I rodenticidi anticoagulanti stanno risalendo la piramide alimentare: prima evidenza di positività diffusa nel lupo grigio in Italia

Dei 186 lupi trovati morti in Italia tra il 2018 e il 2022, ben 115 (il 62%) sono risultati positivi al test per la presenza di Anticoagulanti Rodenticidi (ARs) di seconda generazione. Nella maggior parte dei casi i lupi sono deceduti per altre cause (soprattutto trauma da investimento), ma il dato – riportato su Science of the Total Environment – mostra che questi principi attivi si diffondono in natura e permeano nella catena trofica, fino ad arrivare ai vertici della piramide alimentare.

Lo studio ha preso in esame un grande predatore, dimostrando come la diffusa positività agli Anticoagulanti Rodenticidi sia il sintomo della penetrazione di queste sostanze nelle reti alimentari, coinvolgendo l’ambiente e l’ecosistema. I risultati dello studio indicano che le pratiche di controllo dei roditori basate sull’uso di composti chimici non sono realmente selettive, ma possono determinare una contaminazione diffusa di specie no-target, spesso protette o con uno stato di conservazione non sempre ottimale.

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Fonte: IZS Lombardia Emilia-Romagna




Progetto PAIR, nuovi strumenti diagnostici e prognostici per rispondere alle pandemie basati su un approccio One Health

PAIR (PAndemic Information to support rapid Response) è un progetto quinquennale finanziato dall’Unione Europea e coordinato dall’Università di Copenaghen che mira a rafforzare il modello One Health mediante lo sviluppo di strumenti innovativi di diagnostica point-of-care (POC)* e di modelling epidemiologico. Tra i partner del progetto anche l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe).

Il kick-off meeting, tenutosi a Copenhagen a gennaio 2024, ha sancito l’avvio del progetto e ha visto la partecipazione dei 20 partner provenienti da 7 diversi Paesi. L’obiettivo di PAIR è aumentare la capacità di risposta alle pandemie dei Paesi europei attraverso l’integrazione di sistemi diagnostici POC avanzati e di modelli epidemiologici e prognostici basati sull’intelligenza artificiale e sull’apprendimento automatico.

La pandemia di SARS-CoV-2 ha mostrato l’impatto drammatico di epidemie e pandemie sulla salute pubblica. Ha inoltre evidenziato la necessità di prendere decisioni trasparenti, rapide e informate per una pronta risposta alle emergenze sanitarie. Disporre di tecnologie diagnostiche e prognostiche in grado di fornire velocemente informazioni affidabili è essenziale per migliorare il processo decisionale e per rinforzare la fiducia del pubblico.

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Fonte: IZS Venezie




L’importanza di ridurre l’uso di antibiotici secondo un rapporto curato da tre agenzie UE

Applicando un approccio «One Health», che riconosce il nesso tra la salute delle persone e quella degli animali, il rapporto presenta dati acquisiti principalmente tra il 2019 e il 2021 sul consumo di antibiotici e sulla resistenza agli antimicrobici in Europa.

Per la prima volta nell’ambito di questo progetto, le tre agenzie hanno analizzato le tendenze sul consumo di antimicrobici e sulla resistenza agli antimicrobici per Escherichia coli (E. coli) negli esseri umani e negli animali destinati alla produzione alimentare. Hanno inoltre esaminato l’evoluzione di tali tendenze negli esseri umani e negli animali destinati alla produzione alimentare nel periodo 2014-2021. Per esempio in questo arco di tempo il consumo di antibiotici negli animali destinati alla produzione alimentare è diminuito del 44 %.

Dall’analisi effettuata dalle tre agenzie è emerso che i batteri del genere E. coli sia negli animali che negli esseri umani stanno diventando meno resistenti agli antibiotici grazie alla riduzione del loro consumo complessivo. Ciò dimostra che le tendenze preoccupanti riguardanti la resistenza agli antibiotici possono essere invertite con le opportune misure e politiche.

«Un impegno maggiore volto a ridurre il consumo non necessario di antibiotici è fondamentale per affrontare la minaccia per la salute pubblica rappresentata dalla resistenza agli antimicrobici. Inoltre il rafforzamento dei programmi di vaccinazione e il miglioramento delle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni nelle comunità e nelle strutture sanitarie sono essenziali per ridurre il fabbisogno di antibiotici», ha dichiarato Andrea Ammon, direttrice dell’ECDC.

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Fonte: EFSA




Dovremmo eradicare le zanzare?

«Se pensiamo ad animali come i ratti, è sempre bene eradicarli nelle isole in cui sono stati introdotti», afferma Jérémy Bouyer, direttore della ricerca presso il Centro di ricerca agricola francese per lo sviluppo internazionale (CIRAD). «In tutta sincerità, possiamo considerare Aedes albopictus e Aedes aegypti alla stregua di topi volanti.» Le zanzare sono vettori di malattie come la malaria e la febbre gialla, che causano la morte di milioni di persone. Questi insetti proliferano dove è presente acqua stagnante, ad esempio nelle paludi e all’interno di rifiuti di plastica, di lattine per bevande e di vecchi pneumatici. «Se si eradica un elemento appena introdotto, si torna di fatto a una situazione di equilibrio», spiega Bouyer. «Quando la specie è endemica, però, bisogna chiedersi se sia saggio eliminarla o meno.» In un ecosistema ogni organismo svolge un ruolo specifico e la sua rimozione può avere un effetto domino nella rete alimentare, dal momento che il predatore di un animale è di solito la preda di un altro. La scomparsa di una specie può anche indebolire l’ecosistema nel suo complesso, persino portandolo al collasso. Nel caso delle zanzare, questa non sembra una prospettiva possibile, poiché i loro predatori (uccelli, ragni e libellule) sono generalisti e si nutrono anche di altri insetti.

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Fonte: Commissione Europea




Cambia il clima, cambiano anche i pipistrelli?

Il cambiamento climatico costringe tutti a fare i conti con nuove condizioni di vita e a trovare strategie per sopravvivere, incluso un restyling di caratteristiche fisiche e fisiologiche. Così le api selvatiche in Spagna stanno diventando sempre più piccole, e lo stesso sta accadendo a diverse specie di uccelli sparse per il globo, a pesci oceanici e insetti. Alcune specie, al contrario, con l’aumento delle temperature diventano più grandi. È quanto sta succedendo a una specie di chirottero nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, il vespertilio di Daubenton (nome scientifico Myotis daubentonii),  che vive lungo i corsi d’acqua, dove si nutre di insetti che pesca a pelo d’acqua grazie alla membrana mobile sviluppata attorno alla coda.

«Abbiamo osservato un aumento delle dimensioni dell’avambraccio, un buon indicatore delle dimensioni corporee generali. Ciò non significa che i vespertili di questa popolazione siano triplicati di taglia: parliamo di qualche millimetro, ma l’aumento c’è stato ed è significativo», afferma Danilo Russo, professore di ecologia presso il dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II e primo autore dello studio. Russo e il suo team di ricerca monitorano la popolazione di Myotis daubentonii che vive lungo il fiume Sangro da più di vent’anni, il che consente di avere una robusta serie storica di dati che permette di operare confronti e misurare gli effetti del cambiamento climatico. Analizzando i dati meteo forniti di una stazione metereologica (meteomont), posta a 1450 m di quota sul confine tra Abruzzo e Lazio, precisamente a Forca D’Acero, i ricercatori hanno infatti rilevato dal dicembre 1999 al maggio 2023 un aumento della temperatura media di ben 4 gradi. Grazie al monitoraggio ventennale si è potuto documentare un secondo effetto dell’aumento delle temperature su questa popolazione, che potrebbe avere implicazioni sulle interazioni sociali. Infatti, in contesti ambientali caratterizzati da un gradiente altitudinale come nel caso del fiume Sangro, le femmine vivono solo al di sotto di una certa quota, mentre i maschi si separano in due gruppi: alcuni vivono insieme alle femmine, e hanno un maggiore accesso all’accoppiamento, altri vivono a quote più elevate e non si mescolano con gli altri. Le analisi indicano uno spostamento verso l’alto delle femmine: nel 2000 non superavano mai i 900 m, oggi sono presenti anche a 1100 metri di altitudine. Questo spostamento potrebbe essere spiegato sia con l’aumento delle temperature, che potrebbe aver modificato anche la distribuzione degli insetti di cui i vespertili si nutrono, sia col fatto che le femmine preferiscono in generale zone più calde e, quindi, abbiano potuto ampliare la zona da frequentare beneficiando per così dire di un clima più mite. Resta da capire se questo abbia implicazioni nelle interazioni con i maschi.

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Fonte: scienzainrete.it




Rapporto sulle specie migratorie: lo stato scioccante della fauna selvatica

Alla 14esima Conferenza della parti della Convention on the Conservation of Migratory Species of Wild Animals (CMS COP14) in corso a Samarcanda, in Uzbekistan, è stato presentato il primo  State of the World’s Migratory Species Report, la valutazione  più completa completa sulle specie migratorie mai realizzata e che fornisce una panoramica globale dello stato di conservazione e delle tendenze della popolazione degli animali migratori, insieme alle informazioni più recenti sulle principali minacce e sulle azioni efficaci per salvarli.

Pertroppo quella che emerge dal rapporto non è una situazione confortante: «Mentre alcune specie migratorie elencate nel CMS stanno migliorando, quasi la metà (44%) mostrano un calo della popolazione. Più di una su cinque (22%) delle specie elencate nel CMS sono a rischio di estinzione. Quasi tutti (97%) i pesci elencati nel CMS sono a rischio di estinzione. Il rischio di estinzione sta crescendo per le specie migratrici a livello globale, comprese quelle non elencate nel CMS. La metà (51%) delle aree chiave per la biodiversità identificate come importanti per gli animali migratori elencati nel CMS non hanno uno status protetto, e il 58% dei siti monitorati riconosciuti come importanti per le specie elencate nel CMS stanno registrando livelli insostenibili di fenomeni causati dalla pressione antropica. Le due maggiori minacce sia per le specie elencate nel CMS che per tutte le specie migratorie sono lo sfruttamento eccessivo e la perdita di habitat dovuta all’attività umana. 3 specie su 4 elencate nell’elenco CMS sono colpite dalla perdita, dal degrado e dalla frammentazione dell’habitat, e sette specie su dieci dall’elenco CMS sono colpite dallo sfruttamento eccessivo (incluso il prelievo intenzionale e la cattura accidentale). Anche i cambiamenti climatici, l’inquinamento e le specie invasive stanno avendo profondi impatti sulle specie migratorie. A livello globale, 399 specie migratorie minacciate o quasi a rischio di estinzione non sono attualmente elencate nel CMS».

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Fonte: greenreport.it




Macellazione rituale senza stordimento: la Corte europea dei diritti umani ne ammette il divieto

La libertà di religione si scontra con il benessere animale. La Corte europea dei diritti umani (CEDU) per la prima volta in assoluto, con sentenza del 13 febbraio 2024, si è pronunciata sul divieto di macellazione rituale senza stordimento preventivo in vigore nelle regioni fiamminghe e valloni del Belgio, stabilendo che esso non viola la libertà di religione (art. 9 CEDU) né il principio di non discriminazione (art. 14 CEDU).

I fatti

Le autorità fiamminghe e valloni avevano emanato decreti che imponevano lo stordimento reversibile prima della macellazione rituale, vietando di fatto la pratica senza stordimento.

Alcuni cittadini belgi e organizzazioni non governative, rappresentanti di comunità musulmane e ebraiche, hanno presentato ricorso alla CEDU lamentando una violazione della loro libertà di religione e una discriminazione rispetto ad altri gruppi (cacciatori, pescatori, popolazione generale).

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Fonte: ruminantia




Scoperto in Riviera il primo caso italiano di uccisione diretta di una stenella striata da parte di delfini tursiopi

Grazie alle necroscopia effettuata con i veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta abbiamo infatti scoperto il primo caso italiano di uccisione diretta di una stenella striata da parte di delfini tursiopi”.

Ad annunciarlo sono i biologi  dell’associazione Delfini del Ponente che hanno la loro base operativa a Imperia e che da anni svolgono studi e monitoraggio sui cetacei che vivono nel mare della Riviera di Ponente.

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Fonte: sanremonews




Paratubercolosi nel cervo, Izsler: uno studio sulla diffusione

Approfittando di una popolazione di cervo rosso sottoposta a un programma di abbattimento nel Parco Nazionale dello Stelvio, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (Izsler) ha condotto uno studio su un totale di 390 soggetti, esaminati e testati per Mycobacterium avium subsp. Paratuberculosis (Map) utilizzando diversi strumenti diagnostici. La ricerca è stata eseguita dal Centro di Referenza per la paratubercolosi, presso la sede Izsler di Piacenza, e pubblicata su Frontiers in Veterinary Science.


La paratubercolosi (o malattia di Johne), causata da Map, è una malattia infettiva che colpisce principalmente i ruminanti domestici e selvatici di tutto il mondo ed è stata recentemente inserita dalla Legge sulla Salute Animale sulle malattie animali trasmissibili (Regolamento Ue 2016/429) tra le patologie che richiedono sorveglianza nell’Unione Europea, elencando Bovidi, Cervidi e Camelidi domestici e selvatici come specie potenziali serbatoi.
Il batterio responsabile viene escreto nelle feci ed è caratterizzato da un’elevata resistenza alle condizioni ambientali. Molte specie sono suscettibili all’infezione e l’interazione tra gli animali al pascolo può facilitare l’instaurazione di un sistema multi-ospite per Map.   La situazione in Italia
In Italia, il primo caso segnalato di paratubercolosi nei ruminanti selvatici è stato identificato nel cervo reale (Cervus elaphus) nella parte meridionale del Tirolo del Parco Nazionale dello Stelvio, in provincia di Bolzano. Successivamente, la prevalenza della Map è stata stimata con metodi molecolari in diverse aree alpine.
Il Ministero della Salute italiano ha implementato la sorveglianza della paratubercolosi nei bovini dal 2013, recentemente estesa a capre e pecore, su base volontaria, e una certificazione basata sul rischio. Il piano prevede lo screening diagnostico, la sorveglianza clinica passiva sui ruminanti domestici e l’adozione di misure di biosicurezza e gestione.
Inoltre, la produzione zootecnica estensiva, in cui interagiscono animali domestici e selvatici, dovrebbe considerare entrambe le popolazioni per il controllo delle malattie.

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Fonte: vet33




Che viaggio fa il virus West Nile?

artropodiNonostante sia stato isolato quasi 90 anni fa – nel 1937 nella zona del Nilo occidentale dell’Uganda – e sia uno dei virus più diffusi al mondo, solo negli ultimi anni il West Nile Virus (WNV) è entrato nel vocabolario comune, destando interesse presso l’opinione pubblica e una crescente preoccupazione da parte delle autorità sanitarie.

Al centro delle dinamiche di diffusione del virus ci sono uccelli e zanzare: gli uccelli infetti vengono punti dalle zanzare che a loro volta si infettano e possono trasmettere nuovamente il virus ad altri uccelli. Le zanzare che si nutrono del sangue anche di esseri umani, cavalli e altri mammiferi, possono trasmettere il virus anche a loro. Tuttavia esseri umani, equidi e altri mammiferi sono ospiti accidentali “a fondo cieco”, ovvero non sviluppando concentrazioni elevate di virus nel sangue non possono quindi trasmetterlo ad altre zanzare.

Nella maggior parte dei casi l’infezione nell’uomo è asintomatica. I casi sintomatici si presentano per lo più con manifestazioni leggere riconducibili a una comune influenza, mentre le forme più gravi possono coinvolgere il sistema nervoso in particolare negli anziani o in coloro che hanno un sistema immunitario compromesso.

In qualità di Centro di Referenza Nazionale per le malattie esotiche degli animali e di Laboratorio di Referenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale per la West Nile da anni monitoriamo e studiamo il virus costantemente – esordisce il DG dell’IZS di Teramo Nicola D’Alterio – “La situazione non deve destare allarmismi, tuttavia i dati del 2023, in calo rispetto al 2022, ci dicono che in Italia sono stati confermati 332 casi di infezione da West Nile virus nell’uomo, di cui 190 con coinvolgimento neurologico. Tra i casi confermati sono stati notificati 27 decessi, tutti nelle regioni del nord Italia. Questi numeri ci obbligano a tenera alta la guardia”.

Come ricercatori il nostro compito è comprendere le modalità di trasmissione dell’infezione in modo da pianificare interventi preventivi – conclude D’Alterio  “la prevenzione è un’arma fondamentale perché non esiste un vaccino per proteggere l’uomo dal virus: ad esempio bisogna evitare il più possibile le punture di zanzara tramite l’uso di repellenti cutanei, insetticidi ad uso domestico e soggiornare in ambienti riparati da zanzariere”.

Recentemente sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communications sul virus West Nile i risultati di uno studio condotto dall’IZS di Teramo, in collaborazione con l’Università di Trento, la Fondazione Edmund Mach e l’Istituto Pasteur di Dakar in Senegal. Lo studio ha esplorato le modalità di diffusione del WNV, scoprendo percorsi complessi e inaspettati che legano Africa ed Europa. I ricercatori hanno utilizzato tecniche avanzate di analisi genetica e filogeografica ricostruendo così la dinamica evolutiva dei vari ceppi del virus West Nile nel tempo e nello spazio. La combinazione dei due metodi ha permesso di tracciare le rotte di diffusione del virus, fornendo dettagli sulle sue origini e sulla modalità con cui si è diffuso nel corso del tempo. In particolare la ricerca si è concentrata sui due principali lineage del virus, L1 e L2, che hanno percorsi e storie evolutive diversi.

In proposito la ricercatrice Giulia Mencattelli, prima autrice dello studio, fa notare che è interessante quanto scoperto in relazione al lineage 1: “Esiste un vero e proprio ‘corridoio’ tra Senegal, Marocco e i Paesi europei del Mediterraneo occidentale come Portogallo, Spagna, Francia e Italia, ma secondo le nostre analisi non è un corridoio a senso unico: avvengono anche incursioni che vanno dall’Europa all’Africa”.

Il responsabile del Laboratorio di Sanità Pubblica dell’IZS di Teramo, Giovanni Savini, coordinatore del gruppo di ricerca, specifica riguardo alle diverse dinamiche evolutive dei due lineages: “Dai risultati ottenuti sembra che L1 si diffonda più efficientemente di L2 sebbene infettino le stesse specie di uccelli e utilizzino gli stessi vettori. La diversa suscettibilità degli uccelli all’infezione rappresenta solo uno dei possibili fattori che hanno determinato queste differenze, sappiamo infatti ancora poco del ruolo delle zanzare come vettori e della loro recettività all’infezione. Questi sono tutti aspetti del ciclo vitale del virus ancora poco conosciuti e che intendiamo esplorare”.

Proprio l’integrazione dei dati genetici virali con informazioni relative ai movimenti degli uccelli migratori e alla suscettibilità all’infezione delle varie specie potrà portare a una comprensione più profonda di come il virus si diffonde, con l’obiettivo di prevedere e quindi mitigare l’impatto delle future epidemie, costituendo un modello di studio anche per altri virus emergenti.

Fonte: IZS Abruzzo e Molise