Trichinella in una lupa in provincia di Arezzo

I laboratori della sezione di Arezzo dell’IZS Lazio e Toscana hanno riscontrato larve di Trichinella britovi (come da conferma del Laboratorio nazionale di Riferimento presso l’Istituto Superiore di Sanità) nel muscolo tibiale anteriore di una lupa trovata morta nel comune di Subbiano, probabilmente a seguito di trauma stradale.

Nelle regioni Toscana e Lazio vi sono state altre segnalazioni del parassita negli scorsi anni:

  • marzo 2013: riscontro di larve Trichinella in una volpe ancora in provincia di Arezzo
  • gennaio 2013: ventisei persone, tra cacciatori e loro familiari, sono state colpite da trichinellosi nell’Alta Val del Serchio a seguito dell’ ingestione di salsicce di cinghiale crude contaminate;
  • Nella stagione venatoria 2019-2020 la sezione di Latina dell’IZS Lazio e Toscana ha identificato larve di Trichinella nelle carni di cinghiali abbattuti a caccia, poi identificate come appartenenti alla specie Trichinella britovi

Tutte le informazioni sulla trichinellosi sul sito dell’IZS LT




Il cimurro delle volpi nelle Valli lombarde e in Romagna

volpeIl cimurro (CD) è una malattia mortale e altamente contagiosa dei carnivori selvatici e domestici. Nel territorio alpino, negli ultimi decenni, si sono verificati diversi focolai all’interno di popolazioni selvatiche. Il virus del cimurro si è ripresentato con particolare virulenza negli ultimi anni nelle valli lombarde determinando la morte di parecchie volpi e di altre specie come tassi e faine. Il cimurro è presente oramai da qualche anno nelle valli lombarde ormai popolate da numerose volpi; il virus, presente sotto forma di due varianti provenienti rispettivamente dal nord Europa e dalle zone alpine dell’ Italia orientale si è progressivamente diffuso nelle Alpi Lombarde interessando la provincia di Bergamo e Brescia, di Sondrio e quindi di Varese/Como. Negli ultimi giorni, ad ulteriore conferma di presenza di questa malattia in forma endemica, sono state conferite alla Unità Territoriale di Binago numerose volpi morte e di esse 5 sono risultate positive per il virus del cimurro. Un ulteriore segnale questo che la malattia ha raggiunto una notevole diffusione ed espansione sud-occidentale negli animali selvatici e segnatamente nella volpe che è la specie più rappresentata in termini di densità di popolazione, ma anche in altri selvatici come il tasso e la faina.

I ricercatori del Reparto Virologia dell’IZSLER con i colleghi delle Sedi territoriali di Bergamo, Brescia, Sondrio e Varese hanno seguito l’andamento epidemiologico della malattia negli anni dal 2018 al 2020 e descritto le caratteristiche del virus circolante in Lombardia in una pubblicazione open source dal titolo: Canine distemper outbreaks in wild carnivores in Northern Italy pubblicata sulla rivista Viruses (https://doi.org/10.3390/v13010099).

Una situazione molto simile si è verificata nelle colline della Romagna attorno a San Marino, da dove sono state conferite alla Sede Territoriale di Forlì dell’IZSLER dall’ambulatorio del CRAS (Centro di Recupero Animali Selvatici) 4 volpi morte con segni di chiari di cimurro, confermato successivamente dalle analisi di laboratorio. I materiali sono stati inviati dalla Virologia della Sede Centrale dove sono in corso di valutazione per confrontare i ceppi con gli altri isolati.

Il virus del cimurro, pur imparentato con il virus del morbillo, non infetta l’uomo, ma è tipico dei carnivori selvatici, come la volpe, e domestici, tra cui cane, furetto ed visone che possono contrarre una malattia, spesso mortale, che si manifesta con febbre, segni di difficoltà respiratoria, vomito, diarrea ed con sintomatologia nervosa.

Da un punto di vista epidemiologico il ciclo silvestre e urbano si possono sovrapporre; infatti, i cani possono contrarre la malattia sia a seguito di contatto con carcasse di animali morti che con le feci di animali ammalati. La vaccinazione del cane è estremamente efficace nel prevenire la malattia ed è pertanto indispensabile che i cani siano vaccinati e richiamati periodicamente, in modo particolare gli ausiliari e quelli che frequentano zone all’aperto dove possono essere transitate anche le volpi.

Fonte: IZS LER




SARS-CoV-2, aumenta il numero delle specie animali sensibili

E’ di poche settimane fa la notizia relativa alla presenza di anticorpi anti-SARS-CoV-2 – il famigerato coronavirus responsabile della CoViD-19 – in un’elevata percentuale (40%) di “cervi a coda bianca” popolanti la regione nord-orientale degli USA.

Ciò desta preoccupazione per una serie di motivi, come ho anche riferito in una mia “Lettera all’Editore” pubblicata sulla prestigiosa Rivista BMJ .

Degna della massima considerazione sarebbe, in primo luogo, l’avvenuta esposizione al virus della succitata popolazione di cervidi, ai quali lo stesso sarebbe stato trasmesso, con ogni probabilità, da uno o più individui SARS-CoV-2-infetti. In secundis, la propagazione dell’infezione ad un così ingente numero di esemplari suggerisce che il virus si sarebbe trasmesso all’interno della specie, il cui comportamento gregario ne avrebbe favorito la diffusione.

Numerose sono, altresì, le specie animali domestiche e selvatiche già dichiarate suscettibili nei confronti dell’infezione (naturale e/o sperimentale) da SARS-CoV-2. Fra queste si annoverano gatto, cane, criceto, furetto, leone, tigre, leopardo delle nevi, puma, gorilla, lontra e visone: elenco tutt’altro che esaustivo, ma che già di suo denota la notevole “plasticità” del virus, presumibilmente originatosi da uno o più “serbatoi” animali e capace d’infettare specie filogeneticamente assai distanti fra loro.

Un discorso a parte in tale ambito lo merita il visone, in cui SARS-CoV-2, una volta acquisito dall’uomo, sarebbe evoluto in una temibile “variante” (“cluster 5) per esser quindi “restituito” all’uomo in forma mutata, come è stato dimostrato un anno fa in numerosi allevamenti di visoni olandesi e danesi.

La comprovata capacità d’infettare in condizioni naturali un crescente numero di specie animali domestiche e selvatiche andrebbe pertanto considerata ai fini sia della loro salute e conservazione sia del potenziale sviluppo di nuove varianti di SARS-CoV-2, nella sana ottica della “One Health“, alias la “salute unica” di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




Osservatorio ASAPS Incidenti con animali: nel 2020 157 incidenti gravi

Sono pubblicati i dati dell’Osservatorio sugli incidenti con animali istituito dall’ASAPS, Associazione Sostenitori Amici della Polizia Stradale, relativi a,l 2020.

L’Osservatorio nel 2020 ha registrato 157 incidenti significativi (quelli con persone ferite o decedute) col coinvolgimento di animali, (164 nel 2019 – 4% e 148 gli eventi nel 2018) nei quali 16 persone sono morte (15 nel 2019 +7% e 11 nel 2018) e 215 sono rimaste seriamente ferite (221 nel 2019 -3% e 189 nel 2018).

Le segnalazioni pervengono dai 600 referenti sul territorio e cronache della stampa.

In 138 casi l’incidente è avvenuto con un animale selvatico (88%) e in 19 con un animale domestico.

118 incidenti sono avvenuti di giorno e 39 di notte. 151 incidenti sono avvenuti sulla rete ordinaria e 6 nelle autostrade e extraurbane principali.

In 110 casi il veicolo impattante contro l’animale è stato una autovettura, in 58 casi un motociclo, in 6 incidenti l’impatto è avvenuto contro autocarri o pullman e in 3 incidenti coinvolti dei velocipedi. Il totale è superiore al numero degli eventi perché in alcuni sinistri sono rimasti coinvolti più veicoli.

Al primo posto negli incidenti gravi con investimenti di animali la Lombardia con 17 sinistri, seguono l’Emilia Romagna con 15, Piemonte 14, Abruzzo 13, Campania 12, Marche 11, Toscana e Liguria con 10, il Veneto, Lazio e la Sardegna con 8, Sicilia 7, Molise 6, Puglia 5, Trentino, Umbria e Friuli 4, Calabria 1.

Asaps sottolinea che il problema degli incidenti col coinvolgimento di animali, in particolare selvatici, specie in alcune zone ad alta frequenza per questo tipo di sinistri, richiede l’adozione di ulteriori e più efficaci  strumenti difensivi per la sicurezza della circolazionee fornisce quindi una serie di consigli agli automobilisti e agli enti proprietari e gestori delle strade




Peste suina africana: elaborare una “strategia di uscita” per i Paesi interessati dalla malattia

cinghiale

L’EFSA ha elaborato strategie di sorveglianza che aiuteranno i Paesi interessati dalla peste suina africana (PSA) a determinare quando il virus abbia smesso di circolare tra le proprie popolazioni di cinghiali selvatici.

Il parere scientifico raccomanda una “strategia di uscita” che consta di due fasi: un periodo di sorveglianza di routine dei cinghiali selvatici (fase di screening) seguito da un periodo più breve di sorveglianza intensa (fase di conferma).

La modellazione ha dimostrato che:

  • La precisione dell’approccio aumenta in linea con il numero di carcasse di cinghiale selvatici raccolte e testate.
  • L’allungamento del periodo di monitoraggio aumenta le possibilità di verificare che il virus della PSA non circoli più.
  • L’uso della sorveglianza attiva basata sulla caccia ha un impatto limitato sull’ della strategia di uscita.

Il parere fornisce esempi pratici di come applicare la strategia di uscita sia alle grandi che alle piccole aree interessate. Esprime anche raccomandazioni sui periodi minimi di monitoraggio necessari per rendere efficace la strategia.

Fonte: EFSA




Selvatici, la statistica ASAPS degli incidenti sulle strade

cinghialiL’osservatorio Asaps sugli incidenti con animali pubblica i dati relativi ai primi 7 mesi del 2020: sono stati registrati  86  incidenti stradali gravi (vengono considerati solo quelli con persone ferite o decedute) dovuti ad animali selvatici che hanno causato 5 morti e 111 feriti (nonostante i due mesi di lockdown).

83 incidenti sono avvenuti lungo la rete ordinaria (statali e provinciali) e 3 nelle autostrade e extraurbane principali.

72 impatti sono avvenuto con un animale selvatico e 14 con uno domestico. ù

62 incidenti sono avvenuti di giorno e 24 di notte.
In questi primi 7 mesi il maggior numero di incidenti gravi con animali si è verificato in Piemonte con 10 sinistri, l’Emilia Romagna con 9, Abruzzo 8, Liguria, Marche e Sardegna con 7, Lombardia 5.

Nel 2019 l’Osservatorio ASAPS ha registrato 164 incidenti significativi col coinvolgimento di animali, (148 gli eventi nel 2018 +11%) nei quali 15 persone sono morte (11 nel 2018 +36%) e 221 sono rimaste seriamente ferite (189 nel 2018 +17%).

In 141 casi l’incidente è avvenuto con un animale selvatico e in 23 con un animale domestico. 131 incidenti sono avvenuti di giorno e 33 di notte. 162 incidenti sono avvenuti sulla rete ordinaria e 2 nelle autostrade e extraurbane principali.
In 131 casi il veicolo impattante contro l’animale è stato una autovettura, in 41 casi un motociclo, in 3 incidenti l’impatto è avvenuto contro autocarri o pullman e in 6 incidenti convolti dei velocipedi.

Il totale è superiore al numero degli eventi perché in alcuni sinistri sono rimasti coinvolti veicoli diversi.

Al primo posto negli incidenti gravi con investimenti di animali la Lombardia con 20 sinistri, seguono la Campania con 17, l’Abruzzo con 16, il Lazio con 14, le Marche con 12, la Toscana con 10, il Veneto e la Sardegna con 9, l’Emilia Romagna e il Piemonte con 8, Liguria, Puglia e Sicilia con 7, Calabria con 6, Friuli Venezia Giulia con 5.

Ultimamente si è parlato molto di incidenti stradali che vedono coinvolti i cighiali, a tal proposito proponiamo la lettura dell’articolo Cinghiali, problema europeo. La statistica degli incidenti sulle strade dell’associazione ASAPS




Malattie da prioni, nuovi ceppi nei cervidi del nord Europa

cervoNon ci sarebbe alcun nesso tra la Chronic Wasting Disease, la malattia da prioni che si sta diffondendo in forma epidemica e incontrollabile tra i cervi del Nord America, e un’altra malattia simile di recente osservata nelle renne e negli alci in nord Europa.

I responsabili, in quest’ultimo caso, infatti sono ceppi di prioni, fino ad oggi sconosciuti.

E’ quanto emerge da uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Pnas, condotto dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss), in collaborazione con il Norvegian Veterinary Institute di Oslo, la Canadian Food Inspection Agency di Ottawa e la Colorado State University di Fort Collins.

Le malattie da prioni, o encefalopatie spongiformi trasmissibili, sono malattie neurodegenerative rare e non curabili, che colpiscono l’uomo e gli animali. A causarle, un gruppo di patogeni non convenzionali chiamati prioni, particolarmente resistenti alle procedure di inattivazione o rimozione utilizzate per virus o batteri. Grazie all’utilizzo un piccolo roditore, l’arvicola, un modello animale sviluppato dall’Iss molto suscettibile alle malattie da prioni, è stato possibile caratterizzare i ceppi individuati in Norvegia, Svezia e Finlandia, verificando che sono nuovi e differenti da quello responsabile della malattia in Nord America.

I dati ottenuti, inoltre, hanno anche implicazioni in termini sanitari. “Trattandosi di ceppi di prioni nuovi ed emergenti, per i quali le informazioni sono ridottissime, occorre adottare adeguate misure di prevenzione in ambito medico e veterinario ed effettuare studi specifici ai fini della valutazione del rischio per la salute umana ed animale“, spiega Romolo Nonno, autore principale dello studio e ricercatore del Dipartimento di Sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria dell’Iss

Fonte: ANSA




Protezione degli impollinatori selvatici: le iniziative della Commissione Ue non hanno dato i frutti sperati

impollinatoriSecondo una nuova relazione della Corte dei conti europea, le misure adottate dall’UE non hanno garantito la protezione degli impollinatori selvatici. La strategia sulla biodiversità fino al 2020 si è dimostrata ampiamente inefficace nel prevenirne il declino. Inoltre, le principali politiche dell’UE, tra cui la politica agricola comune, non contemplano criteri specifici per la protezione degli impollinatori selvatici.

La Corte sostiene che, per di più, la normativa UE in materia di pesticidi rappresenta una delle principali cause della perdita di tali specie animali. Gli impollinatori, come api, vespe, sirfidi, farfalle, falene e coleotteri contribuiscono in maniera significativa all’aumento della quantità e della qualità degli alimenti a noi disponibili. Negli ultimi decenni, tuttavia, la quantità e la diversità degli impollinatori selvatici sono diminuite, principalmente a causa dell’agricoltura intensiva e dell’uso dei pesticidi. La Commissione europea ha predisposto un quadro di misure per affrontare il problema, basato in gran parte sull’iniziativa a favore degli impollinatori del 2018 e sulla strategia dell’UE sulla biodiversità fino al 2020. Ha inoltre introdotto, nelle politiche e nella normativa UE esistenti, misure potenzialmente in grado di avere effetti sugli impollinatori selvatici. La Corte ha valutato l’efficacia di tale azione.

Gli impollinatori rivestono un ruolo essenziale nella riproduzione delle piante e nelle funzioni ecosistemiche, e la loro diminuzione dovrebbe essere interpretata come una grave minaccia al nostro ambiente, all’agricoltura e ad un approvvigionamento alimentare di qualità”, ha dichiarato Samo Jereb, il Membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione, “Le iniziative finora intraprese dall’UE per proteggere gli impollinatori selvatici si sono purtroppo rivelate non abbastanza incisive da produrre i frutti sperati.”

La Corte ha rilevato che il quadro ad hoc predisposto dall’UE in materia non contribuisce realmente a proteggere gli impollinatori selvatici. Sebbene la strategia dell’UE sulla biodiversità fino al 2020 non prevedesse alcuna singola azione specificamente destinata ad invertire il declino degli impollinatori selvatici, quattro degli obiettivi da essa stabiliti potrebbero indirettamente favorire tali specie animali. Tuttavia, dalla revisione intermedia della strategia realizzata dalla Commissione, è emerso che per tre di tali obiettivi, i progressi erano stati insufficienti o nulli. La revisione ha inoltre individuato proprio nell’impollinazione uno degli elementi più degradati negli ecosistemi dell’UE. La Corte ha inoltre constatato che l’iniziativa a favore degli impollinatori non ha condotto a modifiche significative delle principali politiche.
La Corte ha inoltre rilevato che altre politiche dell’UE che promuovono la biodiversità non contemplano requisiti specifici per la protezione degli impollinatori selvatici. La Commissione non si è avvalsa delle opzioni disponibili in termini di misure di conservazione della biodiversità previste da altri programmi, quali la direttiva Habitat, la rete Natura 2000 e il programma LIFE. Quanto alla PAC, la Corte ritiene inoltre che sia parte del problema, non parte della soluzione. In una recente relazione, la Corte è giunta alla conclusione che gli obblighi di inverdimento e lo strumento di condizionalità previsti nel quadro della PAC non sono stati efficaci nell’arrestare il declino della biodiversità nei terreni agricoli.

Infine, la Corte sottolinea inoltre che l’attuale normativa in materia di pesticidi non è in grado di offrire misure adeguate per la protezione degli impollinatori selvatici. La normativa attualmente in vigore prevede misure di protezione per le api mellifere, ma le valutazioni dei rischi si basano ancora su orientamenti obsoleti e poco in linea con i requisiti normativi e le più recenti conoscenze scientifiche. A tale riguardo, la Corte sottolinea che il quadro dell’UE in materia ha consentito agli Stati membri di continuare ad utilizzare pesticidi ritenuti responsabili di ingenti perdite di api mellifere. A titolo di esempio, tra il 2013 e il 2019 sono state concesse 206 autorizzazioni di emergenza per tre neonicotinoidi (imidacloprid, tiametoxam e clothianidin), sebbene il loro uso sia soggetto a restrizioni dal 2013 e l’impiego all’area aperta sia severamente vietato dal 2018. In un’altra relazione pubblicata quest’anno, la Corte ha constatato che le pratiche di difesa integrata potrebbero contribuire a ridurre il ricorso ai neonicotinoidi, ma l’UE ha compiuto scarsi progressi nell’assicurarne il rispetto.

Dato che il “Green Deal europeo” sarà in cima all’agenda dell’UE nei decenni a venire, la Corte raccomanda alla Commissione europea di:

• valutare la necessità di predisporre misure specifiche per gli impollinatori selvatici nelle azioni e nelle misure di follow-up previste per il 2021 relative alla strategia dell’UE sulla biodiversità fino al 2030;

• integrare meglio azioni volte a proteggere gli impollinatori selvatici negli strumenti strategici dell’UE relativi alla conservazione della biodiversità e all’agricoltura;

• migliorare la protezione degli impollinatori selvatici nel processo di valutazione dei rischi legati ai pesticidi.

Fonte: Corte dei Conti europea




La Vespa orientalis arriva in Toscana

Il calabrone orientale, Vespa orientalis, ha raggiunto anche il territorio toscano, proseguendo l’espansione del suo areale nella risalita della penisola. La presenza della specie è segnalata in tutto il sud Italia, oltre che nel Friuli Venezia Giulia, dove sembra essersi insediata nella città di Trieste già a partire dall’estate del 2018, e a Genova, dove un individuo è stato segnalato nel 2018 e una nuova segnalazione è stata effettuata a fine agosto.

La segnalazione toscana riguarda il centro della città di Grosseto.

Tutte le informazione sul ritrovamento sul sito stopvelutina.it, la rete italiana nata dal progetto Mipaaf  “VELUTINA”, conclusosi nel 2016 e avente scopo la messa a punto a punto di strategie di contenimento della vespa esotica.  Dal 2016 StopVelutina continua a lavorare come gruppo non finanziato: i suoi soggetti si sono impegnati a realizzare, anche con risorse proprie, progetti comuni e concordati con gli altri membri per arginare e gestire la presenza del calabrone asiatico in Italia.




Prevenire la trasmissione di SARS CoV 2 dall’uomo ai mammiferi selvatici. Linee guida OIE

L’Oie, Organizzazione mondiale per la sanità animale ha elaborato delle linee guida rivolte ai lavoratori che operano a contatto con la fauna selvatica, in particolare mammiferi.

Secondo le conoscenze attuali, il virus SARS CoV 2 è da considerare un patogeno umano di probabile origine zoonotica la quale tuttavia ancora non è stata identificata con certezza, né è stato identificato l’animale “ospite intermedio” che acquisendo il virus lo avrebbe poi trasmesso all’uomo. Sarebbero quindi gli esseri umani ad agire come serbatoio del virus e a sostenerne la trasmissione, anche nei confronti di altri animali, come confermato anche da due recenti studi scientifici [*].

L’attenzione su possibili zoonosi inverse era già stata posta da Ilaria Capua (“COVID-19. La prima epidemia a evolvere in panzoozia?“) e Giovanni Di Guardo (“Nuovo coronavirus, dagli animali all’uomo, dall’uomo agli animali e……..“), che appellandosi all’approccio One Health, hanno sottolineato il pericolo derivante dal coinvolgimento di altre specie animali suscettibili nei confronti SARS-CoV-2, fra cui anche primati non umani.

Al momento la trasmissione uomo-animale del virus ha riguardato cani e gatti domestici, visoni da allevamento, tigri e leoni in cattività.

Ma il rischio di trasmissione da uomo ad animale selvatico non in cattività desta parecchia preoccupazione anche per l’Oie: se alcune specie selvatiche diventassero a loro volta reservoir del virus si complicherebbe ulteriormente l’azione di controllo della salute pubblica, aumenterebbero i rischi di zoonosi e di trasmissione ad altre specie animali, con notevoli impatti sulla salute e sulla conservazione della fauna selvatica.

In tal senso le linee guida sono state sviluppate dall’Oie per ridurre al minimo il rischio di trasmissione della SARS CoV 2 dalle persone ai mammiferi selvatici in libertà e sono rivolte in particolare, alle persone che operano con la fauna selvatica sia sul campo, sia a diretto contatto (Manipolazione) che indiretto (Entro 2 metri o in uno spazio ristretto) con mammiferi selvatici liberi, o che lavorano in situazioni in cui tali animali possono entrare in contatto con superfici o materiali contaminati da infezioni.

[*] Possibility for reverse zoonotic transmission of SARS-CoV-2 to free-ranging wildlife: A case study of bats e Jumping back and forth: anthropozoonotic and zoonotic transmission of SARS-CoV-2 on mink farms

A cura della segreteria SIMeVeP