Uno studio One Health getta nuova luce sul complesso intreccio fra pipistrelli, allevamenti suini e virus

Studio dell’IZSVe individua come almeno otto specie di pipistrelli (chirotteri) utilizzino le aree degli allevamenti di suini dell’Italia settentrionale. Sebbene questa interazione possa presentare effetti positivi per entrambe le specie, l’assenza di barriere fisiche e le lacune nella biosicurezza all’interno delle aziende suinicole possono comportare un rischio residuo per la trasmissione inter-specifica di virus.

Legnaro (Padova) –  I pipistrelli, o chirotteri, sono riconosciuti come serbatoi naturali di diversi coronavirus (CoV), da alcuni dei quali potrebbero essersi evolute specie virali pericolose per l’uomo e per gli animali domestici, come il SARS-CoV-2 o il virus della diarrea epidemica nel suino. Tuttavia, le dinamiche e i meccanismi che permettono il passaggio di questi virus agli animali da allevamento o all’uomo rimangono per lo più sconosciute.

I ricercatori del Laboratorio di zoonosi virali emergenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno condotto uno studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Plos One, per valutare i fattori di rischio per la trasmissione di virus dai pipistrelli ai suini, usando come caso studio i coronavirus in alcuni allevamenti dell’Italia settentrionale. Lo studio è stato realizzato nell’ambito del progetto europeo ConVErgence e ha visto la collaborazione dell’Università La Sapienza di Roma, Università di Padova, Università di Bari, Università del Sussex (UK) e Coop. STERNA di Forlì.

“L’interfaccia fra animali selvatici, animali domestici ed esseri umani, rappresenta un confine molto labile dove possono emergere malattie infettive a carattere epidemico”, spiega Stefania Leopardi, veterinaria dirigente e supervisore della ricerca. “Sappiamo che gli allevamenti suini rappresentano possibili ‘hotspot’ per la diffusione e la comparsa di varianti ricombinanti potenzialmente pericolose per gli animali o l’uomo. Per questo motivo, l’identificazione di nuovi coronavirus è fondamentale per valutare il loro adattamento nel suino e nell’uomo, ma è altrettanto importante cercare di comprendere i fattori di rischio che possono favorire i fenomeni di spillover nelle specie animali.”

Indagini ecologiche, modellistica ambientale, analisi virologiche

Per la ricerca è stato utilizzato un approccio multidisciplinare ispirato al paradigma ‘One Health’, in cui sono state combinate indagini ecologiche, di modellistica ambientale e di virologia molecolare. Una prima fase ha riguardato il monitoraggio bioacustico in 14 allevamenti suinicoli del Triveneto, mediante cui sono state identificate otto specie di pipistrelli negli allevamenti, con P. kuhlii, P. pipistrellus e H. savii come le più diffuse e attive.

L’analisi del paesaggio e delle strutture aziendali ha permesso di identificare i fattori che influenzano maggiormente l’attività dei pipistrelli. È emerso che gli allevamenti con strutture in grado di attrarre insetti registrano un’intensa attività dei pipistrelli, mentre l’habitat circostante incide in misura minore sulla ricchezza delle specie.

Parallelamente, le indagini virologiche hanno permesso di identificare tre nuove specie di CoV, rilevati in P. kuhlii e H. savii, di cui è stato possibile ottenere il sequenziamento completo del genoma. Fondamentale per questa fase l’analisi combinata di campioni raccolti su tre colonie di P. kuhli e di campioni di archivio provenienti da attività di sorveglianza della rabbia in popolazioni di animali selvatici, condotte negli anni dal Laboratorio.

Fra le specie di pipistrello più comuni, è stata osservata una circolazione attiva di CoV in P. kuhlii, anche in colonie situate all’interno delle aziende suinicole, con l’identificazione di due specie distinte di CoV in questi pipistrelli. I CoV sono stati rilevati durante tutta la stagione di attività dei pipistrelli, con picchi a maggio e ad agosto, e in alcuni casi sembrano essere condivisi tra specie diverse di pipistrelli (P. kuhlii e H. savii), aumentando ulteriormente il rischio di ricombinazione genetica.

Le analisi filogenetiche mostrano inoltre che i suini potrebbero essere esposti ad almeno otto specie distinte di CoV, dal momento che i CoV sono associati in modo specifico al proprio ospite.

Da una parte lo studio mette in evidenza come le aziende suinicole possono rappresentare delle oasi per la conservazione dei pipistrelli in ambienti rurali di agricoltura intensiva, dove la monotonia degli elementi ambientali sta inaridendo la biodiversità. In questi ambienti, i pipistrelli possono svolgere un servizio ecosistemico di controllo degli insetti dannosi, anche contribuendo alla riduzione dei pesticidi. Tuttavia, la circolazione dei pipistrelli è anche associata al rischio potenziale di esposizione ai virus che essi veicolano.

Un aspetto fondamentale rilevato dallo studio è la frequente assenza di barriere fisiche negli allevamenti, allestite per impedire il contatto tra i pipistrelli e i recinti dei suini, e un’applicazione disomogenea delle pratiche di biosicurezza. Rafforzare queste misure potrebbe mitigare il rischio di esposizione ai diversi CoV, e più in generale ai virus associati alla fauna selvatica, migliorando la convivenza tra l’uomo e gli animali domestici e selvatici.

 

Fonte: IZS Venezie




Nuovi strumenti per rilevare l’influenza aviare

L’influenza aviaria A (H5N1) è una malattia degli uccelli altamente contagiosa che ha già infettato milioni di uccelli e ora appare in alcuni mammiferi.

Si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo, portando a abbattimenti di massa di polli/galline negli allevamenti avicoli a causa della sua natura altamente contagiosa e mortale.

La preoccupazione per la diffusione di questo virus è legata al fatto che attraversare la barriera di specie e infettare i mammiferi, tra cui bovini, gatti e esseri umani. Sebbene non si sia in grado di diffondersi diffuso tra gli esseri umani, la sua capacità di infettare i mammiferi solleva problemi di salute pubblica e chiede un maggiore monitoraggio.

L’influenza aviaria ad alta patogenicità, nota anche come “aviaria” è senza dubbio quindi un problema sanitario a livello mondiale. La conoscenza della diffusione del virus e la sua rapida identificazione sono essenziali per controllare la malattia.

Oggi nuovi e accurati test possono rilevare il virus in modo molto specifico. Questi test sviluppati dal JRC (Joint Research Center) possono monitorare la diffusione del virus in varie tipologie di campioni, comprese le acque reflue.

Uno studio congiunto di vari enti a livello europeo ha sviluppato due saggi digitali RT-PCR, uno in grado di rilevare specificamente l’influenza ad alta patogenicità A (H5Nx) clade 2.3.4.4b, virus noti per la diffusione in tutto il mondo e il secondo in grado di rilevare una gamma più ampia di virus dell’influenza A, compresa l’influenza stagionale. Possono essere utilizzati separatamente o in combinazione come approccio diagnostico singolo (saggio duplex).

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Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




La prossima pandemia? Un nuovo studio identifica gli hotspot globali delle minacce zoonotiche

La prossima pandemia? Un nuovo studio identifica gli hotspot globali delle minacce zoonotiche

Il clima che cambia e l’impatto delle attività umane sulla natura e sull’ambiente aumentano il rischio di epidemie. Uno studio recente di JRC (Joint Research Center) mappa il rischio di epidemie in tutto il mondo e individua i territori più esposti e la loro capacità di rispondere. Lo studio che utilizza l’apprendimento automatico e i dati satellitari rivela che il 9,3% della superficie terrestre globale è ad alto, o molto alto, rischio di epidemia di malattie come Ebola, Zika e febbre emorragica Crimea-Congo, insieme ad altre cinque malattie elencate come priorità dall’OMS per il loro potenziale nel causare epidemie e pandemie.

L’immagine illustra con i colori le zone con più o meno alto rischio di essere punti partenza di epidemie.

Lo studio analizza anche i fattori che possono essere causa dell’emergere di malattie con caratteristiche epidemiche: l’aumento delle temperature, i livelli di precipitazioni annuali più elevati in alcune aree e i deficit idrici in altre, aumentano il rischio di epidemie; inoltre, i cambiamenti di uso del suolo, gli insediamenti umani in prossimità delle aree boschive, l’aumento della popolazione e della densità del bestiame e la perdita di biodiversità – tutti contribuiscono a questo rischio.

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Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




La malattia X fa paura: servono risposte immediate dall’Europa e dal mondo

Servizi veterinari in prima linea per la prevenzione pandemica. Un avamposto che, però, deve essere sostenuto da scelte politiche orientate verso la realizzazione della One health.

“Non è solo un concetto, sta diventando un principio che unisce tutti i servizi sanitari a livello globale. Ma i buoni principi non sono sufficienti se non vengono traslati in azioni concrete soprattutto quando emergono i primi segni di una malattia”, dichiara Emmanuelle Soubeyran, direttore generale dell’Organizzazione mondiale per la salute animale (Woah).

La pandemia Covid-19, al riguardo, ha rappresentato uno stress test che ha mostrato dolorosi gap nella sorveglianza dei servizi veterinari, nei sistemi sanitari pubblici e nella coordinazione multi-settoriale. Questi gap, sottolinea Soubeyran, sono ancora presenti.

La one health non rimanga (soltanto) sulla carta

È necessario che la politica si faccia carico del problema: un invito emerso con forza nel corso della conferenza “Preventing Disease X” che si è tenuta a Bruxelles a luglio. “Dobbiamo far crescere il profilo della animal health – dice la direttrice della Woah – e dobbiamo convincere i decisori politici e privati che è molto importante investire in questo settore.

La salute animale non riguarda solo gli animali. Ha un impatto sul commercio, sulla sicurezza alimentare, sulla salute pubblica, sulla resistenza agli antimicrobici e impatta anche sull’ambiente e sulla biodiversità. Purtroppo troppo spesso le conversazioni sono limitate ai ministri della salute in assenza dei ministri dell’agricoltura, dell’economia o della finanza che, invece, dovrebbero essere coinvolti”.

Senza il loro engagement, l’agenda One health rischia di restringersi al concetto One human health. “Abbiamo perso un elefante nella stanza”, aggiunge Roxane Feller, segretario generale di Animal health Europe. “Noi continuiamo a pensare che persista una mancanza di comprensione dell’intrinseca correlazione tra la salute umana, animale e ambientale”.

Qualcosa comunque si sta muovendo nei palazzi europei, secondo la dirigente che cita al riguardo un report del Parlamento sulla sostenibilità degli allevamenti e un dibattito che si è svolto presso il Concilio europeo sulle vaccinazioni e il controllo delle malattie. Ma forse il problema non è tanto il grado di consapevolezza, quanto (come emerso durante il convegno) la frustrazione degli addetti ai lavori al cospetto della frammentazione del sistema.

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Fonte: aboutpharma.com




Cetacei spiaggiati, sentinelle della salute del mare

spiaggiamentiHic est locus ubi mors gaudet succurrere vitae” (“Ecco il luogo ove la morte si compiace di venire incontro alla vita”): è questa la celebre frase che, a far tempo dalla seconda metà del XIX secolo, campeggia sulla facciata dello storico Ospedale degli Incurabili di Napoli.

Nulla di più rispondente al vero non solo per noi umani, ma anche rispetto alla straordinaria valenza di balene e delfini spiaggiati nei confronti dei propri “consimili”, la cui vita si svolge esclusivamente in ambiente acquatico.

Le oltre 90 specie cetologiche popolanti i mari e gli oceani del nostro Pianeta risultano sempre più minacciate per mano dell’uomo, come chiaramente si evince dagli esiti delle indagini post mortem effettuate su esemplari rinvenuti spiaggiati.

La crescente contaminazione chimica e da materie plastiche degli ecosistemi marini, unitamente all’intrappolamento in reti da pesca ed alle collisioni con natanti, rappresentano infatti alcune tra le più significative minacce antropogeniche per la cetofauna dei nostri mari, mentre numerosi agenti patogeni di natura virale, batterica e parassitaria – alcuni dei quali a comprovata capacità zoonosica – ne minano ulteriormente, al contempo, il già precario stato di salute e di conservazione.

Un approccio multidisciplinare, basato sul principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – costituisce pertanto lo strumento ideale per affrontare e gestire al meglio queste complesse problematiche con tutte le inevitabili ricadute sia in ambito sanitario che conservazionistico.

Giovanni Di Guardo
DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Malattie infettive umane ed animali: Prevenire e’ meglio che curare!

Abbracciare con uno sguardo d’insieme le malattie infettive umane ed animali costituisce un’impresa tutt’altro che agevole, viste le grandi e molteplici differenze che caratterizzano i rispettivi agenti patogeni, da un lato, e le variegate strategie difensive elaborate dall’ospite nei loro confronti, dall’altro.

A tal proposito, mentre la pandemia da CoViD-19 ci ha consegnato una lezione oltremodo eloquente ed un’eredita’ quantomai gravosa, andrebbe parimenti sottolineato, al contempo, che il 75% delle c.d. “malattie infettive emergenti” trarrebbero la propria origine, comprovata o presunta, da uno o più serbatoi animali (Casalone & Di Guardo, 2020).

Come risulta ben noto, i virus a RNA quali ad esempio quelli influenzali e lo stesso betacoronavirus SARS-CoV-2, responsabile della CoViD-19, sarebbero gli agenti infettivi più soggetti a sviluppare mutazioni genetiche, il che consentirebbe loro sia di bypassare le risposte immunitarie dell’ospite sia di adattarsi a nuove specie, come sta avvenendo giustappunto con il clade 2.3.4.4b del virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicita’ A(H5N1) (Di Guardo, 2025a).

La mutagenicita’ degli RNA-virus e, piu’ in generale, di qualsivoglia agente patogeno, virale e non, potrebbe risultare ulteriormente accresciuta da una prolungata esposizione dei medesimi sia alle radiazioni solari che a quelle nucleari, evenienza quest’ultima che i drammatici teatri bellici in Ucraina così come nel Vicino-Medio Oriente contribuirebbero a rendere quantomai attuale e plausibile al contempo (Di Guardo, 2025b).

In un siffatto contesto andrebbe altresi’ tenuta in debita considerazione pure la marcata resistenza ambientale di determinati microrganismi quali ad esempio il virus del vaiolo delle scimmie (MPXV), che nel corso di questi ultimi anni si è reso responsabile di migliaia di casi di malattia nell’uomo in oltre 100 Paesi. Infatti, a seguito dei fenomeni meteo-climatici estremi che con sempre maggior frequenza ci e’ dato osservare ad ogni latitudine e longitudine per via della crisi climatica globale, sia MPXV sia numerosi altri agenti, virali e non, dotati di elevata resistenza ambientale, potrebbero essere trasferiti a notevole distanza dal luogo in cui si e’ verificata la loro eliminazione ad opera di individui infetti  (Di Guardo, 2024).

Mi preme sottolineare, al riguardo, che il ruolo degli eventi meteo-climatici nella diffusione degli agenti infettivi, pur configurandosi come un fattore di rilevanza crescente, non sembrerebbe godere, al momento, della considerazione che lo stesso meriterebbe nello svolgimento delle indagini eco-epidemiologiche mirate a chiarire l’origine dei vari focolai di malattie infettive umane ed animali.

Sulla base di quanto sin qui esposto, appare dunque di cruciale importanza prevenire l’insorgenza e la diffusione delle malattie infettive umane ed animali sia attraverso adeguate campagne di vaccinazione di massa sia tramite lo sviluppo di modelli matematici in grado di prevederne l’evoluzione e, nondimeno, in un’ottica multidisciplinare e di stretta collaborazione intersettoriale fra Medicina Umana e Medicina Veterinaria, costantemente permeata dal principio della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Bibliografia citata 

Casalone C., Di Guardo G. (2020). CoViD-19 and mad cow disease: So different yet so similar.  Science.
DOI:https://www.science.org/doi/10.1126/science.abb6105#elettersSection.
Di Guardo G. (2024). Consideration of environmental aerosols. Veterinary Record 194(3):119.
DOI:10.1002/vetr.3930.
Di Guardo G. Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus: How Far Are We from a New Pandemic? (2025a). Veterinary Sciences 12(6):566.
DOI:10.3390/vetsci12060566.
Di Guardo G. (2025b). Nuclear catastrophes: Have we truly learned from history? BMJ.
DOI:https://www.bmj.com/content/388/bmj.r319/rr-5.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia  Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Origini del Covid. La zoonosi è l’ipotesi più probabile ma non si esclude l’incidente di laboratorio. Il rapporto dell’Oms

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso il gruppo di esperti SAGO (Scientific Advisory Group for the Origins of Novel Pathogens), ha pubblicato un’attesa relazione indipendente sull’origine del virus SARS-CoV-2. A oltre cinque anni dalla comparsa dei primi casi a Wuhan, in Cina, il report non fornisce ancora una risposta definitiva, ma offre un’analisi scientifica articolata delle evidenze disponibili, delineando due principali ipotesi in esame e le lacune che ancora impediscono una conclusione certa.

La relazione nasce da un mandato chiaro: comprendere come e dove SARS-CoV-2 sia passato agli esseri umani. È un’esigenza non solo scientifica ma anche etica, volta a prevenire future pandemie. SAGO ha operato in modo indipendente, analizzando migliaia di dati pubblicati e non, documenti governativi e interviste a esperti. Tuttavia, sottolinea di non aver potuto accedere a dati grezzi cruciali, in particolare da laboratori cinesi.

Le quattro ipotesi valutate
Nel report vengono analizzate quattro ipotesi principali:
– Spillover zoonotico naturale, da un animale selvatico all’uomo, con o senza ospite intermedio.

– Incidente in laboratorio, attraverso esposizione diretta o fallimento delle misure di biosicurezza.
– Trasmissione da catena del freddo, da prodotti animali importati contaminati.
– Manipolazione intenzionale, tramite ingegneria genetica seguita da un rilascio accidentale.

Sulle ipotesi 3 e 4, la relazione è chiara: al momento non ci sono evidenze scientifiche che le supportino. La trasmissione tramite prodotti congelati è ritenuta molto improbabile, mentre la manipolazione intenzionale del virus è giudicata non corroborata da dati genomici o esperimenti noti.

Le ipotesi più plausibili
Le due ipotesi ritenute più solide sul piano scientifico restano:
Spillover zoonotico naturale (ipotesi 1): supportata dalla maggior parte delle evidenze disponibili, anche se non ancora provata in via definitiva. Il virus è geneticamente simile a ceppi rinvenuti in pipistrelli in Cina e Laos (es. BANAL-52 e RaTG13), seppur troppo distanti per essere considerati precursori diretti. Metagenomica e tracciamenti ambientali al mercato Huanan di Wuhan (HSM) hanno confermato la presenza di animali suscettibili al virus (come il cane procione) e tracce genetiche del virus stesso su superfici di bancarelle.

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Fonte: quotidianosanita.it




Da One Health a One Virology: nasce l’European Virus Archive, asset strategico per la ricerca virale europea

datiL’European Virus Archive (EVA), nato grazie al progetto EVAg nell’ambito del programma per la ricerca Horizon 2020, è stato registrato lo scorso 27 marzo 2025 in Belgio come EVA-AISBL (Association Internationale Sans But Lucratif). L’EVA diventa quindi un asset strutturale della ricerca virologica europea e internazionale, grazie alla collaborazione di numerose organizzazioni sanitarie e di ricerca provenienti da 11 Paesi diversi tra cui l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe).

Da One Health a One Virology

EVA-AISBL è oggi l’unica infrastruttura di ricerca al mondo dedicata alla raccolta, caratterizzazione, produzione e distribuzione di risorse virali. Gestisce collezioni uniche di virus e punta a offrire ai ricercatori del settore sanitario pubblico e privato un equo accesso a risorse virali di alta qualità come ceppi, strumenti diagnostici e altri materiali, nel pieno rispetto delle normative internazionali.

EVA-AISBL nasce grazie alla collaborazione di agenzie di sanità pubblica, istituzioni accademiche, istituti veterinari e centri di ricerca provenienti da 11 Paesi diversi, che hanno deciso di collaborare stabilmente mettendo in comune un’ampia gamma di competenze e risorse specializzate nell’ambito della virologia umana, veterinaria e ambientale. L’EVA si ispira infatti al concetto “One Virology”, che declina l’approccio One Health allo studio e alla gestione sanitaria dei virus.

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Fonte: onehealthfocus.it




Aflatossine: le nuove linee guida del Ministero della Salute per mangimifici e filiera lattiero-casearia

Il Ministero della Salute ha revisionato le linee guida per prevenire e gestire il rischio contaminazione da aflatossine nella filiera lattiero-casearia e nella produzione del mais destinato all’alimentazione umana e animale (QUI). La prima versione del documento era stata divulgata durante l’emergenza del 2013, quando, a seguito delle condizioni climatiche estreme,  si era resa necessaria la definizione di procedure operative straordinarie.

La decisione di operare questo riesame è stata presa considerando che attualmente, a seguito dei cambiamenti climatici in atto, si assiste ad una maggiore variabilità annuale e regionale delle contaminazioni da micotossine sia a livello nazionale che europeo, e pertanto la contaminazione delle produzioni agricole non può più essere gestita come un evento eccezionale o emergenziale con procedure straordinarie, ma deve essere gestita in modo programmato attraverso il sistema di autocontrollo degli Operatori. Fin qui nessuna grande novità, dato che, con il Regolamento 178/2002 e 852/2004 dopo, già era stata attribuita agli operatori la responsabilità di implementare nel loro processo produttivo un sistema a garanzia della sicurezza degli alimenti immessi sul mercato.

La novità risiede, quindi, unicamente nella volontà di uniformare il comportamento degli operatori affinché dispongano di uno schema di intervento di riferimento da adattare alle diverse realtà produttive e territoriali, e contribuiscano al raggiungimento degli obiettivi di sicurezza alimentare stabiliti a livello europeo.

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Fonte: Ruminantia




Centro di Collaborazione WOAH dell’IZSLT confermato per il quinquennio 2025 – 2030

L’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (WOAH) ha rinnovato per altri cinque anni, dal 2025 al 2030, la designazione dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana “M. Aleandri” (IZSLT) come Centro di Collaborazione sulle Good Beekeeping Management Practices and Biosecurity Measures in the Apiculture Sector.

In una lettera firmata dalla dr.ssa Montserrat Arroyo, vice-direttrice generale WOAH per gli International Standards and Science, la Commissione degli Standard Biologici «ha esaminato con grande apprezzamento il rapporto di autovalutazione 2020-2025, riconoscendo i significativi progressi compiuti negli ultimi cinque anni» e rilevando che «la maggior parte degli obiettivi iniziali è stata raggiunta con successo». Il documento sottolinea inoltre il ruolo chiave del Centro nel sostenere la missione della WOAH di migliorare, su scala globale, la salute e il benessere animale, apprezzandone «dedizione, competenza e spirito di collaborazione».

«Il rinnovo della collaborazione WOAH è insieme un riconoscimento e un impegno», commenta il Commissario Straordinario dell’IZSLT, dr. Stefano Palomba. «Premia la qualità scientifica del nostro Istituto nel settore apistico, ma soprattutto ci sprona a investire ancora di più in ricerca, formazione nel piano della cooperazione internazionale per proteggere la salute delle api e, con essa, la sicurezza delle filiere agro-alimentari»

Per l’IZSLT questo risultato consolida una leadership maturata negli anni grazie a progetti di ricerca applicata, formazione tecnica e assistenza sul campo alle imprese apistiche. Il nuovo mandato quinquennale consentirà di:

  • ampliare le attività di sorveglianza e prevenzione delle patologie apiarie;
  • sviluppare ulteriori linee guida su biosicurezza e buone pratiche di allevamento;
  • rafforzare la cooperazione con gli altri Centri di Collaborazione e Reference Centre WOAH in una prospettiva One Health.

«Proseguiremo a lavorare fianco a fianco con il Ministero della Salute, le Regioni e gli stakeholder internazionali», conclude Palomba, «perché garantire l’efficienza degli alveari significa tutelare biodiversità, agricoltura e sicurezza alimentare: tre pilastri essenziali per il futuro dei sistemi produttivi e ambientali».

Fonte: IZS Lazio e Toscana