Le micro-nanoplastiche come veicoli di Toxoplasma gondii e di altri protozoi nei mari e negli oceani

Sono oramai trascorsi sei anni da quando il Dr James T. Carlton ed i suoi collaboratori descrissero sulla prestigiosa Rivista Science l’inedita dispersione nell’Oceano Pacifico di decine di organismi acquatici, in larga misura invertebrati, per effetto dello tsunami occorso in seguito al sisma del Marzo 2011 lungo le coste orientali giapponesi. Ad amplificare notevolmente tale fenomeno intervennero le micro-nanoplastiche, che operarono in qualità di “zattere” nei confronti dei succitati organismi (1).

Nella complessa ed articolata disamina dell’interazione di questi ultimi con gli innumerevoli frammenti di materiale plastico presenti in mare, particolare attenzione andrebbe prestata ai microorganismi patogeni, numerosi dei quali sarebbero in grado di esercitare un consistente impatto sulla salute e sulla conservazione dei Cetacei (2), sempre più minacciati peraltro dalle attività antropiche.

Un esempio paradigmatico è rappresentato, a tal proposito, da Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica (3) e la cui infezione sarebbe in grado di determinare la comparsa di gravi ed estese lesioni encefalitiche nei delfini della specie “stenella striata” (Stenella coeruleoalba) – un comune abitante delle acque mediterranee, così come di quelle temperate e tropicali di tutti i mari e gli oceani del pianeta -, con conseguente spiaggiamento e morte degli esemplari colpiti (4). Sebbene vi sia un sostanziale accordo fra i membri della comunità scientifica in merito alla possibilità che un “flusso terra-mare” costituisca il meccanismo biologicamente più plausibile attraverso cui le oocisti di T. gondii riescano a trasferirsi dall’ambiente terrestre a quello marino ed oceanico (analogamente a molti altri microorganismi, protozoari e non, a trasmissione oro-fecale), rimane tuttavia da spiegare come le stesse possano raggiungere ed essere pertanto acquisite dalle stenelle striate, così come da tutte le altre specie cetologiche T. gondii-sensibili che vivono in mare aperto, a fronte della più che comprensibile azione diluente esercitata dal mezzo acquatico nei loro confronti (5).

In altre parole, se appare facile intuire, da un lato, come una specie “costiera” quale il “tursiope” (Tursiops truncatus) – il delfino comunemente ospitato nei delfinari, così come negli oceanari e nei parchi acquatici – possa sviluppare l’infezione da T. gondii, la comprensione di una siffatta evenienza risulta assai meno agevole, dall’altro lato, in presenza di una specie “pelagica” quale S. coeruleoalba. Varie le ipotesi formulate per spiegare tale fenomeno, ivi compresa l’esistenza di un ciclo biologico “marino”, esclusivo o complementare rispetto a quello terrestre di T. gondii (5). A onor del vero, tuttavia, non essendo mai stata dimostrata l’esistenza in natura di cicli vitali del parassita alternativi o comunque differenti da quello terrestre, sarebbe davvero interessante studiare in dettaglio se gli tsunami, gli eventi sismici sottomarini e, più in generale, il moto delle correnti acquatiche possano rendersi responsabili del trasferimento, anche a lunghe distanze, di T. gondii così come di altri microorganismi patogeni a trasmissione oro-fecale. Degna di nota è, in un siffatto contesto, la segnalazione relativa alla presenza in più specie ittiche d’interesse commerciale di T. gondii, che potrebbe esser stato veicolato alle medesime dai frammenti di materiale plastico ingeriti in mare (6). Ciò fa il paio con la recente descrizione, in mare aperto, di T. gondii e di altri due importanti agenti protozoari – Cryptosporidium parvumGiardia enterica -, che sono stati giustappunto rilevati in stretta associazione con microsfere di polietilene e, soprattutto, con microfibre di poliestere (7).

Alla luce di quanto sin qui esposto, mentre il presunto “sinergismo di azione patogena” fra T. gondii e micro-nanoplastiche appare meritevole di ulteriori studi ed approfondimenti, non vi è dubbio al contempo che un approccio “integrato”, basato sul salutare principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, rappresenti la conditio sine qua non per investigare al meglio i complessi quanto affascinanti rapporti intercorrenti fra il parassita ed i suoi ospiti nell’ambito delle catene trofiche e degli ecosistemi marini.

Bibliografia di riferimento

1) J.T. Carlton, J.W. Chapman, J.B. Geller, et al. Tsunami-driven rafting: Transoceanic species dispersal and implications for marine biogeography. Science 357, 1402-1406. DOI: 10.1126/science.aao1498 (2017).

2) M.-F. Van Bressem, J.-A. Raga, G. Di Guardo, et al. Emerging infectious diseases in cetaceans worldwide and the possible role of environmental stressors. Dis. Aquat. Organ. 86, 143-157. DOI: 10.3354/dao02101 (2009).

3) J.G. Montoya, O. Liesenfeld. Toxoplasmosis. Lancet 363, 1965-1976. DOI: 10.1016/S0140-6736(04)16412-X (2004).

4) G. Di Guardo, U. Proietto, C.E. Di Francesco, et al. Cerebral toxoplasmosis in striped dolphins (Stenella coeruleoalba) stranded along the Ligurian Sea coast of Italy. Vet. Pathol. 47, 245-253. DOI: 10.1177/0300985809358036 (2010).

5) G. Di Guardo, S. Mazzariol. Toxoplasma gondii: Clues from stranded dolphins. Vet. Pathol. 50, 737. DOI: 10.1177/0300985813486816 (2013).

6) A.M.F. Marino, R.P. Giunta, A. Salvaggio, et al. Toxoplasma gondii in edible fishes captured in the Mediterranean basin. Zoonoses Public Health 66, 826-834 (2019).

7) E. Zhang, M. Kim, L. Rueda, et al. Association of zoonotic protozoan parasites with microplastics in seawater and implications for human and wildlife health. Sci. Rep12, 6532. https://doi.org/10.1038/s41598-022-10485-5 (2022).

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 

 




Microplastiche nei mari: il livello di contaminazione nelle carni di pesce spada e tonno rosso del Mediterraneo

microplastichePer la prima volta, microplastiche, polimeri e additivi sono stati rilevati nel tessuto muscolare dei pesci, proprio la parte che finisce nel piatto dei consumatori.

Le microplastiche sono un serio problema ambientale che sta colpendo gli ecosistemi marini in tutto il mondo. Particelle di dimensioni ridotte, comprese tra 0,1 e 5000 micron, che possono adsorbire sostanze tossiche presenti nell’ambiente circostante rappresentando un’ulteriore via di esposizione alle stesse per la fauna marina. Essendo oramai presenti nella catena alimentare acquatica, i consumatori possono rischiare la loro ingestione. E proprio nel Mediterraneo la contaminazione da plastiche, assieme agli additivi usati per i trattamenti a cui sono sottoposte, è una delle più elevate a livello globale.

Una ricerca condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo in collaborazione con il Croatian Veterinary Institute di Spalato e l’Università Politecnica delle Marche, pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Sea Research, ha permesso ora di rivelare il livello di contaminazione da microplastiche in due specie di pesce comuni nel Mediterraneo: il pesce spada (Xiphias gladius), pescato nel Mare Ionio, e il tonno rosso (Thunnus thynnus), proveniente dall’Adriatico. La particolarità dello studio è che i contaminanti sono stati rilevati anche mediante metodologie mai applicate prima nei muscoli dei pesci, quindi nella parte che effettivamente finisce nei nostri piatti.

“Molti studi precedenti – dice Federica Di Giacinto, ricercatrice del Centro per la Biologia delle acque dell’IZS Teramo – erano incentrati sul contenuto delle sole microplastiche esclusivamente nell’apparato digerente dei pesci. La nostra ricerca, invece, ha potuto evidenziare la contaminazione a livello muscolare non solo da microplastiche, ma anche da polimeri e additivi usati per la loro produzione. Le microplastiche che abbiamo rilevato nei muscoli molto probabilmente sono state ingerite dai pesci e poi sono traslocate dall’apparato gastro-intestinale ai tessuti circostanti”.

Mediante l’utilizzo della stereomicroscopia, della microspettroscopia Raman e della cromatografia liquida con spettrometria di massa, lo studio, condotto con il supporto finanziario dell’Unione Nazionale Cooperative Italiane (UNCI), ha riguardato microplastiche di dimensioni inferiori ai 10 micron e polimeri, come polietilentereftalato (PET) e policarbonato (PC), oltre a pigmenti e additivi come il bisfenolo A (BPA) e l’acido p-ftalico (PTA). Alcune di queste sostanze, ampiamente utilizzate per la produzione di beni di plastica di largo consumo, sono sotto osservazione per valutare se abbiano effetti sulla salute. È il caso del BPA, considerato capace di interferire con la funzionalità del sistema endocrino.

“Questo lavoro – continua Di Giacinto – punta a contribuire a una conoscenza più approfondita di queste particolari categorie di inquinanti, sia dal punto di vista dell’estensione del fenomeno, sia applicando nuove metodologie per la loro quantificazione. I prossimi passi del nostro laboratorio, ora, saranno di valutare quale sia il livello di contaminazione in ulteriori animali acquatici, arrivando ad una valutazione dell’effettiva esposizione alla quale sono esposti i consumatori”.

 Fonte: IZS Teramo



Insetti, un manifesto per la salute pubblica

Gli insetti sono di gran lunga gli animali più comuni sul nostro pianeta, con oltre 1,5 milioni di specie conosciute. Oltre ad essere attori fondamentali per la salute e l’equilibrio del pianeta, gli insetti sono anche di interesse crescente per la sanità pubblica, sia umana che veterinaria. Siano essi vettori di malattie o alimento del futuro, la stretta e talvolta forzata convivenza tra insetti e uomo sottolinea l’importanza di affrontare tutti gli aspetti di questa relazione, nella prospettiva della sanità pubblica.

Per ridurre la distanza fra questi due mondi, un gruppo di ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha recentemente pubblicato un articolo sulla rivista scientifica Insects che fornisce una panoramica delle tematiche-ponte tra insetti e salute pubblica. Si tratta di una sorta di “manifesto” che si rivolge ai professionisti della sanità con obiettivi molto ambiziosi:

  • delineare e rafforzare il ruolo dell’autorità sanitaria pubblica nei diversi settori che coinvolgono gli insetti;
  • incrementare le conoscenze per il migliorare l’allevamento, la sua gestione e il benessere degli insetti;
  • potenziare le attività di ricerca dell’interfaccia insetti-salute pubblica.

Leggi la pubblicazione scientifica su Insects »

Il gruppo di lavoro “Insetti”

Nel 2021 la Direzione sanitaria dell’IZSVe ha costituito il Gruppo di lavoro “Insetti” con l’intenzione di promuovere un approccio di ricerca One health, includendo ricercatori IZSVe con variegati interessi di ricerca, ma accomunati da un unico denominatore: l’entomologia applicata a zootecnia e sanità pubblica. Il primo atto del Gruppo è stato la pubblicazione dell’articolo “Insects and Public health: an overview, che fornisce una panoramica delle tematiche-ponte tra insetti e salute pubblica.

Nel 2021 la Direzione sanitaria dell’IZSVe ha costituito il Gruppo di lavoro “Insetti” proprio con l’intenzione di promuovere un approccio di ricerca One health, includendo ricercatori IZSVe con variegati interessi di ricerca, ma accomunati da un unico denominatore: l’entomologia applicata a zootecnia e sanità pubblica. Il primo atto di questo Gruppo è stato appunto la pubblicazione dell’articolo “Insects and Public health: an overview” che costituisce un esempio di collaborazione trasversale fra i diversi laboratori dell’IZSVe.

Più in generale il Gruppo di lavoro si propone di studiare gli impatti positivi e negativi degli insetti sulla salute, perseguendo i seguenti obiettivi:

  • condividere le attività analitiche e di ricerca effettuate sugli insetti, evitando sovrapposizioni e incentivando collaborazioni;
  • trovare sinergie e idee innovative per la presentazione di progetti di ricerca;
  • seguire l’evoluzione della legislazione nei vari ambiti;
  • definire strategie innovative di ricerca.

Va ricordato che la salute pubblica si occupa da decenni di insetti come vettori di malattia e infestanti, in quanto le malattie trasmesse da vettori costituiscono più del 17% delle malattie infettive. Ma in campo alimentare umano, l’interesse verso gli insetti come alimenti e/o mangimi è emerso solo di recente. Tale utilizzo, sebbene esista fin dai tempi antichi, si sta riaffermando a livello mondiale anche attraverso il consolidarsi di pratiche di allevamento zootecnico d’avanguardia. Inoltre, negli ultimi anni gli insetti sono stati utilizzati nell’ambito della ricerca come potenziali bioindicatori di inquinamento ambientale o come modello animale alternativo ai vertebrati.

Il crescente utilizzo degli insetti in ambito zootecnico e il conseguente aumento delle strutture di allevamento a livello europeo comporta la necessità di sviluppo di sistemi e procedure in grado di tutelare la salute del consumatore e dell’insetto stesso, attraverso la definizione di standard di benessere e buone pratiche di allevamento, nonché l’applicazione di misure di biosicurezza per preservarne lo stato sanitario.

Insettari e laboratori

Ad oggi in IZSVe sono operativi due insettari a fini sperimentali: nel primo vengono allevate diverse specie di insetti vettori (zanzare delle specie: Aedes albopictusAedes koreicus, Aedes aegypti), nel secondo delle specie di insetti per uso alimentare e di ricerca (Acheta domesticusTenebrio molitor e Galleria mellonella).

Ad oggi in Istituto sono operativi due insettari a fini sperimentali: nel primo vengono allevate diverse specie di insetti vettori (zanzare delle specie: Aedes albopictusAedes koreicusAedes aegypti), nel secondo delle specie di insetti per uso alimentare e di ricerca (Acheta domesticusTenebrio molitor e Galleria mellonella).

Strutture dell’IZSVe che si occupano di insetti:

  • Centro di referenza nazionale per l’apicoltura e Centro regionale per l’apicoltura (CRA) della Regione Veneto. Le attività si concentrano prevalentemente sulla diagnosi e controllo delle malattie dell’alveare, controllo della qualità e dei residui nei prodotti dell’alveare, utilizzo delle api e dei suoi prodotti come bioindicatori dell’inquinamento ambientale. Attività di monitoraggio della mortalità delle api e dello spopolamento degli alveari attraverso diversi progetti nazionali ed internazionali.
    Referente “Gruppo insetti”: Anna Granato
  • Laboratorio parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria (SCS3). Si occupa di identificazione tassonomica degli artropodi e di analisi diagnostiche per la rilevazione di patogeni negli insetti. Numerosi laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie sono coinvolti nella diagnosi, ricerca e sorveglianza di artropodi parassiti e vettori. Le attività di sorveglianza entomologica vengono condotte principalmente con catture attive di vettori in tutto il territorio del Triveneto.
    Referenti “Gruppo insetti”: Fabrizio Montarsi, Michela Bertola
  • Laboratorio qualità e sicurezza delle filiere alimentari (SCS8). Si occupa di effettuare analisi microbiologiche e chimiche volte ad identificare e quantificare possibili rischi derivanti dal consumo di insetti. Il Laboratorio offre inoltre consulenza alle aziende alimentari nell’ambito di questi novel food, contribuendo anche allo sviluppo dei dossier autorizzativi necessari per l’immissione in commercio ai sensi della normativa comunitaria.
    Referente “Gruppo insetti”: Simone Belluco
  • Laboratorio ecologia microbica e genomica dei microrganismi (SCS1). Si occupa di effettuare analisi metagenomiche sugli insetti e i prodotti derivati.
    Referente “Gruppo insetti”: Carmen Losasso
  • Laboratori SCS2 – Chimica. Si occupano dello studio di contaminanti ambientali o contaminati di processo che possono interessare gli insetti e i prodotti derivati, nonché della caratterizzazione di peptidi antimicrobici e proteine allergeniche.
    Referenti “Gruppo insetti”: Albino Gallina, Roberto Stella
  • Laboratorio benessere animale e sanità pubblica veterinaria (SCS4). Si occupa di approfondire i temi relativi all’oggettivazione dell’adattamento dell’animale nelle diverse fasi di allevamento, con definizione di indicatori standardizzati di benessere.
    Referente “Gruppo insetti”: Guido di Martino

Fonte: IZS Venezie




SARS-CoV-2 negli animali, la valutazione del rischio dell’Ecdc/EFSA

L’Ecdc, Centro europeo per il controllo delle malattie e L’Efsa, Agenzia europea per la sicurezza alimentare hanno pubblicato il Risk Assestment “SARS-CoV-2 in animals: susceptibility of animal species, risk for animal and public health, monitoring, prevention and control

La situazione epidemiologica di SARS-CoV-2 nell’uomo e negli animali è in continua evoluzione” si legge nell’abstract del documento.

Ad oggi, le specie animali note per essere in grado di trasmettere SARS-CoV-2 sono:

-visone americano
– cane procione
– gatto
– furetto
– criceto
– topo domestico
– pipistrello della frutta egiziano
– topo cervo
– cervo dalla coda bianca.

Tra gli animali d’allevamento, i visoni americani hanno la più alta probabilità di essere infettati da esseri umani o animali e trasmettere ulteriormente SARS-CoV-2.

Nel 2021 nell’UE sono stati segnalati 44 focolai in allevamenti di visoni in 7 Stati membri; nel 2022 la tendenza è al ribasso; solo 6 nel 2022 in 2 Stati membri.

L’introduzione di SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni avviene solitamente tramite esseri umani infetti; il rischio può essere controllato testando sistematicamente le persone che entrano negli allevamenti e applicando adeguate misure di biosicurezza.

Tra gli animali da compagnia, gatti, furetti e criceti ci sono quelli a più alto rischio di infezione da SARSCoV-2; molto probabilmente i contagi provengono da un essere umano infetto e hanno comuqnue un impatto nullo o molto basso sulla circolazione del virus nella popolazione umana.

Tra gli animali selvatici (animali degli zoo compresi),  sono risultati suscettibili per lo più carnivori, grandi scimmie e cervi dalla coda bianca.

Nell’UE finora non sono stati segnalati casi di fauna selvatica infetta.

Le due Agenzie europee consigliano un corretto smaltimento dei rifiuti umani per ridurre i rischi di ricaduta di SARS-CoV-2 sulla fauna selvatica. Dovrebbe inoltre essere ridotto al minimo  il contatto con esemplari di fauna selvatica, specialmente se malati o morti. Per la fauna selvatica non è raccomandato alcun monitoraggio specifico, vanno però testati gli animali raccolti dai cacciatori con segni clinici o trovati morti.

I pipistrelli, ospiti naturali di molti coronavirus, dovrebbero essere monitorati.

A cura della segreteria SIMeVeP




Le intriganti traiettorie del virus influenzale AH5N1 fra animali e uomo

Mentre il betacoronavirus SARS-CoV-2 non smette di mostrarci la sua straordinaria capacità di soggiacere a mutazioni del proprio “make-up” genetico, risultando via via più abile ad eludere l’immunità conferita dalle pregresse infezioni e/o dalle vaccinazioni anti-COVID-19, oltre ad accrescere la propria affinità di legame nei confronti del recettore ACE-2 – come chiaramente testimoniato dalla sottovariante Omicron XBB.1.5, alias “Kraken” -, il virus AH5N1 è balzato ancora una volta agli onori della cronaca.

Infatti, dopo la prima apparizione nel sud-est asiatico, un quarto di secolo fa, di questo virus influenzale ad elevata patogenicita’ (“High Pathogenicity Avian Influenza virus“, “HPAI virus”), che a seguito dello “spillover” dai volatili domestici (polli) aveva già prodotto una serie di casi di malattia umana – numerosi dei quali anche ad esito fatale -, quello che al momento desta una certa preoccupazione e’ il ceppo virale noto con la sigla “2.3.4.4b”.

A testimonianza di ciò, la presenza di questo virus è stata finora segnalata in Asia, così come in Africa, Europa e Nord-America, in numerose specie di avifauna selvatica, attraverso le cui attività migratorie l’agente patogeno si sarebbe quindi trasmesso ad altre specie, ivi compresi i mammiferi marini ed i visoni d’allevamento. Questi ultimi, sulla scorta di quanto e’ stato recentemente documentato in un allevamento intensivo della regione spagnola della Galizia, avrebbero acquisito il virus da gabbiani infetti, dopodiché lo avrebbero diffusamente propagato in forma mutata tra i propri conspecifici. A tal proposito, non può non sovvenire in mente un parallelo rispetto a quanto accaduto durante la pandemia da SARS-CoV-2 in Danimarca e nei Paesi Bassi, nei cui allevamenti intensivi si sarebbe sviluppata la variante “cluster 5”, previa acquisizione del virus umano da parte dei visoni (“viral spillover“), che avrebbero successivamente propagato al proprio interno e quindi “restituito” lo stesso all’uomo in forma mutata (“viral spillback“).

Per quanto riguarda i mammiferi marini, il cui stato di salute e di conservazione risulta sempre più minacciato per mano dell’uomo e la cui suscettibilità nei confronti dei virus influenzali era già stata dimostrata da vari studi pubblicati nel corso degli ultimi 40 anni, il virus 2.3.4.4b e’ stato recentemente identificato in alcuni esemplari di focena e di tursiope, nonché in leoni marini ed in esemplari di foca rinvenuti spiaggiati lungo le coste statunitensi della Florida, oltre che su quelle del Perù e della Svezia.
Particolarmente degno di nota, in questi animali, lo spiccato neurotropismo del virus, denotato dai gravi quadri di meningo-encefalite emersi grazie alle approfondite indagini post mortem effettuate sui medesimi.

Per quanto riguarda la nostra specie, i casi d’infezione da HPAI virus AH5N1 documentati dal 2003 sino alla fine dello scorso anno ammonterebbero ad oltre 800, con la metà degli stessi ad esito infausto. Da notare, in un siffatto contesto, il caso recentemente accertato in una ragazza undicenne della Cambogia, il cui exitus non sarebbe stato tuttavia causato dal ceppo 2.3.4.4b.

Il consistente quanto rapido e progressivo ampliamento del “range” delle specie suscettibili al virus AH5N1 e, segnatamente, al “clade” 2.3.4.4b costituisce un motivo di fondato allarme, tanto più alla luce delle notevoli distanze filogenetiche intercorrenti fra volatili e mammiferi terrestri ed acquatici sensibili, oltre che della comparsa di uno stipite virale mutato nei visoni allevati intensivamente in Spagna, fra i quali l’agente patogeno si sarebbe diffusamente e celermente propagato.

Sebbene allo stato attuale delle conoscenze non risulti che il virus AH5N1 abbia finora acquisito la capacità di trasmettersi efficacemente da uomo a uomo una volta che lo stesso sia stato acquisito ad opera di animali infetti (figure professionali particolarmente a rischio sarebbero rappresentate, in proposito, dai Medici Veterinari e dalle maestranze operanti negli allevamenti e nei macelli avicoli, nonché dagli addetti al trasporto di volatili vivi), la formidabile capacità di ricombinazione e riassortimento genetico insita nell’RNA multi-segmentato dei virus influenzali conferirebbe un’elevata plausibilita’ biologica ad una siffatta evenienza.

Il salvifico principio della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – dovrebbe rappresentare ancora una volta, come la drammatica pandemia da SARS-CoV-2 ci ha insegnato, il “minimo comune denominatore”, alias la stella polare attorno alla quale dovrebbe svilupparsi la sorveglianza epidemiologica nei confronti dell’infezione sostenuta dal virus AH5N1, in un clima di piena, mutua ed incondizionata trasparenza e collaborazione interdisciplinare, a garanzia del quale la divulgazione e lo scambio di sequenze virali fra i vari laboratori pubblici coinvolti su scala globale costituisce un fondamentale, ineludibile presupposto.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Influenza aviaria: in aumento i casi negli uccelli selvatici, cresce l’attenzione anche verso i mammiferi

Dopo gli eventi di spillover in visoni allevati cresce l’attenzione delle autorità sanitarie verso mutazioni del virus H5N1 che potrebbero favorirne il passaggio ai mammiferi e all’uomo.

L’evoluzione della situazione dell’influenza aviaria a livello globale negli ultimi mesi ha sollevato una certa preoccupazione fra la comunità scientifica internazionale. Dopo i casi confermati di trasmissione del virus H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) dagli uccelli in alcune specie di mammiferi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (Woah) hanno invitato tutti i paesi ad innalzare il livello di allerta sull’arrivo di una nuova pandemia di influenza nella popolazione umana sostenuta da un virus di origine aviare.

Secondo i dati epidemiologici del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in Italia la circolazione del virus H5N1 fra gli uccelli selvatici è in aumento, con il rischio che questi possano trasmettere il virus agli allevamenti avicoli. Il ministero della Salute ha diramato pochi giorni fa una nota, indirizzata a tutti i Servizi veterinari regionali e agli Istituti Zooprofilattici italiani, in cui ravvisa la necessità di rafforzare la sorveglianza dei volatili selvatici e l’applicazione delle misure di biosicurezza negli allevamenti avicoli.

“La diffusione del ceppo H5N1 HPAI fra gli uccelli selvatici è in aumento, in Italia come nel resto del mondo – dichiara Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza per l’influenza aviaria – Nel nostro paese, i casi di H5N1 HPAI nell’avifauna interessano principalmente Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Il ministero della Salute ha evidenziato come tale situazione costituisca un rischio costante per gli allevamenti di volatili domestici, considerato che alcune zone ad elevata densità avicola coincidono con le aree dove attualmente si rilevano casi di HPAI nei selvatici. Come Centro di referenza stiamo monitorando l’evoluzione dell’epidemia su tutto il territorio nazionale con estrema attenzione, per evitare che si verifichi una situazione come nell’inverno 2021-2022.”

La situazione in Italia

Negli uccelli selvatici a partire da settembre 2022 sono stati ufficialmente confermati 79 casi di positività fra gabbiani (19), alzavole (13), germani (10) e in altri esemplari di rapaci e anatidi. Molti altri casi sospetti nei gabbiani sono in corso di conferma presso l’IZSVe. Il persistere di casi nei selvatici evidenzia la continua circolazione di H5N1 sul territorio italiano in linea con quanto sta avvenendo in altri paesi europei ed extra europei in cui si registra un aumento di casi anche nel pollame e nei mammiferi selvatici, e in cui sono stati segnalati anche sporadici casi in mammiferi domestici.

Negli uccelli domestici la situazione è più favorevole, dopo la drammatica ondata epidemica di H5N1 HPAI che ha investito prevalentemente il nordest nell’inverno 2021-2022, con 317 focolai negli allevamenti. L’ultimo focolaio nel pollame risale infatti al 23 dicembre 2022, portando a 30 il numero dei casi confermati da settembre 2022. I focolai sono stati riscontrati principalmente in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

“La situazione negli allevamenti è migliorata rispetto a un anno fa – afferma il dott. Terregino – grazie anche all’intenso lavoro portato avanti dal ministero della Salute in collaborazione con le Regioni e le Asl coinvolte, il Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e i rappresentanti del mondo produttivo. La collaborazione fra le parti ha permesso di affrontare e migliorare le principali criticità riscontrate, rafforzando in particolare la sorveglianza negli uccelli selvatici e rendendo più efficaci le strategie di prevenzione e la gestione dei focolai negli allevamenti.”

Il rischio di trasmissione nei mammiferi

In Italia non sono stati registrati casi tra i mammiferi, tuttavia sono previste attività di monitoraggio anche in queste specie, in particolare nelle aree umide frequentate da uccelli selvatici potenzialmente infetti.

Il virus H5N1, come molti altri i virus respiratori, è molto plastico e il suo tasso di mutazione genetica è piuttosto elevato. Alcuni ceppi del virus H5N1 (clade 2.3.4.4b) attualmente circolanti fra gli uccelli hanno mostrato mutazioni considerate segni di adattamento ai mammiferi. Alcuni animali, come i visoni, potrebbero consentire il riassortimento genetico di diversi virus influenzali, da cui possono emergere varianti virali più pericolose per gli animali e l’uomo. Sono attualmente in corso presso i laboratori del Centro di referenza per l’influenza aviaria dell’IZSVe studi per approfondire le caratteristiche genetiche e biologiche del ceppo identificato nei visoni in Spagna.

La sorveglianza genetica consente non solo di identificare correttamente il virus ma anche di studiarne le mutazioni. Gli studi finora condotti dall’IZSVe indicano un’evoluzione solo parziale del virus che, per il momento, non è in grado di causare un contagio inter-umano. Non si può escludere però che il virus in futuro possa acquisire caratteristiche tali da renderlo trasmissibile da uomo a uomo. Una delle armi più efficaci per individuare tempestivamente questa eventualità è la condivisione delle sequenze genetiche fra i membri della comunità scientifica, in modo da seguire l’evoluzione del virus nel tempo e nello spazio e capire se si verificano mutazioni che favoriscono la replicazione nei mammiferi.

I rischi per l’uomo

Sebbene colpisca principalmente il pollame e gli uccelli selvatici, l’influenza aviaria può anche se solo occasionalmente essere trasmessa ai mammiferi, compreso l’uomo. Dalla sua comparsa nel 1996 in un allevamento di oche in Cina, il virus H5N1 ha provocato casi di infezione anche tra gli esseri umani in diversi Paesi del mondo, ma con una frequenza sporadica e in particolari condizioni. Ad oggi non sono stati rilevati casi di trasmissione inter-umana del virus H5N1.

I virus aviari non sono in grado di contagiare con facilità l’uomo, nella maggior parte dei casi le infezioni da H5N1 sono avvenute in persone a stretto contatto con volatili infetti in aree molto povere, in condizioni di forte pro­miscuità e scarsa igiene, senza un’opportuna consapevolezza della presenza del­la malattia e dei rischi ad essa associati. Esistono categorie professionali più esposte al rischio, come allevatori avicoli, veterinari, macellatori, trasportatori. Per questi soggetti, che potrebbero venire in contatto più frequentemente con uccelli infetti o morti di influenza aviaria, è previsto un monitoraggio sanitario in caso di epidemia ed è raccomandabile la vaccinazione contro l’influenza umana, come misura per prevenire fenomeni di ricombinazione genetica tra il virus stagionale umano e il virus dell’influenza aviaria.

Fonte: IZS Venezie




LRRC15, un nuovo determinante di suscettibilità/resistenza a SARS-CoV-2

Giovanni Di GuardoRisale a pochi giorni fa, ad opera di un team di ricercatori australiani dell’Università di Sydney, la notizia relativa all’identificazione di un ulteriore recettore nei confronti di SARS-CoV-2 – il famigerato betacoronavirus responsabile della drammatica pandemia da COVID-19 -, localizzato in ambito polmonare nonché a livello delle prime vie aeree e di altri distretti tissutali dell’ospite, ivi compresa la cute.

La molecola in questione, la cui esistenza e’ stata resa nota attraverso un articolo pubblicato sulla prestigiosa Rivista “PLoS Biology”, è denominata “leucine-rich repeat containing protein 15” (LRRC15) e farebbe il paio con il recettore ACE-2, la ben nota porta attraverso cui SARS-CoV-2 sarebbe in grado di penetrare alll’interno delle nostre cellule, così come di quelle delle numerose specie animali naturalmente e/o sperimentalmente suscettibili nei confronti dell’infezione.

Ciononostante, a dispetto di un’elevata affinita’ di legame del virus con entrambi i recettori sopra citati, la pregressa interazione di SARS-CoV-2 con la molecola LRRC15 inibirebbe il successivo legame dello stesso con ACE-2, sequestrando per così dire il virus ed impedendone di fatto l’ingresso nelle cellule ospiti. Inoltre, in concomitanza con la diffusione dell’infezione in ambito polmonare, si assisterebbe ad una contestuale, accresciuta espressione del recettore LRRC15, che ostacolerebbe pertanto l’ulteriore colonizzazione del parenchima e, di conseguenza, il progressivo sviluppo della reazione sclero-fibrotica che frequentemente accompagna l’evoluzione in senso cronico dell’infezione.

Ne deriva che LRRC15 costituirebbe un fondamentale determinante di suscettibilità/resistenza nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, caratterizzandosi in tal modo come una molecola attraverso i cui livelli di espressione in ambito sia polmonare sia delle prime vie aeree, oltre che dei vari distretti tissutali dell’ospite esprimenti la stessa, passerebbe la differente gravità dei quadri clinico-patologici associati alla COVID-19.

Ai livelli di espressione della molecola LRRC15, congiuntamente al grado di omologia del recettore virale ACE-2 (e, possibilmente, anche della “neuropilina-1”), potrebbe infine risultare correlata la maggiore o minore suscettibilità delle diverse specie animali nei confronti dell’infezione naturale e/o sperimentalmente indotta da SARS-CoV-2, nell’imprescindibile ottica della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




Cambiamento climatico e One Health, un solo Pianeta, un solo Oceano

Sebbene i mari e gli oceani coprano il 70% della superficie del nostro Pianeta, gli ecosistemi terrestri e gli organismi vertebrati ed invertebrati che li popolano hanno da tempo immemorabile goduto e continuano tuttora a godere di ben maggiore attenzione sul piano mediatico, narrativo e scientifico, in un contesto di riferimento sempre più “antropomorfico ed antropocentrico”.

Ben 8 miliardi di persone vivono attualmente sul nostro Pianeta e la popolazione terrestre potrebbe arrivare a sfiorare l’iperbolica cifra di 11 miliardi alla fine di questo secolo!

Un siffatto scenario si tradurrà, con ogni probabilità, in una potente “vis a tergo” rispetto alla comparsa di nuove pandemie, prime fra tutte quelle da virus influenzali ad elevata patogenicita’, nonché da agenti veicolati da artropodi e da batteri antibiotico-resistenti, successivamente alla presente pandemia da SARS-CoV-2 – il betacoronavirus responsabile della CoViD-19, verosimilmente emerso nel 2019 da un serbatoio animale primario (pipistrelli del genere Rinolophus) -, che avrebbe sin qui provocato la morte di quasi 7 milioni di individui.

La prima, fondamentale lezione che ci è stata insegnata dalla pandemia da SARS-CoV-2 e’ che tutti gli esseri viventi che popolano il nostro Pianeta sono reciprocamente interconnessi, così come la salute degli organismi terrestri risulta intimamente collegata a quella degli organismi marini e viceversa. Due illuminanti esempi potrebbero essere costituiti, a tal proposito, dalla crescente contaminazione chimica e da macro-meso-micro-nanoplastiche dei nostri mari, entrambe di chiara matrice antropogenica. Quella da materie plastiche, in particolare, sarebbe stata fortemente alimentata dalle innumerevoli mascherine e dagli altrettanto innumerevoli guanti che ci hanno validamente difeso e continuano tuttora a proteggerci dal coronavirus SARS-CoV-2, oltre che da una folta gamma di ulteriori agenti, virali e non, in grado di colonizzare le nostre vie respiratorie.

Quanto sopra esposto giustificherebbe ampiamente la definizione di “Antropocene” che e’ stata giustappunto coniata per la nostra era, vista e considerata l’abnorme quanto inedita “impronta ecologica” impressa dal genere umano su Madre Terra! Il cambiamento climatico, eloquentemente documentato dal riscaldamento globale (gli 8 anni appena trascorsi sono stati i più caldi degli ultimi 140 anni!), si sta traducendo in un progressivo scioglimento delle calotte glaciali artiche ed antartiche, con conseguente aumento del livello degli oceani e dei mari e con la contestuale migrazione verso latitudini via via più settentrionali di molte specie e popolazioni di mammiferi acquatici, secondariamente allo spostamento verso nord delle relative prede e fonti alimentari ittiche. E, di pari passo con la traslocazione di prede e predatori, si spostano pure gli agenti infettivi veicolati dagli stessi!

Al riguardo, numerosi agenti patogeni capaci d’infettare sia i Pinnipedi che i Cetacei – quali ad esempio Toxoplasma gondii, Listeria monocytogenes e Salmonella spp. – risultano caratterizzati da un “ciclo vitale” terrestre, vale a dire che a seguito di fenomeni meteo-climatici estremi quali alluvioni, frane, inondazioni essi possono trasferirsi agli ecosistemi marini ed essere in tal modo acquisiti dai mammiferi acquatici ed, in primis, da quelli che vivono in prossimità delle coste, quali ad esempio i tursiopi (Tursiops truncatus).

Ecco come la salute, le infezioni e le condizioni patologiche proprie degli organismi terrestri, ivi compreso Homo sapiens sapiens, risultano intimamente connesse a quelle delle creature popolanti gli ecosistemi marini!

Tutto ciò viene magistralmente riassunto, infine, dalla celeberrima frase riportata nella missiva scritta il 5 Giugno 2020 da Papa Francesco a Ivan Duque Marquez, il Presidente della Colombia, in occasione della Giornata Mondiale per l’Ambiente:

“Non possiamo pretendere di vivere sani in un mondo malato”.

Intelligenti Pauca!

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




Salvaguardia dell’ambiente, della salute dell’uomo e degli animali: il resoconto Unep del 2022

Un anno di risultati. Grandi o piccoli sarà il futuro a decretarlo. Ma per il pianeta è importante provarci. Il programma sull’ambiente delle Nazioni Unite (Unep) ha fatto il resoconto delle pietre miliari ambientali del 2022.  

La risoluzione per porre fine all’inquinamento da plastica

Lo scorso 2 marzo, il ministro dell’Ambiente norvegese, Espen Barth Eide, ha suggellato una risoluzione globale con l’obiettivo di porre fine all’inquinamento da plastica, a lungo considerato uno dei problemi ambientali più urgenti del pianeta. L’accordo è stato uno dei tanti importanti passi in avanti nella tutela dell’ambiente che sono stati fatti nel corso del 2022, definito anno storico per il pianeta.  

Plastica: un pericolo per l’ambiente

Ogni anno vengono generati quasi 400 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, una cifra destinata a raddoppiare entro il 2040. Solo una frazione di questi viene riciclata, il resto finisce nell’ambiente e soprattutto negli oceani, causando danni a esseri umani e alla fauna selvatica. La risoluzione adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente a Nairobi, in Kenya, impegna le nazioni a mettere in atto una bozza di accordo entro la fine del 2024. 

50 anni di Unep

Sempre a marzo scorso, i delegati di tutto il mondo si sono riuniti in Kenya per una sessione speciale dell’Unep per commemorare il suo 50esimo anniversario. L’evento ha visto i partecipanti fare il punto su tutto ciò che è stato raggiunto negli ultimi cinquant’anni, inclusi gli sforzi per riparare lo strato di ozono, eliminare gradualmente il carburante con piombo e proteggere le specie in via di estinzione.  

La nascita del movimento ambientalista

A giugno 2022, nella capitale della Svezia, si è tenuto l’incontro internazionale di Stoccolma per commemorare il 50esimo anniversario della Conference on the Human Environment del 1972, considerata la nascita del moderno movimento ambientalista. È stata anche l’occasione per discutere degli obiettivi di sviluppo sostenibile e per affrontare la tripla crisi planetaria del cambiamento climatico, della natura e della perdita di biodiversità, dell’inquinamento e dei rifiuti. 

Il diritto a un ambiente sano e pulito

A luglio 2022, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato che tutti gli abitanti del pianeta hanno diritto a un ambiente sano e pulito e ha invitato gli Stati a intensificare gli sforzi per proteggere la natura. La delibera non è giuridicamente vincolante. Ma i sostenitori sperano che spingerà i Paesi a sancire il diritto a un ambiente sano nelle loro costituzioni, consentendo agli attivisti di sfidare politiche e progetti distruttivi per l’ambiente. 

Attività di sensibilizzazione

Quest’anno, le campagne dell’Unep hanno sensibilizzato su una moltitudine di questioni ambientali. La Giornata mondiale dell’ambiente, la  Giornata internazionale dell’aria pulita per i cieli blu e la Giornata internazionale della consapevolezza delle perdite e degli sprechi alimentari hanno coinvolto milioni di persone in tutto il mondo, contribuendo a mettere l’ambiente al centro dell’attenzione pubblica. Nel frattempo, due importanti studi dell’Unep, l’Emissions Gap Report e l’Adaptation Gap Report, hanno puntato i riflettori sulla portata della crisi climatica e su ciò che l’umanità deve fare per evitare il peggio del cambiamento climatico. 

Cop27

Lo scorso novembre, alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop27 ) in Egitto, gli Stati membri hanno concordato di istituire un fondo che sosterrà i Paesi in via di sviluppo alle prese con le conseguenze della crisi climatica. In un accordo definito dagli osservatori storico, il cosiddetto fondo loss and damage mira ad aiutare le nazioni vulnerabili a far fronte a siccità, inondazioni e mare in aumento, che dovrebbero diventare più gravi man mano che il clima del pianeta cambia. 

Cop15

Nell’ultimo mese di quest’anno, si è conclusa la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (Cop15), a Montreal in Canada, con un accordo storico per guidare l’azione globale sull’ambiente fino al 2030. Il quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal include misure concrete per arrestare e invertire la perdita della natura, tra le quali mettere sotto protezione il 30% del pianeta e il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030. L’accordo è stato pensato per contrastare quella che gli esperti definiscono un’allarmante perdita di biodiversità. Secondo un rapporto Ipbes del 2019, infatti, ci sarebbe un milione di specie che va verso l’estinzione, molte minacciate dall’attività umana. 

Fonte: aboutpharma.com




Covid-19, ancora una volta la Cina insidia il mondo

coronavirusAlle misure draconiane finalizzate al contenimento della diffusione di SARS-CoV-2 – il famigerato betacoronavirus responsabile della Covid-19 – ha fatto seguito l’adozione, da parte della Cina, di una politica diametralmente opposta.

Ciò si è tradotto in una drammatica escalation dei casi d’infezione, molti dei quali gravi e ad esito fatale soprattutto negli anziani, complice il ridotto tasso di immunizzazione della popolazione ottenuto mediante l’utilizzo di vaccini non particolarmente efficaci.

In questi tre anni di pandemia abbiamo acquisito molte conoscenze sul virus e sui suoi rapporti con noi umani e con gli animali. Sappiamo, infatti, che più il virus replica nelle nostre cellule, più è facile attendersi la comparsa di varianti altamente diffusive quali la omicron o patogene quali la delta. Almeno 30 sarebbero, altresì, le specie domestiche e selvatiche suscettibili all’infezione, alcune delle quali – visone e cervo a coda bianca – sarebbero parimenti capaci di “restituire” il virus all’uomo in forma mutata. Come accade per almeno il 70% degli  agenti responsabili delle malattie infettive emergenti, anche SARS-CoV-2 trarrebbe la propria origine dal mondo animale.

Se ne deduce pertanto che la corretta gestione di questa delicata fase della pandemia, ancora una volta di matrice cinese, richiederebbe un approccio olistico e multidisciplinare, ispirato al principio della One Health, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria 
presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo