One Health Award 2024: successo per la terza edizione, oltre 2.000 partecipanti. I premiati

homepage - One Health AwardDomenica 13 ottobre, al Centro Internazionale di Formazione e Informazione Veterinaria (CIFIV) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, l’autore e compositore David Monacchi, in dialogo con Giorgia Cardinaletti, giornalista Rai, ha trattato il tema del patrimonio eco-acustico delle foreste primarie. In quella che è stata una vera e propria Lectio magistralis, l’artista ha illustrato, con l’ausilio di immagini e suoni, l’ambizioso progetto Fragments of Extinction, una ricerca di lungo termine sul patrimonio dei suoni delle foreste primarie equatoriali più remote e ancora incontaminate del pianeta, basata su registrazioni 3D ad altissima definizione in Amazzonia, Bacino del Congo, Borneo.

Nelle conclusioni, Nicola D’Alterio, Direttore Generale dell’Istituto, ha ringraziato chi ha supportato e sostenuto concretamente l’evento, tra cui le Istituzioni nazionali e locali in primis, gli autorevoli ospiti, poi la parte organizzativa e tutto il personale dell’Istituto che, ancora una volta, ha fatto squadra per portare la storia e l’attività dell’Ente su palcoscenici prestigiosi.

Mentre venivo qui stamattina ripensavo a un anno fa, eravamo in questo stesso luogo a chiudere tre giorni meravigliosi ‘passati’ sulle sponde del Mediterraneo: direi che ne abbiamo fatta di strada nel corso di quest’anno… dal Nord Africa ci siamo spinti fino al cuore del continente e poi giù fino in Namibia. L’Africa è stata e sarà la Frontiera del nostro impegno come Istituto. Lo abbiamo ripetuto spesso da venerdì a oggi. L’Istituto lavora in Africa da quasi 40 anni. Tanto abbiamo imparato in questi decenni e tanto ancora dobbiamo imparare, in uno scambio che è sempre reciproco” ha dichiarato D’Alterio.
Una cosa di cui sono certo è che siamo sulla strada giusta. Ma abbiamo bisogno di restare insieme. Da soli non c’è salute, non c’è salvezza per il pianeta” ha continuato il Direttore. “La Salute Unica rimane il nostro faro e sono fermamente convinto che questo evento ci aiuta ogni anno diffondere la cultura di One Health”.
“Vi posso assicurare che One Health Award non si ferma qui” ha concluso D’Alterio. “Certo, richiede sacrificio, ma come insegna l’etimologia della parola, si tratta di ‘sacrum facere’ ed è qualcosa di sacro quello che realizziamo da tre anni. Abbiamo già in testa qualche novità per il 2025 e la prossima destinazione del viaggio, ma l’orizzonte non cambierà: la Salute Unica per gli uomini, gli animali e il pianeta”.

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Fonte: vet33.it




Dagli studi su un verme il Premio Nobel per la Medicina!

Ad un anno di distanza dal Premio Nobel assegnato a Katalin Karikó e Drew Weissman per la rivoluzionaria tecnologia dell’RNA messaggero (mRNA), grazie alla quale sono stati messi a punto i vaccini anti-Covid che hanno consentito di salvare centinaia di milioni di vite umane, e’ ancora una volta l’RNA a prendersi la scena del Nobel per la Medicina, che è stato appena conferito a Victor Ambros e Gary Ruvkun per la scoperta dei “micro-RNA”. Si tratta di brevi sequenze di RNA non codificanti ma al contempo regolanti l’attività dei geni umani ed animali, la cui funzione potra’ risultare a seconda dei casi stimolata oppure inibita, con tutte le straordinarie ricadute che ciò potrà avere nella lotta sia ai tumori sia alle patologie cardiovascolari e neurodegenerative financo alle malattie infettive. Quasi per paradosso, verrebbe da dire, queste ultime fattispecie sembrano accomunare sia le potenziali applicazioni sia i futuri sviluppi delle tecnologie dell’mRNA e dei micro-RNA, pur nelle sostanziali differenze che ne governano le relative funzioni biologiche ed i rispettivi meccanismi d’azione.

Non tutti sanno, inoltre, che la scoperta dei micro-RNA si deve agli studi effettuati su Caenorhabditis elegans, un verme lungo un solo millimetro e composto da un migliaio di cellule, il cui numero rimane costante per il suo intero arco vitale. Quest’ultima costituisce, giustappunto, la principale caratteristica biologica per la quale questo nematode e’ stato e continua ad essere tuttora, da oltre 60 anni, oggetto di innumerevoli ricerche finalizzate a comprendere i meccanismi coinvolti nella “morte, rigenerazione e differenziazione cellulare”. Faccio riferimento, in particolar modo, all’ “apoptosi” (alias “morte cellulare programmata”), i cui geni responsabili vennero identificati, in prima battuta, grazie agli studi condotti su C. elegans, negli anni sessanta, da Sydney Brenner, il quale 40 anni piu’ tardi – nel 2002, per la precisione – venne insignito del Premio Nobel per la Medicina insieme ai Colleghi Robert Horvitz e John Sulston.

Historia Magistra Vitae, tanto più quando si pensi che ad un verme il genere umano deve immensa gratitudine!

 

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




World One Health Congress: in Africa l’ottava edizione (2024)

Sono stati quattro giorni pieni di contenuti scientifici importanti quelli dell’ottavo World One Health Congress (8WOHC) che si è svolto – per la prima volta in Africa – a Città del Capo il 24 settembre 2024.

Oltre 1400 esperti leader nel campo della One Health si sono riuniti per condividere dati scientifici all’avanguardia in 70 sessioni e presentare oltre 600 poster scientifici. Ad essere presentate, le ultime scoperte su malattie tropicali trasmesse da vettori, zoonosi, antibiotico resistenza, malattie neglette, sorveglianza, sequenziamento, sicurezza e salubrità di alimenti e mangimi, biosicurezza, clima, intelligenza artificiale, big data e preparazione alle pandemie.

L’assessore James Vos, membro del comitato del sindaco per la crescita economica della città di Città del Capo, ha aperto il congresso dando il benvenuto ai delegati di 87 Paesi «dove le idee prendono vita e innovazione e opportunità si incontrano».

Il Centro per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha partecipato ai lavori della Conferenza con un contributo specifico nei seguenti settori:

  • “One Health Preparedness: how to evaluate Simulation Exercises to enhance multi-sectorial national preparedness plans and capacitate One Health workforce”. L’ISS sta organizzando e implementando esercizi di simulazione in Italia mirati al rafforzamento della preparedness per patogeni a potenziale pandemico a trasmissione respiratoria. In questo contesto è stato elaborato un Piano di valutazione atto a identificare la forza lavoro coinvolta nella preparedness in termini di ruoli, istituzioni e competenze necessarie.
  • “Pathways to strengthen One Health systems in the Pan-European Region for integrated prevention and preparedness strategies and health security”. L’ISS (Centro Nazionale per la Salute Globale) è impegnato in una ricerca operativa per individuare fattori facilitanti che supportano l’operazionalizzazione dell’approccio One Health nella regione Pan-Europea a supporto di una governance e azioni integrate per la prevenzione e preparedness a minacce all’interfaccia uomo-ambiente-animale.
  • “Integrating Diversity and Equity in One Health”. La sessione, organizzata dalla Rete “Women for One Health” di cui è membro il Centro per la Salute Globale dell’ISS, ha esplorato come la diversità degli attori coinvolti in strategie One Health e l’equità nella rappresentazione nei processi di policy-making sono essenziali per un approccio One Health efficace e funzionale.

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Fonte: ISS




One Health. L’ECDC assume la presidenza della Task Force inter-agenzie europea

L’European Centre for Disease Control and Prevention (ECDC) assume la presidenza della One Health Task Force, creata nel 2023 per consentire alle agenzie UE di contribuire con successo all’implementazione dell’approccio One Health in Europa. La task force comprende l’Agenzia europea dei medicinali (EMA), lo stesso Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA). Hanno partecipato al secondo incontro della task force, avvenuto nei giorni scorsi presso l’EMA ad Amsterdam, anche rappresentanti della Direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare europea.

La presidenza della task force ruota annualmente e, a settembre 2024, l’ECDC ha assunto quindi questo ruolo. L’obiettivo principale dell’incontro è stata la discussione delle azioni delineate in cinque obiettivi strategici del quadro d’azione della task force interagenzia One Health: coordinamento strategico, coordinamento della ricerca, rafforzamento delle capacità, coinvolgimento degli stakeholder, attività interagenzia congiunte. L’ECDC guida i lavori sul quarto obiettivo per coinvolgere gli stakeholder di riferimento (tra cui istituzioni UE, Stati membri, organismi multilaterali e altri attori chiave esterni) per sviluppare e implementare attività di comunicazione coordinate su One Health. Tra gli altri punti all’ordine del giorno, l’ECDC ha presentato i risultati preliminari di interviste semi-strutturate qualitative con alcuni paesi UE/SEE sulla visione, i fattori abilitanti e gli ostacoli all’implementazione dell’approccio One Health a livello nazionale.

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Fonte: quotidianosanita.it




I maiali sono possibili vettori dell’epatite E nell’uomo

I maiali possono fungere da veicolo di trasmissione per un ceppo del virus dell’epatite E, HEV, comune nei ratti, che è stato recentemente legato a infezioni umane. Lo rivela uno studio dell’Ohio State University, riportato sulla rivista PNAS Nexus. Da quando è stato segnalato il primo caso umano in una persona con sistema immunitario depresso a Hong Kong nel 2018, sono stati registrati almeno 20 casi umani in totale, anche in persone con funzioni immunitarie normali. Le persone infettate dall’HEV dei ratti non hanno riferito di essere state esposte a questi animali, lasciando indefinita la causa dell’infezione.

Tra i principali sospetti delle infezioni umane da HEV, in molti casi, è il consumo di carne di maiale cruda, che rappresenta una via potenziale anche per l’HEV dei ratti. I ricercatori hanno scoperto che un ceppo di HEV dei ratti, isolato dall’uomo, può infettare i suini ed è stato trasmesso tra animali che vivevano in condizioni simili a quelle di una fattoria. I ratti sono comuni nelle stalle dei suini, il che suggerisce che l’industria della produzione di carne suina potrebbe essere un ambiente in cui l’HEV dei ratti potrebbe proliferare, sino ad arrivare agli esseri umani. “Vogliamo sempre sapere quali virus potrebbero essere in arrivo, quindi dobbiamo conoscere la genetica di questo virus nell’improbabile caso in cui negli Stati Uniti accada qualcosa che permetta all’HEV dei ratti di espandersi”, dichiara Scott Kenney, professore associato di medicina preventiva veterinaria presso l’Ohio State con sede nel Center for Food Animal Health del College of Food, Agricultural, and Environmental Sciences del campus di Wooster e autore senior dello studio.

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Fonte: sanitainformazione.it




Sempre a proposito di “One Health”: clima, ambiente e salute…

Sulla Rivista “The Lancet/Planetary Health” è stata pubblicato di recente il Report di un Gruppo di Ricerca della Rivista dal titolo “Un mondo giusto su un pianeta sicuro …”, gruppo coordinato dal Prof. Joyeeta Gupta.
Nel Report gli autori affermano che “la salute del pianeta e della sua gente è a rischio. Il deterioramento dei beni comuni globali, ovvero i sistemi naturali che sostengono la vita sulla Terra, sta esacerbando l’insicurezza energetica, alimentare e idrica e aumentando il rischio di malattie, disastri, sfollamenti e conflitti”. [https://www.thelancet.com/journals/lanplh/article/PIIS2542-5196(24)00042-1/fulltext?dgcid=raven_jbs_aip_email]

Il Gruppo di Ricerca parte nel suo ragionamento cercando di quantificare quelli che chiama “i confini sicuri e giusti del sistema Terra” (ESB) e provano a quantificare “l’accesso minimo alle risorse naturali necessarie per la dignità umana e per consentire la fuga dalla povertà”. La definizione che danno di ESB è la seguente: “descrizioni quantitative (quando possibile) e qualitative dei confini oltre i quali la stabilità e la resilienza dei processi del sistema Terra sono minacciate e gli esseri umani potrebbero essere sostanzialmente danneggiati”. Gli autori considerano che gli ESB vanno oltre i confini planetari combinando elementi dal livello locale a quello globale con conoscenze provenienti da domini di scienze biofisiche e sociali.

Pertanto si cerca nel Report di descrivere “un corridoio sicuro e giusto” essenziale per garantire una salute umana e planetaria sostenibile e resiliente e prosperare nell’Antropocene.
Definiscono “sicuro” la stabilità biofisica del sistema Terra in base a principi di giustizia che includono la riduzione al minimo dei danni, il soddisfacimento delle esigenze di accesso minime e la ridistribuzione delle risorse e delle responsabilità per migliorare la salute e il benessere umani.

La base del corridoio è definita dagli impatti dell’accesso globale minimo a cibo, acqua, energia e infrastrutture per la popolazione globale, in base alle variabili con cui hanno definito gli ESB. Ne discende che vivere all’interno del corridoio è necessario, perché superare gli ESB e non soddisfare i bisogni di base minaccia la salute umana e la vita sulla Terra.
Tuttavia, il semplice “rimanere all’interno del corridoio” non garantisce giustizia perché all’interno del corridoio le risorse possono anche essere distribuite in modo iniquo, aggravando la salute umana e causando danni ambientali.

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Fonte: quotidianosanità.it




Le micro-nanoplastiche, una sempre più consistente minaccia per le balene, i giganti del mare!

L’ingente e progressivamente crescente contaminazione da micro-nanoplastiche (MNP) degli ecosistemi acquatici e terrestri del nostro Pianeta rappresenta senza dubbio un’emergenza di rilevanza prioritaria, come peraltro risulta testimoniato dalla lapidaria “sentenza” emessa qualche anno fa dal “World Economic Forum”, che recita testualmente: “Nel 2050 (vi sarà) più plastica che pesci nei mari e negli oceani del mondo” (World Economic Forum Report, 2016).

A rendere un siffatto scenario ancora più allarmante contribuisce il comprovato ruolo di potenti “attrattori e concentratori” esplicato dalle MNP nei confronti di una vasta gamma di “contaminanti ambientali persistenti”, ivi compresi metalli pesanti quali il metil-mercurio (MeHg), oltre a numerose categorie di xenobiotici di natura organica quali le diossine, i policlorobifenili (PCB), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e le sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate (PFAS) (Xiang et al., 2022).

Fra le conseguenze negative di tale fenomeno, ritengo opportuno segnalare la consistente “destabilizzazione” arrecata alle catene trofiche in ambito marino e oceanico, con particolare riferimento alle balene, che da “consumatori secondari” (visto e considerato che di zooplancton normalmente si nutrono) si ritroverebbero “improvvisamente” a scalare numerose posizioni della catena alimentare, attestandosi in pratica sui livelli di “predatori apicali” quali delfini, orche ed orsi polari (Berta et al., 2022).

Le ricadute sulla salute e sulla conservazione di queste gigantesche quanto iconiche creature del mare, sempre più minacciate per mano dell’uomo, sarebbero particolarmente gravi in quei contesti geografici ove si registrano alti livelli di contaminazione chimico-ambientale, quali ad esempio il Mar Mediterraneo (Concato et al., 2023).

Ciò a motivo dei documentati effetti immunotossici e neurotossici prodotti da molti contaminanti ambientali persistenti, nonché dai variegati “cocktail” fra gli stessi, senza peraltro tralasciare la rilevante “interferenza” da essi esplicata nei confronti di molteplici attività e funzioni endocrine dell’ospite (Jeong et al., 2024).

Tale quadro risulterebbe ulteriormente aggravato dalla comprovata azione vettrice esercitata dalle MNP nei confronti di svariati agenti patogeni, ivi compresi batteri antibiotico-resistenti che potrebbero trasferire ad altri microorganismi una serie di geni coinvolti nel fenomeno dell’antibiotico-resistenza (Di Guardo, 2023).

Alla luce di quanto sopra esposto ed in considerazione della grande rilevanza e complessità della problematica qui rappresentata, ritengo che un approccio multidisciplinare, ispirato al principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, possa verosimilmente costituire la migliore strategia sia per quantificare la reale “magnitudo” di tali fenomeni sia per mitigare le conseguenze deleterie connesse alla crescente esposizione alle MNP della cetofauna popolante i mari e gli oceani del nostro Pianeta.

Bibliografia consultata

1) Berta A., Kienle S.S., Lanzetti A. Evolution: Killer whale bites and appetites. Curr. Biol. 2022; 32(8):R375-R377. DOI: 10.1016/j.cub.2022.03.001.
2) Concato M., et al. Detection of anthropogenic fibres in marine organisms: Knowledge gaps and methodological issues. Mar. Pollut. Bull. 2023; 191:114949. DOI: 10.1016/j.marpolbul.2023.114949.
3) Di Guardo G. Flood-Associated, Land-to-Sea Pathogens’ Transfer: A One Health Perspective. Pathogens 2023; 12(11):1348. DOI: 10.3390/pathogens12111348.
4) Jeong H., Ali W., Zinck P., Souissi S., Lee J.S. Toxicity of methylmercury in aquatic organisms and interaction with environmental factors and coexisting pollutants: A review. Sci. Total Environ. 2024; 943:173574. DOI: 10.1016/j.scitotenv.2024.173574.
5) Xiang Y., et al. Microplastics and environmental pollutants: Key interaction and toxicology in aquatic and soil environments. J. Hazard. Mater. 2022; 422:126843. DOI: 10.1016/j.jhazmat.2021.126843.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Vaiolo delle scimmie, non proprio tutto ci viene raccontato dai media!

La recente segnalazione, in Svezia, del primo caso d’infezione registrato al di fuori del Continente Africano e sostenuto dal clade Ib del virus del vaiolo delle scimmie (Monkeypox virus, MPXV) ha destato notevole clamore mediatico, che e’ risultato ulteriormente accresciuto a seguito dell’accertamento di un secondo caso di malattia (anch’esso d’importazione) in Thailandia.

In effetti il succitato ceppo virale, imparentato con il clade I (Ia) di MPXV, dal quale potrebbe essersi evoluto centinaia di anni fa (Kupferschmidt, 2024), sarebbe emerso nella Repubblica Democratica del Congo – ove sarebbero stati gia’ segnalati almeno 18.000 casi con oltre 600 decessi, soprattutto fra i bambini (Reardon, 2024) -, per poi diffondersi rapidamente ai Paesi limitrofi, rappresentati da Kenya, Uganda, Ruanda e Burundi. Si tratta, nello specifico, di un ceppo virale ben più patogeno e virulento rispetto al clade II di MPXV, precedentemente emerso in Africa occidentale e responsabile di un’epidemia già dichiarata nel Luglio 2022 dall’OMS “emergenza internazionale di sanita’ pubblica”, epidemia che “illo tempore” aveva coinvolto quasi 100.000 individui in 116 Paesi, con circa 200 casi di malattia ad esito fatale.

A differenza di quest’ultimo, il clade Ia di MPXV colpirebbe in misura rilevante la popolazione in età pediatrica, al cui interno si registrerebbe un indice di letalita’ pari al 10% (a fronte di una mortalita’ pari a non più dell’1% nelle infezioni sostenute dal clade II, comunque più diffusivo e contagioso rispetto al clade Ib), caratterizzandosi altresì per una modalità di trasmissione sia omo- ed etero-sessuale sia per contatto diretto con la cute e/o le mucose di individui infetti (Reardon, 2024).

Se è vero come è vero che tutte queste informazioni – sulla cui fondamentale rilevanza non vi è alcunché da eccepire – sono divenute di dominio pubblico grazie alle incessanti campagne di comunicazione poste in essere dai mass media nazionali ed internazionali, non altrettanto si può affermare a proposito della straordinaria resistenza ambientale di MPXV, che in ciò risulterebbe accomunato a tutti gli altri membri della Famiglia Poxviridae, di cui lo stesso fa parte.

Infatti, come ho già avuto modo di richiamare in una mia lettera all’Editore recentemente pubblicata sulla prestigiosa Rivista internazionale “Veterinary Record” (Di Guardo, 2024), l’elevata resistenza di tali DNA-virus nei confronti dell’inattivazione chimico-fisica li renderebbe pienamente capaci di persistere al di fuori dei propri ospiti e per lunghi periodi di tempo nell’ambiente esterno.

Ciò potrebbe giustificare il trasferimento, anche a notevole distanza rispetto al sito in cui ne sarebbe avvenuta l’eliminazione ad opera di uno o più individui infetti, di MPXV – cosi’ come di altri Poxvirus ed, in generale, di tutti gli agenti biologici, virali e non, dotati di un’elevata resistenza ambientale -, complici gli aerosol originatisi dalla terraferma (al pari di quelli provenienti dagli ambienti marini, c.d. “sea spray aerosols“) a seguito di eventi/fenomeni meteo-climatici estremi quali trombe d’aria, uragani e tempeste, di sempre piu’ frequente riscontro negli oggettivi contesti di “crisi climatica” e di “riscaldamento globale” che contraddistinguono la presente era dell’Antropocene (Di Guardo, 2024).

A tal proposito, andrebbe adeguatamente sottolineato che gli ultimi nove anni (2015-2023) sono stati quelli più caldi vissuti da nostra Madre Terra nel corso degli ultimi duemila anni, uno scenario drammatico rispetto al quale il 2023 si è caratterizzato come l’anno decisamente più caldo (Esper et al., 2024).

E, mentre il 2024 avrebbe a sua volta tutte le carte in regola per infrangere un siffatto record (Witze, 2024), assai poco invidiabile per la verità, sovviene in mente il “grido di dolore” di Papa Francesco, che già in una Sua eloquente missiva del 2020, indirizzata al Presidente della Colombia in occasione della “Giornata Mondiale dell’Ambiente” ed in piena pandemia da CoViD-19, scriveva testualmente: “Come possiamo immaginare di vivere sani in un mondo malato?“.

Sarebbe “cosa buona e giusta” che anche alle succitate (e mediaticamente ignorate) caratteristiche eco-epidemiologiche del virus MPXV e dell’infezione dallo stesso sostenuta nell’uomo, così come negli animali – tenendone bene a mente, in proposito, il duplice comportamento “zoonosico” ed “antroponosico” -, si facesse riferimento nel decifrare l’origine dei vari focolai di malattia, soprattutto in quei casi in cui dovesse risultare particolarmente difficile individuare le vie/modalità di acquisizione/trasmissione dell’infezione e, più in generale, in quella che in gergo epidemiologico si è soliti definire “analisi del rischio”.

E, poiché anche il virus MPXV fa parte del lunghissimo elenco degli agenti patogeni, virali e non, dotati di comprovata capacità zoonosica, viene avanti ancora una volta, in maniera quantomai forte e prioritaria, la necessità di porre in essere un approccio ispirato al principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – al precipuo fine di gestire, prevenire e contrastare efficacemente la comparsa di nuovi focolai di malattia nell’uomo e negli animali, facendo tesoro delle memorabili lezioni che la pandemia da CoViD-19 ci ha consegnato.

Repetita iuvant, mai come in questo caso!

 

 

Bibliografia

Di Guardo G. (2024). Consideration of environmental aerosols. Veterinary Record 194(3):119. doi: 10.1002/vetr.3930.
Esper J., Torbenson M., Büntgen U. (2024). 2023 summer warmth unparalleled over the past 2,000 years. Nature 631, 94–97 (2024). https://doi.org/10.1038/s41586-024-07512-y
Kupferschmidt K. (2024). Confused about the mpox outbreaks? Here’s what’s spreading, where, and why. Science DOI: 10.1126/science.zbye5pv.
Reardon S. (2024). Mpox is spreading rapidly. Here are the questions researchers are racing to answer. Nature DOI: https://doi.org/10.1038/d41586-024-02793-9.
Witze A. (2024). Earth boiled in 2023. Will it happen again in 2024? Nature 625: 637-639. DOI: https://doi.org/10.1038/d41586-024-00074-z.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Le nuove, intriganti traiettorie di SARS-CoV-2 nel mondo animale

E’ di poche settimane fa la notizia relativa ad un ulteriore ampliamento del già ampio spettro d’ospite posseduto dal betacoronavirus SARS-CoV-2, il famigerato agente responsabile della pandemia da CoViD-19.

Nello specifico, ben 6 nuove specie di mammiferi selvatici (opossum, procione, marmotta, topo cervo, silvilago orientale e pipistrello rosso) si sono aggiunte all’elenco di quelle, sia domestiche sia selvatiche, già dichiarate suscettibili nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, mentre una sin qui inedita mutazione sarebbe stata descritta a carico del gene codificante per la “Spike (S) protein” – grazie alla quale si realizza l’interazione del virus con il recettore ACE2 posto sulla superficie delle cellule-ospiti – nell’opossum, analogamente a quanto avvenuto verso la fine del 2020 nei visoni degli allevamenti danesi e olandesi per il ceppo virale denominato “Cluster 5”.

E come non citare, in proposito, il ben noto caso dei cervi a coda bianca (Odocoileus virginianus) statunitensi nella cui popolazione il virus, previamente acquisito da Homo sapiens sapiens (c.d. “spillover“), si sarebbe diffuso in lungo e in largo per “ritornare” successivamente all’uomo (c.d. “spillback” o “zoonosi inversa”) in forma mutata, come già accaduto nei visoni d’allevamento in Danimarca e nei Paesi Bassi?

A fronte dell’elevato e progressivamente crescente numero di specie suscettibili nei confronti dell’infezione dal SARS-CoV-2, che a tutt’oggi supererebbe le 50 unità, ciò che maggiormente preoccupa (o, per meglio dire, ci dovrebbe preoccupare) è la distanza filogenetica esistente fra le stesse, che in una normale dinamica d’interazione ospite-parassita (ospite-virus, nella fattispecie) costituisce un fondamentale determinante biologico e prerequisito rispetto alla cosiddetta “barriera di specie”.

Quest’ultima, nel caso del betacoronavirus responsabile della CoViD-19, sarebbe definita dal livello di omologia esistente fra il recettore ACE2 umano e quello della specie animale di volta in volta considerata, con particolare riferimento alla regione/sequenza del succitato recettore direttamente interagente con il “receptor-binding domain” (RBD) situato all’interno della (glico)proteina S del virus.

Evidentemente, nello specifico caso di SARS-CoV-2, questa barriera di specie risulterebbe oltremodo “permeabile”, così da consentire il trasferimento dell’agente virale a numerose specie animali (anche) filogeneticamente distanti fra loro, una situazione quest’ultima che risulterebbe esacerbata dal progressivo quanto persistente emergere di nuove varianti e sottovarianti virali sempre più diffusive e contagiose (vedi, a puro titolo esemplificativo, quelle più recenti denominate “FLiRT” quali JN.1, KP.2, KP.3 e LB.1).

In un siffatto contesto, va da sè che il rischio relativo all’emergere di nuove varianti possa risultare sensibilmente accresciuto dal passaggio del virus a nuove specie animali, soprattutto in ambito selvatico – ove le dinamiche evolutive del rapporto ospite-parassita risulterebbero oggettivamente più difficili da controllare -, parallelamente a quanto sta avvenendo anche nel caso del virus dell’influenza aviaria A(H5N1), che in virtù dei recenti quanto numerosi “salti di specie” dallo stesso operati potrebbe acquisire la capacità (sin qui non ancora dimostrata, per nostra fortuna) di diffondersi in maniera efficace da uomo a uomo.

A tal proposito, come ben si sa, più un agente virale replica all’interno delle cellule di una determinata specie sensibile nei confronti dello stesso, maggiore diviene la probabilità che si realizzino, di pari passo, eventi mutazionali a carico del proprio genoma, con la conseguente comparsa di varianti più diffusive e contagiose di quelle precedenti.

Ciò descrive con esattezza quel che è accaduto, sta tuttora accadendo e, con ogni probabilità, continuerà ad accadere nel caso di SARS-CoV-2, un betacoronavirus il cui genoma consta di circa 30.000 nucleotidi, con una frequenza di mutazioni (sia “silenti” o “sinonime” che “non silenti” o “non sinonime”) pari all’incirca ad una ogni 10.000 basi azotate coinvolte in ciascun ciclo replicativo virale.

In ultima analisi, la notevole “plasticità’ di SARS-CoV-2, che ha già consentito e continua a permettere al virus di trasferirsi ad un così elevato e crescente numero di specie animali domestiche e selvatiche, anche filogeneticamente distanti le une dalle altre, costituirebbe a mio avviso un ulteriore elemento a favore dell’origine naturale di SARS-CoV-2, visto e considerato che un siffatto comportamento mal si concilierebbe in termini di plausibilita’ biologica con quello di un agente creato artificialmente in laboratorio.

Concludo queste mie riflessioni e considerazioni ponendo in particolare risalto, ancora una volta (e mai abbastanza, comunque!), la fondamentale rilevanza del concetto/principio della One Health – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – non soltanto nella complessa ed articolata gestione eco-epidemiologica dell’infezione da SARS-CoV-2 – così come di quella da virus dell’influenza aviaria A(H5N1) -, ma in generale di tutte le c.d. “malattie infettive emergenti”, il 70% delle quali, è bene ricordarlo, riconoscono la loro origine, comprovata o sospetta che sia, in uno o più serbatoi animali.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Influenza aviaria da virus A(H5N1): Siamo pronti a fronteggiare una nuova pandemia?

Fra le varie motivazioni che sono alla base del fondato allarme suscitato dal virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (highly pathogenic avian influenza, HPAI) A(H5N1), con particolare riferimento al clade 2.3.4.4b, possiamo annoverare lo spiccato neurotropismo e l’elevata neuropatogenicità dello stesso nei confronti di numerose specie di uccelli e di mammiferi domestici e selvatici, anche filogeneticamente distanti le une dalle altre, ivi compresi i Pinnipedi e i Cetacei, nonché la già pluriminacciata popolazione di orsi polari (Ursus maritimus), con un caso accertato lo scorso Gennaio in Alaska (https://www.nytimes.com/2024/01/03/science/bird-flu-polar-bears.html). Ciò appare ulteriormente giustificato dalla comprovata suscettibilità dei bovini nei confronti di tale infezione, come in maniera oltremodo eloquente testimoniano i numerosi casi recentemente insorti nella popolazione bovina statunitense di ben nove Stati, primo fra tutti il Texas (7), ove un allevatore ha sviluppato una congiuntivite bilaterale insorta dopo il contatto con un capo infetto (8), cui ha fatto seguito un analogo episodio di malattia oculare riscontrato in un allevatore del Michigan (https://www.nytimes.com/2024/05/22/health/h5n1-bird-flu-dairy.html). Degno di particolare menzione risulta, in un siffatto contesto, anche il parallelo riscontro del virus A(H5N1) nelle acque reflue di più città texane (9) – come già segnalato in precedenza sia per il poliovirus sia per il betacoronavirus SARS-CoV-2 (10) -, a fronte di una presunta origine del medesimo da una matrice avicola o bovina, se non addirittura umana (9).

Per quanto specificamente attiene alla sorveglianza epidemiologica dell’infezione da virus A(H5N1) nella popolazione bovina statunitense e, più in generale, in quella di tutti gli altri Paesi, un serio ostacolo è rappresentato dalle manifestazioni cliniche paucisintomatiche con cui la stessa generalmente evolve nella specie in esame, con il conseguente rischio di una più o meno marcata sottostima dei casi d’infezione effettivamente presenti (11). Ciononostante, mentre si assisterebbe da un lato ad una consistente eliminazione del virus attraverso il latte – fattispecie quest’ultima che richiama ad un caloroso invito a consumare esclusivamente latte pastorizzato (il processo di pastorizzazione, è bene ricordarlo, sarebbe in grado di inattivare sia questo che molti altri agenti microbici, virali e non) -, l’epitelio tubulo-alveolare della ghiandola mammaria bovina albergherebbe al proprio interno, dall’altro lato, un’elevata densità di recettori nei confronti del virus A(H5N1) (11,12). A tal proposito, la coesistenza a livello dell’epitelio ghiandolare mammario dei bovini di un’elevata concentrazione di recettori specifici sia per i virus influenzali aviari (sialic acid, SA-alfa 2-3) sia per quelli umani (SA-alfa 2-6) – a differenza di quanto osservato in ambito respiratorio e cerebrale, ove tali recettori sarebbero presenti in numero decisamente inferiore, se non addirittura assenti – qualificherebbe la specie bovina, secondo alcuni studiosi, quale ulteriore “mixing vessel” in grado di consentire un “rimescolamento genetico” fra virus di origine aviare ed umana, in stretta analogia con il comprovato ruolo notoriamente svolto in tal senso dai suini (12). Ciò potrebbe contribuire, unitamente alle succitate dinamiche evolutive progressivamente assunte dall’infezione da virus A(H5N1), ad un ulteriore affinamento della “fitness” virale, con conseguente acquisizione ad opera dello stesso della capacità di trasmettersi facilmente da uomo a uomo. Per quanto sia attualmente ben lungi dall’essere comprovata, una siffatta evenienza appare tuttavia oltremodo plausibile, vista e considerata l’elevata propensione dei virus influenzali di soggiacere a mutazioni del proprio “make-up” genetico attraverso i ben noti fenomeni di riassortimento/ricombinazione genomica che li contraddistinguono (6).

La possibilità di una trasmissione interumana efficiente risulta ulteriormente supportata dalla comprovata diffusione dell’agente vireale in numerose specie  di uccelli e di mammiferi, domestici e selvatici, terrestri ed acquatici, fra cui si annoverano più specie di Pinnipedi e di Cetacei.

In epoca recente, infatti, un ceppo di HPAI virus A(H5N1) ha causato una significativa mortalità fra gli uccelli selvatici e i mammiferi marini lungo le coste di numerosi Paesi del Sud America, ove si calcola che almeno  30.000 esemplari di leoni marini (Otaria byronia) sarebbero deceduti. Nonostante i casi umani di malattia  siano stati numericamente  limitati, seppur variabili nelle manifestazioni cliniche,  il rischio zoonosico associato  a tutti i ceppi di virus A(H5N1) e ad altri sottotipi non può essere sottovalutato, come peraltro testimonierebbe anche il recente caso d’infezione ad esito fatale da HPAI virus A(H5N2) recentemente segnalato in un paziente messicano che non avrebbe tuttavia riferito una pregressa esposizione a volatili infetti (https://www.who.int/emergencies/disease-outbreak-news/item/2024-DON520).

Risulta cruciale,  pertanto, diagnosticare tempestivamente e  notificare  in modo rapido tutti i casi sospetti, insieme all’adozione di rigorose misure di biosicurezza, al fine di sviluppare strategie efficaci di contenimento e prevenzione, proteggendo il  benessere degli animali e degli esseri umani e tutelando la  biodiversità.

Le linee guida attuali, riassunte nel documento “Practical Guide for Authorized Field Responders to HPAI Outbreaks in Marine Mammals, with a Focus on Biosecurity, Sample Collection for A(H5N1) Virus Detection and Carcass Disposal” (World Organization for Animal Health, WOAH),   sono state formulate da un panel di esperti internazionali con il Centro di Collaborazione per la Salute dei Mammiferi Marini (WOAH), in risposta agli ultimi episodi di malattia che hanno coinvolto le popolazioni di mammiferi marini lungo le coste del Sud America, e forniscono indicazioni importanti per la progettazione di strategie preventive e di gestione di eventuali focolai.

Per quanto riguarda l’Europa,  fra  Dicembre 2022 e Marzo 2023 si è registrata  un’ulteriore diffusione dell’agente patogeno ai mammiferi marini, con un caso di  meningoencefalite da virus A(H5N1) in una focena (Phocoena phocoena) rinvenuta spiaggiata lungo le coste svedesi (4), in stretta connessione epidemiologica  con una serie di casi accertati nei volatili selvatici. Il rischio per la popolazione generale in Europa è considerato basso, ma si presume che lo stesso possa essere di grado più elevato in categorie di individui professionalmente esposte al virus.

In considerazione di quanto sopra esposto, si ritiene opportuno sottolineare  che adeguati sforzi andrebbero profusi, anche  sulla scia delle lezioni apprese dalla drammatica pandemia da CoViD-19, al precipuo fine di giungere adeguatamente “preparati e pronti “preparedness and readiness“, queste le parole-chiave, giustappunto) ad un’eventuale emergenza pandemica da virus dell’influenza aviaria A(H5N1), in una salutare ottica di collaborazione multidisciplinare ed intersettoriale fra Medicina Umana e Medicina Veterinaria, diffusamente permeata dal concetto/principio della “One Health“, la salute unica di uomo, animali ed ambiente!

 

Bibliografia citata

1) Ariyama, N., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Clade 2.3.4.4b Virus in Wild Birds, Chile. Emerg. Infect. Dis. 29:1842-1845. doi: 10.3201/eid2909.230067.

2) Puryear, W., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus Outbreak in New England Seals, United States. Emerg. Infect. Dis. 29:786-791. doi: 10.3201/eid2904.221538.

3) Gamarra-Toledo, V., et al. (2023). Mass Mortality of Sea Lions Caused by Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus. Emerg. Infect. Dis. 29:2553-2556. doi: 10.3201/eid2912.230192.

4) Thorsson, E., et al. (2023). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus in a Harbor Porpoise, Sweden. Emerg. Infect. Dis. 29:852-855. doi: 10.3201/eid2904.221426.

5) Murawski, A., et al. (2024). Highly pathogenic avian influenza A(H5N1) virus in a common bottlenose dolphin (Tursiops truncatus) in Florida. Commun. Biol. 7:476. doi: 10.1038/s42003-024-06.

6) Di Guardo, G., Roperto S. (2024). AH5N1 avian influenza, a new pandemic behind the corner? (Rapid Response). BMJ https://www.bmj.com/content/380/bmj.p510/rr.

7) Reardon, S. (2024). Bird flu in US cows: Where will it end? Nature

https://www.nature.com/articles/d41586-024-01333-9.

8) Uyeki, T.M., et al. (2024). Highly pathogenic avian influenza A(H5N1) virus infection in a dairy farm worker. N. Engl. J. Med.

doi:10.1056/NEJMc2405371.

9) Tisza, M.J., et al. (2024). Virome sequencing identifies H5N1 avian influenza in wastewater from nine cities. MedRxiv preprint 2024.05.10. doi:https://doi.org/10.1101/2024.05.10.24307179.

10) Clark, J.R., et al. (2023). Wastewater pandemic preparedness: Toward an end-to-end pathogen monitoring program. Front. Public Health 11:1137881. doi:10.3389/fpubh.2023.1137881.

11) Gerhard, D. (2024). Deciphering the unusual pattern of bird flu symptoms in cows. The Scientist Magazine

https://www.the-scientist.com/deciphering-the-unusual-pattern-of-bird-flu-symptoms-in-cows-71850.

12) Kristensen, C., et al. (2024). The avian and human influenza A virus receptors sialic acid (SA)-α2,3 and SA-α2,6 are widely expressed in the bovine mammary gland. BioRxiv preprint 2024.05.03.592326.

 

Cristina Casalone (1), Giovanni Di Guardo (2)

1) DVM, Dirigente Veterinario presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino

2) DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo