Vespa velutina segnalata tra Lombardia ed Emilia

Il gvespa velutinaiorno 23 aprile sono stati trovati due adulti di Vespa velutina in una bottiglia trappola posizionata presso un apiario a San Damiano al Colle, un comune della provincia di Pavia sulle colline dell’Oltrepò Pavese, ai confini con la provincia di Piacenza.

L’apicoltore che le ha trovate, Arcangelo Montemurro (che ringraziamo per la grande attenzione e sollecitudine), ha immediatamente segnalato il ritrovamento su un blog di apicoltura, da cui la notizia è giunta alla rete Stopvelutina, che tramite un apicoltore dell’Associazione Provinciale Apicoltori Piacentini (APAP) presente sul posto ha verificato la segnalazione.

Purtroppo questo ritrovamento apre scenari preoccupanti per la possibile diffusione di Vespa velutina in Lombardia ed Emilia, un territorio prevalentemente pianeggiante e senza barriere naturali.

E’ indispensabile che già dai prossimi giorni le associazioni locali e i singoli apicoltori della zona si impegnino ad attivare un monitoraggio con le bottiglie trappola, secondo le indicazioni fornite a questa pagina. Presso il CREA-AA di Bologna sono anche a disposizione tappi Tap Trap per gli apicoltori che effettuano il monitoraggio.

In questa stagione i nidi di Vespa velutina sono ancora piccoli e gli adulti presenti presso gli alveari, rappresentati da singole regine o dalle primissime operaie, sono in numero basso; è pertanto molto difficile vederle in volo e il monitoraggio con trappole risulta il mezzo più efficace per individuarle.

Fonte: STOP Velutina

 




IPBES: sfuggire all’era delle pandemie passando dalla reazione alla prevenzione

Un nuovo importante rapporto sulla biodiversità e pandemie, redatto da 22 maggiori esperti nel mondo, avverte che se non ci sarà un cambiamento trasformativo nell’approccio globale alla gestione delle malattie  infettive, future pandemie emergeranno più spesso, si diffonderanno più rapidamente, arrecheranno più  danni all’economia mondiale e uccideranno più persone rispetto a COVID-19.

Convocati dalla Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES) per partecipare a un seminario, in modalità virtuale, sulle connessioni tra il degrado  della natura e l’aumento dei rischi pandemici, gli esperti concordano sul fatto che sfuggire all’era delle  pandemie è possibile, ma che ciò richiederà un cambiamento profondo  dell’approccio applicato: dalla reazione alla prevenzione.

COVID-19 è almeno la sesta pandemia sanitaria globale dalla Grande Pandemia Influenzale del 1918, e sebbene abbia le sue origini in patogeni trasmessi dagli animali, come tutte le pandemie, la sua comparsa è  stata interamente determinata dalle attività umane, afferma il rapporto pubblicato a ottobre 2020.

Si stima che esistano attualmente altri 1,7 milioni di virus “non ancora conosciuti” che utilizzano mammiferi e uccelli come ospiti, di questi circa 850.000 potrebbero avere la capacità di infettare le persone.

“Non c’è un grande mistero sulla causa della pandemia COVID-19 – o di qualsiasi pandemia moderna”, ha  affermato il dott. Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, chiamato a presiedere il seminario IPBES. “Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente,conducono al rischio di pandemia,. I cambiamenti nell’uso del territorio; l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura; e il commercio, la produzione e il consumo non  sostenibili sconvolgono la natura e aumentano il contatto tra fauna selvatica, animali allevati, agenti  patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie “.

Il Rapporto afferma che il rischio di pandemia può essere notevolmente ridotto riducendo le attività umane che causano la perdita di biodiversità, aumentando il livello di conservazione della natura mediante l’aumento delle aree protette e attraverso misure che riducono lo sfruttamento insostenibile delle regioni del pianeta ad alta biodiversità. Ciò ridurrà il contatto tra fauna selvatica, bestiame e esseri umani e aiuterà  a prevenire la diffusione di nuove malattie.

La schiacciante evidenza scientifica indica una conclusione molto positiva“, ha detto il dott. Daszak.  “Possiamo contare su una crescente capacità di prevenire le pandemie, ma il modo in cui le stiamo  affrontando in questo momento ignora in gran parte questa capacità. Il nostro approccio si è effettivamente impantanato: facciamo ancora affidamento sui tentativi di contenere e controllare le  malattie dopo che si sono manifestate, attraverso vaccini e terapie. Possiamo sfuggire all’era delle  pandemie, ma ciò richiede una maggiore attenzione alla prevenzione oltre alla reazione“. “I cambiamenti radicali che l’attività umana è stata in grado di produrre sul nostro ambiente naturale non  devono essere sempre visti come eventi negativi. Questi forniscono anche una prova convincente del  nostro potere di guidare il cambiamento necessario per ridurre il rischio di future pandemie, generando  contemporaneamente vantaggi per la conservazione e riducendo il cambiamento climatico“.

Il rapporto afferma che fare affidamento sulle risposte alle malattie dopo la loro comparsa, per esempio ricorrendo a misure di salute pubblica e a soluzioni tecnologiche e in particolare alla rapida preparazione e  alla distribuzione di nuovi vaccini e terapie, è un “percorso lento e incerto”, sottolineando come la reazione  alle pandemie comporti una diffusa sofferenza umana e decine di miliardi dollari l’anno di danni  all’economia globale.

Il rapporto offre anche una serie di opzioni politiche che aiuterebbero a ridurre e affrontare il rischio di pandemia. Tra queste:

• Istituire una commissione intergovernativa di alto livello sulla prevenzione delle pandemie allo scopo di: fornire ai decisori la migliore scienza ed evidenza sulle malattie emergenti; prevedere le aree ad alto  rischio; valutare l’impatto economico di potenziali pandemie ed evidenziare le lacune conoscitive da colmare con le attività di ricerca. Questa commissione potrebbe anche coordinare la progettazione di unquadro di monitoraggio globale.
• Impegnare i Paesi a stabilire obiettivi o traguardi reciprocamente concordati nel quadro di un accordo o  trattato internazionale, con chiari vantaggi per le persone, gli animali e l’ambiente.
• Istituzionalizzazione dell’approccio “One Health” nei governi nazionali per costruire la preparazione alle pandemie, migliorare i programmi di prevenzione delle pandemie e indagare e controllare le epidemie in tutti i settori.
• Sviluppare e incorporare (integrare) valutazioni del rischio di impatto sulla salute di malattie pandemiche ed emergenti nei principali programmi e progetti di sviluppo e di uso del suolo, riformando al contempo gli aiuti finanziari per l’uso del suolo in modo che i benefici e i rischi per la biodiversità e la salute siano riconosciuti e mirati esplicitamente.
• Garantire che il costo economico delle pandemie sia preso in considerazione nei processi di produzione e consumo, come pure nelle politiche e nei budget del governo.
• Favorire le trasformazioni necessarie per ridurre i modelli di consumo, di espansione dell’agricoltura globalizzata e di commercio che hanno portato a pandemie, anche includendo tasse o fiscalità su consumo di carne, produzione di bestiame e altre forme di attività ad alto rischio pandemico.
• Ridurre i rischi di malattie zoonotiche nel commercio internazionale di specie selvatiche attraverso: un nuovo partenariato intergovernativo “Salute e Commercio”; la riduzione o l’eliminazione delle specie ad alto rischio di malattia nel commercio della fauna selvatica; il rafforzamento dell’applicazione della legge in tutti gli aspetti del commercio illegale della fauna selvatica; e il miglioramento dell’educazione delle comunità locali nei siti hotspot delle malattie rispetto ai rischi per la salute legati al commercio di fauna selvatica.
• Valorizzare l’impegno e la conoscenza delle popolazioni indigene e delle comunità locali nei programmi di prevenzione delle pandemie, assicurando un maggior livello di sicurezza alimentare e riducendo il consumo di fauna selvatica.
• Colmare le lacune di conoscenza critica come quelle sui comportamenti a rischio, l’importanza del commercio illegale, non regolamentato, ma anche di quello legale e regolamentato della fauna selvatica in relazione al rischio di insorgenza di malattie e migliorare la comprensione della relazione tra degrado dell’ecosistema e ripristino, struttura del paesaggio e rischio di comparsa della malattia.




Giornata mondiale della salute: dal CNR un web doc per l’agroalimentare

In occasione della Giornata mondiale della salute del 7 aprile 2021, la piattaforma Cnr Outreach propone un interessante “web doc” dedicato al tema dell’agroalimentare, sul quale la comunità scientifica del Consiglio nazionale delle ricerche è fortemente impegnata.

Il web doc è uno strumento per costruire un sistema di comunicazione immediato e interattivo, che coinvolge l’utente e permette non solo l’approfondimento dei contenuti scientifici, spiegati in modo semplice e stimolante dai ricercatori del CNR, ma anche di intavolare una vera e propria “discussione” con i numerosi utenti che si possono raggiungere grazie al web.

Un modo immediato e coinvolgente per conoscere cosa sta facendo il mondo della ricerca per lo sviluppo e la valorizzazione di un sistema agroalimentare sostenibile e innovativo, in grado di affrontare le grandi sfide globali del futuro della Terra, tra cui la necessità di fornire cibo, acqua ed energia ad una popolazione in crescita, attraverso un uso sostenibile delle risorse naturali limitate. Ma anche uno strumento per rendere i cittadini consapevoli dei tanti e vari aspetti legati alla tutela del nostro pianeta.

Il documento vuole contribuire al progresso delle conoscenze scientifiche e tecnologiche utili per lo sviluppo e la valorizzazione di un sistema agroalimentare sostenibile e innovativo, in grado di affrontare le grandi sfide globali del futuro della terra, tra cui la necessità di fornire cibo, acqua ed energia ad una popolazione in crescita, attraverso un uso sostenibile delle risorse naturali limitate.

Web doc per l’agroalimentare




Il cambiamento climatico ha modificato la distribuzione dei pipistrelli favorendo la comparsa del virus SarsCov2

Il riscaldamento globale potrebbe avere favorito l’emergere del virus SarsCoV2. Lo indica la ricerca dell’università di Cambridge pubblicata sulla rivista Science of the total environment, che per la prima volta stabilisce un collegamento fra le condizioni climatiche delle foreste nel Sud della Cina e la comparsa di nuovi coronavirus veicolati dai pipistrelli.

La ricerca ha studiato i cambiamenti su larga scala avvenuti nella vegetazione della provincia meridionale cinese dello Yunnan, nel Myanmar e in Laos. Con l’aumento delle temperature, della luce solare e dell’anidride carbonica nell’atmosfera, il cambiamento climatico ha modificato gli habitat naturali, dalla savana tropicale alle foreste decidue, che sono così diventati gli ambienti adatti per molte specie delle specie di pipistrelli che vivono nelle foreste.

I ricercatori hanno infatti riscontrato che, rispetto alla media, sono aumentate del 40% le specie di pipistrelli che nell’utimo secolo si sono spostate nel Sud della Cina, dove sono stati isolati più di 100 tipi di coronavirus che hanno origine nei pipistrelli. Questa zona è inoltre quella in cui i dati genetici suggeriscono che possa essere nato il coronavirus SarsCoV2.

Il cambiamento climatico degli ultimi 100 anni ha reso la provincia dello Yunnan l’habitat ideale per più specie di pipistrelli“, commenta Robert Beyer, primo autore dello studio. Poiché il clima ha modificato gli habitat, le specie hanno lasciato delle aree spostandosi in altre, portandosi i virus con sé. “Sono cambiate così le regioni dove erano presenti i virus e – osserva . sono diventate possibili nuove interazioni tra gli animali e i patogeni, facendo evolvere alcuni virus in modo da rendendoli più dannosi nel trasmettersi“.

Nel mondo ci sono circa 3.000 i tipi di coronavirus veicolati dai pipistrelli finora noti e ogni specie di questi mammiferi ne ospita in media 2,7, senza quasi mai mostrare sintomi. Il cambiamento climatico ha inoltre aumentato il numero di specie di pipistrelli in Africa Centrale, Centro e Sud America. “Servono limiti all’espansione delle aree urbane e agricole – dicono i ricercatori – e bisogna cercare spazi negli habitat naturali per ridurre il contatto tra umani e animali che veicolano malattie“.

Fonte: ANSA




Proteggere le api: una nuova via per la valutazione dei rischi

apiL’EFSA ha compiuto un importante passo avanti nei suoi sforzi per contribuire a invertire la diminuzione di insetti impollinatori in Europa proponendo un nuovo approccio alla valutazione dei rischi ambientali (VRA) per le api da miele.

Un nuovo parere scientifico, richiesto dal Comitato per l’ambiente, la salute pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento europeo, mette a disposizione un quadro integrato e olistico per valutare gli effetti congiunti dei molteplici fattori di stress sulle api da miele, quadro noto come MUST-B.

Ha dichiarato Bernhard Url, direttore esecutivo dell’EFSA: “Si tratta di un rapporto importante per tutti coloro che vogliono preservare i ricchi ecosistemi europei, al centro dei quali si trovano non solo le api ma tutti i nostri insetti impollinatori. Definisce una chiara visione per trasformare il modo in cui valutiamo i rischi ambientali per gli impollinatori nell’UE.

“Siamo grati al Parlamento europeo per averci dato l’opportunità di fornire questo importante contributo alle ambiziose strategie dell’UE per aumentare la sostenibilità e la diversità”.

Il professor Simon More, presidente del gruppo di lavoro MUST-B, ha dichiarato: “Abbiamo lavorato sodo per consegnare quella che crediamo sia una proposta innovativa e lungimirante che farà progredire la teoria ma soprattutto la pratica della valutazione del rischio ambientale. Particolarmente gratificante è il fatto che siamo stati in grado di farlo collaborando con le principali parti interessate come gli apicoltori”.

Il parere scientifico MUST-B propone un approccio sistemico che combina la modellazione e i sistemi di monitoraggio finalizzati alla VRA da fattori molteplici di stress come pesticidi e altre sostanze chimiche ambientali, parassiti e malattie, come pure fattori quali la disponibilità di cibo, il clima e le pratiche di gestione dell’apicoltura.

Modellazione e dati

Il modello si basa su un simulatore di colonia di api, chiamato ApisRAM, che valuta  singoli pesticidi o più pesticidi nella loro interazione con altri elementi e fattori di stress. ApisRAM è ancora in fase di sviluppo ma sarà pronto per l’impiego nella valutazione del rischio connesso ai pesticidi nei prossimi due o tre anni.

Guardando ancora oltre ApisRAM renderà possibile valutare gli effetti dell’esposizione a miscele chimiche più complesse andando oltre l’approccio di valutazione singola coltura/singolo pesticida, in modo da rispecchiare la complessità dell’ambiente in cui vivono le api. Sarà anche possibile valutare gli effetti cronici, subletali e a livello di colonia di più sostanze chimiche sulla base della guida EFSA alla valutazione del rischio da miscele chimiche.

Il modello sarà alimentato in futuro dalla raccolta di dati in tempo reale da alveari sentinella dotati di sensori. Inizialmente utilizzerà i dati raccolti da progetti di raccolta sul campo finanziati dall’EFSA in Danimarca e Portogallo – che rappresentano, rispettivamente, le zone climatiche dell’Europa settentrionale e meridionale – disponibili più in avanti quest’anno.

I portatori di interesse

Le parti interessate svolgeranno un ruolo cruciale nella raccolta e condivisione di dati accessibili, affidabili e armonizzati sotto la guida del partenariato EU per le api (EU Bee Partnership), che nei prossimi mesi varerà un prototipo di piattaforma dati basata sul concetto di “centrale per le api”.

Il partenariato include rappresentanti UE dell’apicoltura, di associazioni veterinarie e agricole, del mondo accademico, delle ONG e dell’industria.

Oltre a incorporare i punti di vista delle parti interessate tramite il partenariato dell’UE per le api, il parere MUST-B tiene anche conto del più ampio contesto sociale grazie a una ricerca mirata condotta tra gli apicoltori in alcuni Paesi dell’UE.




Prima segnalazione confermata di Vespa orientalis in Sardegna

Il calabrone orientale, Vespa orientalis, sembra essere sbarcato anche in Sardegna. E’ del 9 Settembre la segnalazione della presenza di tale calabrone nell’isola, pervenuta alla rete STOPVelutina per mezzo di un video registrato a Cagliari da Ignazio Trogu, in cui viene ripreso un individuo adulto di Vespa orientalis.

Non è possibile sapere al momento se la segnalazione riguardi un singolo individuo giunto per caso nel capoluogo sardo tramite i trasporti e gli scambi marittimi, o se l’osservazione di tale adulto possa essere la spia della presenza di un nido di Vespa orientalis nell’isola.

La Sardegna rappresenterebbe in tal caso una nuova regione colonizzata da Vespa orientalis, che tuttavia non è l’unico calabrone “alieno” in Sardegna; nell’isola, infatti, non sono presenti naturalmente specie del genere Vespa e solo in anni recenti il calabrone europeo, Vespa crabro, è stato accidentalmente introdotto nel nord dell’isola, nella zona portuale di Olbia, presumibilmente tramite i trasporti marittimi, e da qui si sta spostando progressivamente in altre aree dell’isola.

La rete STOPVelutina ha prontamente allertato i colleghi dell’università di Sassari che si occupano del monitoraggio di Vespa crabro nell’isola, così da poter attivare la loro rete anche nella zona di Cagliari per valutare l’effettiva presenza di Vespa orientalis.

Per chiunque volesse aderire alla campagna di monitoraggio e segnalazione di Vespa crabro e Vespa orientalis in Sardegna, oltre che sul sito STOPVelutina, è possibile inviare le segnalazioni alla Dr.ssa M. Pusceddu dell’Università di Sassari, all’indirizzo email mpusceddu@uniss.it, e sulla pagina Facebook “Monitoraggio Vespa crabro in Sardegna“.

Fonte: stopvetulina.it




Primo nido di Vespa orientalis in Toscana

Continuano, le segnalazioni di Vespa orientalis nel sud della Toscana. Dopo la conferma della presenza di tale specie nel territorio regionale con la prima segnalazione documentata nell’autunno 2020 a Grosseto, è notizia di questi giorni il ritrovamento della prima colonia ancora attiva di tale calabrone, ancora una volta nel centro di Grosseto.

Altre 2 segnalazioni di adulti di Vespa orientalis concentrate nei pressi del centro urbano di Grosseto. Non è possibile escludere che gli adulti osservati possano provenire anche da altre colonie.

L’articolo integrale sul sito Stop Velutina




Cambiamenti climatici, trasmessa a Bruxelles la strategia nazionale di lungo periodo

Bandiera Unione EuropeaIl documento individua le azioni per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Costa: “Italia in prima linea per raggiungere i target di Parigi”

Riduzione della domanda di energia, grazie soprattutto al calo della mobilità privata e dei consumi in ambito civile. Decisa accelerazione delle rinnovabili e della produzione di idrogeno. Potenziamento e miglioramento delle superfici verdi, per aumentare la capacità di assorbimento di CO2. Sono le tre direttrici fondamentali della Strategia Nazionale di lungo periodo, che il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso alla Commissione Europea.

La strategia è stata elaborata nell’ambito degli impegni dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici che invita i Paesi firmatari a comunicare entro il 2020 le proprie “Strategie di sviluppo a basse emissioni di gas serra di lungo periodo” al 2050.

“L’Italia – ha commentato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – con l’elaborazione di questa Strategia si conferma fra i paesi più attivi e motivati per il raggiungimento del target della Cop 21, che è quello di mantenere il riscaldamento globale entro il limite di 1,5/2 gradi. Siamo consapevoli che per raggiungere la cosiddetta neutralità climatica entro 30 anni saranno necessarie scelte coraggiose e profondi cambiamenti nel tessuto socio-economico come nei nostri stili di vita. Ma la sfida climatica è la sfida strategica per il futuro dell’umanità e non possiamo permetterci di perderla”.

La Strategia nazionale di lungo termine individua i possibili percorsi per raggiungere, nel nostro Paese, al 2050, una condizione di “neutralità climatica”, nella quale le residue emissioni di gas a effetto serra sono compensate dagli assorbimenti di CO2. Un obiettivo in linea con quello indicato dalla Presidente della Commissione UE Commissione Ursula Von der Leyen, nella sua Comunicazione sul Green Deal europeo, ha tracciato una strategia di crescita verso “un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra”.

La strategia prende le mosse dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), che indica il percorso fino al 2030, “trascinando” fino al 2050 le conseguenti tendenze energetico-ambientali virtuose. Vengono quindi individuate le tipologie di leve attivabili per raggiungere al 2050 la neutralità climatica: una riduzione spinta della domanda di energia, legata in particolare ad un calo dei consumi per la mobilità privata e dei consumi del settore civile; un cambio radicale nel mix energetico a favore delle rinnovabili (FER), coniugato ad una profonda elettrificazione degli usi finali e alla produzione di idrogeno; un aumento degli assorbimenti garantiti dalle superfici forestali (compresi i suoli forestali) ottenuti attraverso la gestione sostenibile, il ripristino delle superfici degradate e interventi di rimboschimento.

L’intervento, incisivo, su queste tre leve si renderà necessario perché il mero “trascinamento” delle tendenze attuali, per quanto virtuoso, sarebbe insufficiente a centrare il target fissato per il 2050.

È necessario, perciò, prevedere un sostanziale cambio del “paradigma energetico italiano” che, inevitabilmente, passa per investimenti e scelte che incidono sulle tecnologie da applicare, sulle infrastrutture ma anche sugli stili di vita dei cittadini. E’ una trasformazione importante e radicale come quella prospettata dalla Strategia di lungo periodo che dovrà permeare tutte le politiche pubbliche, in un percorso di ampia condivisione. Primi passi in tal senso sono stati effettuati con la trasformazione del CIPE, Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, in CIPESS, Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile e con l’avvio del Green Deal.

Per chiudere il gap emissivo e arrivare alla neutralità climatica saranno necessarie scelte politiche a elevato impatto sociale ed economico, tecnologie ancora non pronte in parte perseguibili solo su base europea, nonché una condivisione a livello internazionale del processo di decarbonizzazione. Per tenere conto degli sviluppi su tutti questi fronti, ferme restando le tendenze di fondo individuate, la Strategia, elaborata in linea con il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) deve essere considerata uno strumento “dinamico”, che avremo modo di aggiornare e integrare, anche per tenere pienamente conto dei processi di revisione degli obbiettivi energetico-ambientali nazionali attualmente in corso a livello europeo, e delle scelte conseguenti che si faranno per un rilancio economico in chiave sostenibile con il Piano per la Ripresa e la Resilienza.

La Strategia Nazionale di lungo periodo è consultabile al seguente link. Sono inoltre consultabili i seguenti allegati: Allegato 1 – Dettagli della Consultazione PubblicaAllegato 2 – Dettagli sulle tecnologie di decarbonizzazione.

Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare




Covid: studio, seconda ondata inevitabile per effetti climatici

Cambiamenti climaticiLa “seconda ondata” della pandemia potrebbe non avere nulla a che vedere con la mancanza di prudenza o di adeguate misure di controllo. Secondo uno studio condotto da Talib Dbouk e Dimitris Drikakis, ricercatori dell’Università di Nicosia a Cipro, avere due focolai all’anno durante una pandemia è praticamente inevitabile, a causa dell’impatto delle temperature, dell’umidità e del vento.

I risultati, pubblicati sulla rivista Physics of Fluids, evidenziano che sebbene le mascherine, le restrizioni dei viaggi e le linee guida per il distanziamento sociale aiutino a rallentare la crescita dei nuovi contagi a breve termine, a giocare un ruolo chiave a lungo termine sono soprattutto gli effetti climatici.

Per questo, gli studiosi sostengono che bisognerebbe incorporarli nei modelli epidemiologici.

Attualmente i modelli per prevedere il comportamento di un’epidemia contengono solo due parametri di base: la velocità di trasmissione e la velocità di recupero. Questi tassi tendono a essere trattati come costanti, ma Dbouk e Drikakis pensano che in realtà non sia così. Secondo gli studiosi, temperatura, umidità relativa e velocità del vento giocano tutti un ruolo significativo.

Per questo, gli studiosi suggeriscono di modificare i modelli in modo che tengano conto anche di queste condizioni climatiche.

I ricercatori hanno chiamato questa nuova variabile Indice del tasso di infezione nell’aria (Air). Quando hanno applicato l’indice AIR ai modelli di Parigi, New York City e Rio de Janeiro, hanno scoperto che prediceva accuratamente il momento della seconda epidemia in ciascuna città, suggerendo che due focolai all’anno sono un fenomeno naturale.

Inoltre, il comportamento del virus a Rio de Janeiro è risultato nettamente diverso dal comportamento del virus a Parigi e New York, a causa delle variazioni stagionali negli emisferi settentrionale e meridionale, coerenti con i dati reali. Gli autori sottolineano l’importanza di tenere conto di queste variazioni stagionali quando si progettano misure per la gestione della pandemia.

“Proponiamo che i modelli epidemiologici debbano incorporare gli effetti climatici attraverso l’indice AIR”, dice Drikakis. “I lockdown nazionali o i lockdown su larga scala non dovrebbero essere basati su modelli di previsione a breve termine che escludono gli effetti della stagionalità meteorologica“, aggiunge. “In caso di pandemia, dove non è disponibile una vaccinazione massiccia ed efficace, la pianificazione del governo dovrebbe essere a lungo termine, considerando gli effetti meteorologici e progettando di conseguenza le linee guida per la salute e la sicurezza pubblica“, sottolinea Dbouk. Man mano che la temperatura aumenta e l’umidità diminuisce, Drikakis e Dbouk si aspettano un altro miglioramento nel numero di infezioni, sebbene notino che le linee guida su uso mascherine e su distanziamento sociale dovrebbero continuare a essere seguite con le opportune modifiche basate sul clima.

Fonte: AGI




Allevamento più sostenibile di cozze e ostriche

L’acquacoltura rappresenta il settore di produzione di alimenti animali in più rapida espansione al mondo, eppure in passato è rimasta indietro rispetto ad altri settori alimentari per quanto riguarda l’adozione di sistemi informativi di maggiore efficienza.

Al momento, il settore dell’acquacoltura, trainato dalla visione dello sviluppo sostenibile sta introducendo velocemente tecnologie che renderanno la gestione degli allevamenti ittici più ecologica ed efficiente. Tra le aree di innovazione figura l’acquacoltura di precisione. Questa tecnologia si avvale di una miriade di sensori interconnessi per il monitoraggio delle condizioni dell’allevamento ittico, sostenendo gli allevatori nel prendere decisioni volte all’ottimizzazione della salute ittica e del ritorno economico e, al tempo stesso, riducendo al minimo gli impatti ambientali.

In altri termini, l’acquacoltura di precisione possiede il potenziale di trasformare il settore dell’acquacoltura. Un articolo recente pubblicato sul sito web «Global Seafood Alliance» si concentra sulla produzione sostenibile di bivalvi, quali cozze e ostriche, allevati impiegando questa tecnologia. L’articolo è il quinto di una serie dedicata all’agricoltura di precisione pubblicata con il sostegno del progetto GAIN, finanziato dall’UE. Seguendo la scia dei quattro articoli di presentazione dell’acquacoltura di precisione e della sua applicazione nell’allevamento di trote, nel settore dei branzini e delle orate del Mediterraneo e in quello del salmone, quest’ultimo articolo si occupa dell’acquacoltura di bivalvi.

Fare i conti con i rischi dell’acquacoltura di bivalvi

L’articolo illustra gli strumenti innovativi dell’acquacoltura di precisione sviluppati dal gruppo di GAIN per contribuire alla previsione di eventi avversi sulla qualità dell’acqua che potrebbero pregiudicare l’acquacoltura di bivalvi e comportare chiusure dei siti. «La produzione di bivalvi allevati fa affidamento sull’eccellente qualità dell’acqua, che spesso esula dal controllo degli allevatori.

Alcuni eventi specifici che condizionano la qualità dell’acqua, tra cui la fioritura di alghe, la risalita delle acque profonde (upwelling) ricche di sostanze nutritive o il deflusso urbano, possono sfociare in chiusure normative dei siti di allevamento dei bivalvi per prevenire l’immissione sul mercato dei bivalvi contaminati, arrecando pertanto danni economici gravi agli allevatori. La portata e l’intensità di tali eventi peggiorativi della qualità dell’acqua sono difficili da prevedere poiché sono innescati da combinazioni complesse di diversi fattori interagenti», spiegano gli autori. Al fine di fornire agli allevatori di bivalvi un sistema di allerta precoce e di favorire una previsione e una gestione delle decisioni migliori, il gruppo ha impiegato strumenti basati sull’apprendimento automatico per modellare le condizioni ambientali. I dati adoperati per la modellizzazione comprendevano sensori ambientali in loco, dati provenienti da satelliti e dall’oceano aperto, dati meteorologici e schemi di temperature e correnti, che sono stati tutti confrontati con i dati relativi alle chiusure passate dei siti. L’integrazione delle fonti di dati è avvenuta su una piattaforma basata su cloud che permette il monitoraggio in tempo reale dei siti di acquacoltura dei bivalvi. «La modellizzazione e l’apprendimento automatico hanno inoltre incorporato dati necessari alle disposizioni statutarie per la legislazione a livello statale e dell’UE, comprese la direttiva quadro sulle acque (“buono stato ecologico”) e la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino (“buono stato ambientale”).

L’archiviazione dei dati in una soluzione centralizzata basata su cloud aiuterà inoltre gli allevatori a ottenere certificazioni sulla sostenibilità», si afferma nell’articolo. Le prove sono state eseguite presso il sito pilota di Sagres sulla costa dell’Algarve nella parte sud-occidentale del Portogallo. Tuttavia, l’utilizzo dell’apprendimento automatico per la creazione di modelli predittivi specifici per il sito permette il facile adattamento della tecnologia ad allevamenti di bivalvi in altri luoghi. L’attività di ricerca ha riscontrato alcune forti variazioni nelle condizioni di chiusura «tra siti, evidenziando l’esigenza di tecniche di modellizzazione e di apprendimento automatico che si servono di dati specifici per ciascun sito e per la sua storia al fine di prevedere le condizioni di chiusura.» Basandosi sull’apprendimento automatico di tipo semiautomatico, gli strumenti per l’acquacoltura di precisione del gruppo «permettono di raggiungere tale livello di precisione.» Il gruppo del progetto GAIN (Green Aquaculture Intensification in Europe) ha attualmente raggiunto la fase di collaudo del prodotto finale per il settore industriale.

Fonte: Commissione Europea