Un breath test per la leishmaniosi canina

La leishmaniosi è una malattia parassitaria che minaccia la salute sia degli animali che degli esseri umani in Europa, Africa, Asia e Sud America. Trasmessa dalla puntura di mosche infette, si manifesta come leishmaniosi cutanea, che causa gravi ulcerazioni cutanee, o come leishmaniosi viscerale, una forma potenzialmente letale che colpisce organi vitali come milza, fegato e midollo osseo. I cani sono il principale serbatoio del parassita, perciò la diagnosi rapida e precisa delle infezioni canine è essenziale per proteggere la nostra salute e quella degli animali. Tuttavia, i metodi diagnostici convenzionali sono spesso invasivi e costosi o producono risultati ambigui.

Identificare i biomarcatori volatili

Con il sostegno del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie, il progetto CANLEISH(si apre in una nuova finestra) si prefigge di indagare nuovi approcci non invasivi per migliorare l’individuazione della leishmaniosi canina. Combinando l’analisi dei composti organici volatili (COV), un prototipo di naso elettronico e l’analisi dei dati guidata dall’intelligenza artificiale, il consorzio ha sviluppato una piattaforma che potrebbe rivoluzionare la diagnostica veterinaria. «L’obiettivo principale era cercare e identificare le impronte chimiche della leishmaniosi canina», spiega la coordinatrice del progetto Violeta Elena Simion. Attraverso la gascromatografia-spettrometria di massa(si apre in una nuova finestra), il gruppo di ricerca ha analizzato i composti volatili rilasciati nell’alito e nel pelo dei cani infettati dalla leishmaniosi. Dai risultati sono emersi un potenziale biomarcatore del respiro e cinque possibili biomarcatori del pelo per la leishmaniosi cutanea, oltre a nove e quattro biomarcatori rispettivi per la forma viscerale. Un dato interessante è che il composto gliceril monooleato è apparso in entrambe le forme, il che lo renderebbe un potenziale marcatore universale. Questo lavoro, pubblicato su Analytical and Bioanalytical Chemistry(si apre in una nuova finestra) suggerisce che l’analisi dei COV è una strada promettente per la diagnosi non invasiva e dovrebbe contribuire al processo decisionale clinico.

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Fonte: cordi.europa.eu




Dai sottoprodotti al mercato, il modello dell’Uovo Circolare

Iuoval settore zootecnico globale si trova ad affrontare una pressione crescente per identificare alternative proteiche sostenibili per l’alimentazione animale, a fronte dell’impatto significativo dei mangimi tradizionali sull’ambiente. Una soluzione innovativa emerge dall’economia circolare: le larve di mosca soldato nera (Hermetia illucens) vengono allevate su sottoprodotti agroindustriali, con un efficace recupero dei flussi di perdite e sprechi alimentari in mangimi proteici di alto valore per il pollame.

Questo approccio innovativo consente di produrre le ‘uova circolari’ che Cela e colleghi (2025) analizzano attraverso un’analisi interdisciplinare completa. La loro ricerca pionieristica è la prima a combinare rigorosi studi sugli atteggiamenti dei consumatori (incluse le barriere psicologiche) con una valutazione sensoriale che sorprendentemente dimostra come le uova circolari eguaglino o superino la qualità convenzionale.

Un aspetto cruciale di questa analisi è la convalida che proviene dall’immediata implementazione nel mondo reale del progetto ‘Uovo Circolare’ di Fantolino in Italia. Si stabilisce così un modello praticabile per la trasformazione sostenibile del sistema alimentare.

Metodologia

Progettazione e implementazione del questionario

La ricerca ha impiegato un approccio metodologico duale che combina i sondaggi sui consumatori con l’analisi sensoriale. Un questionario online, distribuito tramite la piattaforma Qualtrics, ha valutato gli atteggiamenti dei consumatori verso le uova circolari tra 456 partecipanti italiani (età media 40 anni, 62% donne). Lo strumento d’indagine ha incorporato scale validate tra cui la Food Neophobia Scale (Pliner & Hobden, 1992), la scala del disgusto alimentare a otto elementi (Hartmann & Siegrist, 2018) e parti del questionario Consumer Sustainability Consciousness (De Carvalho et al., 2015). I partecipanti hanno così valutato la loro disponibilità a provare, acquistare, consumare regolarmente e pagare prezzi premium per le uova circolari attraverso scale Likert a sette punti.

La struttura del questionario ha compreso sette sezioni distinte: caratteristiche socio-demografiche, attitudini di consumo delle uova, conoscenza della dieta tipica delle galline, consapevolezza della sostenibilità, tratti di personalità, atteggiamenti verso le uova da galline alimentate con insetti e intenzioni d’acquisto. I controlli di qualità dei dati hanno portato all’esclusione dei partecipanti che non hanno risposto in modo accurato, per raggiungere un tasso di completamento del 68,8% con un tempo medio di completamento di 11,8 minuti (Cela et al., 2025).

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Fonte: foodtimes.eu




Oms lancia il nuovo quadro globale per la gestione delle emergenze sanitarie: “Prepararsi meglio per rispondere più rapidamente”

L’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato il National Health Emergency Alert and Response Framework, una guida operativa pensata per aiutare i Paesi a rafforzare i propri sistemi di allerta e risposta alle emergenze sanitarie. Il documento – frutto di due anni di lavoro e di un’ampia consultazione con esperti e governi – rappresenta il nuovo punto di riferimento per la gestione delle crisi, dalle epidemie ai disastri naturali, fino alle emergenze climatiche.

La pandemia di Covid, sottolinea l’Oms, ha messo in luce “le vulnerabilità del sistema sanitario globale” e la necessità di un approccio “multisettoriale e integrato”, che coinvolga non solo le autorità sanitarie, ma anche i settori sociali, economici e ambientali. Da questa esperienza nasce una cornice che unisce in modo coerente i diversi strumenti sviluppati in questi anni: dal Health Emergency Preparedness, Resilience and Response (HEPR) alle linee guida sui centri operativi di emergenza sanitaria (Pheoc), fino al nuovo Global Health Emergency Corps (Ghec) – una rete mondiale di professionisti pronti a intervenire rapidamente in caso di crisi.
Il quadro dell’Oms individua cinque pilastri fondamentali per un sistema efficace di gestione delle emergenze:
– sorveglianza collaborativa, per individuare rapidamente nuovi focolai e condividerne i dati;
– protezione delle comunità, basata su comunicazione trasparente e coinvolgimento locale;
– assistenza sicura e scalabile, capace di mantenere i servizi essenziali anche sotto pressione;
– accesso tempestivo ai contromisure mediche, come vaccini, test e dispositivi;
– coordinamento delle emergenze, che garantisca risposte coerenti tra livelli locali, nazionali e internazionali.

Ogni fase della crisi – dal rilevamento alla valutazione del rischio, fino all’attivazione delle risposte – è accompagnata da strumenti pratici: checklist operative, diagrammi di flusso e linee guida su come istituire strutture di comando e controllo efficienti. Il documento prevede inoltre l’uso sistematico del modello 7-1-7, che stabilisce obiettivi precisi di performance: 7 giorni per rilevare un focolaio, 1 giorno per notificarlo alle autorità e 7 giorni per completare le azioni iniziali di risposta.

Una rete globale interoperabile
Uno degli elementi innovativi del framework è l’enfasi sull’interoperabilità: ogni sistema nazionale deve potersi connettere con i livelli regionali e globali. I Centri Operativi per le Emergenze Sanitarie (Public Health Emergency Operations Centres) diventano così il fulcro del coordinamento, collegando istituzioni, ministeri, agenzie umanitarie e partner internazionali.

“Solo un approccio integrato, basato su una leadership condivisa e una catena di comando chiara, può assicurare una risposta tempestiva ed efficace”, ha dichiarato Chikwe Ihekweazu, direttore esecutivo del Programma per le emergenze sanitarie dell’OMS, nel suo messaggio di prefazione al documento.

Il nuovo quadro è pensato non solo per reagire alle crisi, ma per prevenirle e rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari. Include raccomandazioni per l’analisi dei rischi, la pianificazione di risposte multi-pericolo (all-hazard), la formazione del personale e la valutazione delle prestazioni tramite revisioni intra-action e after-action.

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Fonte: quotidianosanita.it




Rapporto ASviS: “La sostenibilità non è un fastidio ma un investimento sul futuro”

albero, proteggere“A dieci anni dalla pubblicazione del primo Rapporto, crediamo ancora nei valori dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, e ci ostiniamo a raccontare i risultati insoddisfacenti dell’impegno, talvolta puramente di facciata, dei 193 Paesi membri dell’Onu”. È con questo incipit che prende il via il nuovo Rapporto dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) – ETS “Pace, giustizia e diritti: pilastri della sostenibilità. L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile”, presentato il 22 ottobre a Roma alla Camera dei Deputati. Il documento, realizzato con il contributo di centinaia di esperte ed esperti delle oltre 330 organizzazioni aderenti all’ASviS, offre un’analisi aggiornata e ragionata dell’attuazione dell’Agenda 2030 nel mondo, in Europa e in Italia, avanzando proposte concrete per il futuro.

La situazione globale

Quest’anno, più di ogni altro trascorso finora, il Rapporto fotografa un mondo attraversato da crisi multiple e da un preoccupante arretramento sul piano della pace, della giustizia e della tutela dei diritti. L’instabilità geopolitica e i conflitti armati – sono 59 quelli attivi nel mondo, il numero più alto dalla fine della Seconda guerra mondiale – hanno causato quasi 50mila vittime civili nel 2024. In questo tragico conteggio, il numero di decessi di bambine, bambini e donne nel biennio 2023-2024 (soprattutto a Gaza) è aumentato di circa quattro volte rispetto al periodo precedente. La spesa militare globale ha raggiunto il livello record di 2.700 miliardi di dollari e potrebbe più che raddoppiare entro il 2035. Il numero di persone sfollate contro la propria volontà ha superato i 123 milioni, aumentando del doppio in dieci anni, per effetto di guerre e cambiamenti climatici. È per questo motivo che, si legge nel Rapporto, è stato deciso di richiamare nel titolo questi temi, per “ricordare che la pace, la democrazia e la tutela dei diritti sono pilastri dello sviluppo sostenibile”.

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Fonte: asvis.it




Sperimentazione animale: tra necessità scientifica ed etica della ricerca

La sperimentazione animale rimane uno dei nodi più dibattuti nel panorama scientifico contemporaneo. Ancora oggi è un passaggio fondamentale nello sviluppo di farmaci e terapie, sia per l’essere umano che per gli animali stessi. Si può considerare pratica anacronistica, o più una necessità scientifica condotta con rigore etico senza precedenti nella storia?
Quali sono gli attuali standard etici e normativi e come ci siamo arrivati? E, nonostante i progressi tecnologici, i modelli animali restano ancora oggi insostituibili?

Un tema tutt’altro che scontato, che affonda le sue radici e la sua complessità già nei secoli passati, assumendo un ruolo centrale nel dibattito sulla ricerca biomedica già nei secoli scorsi. Claude Bernard, considerato il padre della moderna fisiologia, utilizzò modelli animali nella prima metà dell’800 con metodi che oggi considereremmo “azzardati”, in nome dell’utilità per il genere umano. Louis Pasteur, condusse studi che portarono al vaccino contro la rabbia e salvarono milioni di vite umane, ma con una metodologia spesso cruenta e priva di regole.

Questa mancanza di regolamentazione suscitò un dibattito pubblico vivace, portando alla nascita delle prime associazioni in difesa degli animali e a un cambiamento filosofico dell’epoca. È Jeremy Bentham a incarnare la lotta per la difesa dei diritti degli animali: la questione per lui non è se una creatura può ragionare o può parlare, ma se una creatura può soffrire. Fu nel 1876 che si arrivò con il Cruelty to Animal Act britannico, alla prima legge che regolamentava la sperimentazione animale, introducendo concetti rivoluzionari: minimizzazione del dolore, giustificazione dell’esperimento e certificazione dello sperimentatore.

Nella mentalità e nei valori etici e morali della società, questi principi diventano sempre più rilevanti. E anche la comunità scientifica li assorbe e li implementa.

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Fonte: scienzainrete.it




Microplastiche nella fauna selvatica. La scoperta delle Università di Padova e Pretoria

microplasticheLe microplastiche hanno raggiunto anche gli ecosistemi più remoti. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova e dell’Università di Pretoria ha individuato frammenti di nylon e altri polimeri sintetici nei polmoni e nel sangue di animali selvatici prelevati in riserve naturali del Sudafrica, zone finora considerate incontaminate. Lo studio è stato presentato al Sardinia Symposium 2025, il convegno mondiale sulla gestione dei rifiuti e sull’economia circolare, e ha sollevato un forte allarme sulla diffusione globale di questi inquinanti invisibili e sui rischi per la salute degli animali e dell’uomo.

Il lavoro, Presence and characterisation of microplastics in wildlife organs across diverse South African ecosystems, firmato da Carlo Andrea CossuValentina PoliLucio Litti e Maria Cristina Lavagnolo, ha rivelato una concentrazione significativa di nylon, un polimero tipicamente derivante da tessuti e packaging di uso comune.

“Anche il turismo e le attività umane nelle aree circostanti contribuiscono alla contaminazione di ecosistemi apparentemente remoti”, spiegano i ricercatori. “La plastica è entrata nei corpi degli animali selvatici, penetrando in organi vitali e dimostrando che nessun ecosistema, nemmeno quelli ‘immacolati’, è ormai al riparo. Le microplastiche – continuano – frammenti inferiori a 5 millimetri, rilasciano additivi tossici e trasportano sostanze chimiche persistenti, con potenziali effetti sulla salute degli animali e la catena alimentare”.

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Fonte: vet33




Accertamento di Trichinella spp. in cinghiale cacciato in provincia di Latina

cinghialiÈ stato individuato il primo caso della stagione venatoria 2025-2026 di Trichinella spp. in un cinghiale abbattuto nel corso di una battuta a squadra nella Foresta San Marco di Campodimele (LT), su un gruppo di sei capi sottoposti ai controlli di routine.
Il prelievo del campione da sottoporre a prova è stato eseguito da cacciatori opportunamente formati su mandato dell’Ambito Territoriale di Caccia LT2, sotto il controllo dell’Autorità Competente della ASL di Latina.
Data prelievo del campione: 04/10/2025.
Comunicazione degli esiti all’Autorità Competente: 08/10/2025.

L’accertamento è stato eseguito presso i laboratori della UOT Lazio Sud – Sezione di Latina dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana “M. Aleandri”, nell’ambito dell’attività di sorveglianza ufficiale obbligatoria. Le larve rilevate nel campione positivo saranno inviate all’European Union Reference Laboratory for Parasites presso l’Istituto Superiore di Sanità per l’identificazione di specie.

L’esame per la ricerca di Trichinella spp. è obbligatorio per tutti i cinghiali destinati al consumo umano, sia privato sia commerciale e rappresenta uno strumento essenziale per garantire la sicurezza alimentare e la prevenzione delle zoonosi. La Trichinella è un parassita trasmissibile all’uomo attraverso il consumo di carne cruda o poco cotta proveniente da animali parassitati appartenenti alle specie di suidi ed equidi sia domestici sia selvatici non sottoposti a controllo.

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




L’alimentazione del futuro: 300 ricercatori del CNR nel progetto NUTRAGE

pesticidiArricchire le materie prime con micro e macro nutrienti, sviluppare metodi di lavorazione innovativi, aprire un canale di dialogo diretto con i consumatori, tutto questo senza mai dimenticare la sostenibilità e la lotta agli sprechi alimentari. Questi sono solo alcuni degli obiettivi del progetto NUTRAGE che ha coinvolto, oltre 300 ricercatori del CNR in diversi ambiti disciplinari della scienza. «L’orizzonte del progetto NUTRAGE – spiega il responsabile scientifico Angelo Santino – è creare cibi più ricchi di macro e micronutrienti e più salutari; sviluppare tecniche di lavorazione che rendano questi stessi nutrienti più disponibili e intervenire sui processi industriali per avere filiere più sane e più sostenibili, sia dal punto di vista ambientale che economico».

«Il contesto nel quale ci muoviamo è duplice: da una parte l’alimentazione e gli stili di vita sono il primo fattore ambientale che determina la nostra possibilità di invecchiare in salute. Dall’altro, aumentano gli anni di vita ma anche quelli che viviamo da ammalati: la crescita dell’aspettativa di vita spesso non si accompagna ad una crescita dell’aspettativa di vita senza malattia. Una delle chiavi più efficaci in nostro possesso per ridurre questo gap è l’alimentazione». La conferenza finale del progetto NUTRAGE è prevista presso l’Aula Magna del Centro di Biotecnologie dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” nei giorni 5 e 6 novembre 2025. Ecco alcune anteprime degli oltre 100 paper conclusivi sui progetti più impattanti.

Partire dalla terra per cambiare il cibo

Una linea di ricerca si è concentrata sulle tecniche genetiche per migliorare ortofrutta, cereali e legumi. «Finora questi interventi si erano concentrati sull’aumento dell’apporto calorico. La ricerca del CNR punta a selezionare alimenti arricchiti in specifiche classi di micronutrienti necessari alla salute e sviluppare processi di coltivazione sostenibile dal punto di vista ambientale. Lo scopo è far sì che tutte le famiglie abbiano accesso ai cibi più salutari».

Metodi di trasformazione che mantengano inalterate le proprietà chimiche dei prodotti freschi

«Una delle sfide di NUTRAGE è individuare processi di lavorazione che permettano ai cibi lavorati di mantenere la maggior parte delle qualità dei prodotti freschi. O, addirittura, di migliorarle. Ad esempio, alcuni metodi di fermentazione si stanno dimostrando estremamente efficaci non solo nello stabilizzare (conservare) gli alimenti, ma anche nell’accentuare la bioattività di alcuni composti».

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Fonte: beesanitamagazine.it




Le api selvatiche minacciate in Europa, aggiornata la Lista Rossa

apePer la prima volta, le api selvatiche sono state ufficialmente classificate come ‘in pericolo’ all’interno dell’Europa: grazie a un grande lavoro di monitoraggio e raccolta dati che ha colmato una lacuna di lunga data, i ricercatori hanno esaminato lo stato di conservazione della specie Apis mellifera in sette paesi europei, stimando un calo medio delle popolazioni selvatiche del 56% in un decennio.

 Questo ha permesso di aggiornare la Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn) anche se, per quanto riguarda la regione europea, i dati rimangono molto carenti per aree come i Balcani, i Paesi Baltici, la Scandinavia e l’Europa orientale.

I ricercatori hanno monitorato, tra il 2013 e il 2025, 698 siti sparsi in Francia, Germania, Lussemburgo, Polonia, Spagna, Svizzera e Regno Unito. Secondo i dati raccolti, l‘Europa ha la più bassa densità del mondo di colonie che vivono libere in natura, dal momento che gli alveari gestiti negli allevamenti superano di gran lunga quelli selvatici, e queste già scarse colonie stanno anche vedendo diminuire i loro abitanti.

Fonte: ANSA



Allarme Oms: un’infezione su sei è ormai resistente agli antibiotici

AntibioticoresistenzaNel 2023 una persona su sei nel mondo ha contratto un’infezione batterica resistente ai trattamenti antibiotici. È quanto emerge dal nuovo rapporto globale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), basato sui dati del sistema di sorveglianza Glass (Global antimicrobial resistance and use surveillance system), che raccoglie informazioni da oltre 100 Paesi.

I risultati mostrano una crescita della resistenza antimicrobica (Amr) del 40% tra il 2018 e il 2023, con un aumento medio annuo compreso tra il 5% e il 15%. Nel mondo, le infezioni causate da otto batteri comuni – Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter, Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Salmonella, Shigella e Neisseria gonorrhoeae – sono quelle più colpite dal fenomeno.

Sud-Est asiatico e Mediterraneo orientale le aree più colpite

La resistenza antimicrobica non colpisce in modo uniforme. Secondo l’Oms, nelle regioni del Sud-Est asiatico e del Mediterraneo orientale un’infezione su tre è ormai resistente agli antibiotici, mentre in Africa il dato è di una su cinque. Le aree più vulnerabili sono anche quelle dove i sistemi sanitari non dispongono di laboratori in grado di identificare i patogeni o di trattarli con farmaci efficaci.

In molti Paesi a basso e medio reddito, i pazienti affetti da infezioni resistenti non solo non ricevono le cure appropriate, ma non hanno nemmeno accesso agli antibiotici di base. «La resistenza antimicrobica sta superando i progressi della medicina moderna, minacciando la salute delle famiglie in tutto il mondo – ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms – Serve un uso responsabile degli antibiotici e un accesso equo a diagnosi e trattamenti di qualità».

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Fonte: ilsole24ore.com