Nuovi studi sul deterioramento della carne

Un’analisi dei recenti progressi delle strategie emergenti in tempo reale e non distruttive per il monitoraggio della qualità del prodotto e una revisione critica delle conoscenze finora acquisite, anche con l’obiettivo di diminuire gli sprechi.

Il monitoraggio e la valutazione della qualità degli alimenti, in particolare della qualità della carne, hanno ricevuto un crescente interesse per garantire la salute umana e ridurre gli sprechi di materie prime. Gli approcci analitici standard utilizzati per la valutazione del deterioramento della carne soffrono di consumo di tempo, alta intensità di manodopera, complessità operativa e distruttività.

Per superare le carenze di questi metodi tradizionali e monitorare i microrganismi deterioranti o i relativi metaboliti dei prodotti a base di carne lungo tutta la catena di approvvigionamento, stanno emergendo dispositivi/sistemi di analisi con maggiore sensibilità, migliore portabilità, proprietà online/in linea, non distruttive ed economicamente vantaggiose sono urgentemente necessari.

In questo articolo, vengono innanzitutto descritti i concetti di base, le cause e gli indicatori critici di monitoraggio associati al deterioramento della carne.

Successivamente, i metodi convenzionali di rilevamento del deterioramento della carne vengono delineati oggettivamente nei loro punti di forza e di debolezza. Inoltre, è posta l’attenzione sui recenti progressi della ricerca sui dispositivi e sistemi non distruttivi emergenti per la valutazione del deterioramento della carne.

Queste nuove strategie dimostrano il loro potente potenziale nella valutazione in tempo reale del deterioramento della carne.

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Fonte: alimentinews.it




Prima segnalazione di una nuova specie di Pesce Chirurgo per il Mediterraneo Centrale

Continua incessantemente l’attività del team internazionale di ricercatori zoologi affiliati al Museo Civico di Storia Naturale di Comiso, riuscendo a scoprire e pubblicando una nuova specie di Pesce Chirurgo (Acanthurus xanthopterus) di origine indopacifica, rinvenuto l’anno scorso lungo le coste del ragusano, esattamente a Torre di Mezzo.

Il ritrovamento è stato effettuato grazie alla tempestiva segnalazione di un collaboratore della citizen science del museo Federico Brugaletta (di Donnalucata, Ragusa), il quale non è la prima volta a segnalare il rinvenimento di particolari specie marine.
Il Team di ricerca è composto Gianni Insacco e Bruno Zava (Museo di Storia Naturale di Comiso, Italy), Maria Corsini-Foka (Institute of Oceanography, Rodi, Grecia ), Valentina Crobe e Fausto Tinti (Università Bologna) e Alan Deidun (Università Msida, Malta). L’articolo è uscito oggi sulla rivista BIR (BioInvasions Records).
E’ stato necessario quasi un anno affinché questo esemplare di pesce chirurgo venisse studiato e indagato geneticamente per attribuirne la specie con esattezza. L’identificazione tassonomica è stata effettuata attraverso analisi morfologiche e molecolari integrate.

Questo ritrovamento è molto importante perché rappresenta la prima segnalazione per le acque italiane e per il Bacino Centrale Mediterraneo, ma rappresenta anche la terza per l’intero Mediterraneo. Questa segnalazione, arriva a soli tre anni dalla sua prima raccolta nelle acque del mediterraneo egiziano, sembra indicare una rapida espansione verso ovest,  sebbene si possano prendere in considerazione ulteriori (e indipendenti) eventi di introduzione, a causa dell’attuale scarsità di dati sulla distribuzione della specie.
Lo studio tratta anche il rinvenimento e le possibili cause di introduzione anche di altre specie di pesci chirurgo, appartenenti ad altre specie, rinvenuti recentemente in mediterraneo. Considerando le acque costiere italiane, fino ad oggi infatti sono stati segnalati solo Acanthurus chirurgus e Zebrasoma xanthurum, il primo all’isola d’Elba nel 2012 e il secondo nelle acque della Sardegna orientale nel 2015 entrambi nel Mar Tirreno.

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Fonte: lescienze.it




La prossima pandemia? Un nuovo studio identifica gli hotspot globali delle minacce zoonotiche

La prossima pandemia? Un nuovo studio identifica gli hotspot globali delle minacce zoonotiche

Il clima che cambia e l’impatto delle attività umane sulla natura e sull’ambiente aumentano il rischio di epidemie. Uno studio recente di JRC (Joint Research Center) mappa il rischio di epidemie in tutto il mondo e individua i territori più esposti e la loro capacità di rispondere. Lo studio che utilizza l’apprendimento automatico e i dati satellitari rivela che il 9,3% della superficie terrestre globale è ad alto, o molto alto, rischio di epidemia di malattie come Ebola, Zika e febbre emorragica Crimea-Congo, insieme ad altre cinque malattie elencate come priorità dall’OMS per il loro potenziale nel causare epidemie e pandemie.

L’immagine illustra con i colori le zone con più o meno alto rischio di essere punti partenza di epidemie.

Lo studio analizza anche i fattori che possono essere causa dell’emergere di malattie con caratteristiche epidemiche: l’aumento delle temperature, i livelli di precipitazioni annuali più elevati in alcune aree e i deficit idrici in altre, aumentano il rischio di epidemie; inoltre, i cambiamenti di uso del suolo, gli insediamenti umani in prossimità delle aree boschive, l’aumento della popolazione e della densità del bestiame e la perdita di biodiversità – tutti contribuiscono a questo rischio.

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Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




La malattia X fa paura: servono risposte immediate dall’Europa e dal mondo

Servizi veterinari in prima linea per la prevenzione pandemica. Un avamposto che, però, deve essere sostenuto da scelte politiche orientate verso la realizzazione della One health.

“Non è solo un concetto, sta diventando un principio che unisce tutti i servizi sanitari a livello globale. Ma i buoni principi non sono sufficienti se non vengono traslati in azioni concrete soprattutto quando emergono i primi segni di una malattia”, dichiara Emmanuelle Soubeyran, direttore generale dell’Organizzazione mondiale per la salute animale (Woah).

La pandemia Covid-19, al riguardo, ha rappresentato uno stress test che ha mostrato dolorosi gap nella sorveglianza dei servizi veterinari, nei sistemi sanitari pubblici e nella coordinazione multi-settoriale. Questi gap, sottolinea Soubeyran, sono ancora presenti.

La one health non rimanga (soltanto) sulla carta

È necessario che la politica si faccia carico del problema: un invito emerso con forza nel corso della conferenza “Preventing Disease X” che si è tenuta a Bruxelles a luglio. “Dobbiamo far crescere il profilo della animal health – dice la direttrice della Woah – e dobbiamo convincere i decisori politici e privati che è molto importante investire in questo settore.

La salute animale non riguarda solo gli animali. Ha un impatto sul commercio, sulla sicurezza alimentare, sulla salute pubblica, sulla resistenza agli antimicrobici e impatta anche sull’ambiente e sulla biodiversità. Purtroppo troppo spesso le conversazioni sono limitate ai ministri della salute in assenza dei ministri dell’agricoltura, dell’economia o della finanza che, invece, dovrebbero essere coinvolti”.

Senza il loro engagement, l’agenda One health rischia di restringersi al concetto One human health. “Abbiamo perso un elefante nella stanza”, aggiunge Roxane Feller, segretario generale di Animal health Europe. “Noi continuiamo a pensare che persista una mancanza di comprensione dell’intrinseca correlazione tra la salute umana, animale e ambientale”.

Qualcosa comunque si sta muovendo nei palazzi europei, secondo la dirigente che cita al riguardo un report del Parlamento sulla sostenibilità degli allevamenti e un dibattito che si è svolto presso il Concilio europeo sulle vaccinazioni e il controllo delle malattie. Ma forse il problema non è tanto il grado di consapevolezza, quanto (come emerso durante il convegno) la frustrazione degli addetti ai lavori al cospetto della frammentazione del sistema.

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Fonte: aboutpharma.com




Alimenti etnici: studio rivela presenza di ingredienti non dichiarati

Lo studio, primo in Italia a impiegare su larga scala la tecnica del metabarcoding su campioni raccolti nell’ambito dei controlli ufficiali, ha analizzato 62 alimenti venduti tra Lazio e Toscana, individuando anche la presenza di specie allergeniche non dichiarate, come pesci e molluschi, con potenziali rischi per la salute dei consumatori.

La ricerca, durata due anni e finanziata dal Ministero della Salute, è stata realizzata in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana “M. Aleandri” (IZSLT). Il contributo del FishLab è stato cruciale per sviluppare e applicare protocolli innovativi basati sulle tecnologie NGS, capaci di affiancare i metodi ufficiali già in uso e rafforzare così i sistemi di sorveglianza sulla qualità e sulla trasparenza degli alimenti.

Dai risultati sono emersi casi sorprendenti: prodotti etichettati come vegetariani contenevano DNA di maiale, pollo o pesce; in un campione dichiarato “solo pollo” sono state trovate tracce di manzo, anatra e persino cervo; un alimento a base di riso riportava la presenza di molluschi come vongole e ostriche che, però, non risultavano dichiaratiin altri casi ingredienti indicati sull’etichetta – ad esempio gamberi o uova – non sono stati rilevati affatto.

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Fonte: unipi.it




Benessere delle galline ovaiole in Italia: cosa ci raccontano le loro condizioni al momento della macellazione

Ogni giorno, milioni di uova arrivano sulle nostre tavole. Ma cosa sappiamo del benessere delle galline che le producono? Un recente studio pubblicato sulla rivista internazionale Poultry Science, frutto della collaborazione tra Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), Università di Padova (Dip. Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente – DAFNAE), Az. Ulss 5 Polesana e Delta Group Agroalimentare spa, ha analizzato in fase di macellazione oltre 30.000 galline provenienti da 50 allevamenti italiani per scoprirlo, osservando direttamente i segni lasciati sul loro corpo dalla permanenza in allevamento.

Uno studio condotto in collaborazione da IZSVe, Università di Padova, AULSS5 Polesana e Delta Group Agroalimentare spa ha analizzato in fase di macellazione oltre 30.000 galline provenienti da 50 allevamenti italiani, osservando direttamente i segni lasciati sul loro corpo dalla permanenza in allevamento. I ricercatori hanno esaminato in particolare lesioni sternali e dermatiti plantari, e analizzato i principali fattori di rischio sulla base delle informazioni disponibili al macello. Lo studio ha enfatizzato l’importanza del macello come efficace e strategico “osservatorio epidemiologico”.

I ricercatori hanno esaminato:

  • lesioni sternali, che possono essere associate a fragilità ossea e collisione con le strutture
  • dermatiti plantari, associate a una qualità della lettiera e delle superfici non ottimali

Questi segnali, visibili solo dopo la spiumatura al macello, sono considerati “misure basate sull’animale” (animal based measures – ABM) e possono fornire indicazioni sul benessere degli animali in allevamento.

Lo studio ha quantificato l’incidenza dei diversi problemi e ha analizzato i principali fattori di rischio sulla base delle informazioni disponibili al macello, con particolare riguardo a:

  • Tipo di allevamento: nelle gabbie arricchite il rischio di dermatiti plantari è inferiore rispetto ai sistemi a terra, ma aumenta il rischio di lesioni sternali con i sistemi a più livelli (voliere) che si collocano in una posizione intermedia.
  • Linea genetica: le galline rosse, più pesanti rispetto alle linee bianche, sono meno esposte a rischio di lesioni sternali, ma più a rischio per le dermatiti plantari.
  • Età: le partite macellate dopo le 90 settimane hanno mostrato complessivamente meno lesioni, indicando che il prolungamento del ciclo produttivo non rappresenta di per sé un fattore di rischio, ma potrebbe essere piuttosto associato a una migliore gestione degli animali.
  • Stagione: in autunno e inverno aumenta il rischio di dermatiti plantari, presumibilmente per la più difficile gestione dell’umidità della lettiera e quindi una sua minore qualità.

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Fonte: IZS Venezie




Il valore immateriale delle cose

Nella presente era dell’Antropocene e nella nostra societa’, caratterizzate da un consumismo sempre più sfrenato, le fredde quanto ciniche logiche dell’economia sovrastano incontestabilmente tutte le altre.

Provo grande disagio e amarezza nel constatare che, nella narrazione mediatica che a ritmo incalzante fotografa la società contemporanea, ciascuno di noi venga rappresentato come una sorta di “espressione del PIL” di questa o di quella nazione.

Da ex professore universitario che si considera uno studente a vita e continua a mantenere rapporti umani e professionali particolarmente fecondi e gratificanti coi suoi ex studenti, mi preme sottolineare che nessun denaro potrà mai acquistare simili beni immateriali dal valore incommensurabile!

Da essi traggo ogni giorno linfa vitale nonché immensa soddisfazione e grandi benefici.

Il grado di felicità delle persone, non il vil denaro, costituisce la vera e propria cartina di tornasole mediante la quale si misura il benessere di una società.

Errare humanum est perseverare autem diabolicum!

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Osservatorio ASAPS – Incidenti con animali primi sei mesi 2025

ASAPS, da sempre attenta ai problemi di sicurezza stradale, fornisce alcuni dati del suo Osservatorio sugli incidenti con animali e consigli agli automobilisti ma anche agli enti proprietari strade. L’Osservatorio nei primi sei mesi 2025 ha registrato 100 incidenti significativi (l’Osservatorio considera esclusivamente quelli con persone ferite o decedute, quelli con danni ai soli mezzi sono migliaia), col coinvolgimento di animali, nei quali 7 persone sono morte e 118 sono rimaste seriamente ferite. Le segnalazioni pervengono dai 600 referenti sul territorio e cronache della stampa.
In 91 casi l’incidente è avvenuto con un animale selvatico (91%) e in 9 (9%) con un animale domestico.
Settantasei incidenti sono avvenuti di giorno e 24 di notte. Novantasei incidenti sono avvenuti sulla rete ordinaria e 4 nelle autostrade e extraurbane principali.
In 67 casi il veicolo impattante contro l’animale è stato una autovettura, in 37 casi un motociclo, in 1 incidente l’impatto è avvenuto contro autocarri o pullman e in 3 incidenti coinvolti dei velocipedi e pedoni. Il totale è superiore al numero degli eventi perché in alcuni sinistri sono rimasti coinvolti veicoli diversi.
Al primo posto negli incidenti gravi con investimenti di animali la Lombardia con 16 episodi, la Campania con 14, il Lazio con 11, la Toscana con 9, le Marche con 8, l’Emilia Romagna con 7, la Puglia con 6, la Sardegna con 5, il Piemonte, la Sicilia, l’Umbria e la Liguria con 4. E poi l’Abruzzo con 3, la Basilicata con 2 e, infine, il Molise, il Trentino Alto Adige e il Veneto con 1.

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Fonte: ASAPS.it




La sanità inquina: il 4,4% delle emissioni viene dal settore salute. Il nuovo report Ocse

Il settore sanitario, motore di salute pubblica, è anche un importante contributore alle emissioni di gas serra. Il nuovo rapporto OCSE “Decarbonising Health Systems Across OECD Countries” stima che in media il 4,4% delle emissioni complessive nei Paesi membri nel 2018 sia attribuibile a ospedali, ambulatori, farmaci, dispositivi e servizi sanitari. Una quota che supera settori tradizionalmente percepiti come inquinanti (vedi l’aviazione), ma che finora aveva ricevuto scarsa attenzione.

Ospedali e inappropriatezza delle cure
Secondo l’analisi, gli ospedali rappresentano circa il 30% delle emissioni totali del settore sanitario. Il peso deriva dall’alta intensità di risorse impiegate, soprattutto nelle terapie intensive. Spostare l’assistenza dall’ospedale al territorio e potenziare la primaria può contribuire a ridurre ricoveri evitabili, tempi di degenza e sprechi. In media, nei Paesi OCSE, politiche di appropriatezza potrebbero abbattere fino a un quarto delle emissioni ospedaliere, con benefici paralleli su qualità e costi dell’assistenza.

Prodotti sanitari sotto osservazione

Il rapporto segnala come alcuni prodotti clinici abbiano alternative a basso impatto già disponibili:

-Gas anestetici, con il desflurano che ha un’impronta climatica molto più alta di altri composti sostituibili senza sacrificare la qualità delle cure.

-Inalatori per asma e BPCO, dove i dispositivi spray a base di HFC potrebbero essere sostituiti da inalatori a polvere secca o a nebbia soffice, clinicamente equivalenti ma con un’impronta ambientale molto inferiore.

Nonostante queste opportunità, la gamma di prodotti sottoposti a screening ambientale resta limitata e le lacune nei dati rendono difficile per medici e amministratori prendere decisioni pienamente informate.

Il nodo delle catene di fornitura
La parte preponderante delle emissioni – circa il 79% – non nasce dentro gli ospedali, ma lungo le filiere globali di farmaci, dispositivi e servizi sanitari. Di queste, la metà proviene da Paesi esteri rispetto a quelli in cui le cure vengono erogate, rendendo più complesso il controllo diretto delle emissioni nazionali. La pandemia ha mostrato quanto le supply chain siano interconnesse e difficili da riorganizzare, ma anche quanto i loro costi ambientali siano insostenibili. Per questo l’OCSE sollecita politiche di “green procurement”, linee guida condivise e standard internazionali per spingere il mercato verso produzioni a minore impatto.

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Fonte: quotidianosanita.it




Insetti in alimentazione animale: possono aiutare come antimicrobici che non generano resistenza acquisita?

Farina di insettiDa una decina di anni i ricercatori dell’università di Wageningen stanno studiando gli effetti delle farine di larve di insetti introdotte nelle diete di polli e suinetti. In particolare, sono stati individuate le proprietà positive dovute ai seguenti quattro componenti funzionali delle larve: chitina, chitosano, acido laurico e alcuni peptidi antimicrobici.
Inizialmente le farine di larve di insetti sono state salutate come ingredienti proteici sostenibili, in quanto richiedono limitate quantità di terra e di acqua per la loro produzione e aggiungono valore a sottoprodotti altrimenti di nessuna qualità. Ma adesso, con i lavori di Wageningen, si è appurato che le larve della mosca “Black Soldier”, ricche dei componenti funzionali sopra citati, hanno effetti antimicrobici capaci, potenzialmente, di ridurre le infezioni, fornendo delle valide alternative all’uso di antibiotici in veterinaria.

A questo scopo, sono stati avviati due progetti di iniziativa privata, finanziati dal Ministero dell’Agricoltura olandese, finalizzati ad indagare sui benefici per la salute degli animali in allevamento dell’impiego della farina di larve di Black Soldier nell’alimentazione di polli e suinetti. In particolare, si è indagato sulla riduzione delle infezioni batteriche e sullo stress termico.
Lo studio è stato condotto sia in vivo che in vitro. I risultati sono stati discussi nel corso del webinar del 18/6/2025, dal titolo “Insect products as health promoters in broilers and pig feeds”, organizzato dalla università di Wageningen in collaborazione con Cargill e Protix.

Nello studio in vivo condotto su broilers infettati con Clostridium perfringens, (il responsabile della enterite necrotica) la farina di larve sostituiva il 10% della soia nella dieta, con il significativo risultato di facilitare il recupero in salute degli animali, con il migliore rapporto di conversione alimentare.
Nello studio in vivo con suinetti infettati con Escherichia coli, la farina di larve è stata introdotta in concentrazioni diverse. A onor del vero, in questo caso, i risultati non sembrano statisticamente convincenti. Non sono, comunque, negativi.
Le conclusioni suggeriscono che le larve di “Black Soldier”, inserite nella dieta dei polli, abbiano potenziali effetti antimicrobici e possano coadiuvare nel recupero dei malati e nel loro successivo mantenimento in buone condizioni di salute, a vantaggio del minor ricorso a terapie veterinarie.

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Fonte: georgofili.info