunicare chiaramente quando, come e perché vengono utilizzati gli animali nella ricerca, pubblicando informazioni accessibili sui propri siti web.
  • Fornire al pubblico e ai media dati aggiornati e trasparenti sui risultati della ricerca che coinvolge animali, nel rispetto della normativa vigente.
  • Promuovere il dialogo con la società per favorire una maggiore comprensione del valore scientifico e delle implicazioni etiche della sperimentazione animale.
  • Monitorare i progressi e condividere le esperienze, pubblicando annualmente un report sulle azioni intraprese per rispettare gli impegni del concordato.

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Fonte: Ministero della Salute