Laguna di Venezia: vongole in pericolo a causa dei sedimenti contaminati

La gestione dei sedimenti dragati nei porti e nelle lagune deve essere volta ad evitare potenziali impatti sugli ecosistemi marini. È pertanto fondamentale indagare i possibili effetti di miscele complesse di contaminanti chimici presenti nei sedimenti su specie animali che risiedono nelle lagune e nelle aree costiere.
Questo tema, anche in seguito alla recente approvazione del cosiddetto “nuovo protocollo fanghi” (Decreto 22 maggio 2023 n.86), che ha affiancato alla caratterizzazione chimica dei sedimenti anche la valutazione degli effetti ecotossicologici su specie animali, è di estremo interesse nella laguna di Venezia.

Il Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari Venezia, ha pubblicato sulla prestigiosa rivista «BMC Biology» uno studio in cui sono stati investigati gli effetti dell’esposizione a sedimenti campionati in diversi siti sul fondo del canale Vittorio Emanuele III (il canale che collega Marghera alla città di Venezia) nella vongola filippina Ruditapes philippinarum.

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Fonte: lescienze.it




La plastica biodegradabile e i potenziali effetti sui pesci

plastica mareLa plastica biodegradabile e i potenziali effetti sui pesci – Una recente ricerca condotta dall’Università di Otago ha sollevato nuove preoccupazioni riguardo all’uso della plastica biodegradabile utilizzata come soluzione all’inquinamento marino. Mentre è noto che le microplastiche derivate dal petrolio impattano negativamente la vita marina, si sapeva poco sull’effetto delle alternative biodegradabili.

Lo studio, finanziato dall’Università di Otago e pubblicato su Science of the Total Environment, ha analizzato l’impatto della plastica derivata dal petrolio e della plastica biodegradabile su pesci selvatici. I risultati sono stati sorprendenti: entrambe le tipologie di plastica hanno dimostrato di essere dannose per i pesci marini.

Ashleigh Hawke, autrice principale della ricerca ha evidenziato che i pesci esposti alla plastica derivata dal petrolio hanno subito un deterioramento delle prestazioni di fuga, alterazioni nei comportamenti di nuoto e un calo del metabolismo aerobico. D’altra parte, quelli esposti alla bioplastica hanno registrato solo una diminuzione della loro velocità massima di fuga.

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Fonte: pesceinrete.com




Linee guida per monitoraggio biotossine nelle aree di produzione e stabulazione molluschi bivalvi

L’Ufficio 2 – Igiene degli alimenti ed esportazioni della Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e della nutrizione del Ministero della Salute ha diffuso una nota sulla pubblicazione delle Linee Guida per la valutazione del rischio per la gestione uniforme del monitoraggio delle biotossine marine nelle aree di produzione e stabulazione dei molluschi bivalvi a livello nazionale.

Il Regolamento (UE) 2019/627, in conformità al regolamento (UE) 2017/625, stabilisce, per i molluschi bivalvi, che nei periodi di raccolta la frequenza del campionamento ai fini dell’analisi delle tossine abbia cadenza settimanale. Tuttavia, tale frequenza può essere ridotta o aumentata in determinate zone classificate di stabulazione o di produzione o per determinati tipi di molluschi bivalvi vivi in base a una valutazione del rischio dell’Autorità Competente relativa alla presenza di tossine o fitoplancton.

Lo scopo delle Linee Guida è quindi quello di fornire un supporto alle Autorità Competenti (AC) regionali e locali per l’elaborazione della valutazione del rischio che può portare a una diminuzione o a un aumento della frequenza dei controlli.

Sul sito del Laboratorio Nazionale di Riferimento per il monitoraggio delle biotossine marine (LNR-BM) Centro Ricerche Marine di Cesenatico (CRM) sono disponibili quattro documenti:

  • Procedura Operativa per la Valutazione del Rischio;
  • Modulo per la Valutazione del Rischio;
  • Esempio di compilazione Modulo Valutazione del Rischio;
  • Istruzioni Operative Monitoraggio fitoplancton tossico.

La valutazione del rischio è soggetta ad una rivalutazione periodica e deve necessariamente essere riportata in modo completo dalle AC in un documento ufficiale a giustificazione della riduzione della frequenza settimanale per il monitoraggio delle biotossine marine nei molluschi bivalvi. Questa procedura può essere soggetta a modifiche e/o integrazioni, in relazione all’evoluzione delle conoscenze scientifiche ed in base all’esperienza acquisita dalle stesse AC dall’applicazione dei Regolamenti Comunitari.

Per approfondire consulta la pagina dedicata del sito del Laboratorio Nazionale di Riferimento per il monitoraggio delle biotossine marine (LNR-BM) Centro Ricerche Marine di Cesenatico




Pescato pesce palla nelle acque del salernitano

In data 8 gennaio 2023, nelle acque antistanti il litorale tra i comuni di Salerno e Cetara, è stata segnalata, da pescatori locali, la cattura all’amo di un raro pesce palla adulto, della lunghezza di 60 cm. L’esemplare è stato identificato come Lagocephalus lagocephalus, specie bentopelagica ben distribuita in acque tropicali e subtropicali, a profondità comprese tra i 10 e 100 metri, piuttosto rara nel Mediterraneo e comunemente conosciuto come capolepre.
Tuttavia non è la rarità della cattura ad aver destato scalpore, quanto la tossicità dei tessuti di tale specie. Infatti il capolepre, appartenente alla famiglia Tetraodontidae, deve la sua pericolosità alla tetradotossina (TTX), una neurotossina termostabile (non inattivata dalla cottura) contenuta principalmente nel tessuto epatico. La TTX se ingerita, infatti, può comportare effetti particolarmente gravi sulla salute dei consumatori, quali vomito, diarrea e alterazioni della conduzione nervosa come convulsioni e paralisi, fino al blocco cardio-respiratorio. La Comunità Europea, per tale motivo, con il Regolamento di esecuzione 627/2019, vieta l’immissione in commercio di prodotti della pesca ottenuti da specie appartenenti alla famiglia Tetraodontidae.

Attualmente, l’esemplare di capolepre è custodito presso la sede della Direzione Operativa C.Ri.S.Sa.P. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza Sanitaria del Pescato) dell’ASL Salerno, dove, dopo essere stato correttamente identificato, è stato crioconservato insieme ad altri esemplari di specie tossiche rinvenute nel corso degli anni.

Il rinvenimento è avvenuto in concomitanza con l’avvio di una campagna di sensibilizzazione promossa dal C.Ri.S.Sa.P. rivolta a pescatori professionali, subacquei e operatori del settore, ai quali si chiede di segnalare alle Autorità Sanitarie competenti la cattura accidentale, l’avvistamento o il rinvenimento nei circuiti commerciali di pesci velenosi e specie ittiche aliene. Tale intervento è finalizzato principalmente alla tutela della salute dei consumatori nonché all’acquisizione di informazioni relative alla presenza e diffusione nei nostri mari di tali specie, sensibilmente aumentate negli ultimi anni, di pari passo con il continuo riscaldamento delle acque del Mediterraneo.

Fonte: Sede operativa ASL Salerno C.Ri.S.Sa.P. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza Sanitaria del Pescato)




Testati con successo i vaccini a DNA contro le malattie virali della trota iridea

L’Italia è tra i primi produttori di trota iridea (Oncorhynchus mykiss) in Europa. La produzione è tuttavia fortemente limitata dall’impatto di due malattie virali, la Setticemia emorragica virale (SEV) e la Necrosi ematopoietica infettiva (NEI). Entrambe le malattie sono sostenute da virus appartenenti alla famiglia Rhabdoviridae e sono endemiche sul territorio nazionale. L’unica misura di controllo efficace per risolvere i focolai di SEV e NEI risulta essere l’eradicazione, che prevede lo svuotamento dell’intero stabilimento coinvolto, sia dagli animali che dall’acqua, e la pulizia e disinfezione delle attrezzature e delle vasche di stabulazione.

Ricercatori dell’IZSVe hanno valutato con una sperimentazione l’efficacia dei vaccini a DNA contro la Setticemia emorragica virale (SEV) e la Necrosi ematopoietica infettiva (NEI), due malattie virali che colpiscono la trota iridea e che limitano fortemente lo sviluppo dell’allevamento di questa specie. I vaccini hanno dimostrato per la prima volta di ridurre sensibilmente le mortalità indotte da SEV e NEI, e quindi di essere efficaci e sicuri.

Un recente progetto di ricerca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (RC IZSVE 09/18), finanziato dal Ministero della Salute, ha valutato l’efficacia di vaccini a DNA contro queste due malattie virali della trota iridea, progettati a partire da sequenze della glicoproteina G (la proteina responsabile della produzione di anticorpi neutralizzanti) di ceppi italiani di virus della SEV e della NEI recentemente isolati nel territorio nazionale.

Dapprima è stata eseguita una prova in condizioni controllate presso l’acquario sperimentale dell’IZSVe, durante la quale due diverse dosi di vaccino per SEV e per NEI sono state testate singolarmente ed in combinazione per efficacia e sicurezza. Sulla base dei risultati ottenuti, la dose più alta è stata selezionata per l’esecuzione di una prova di campo.

La sperimentazione su campo, autorizzata dal Ministero della Salute, è stata condotta in uno stabilimento situato nella provincia autonoma di Trento tra ottobre 2020 e luglio 2021 e ha rappresentato la prima applicazione in campo dei vaccini a DNA per SEV e NEI in trota iridea. Gli animali sono stati suddivisi in tre gruppi sperimentali: un gruppo di controllo non vaccinato, un gruppo vaccinato con il vaccino per SEV e un gruppo vaccinato sia contro SEV che contro NEI. Al termine del periodo di osservazione, i vaccini utilizzati hanno dimostrato di ridurre sensibilmente le mortalità indotte da SEV e NEI, e quindi di essere efficaci e sicuri. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Vaccines, nella special issue dedicata ai vaccini in acquacoltura.

I vaccini rappresentano un valido aiuto per proteggere i pesci allevati dalle malattie e ridurre le perdite economiche, in aggiunta alle misure di biosicurezza messe in atto per prevenire l’introduzione di malattie in allevamento, la cui applicazione tuttavia non sempre è in grado di difendere in modo completo ed efficace gli animali dagli agenti patogeni.

Fonte: IZS Venezie




Elenco delle specie animali selvatici ed esotici che possono essere detenuti come animali da compagnia

Il 27 ottobre 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale 11 ottobre 2022 “Individuazione degli animali di specie selvatiche ed esotiche prelevate dal loro ambiente naturale come animali da compagnia”.

Il decreto indica un elenco di animali esotici salvatici che, (in deroga al divieto di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 5 agosto 2022, n. 135), possono essere prelevati dal loro ambiente naturale per la detenzione come animali da compagnia. L’elenco è stato predisposto secondo le attuali conoscenze scientifiche in base al rischio sanitario, al rischio per la biodiversità e alla compatibilità con la detenzione in cattività per ragioni comportamentali, fisiche, biologiche ed etologiche.

Pertanto, la lista prevede solo le 6 specie che secondo le conoscenze attuali non rappresentano un rischio per la biodiversità. Tale lista potrà essere aggiornata almeno ogni 5 anni.

Fonte: Ministero della salute




Cetacei e Malattia di Alzheimer

A dispetto del fatto che la malattia di Alzheimer rappresenta la più comune forma di demenza a livello globale, i modelli animali finora caratterizzati non sarebbero in grado di ricapitolarne in maniera adeguata l’intero spettro delle peculiari lesioni osservate in ambito cerebrale, ovverosia i depositi di ß-amiloide (Aß) e gli aggregati neurofibrillari di proteina tau (1).

Di particolare interesse appare, in proposito, la presenza di alterazioni “Alzheimer-like” recentemente osservate in sede encefalica in alcuni delfini appartenenti alle specie Stenella coeruleoalba e Tursiops truncatus, rinvenuti spiaggiati sulle coste spagnole (2). Analoghe lesioni sono state altresi’ descritte a livello del neuroparenchima cerebrale di esemplari di Cetacei appartenenti alla Famiglia Ziphiidae, in cui le stesse sono state messe in relazione di causa-effetto con reiterati episodi di ipossia a livello della compagine encefalica (3).

L’eziologia delle suddette alterazioni “Alzheimer-like” osservate nei Cetacei e’ stata ascritta alla β-metilamino-L-alanina (BMAA), una neurotossina di origine cianobatterica che sarebbe in grado di accumularsi all’interno delle catene trofiche marine e che era già stata associata in precedenza allo sviluppo di analoghe lesioni cerebrali nei Primati non umani (4). In un siffatto contesto, la posizione di vertice occupata in seno alle catene alimentari marine dai Cetacei Odontoceti (quali sono giustappunto i delfini) li predispone al “bioaccumulo” ed alla conseguente “biomagnificazione” di una folta gamma di “contaminanti ambientali persistenti” quali il “metil-mercurio” (MeHg), fattispecie quest’ultima che risulterebbe di particolare interesse alla luce del documentato sinergismo di azione tossica intercorrente fra BMAA e MeHg (5). A conferma di ciò, l’intensità e la “magnitudo” delle alterazioni “Alzheimer-like” risulterebbero accresciute a livello del tessuto cerebrale di delfini contestualmente esposti a BMAA e MeHg (6).

Dal punto di vista neuropatogenetico, appare significativo il ruolo esplicato dalla “proteina prionica cellulare” (PrPc) quale recettore ad alta affinita’ espresso sulla superficie delle cellule neuronali nei confronti degli oligomeri di ß-amiloide (Aß), oltre che come “mediatore” delle disfunzioni sinaptiche indotte dai succitati oligomeri (7). Ne consegue che sarebbe importante analizzare l’espressione della PrPc anche a livello della compagine encefalica di Cetacei con lesioni “Alzheimer-like”, al precipuo fine di poterli “candidare” quali validi modelli di studio nei confronti della neuropatologia e della neuropatogenesi comparate della malattia di Alzheimer (8).

References

  1. Querfurth, H.W., LaFerla, F.M. (2010). Alzheimer’s disease. N. Engl. J. Med. 362;329-344.
  2. Gunn-Moore, D., Kaidanovich-Beilin, O., Gallego Iradi, M.C., Gunn-Moore, F., Lovestone, S. (2018). Alzheimer’s disease in humans and other animals: A consequence of postreproductive life span and longevity rather than aging. Alzheimers Dement. 14:195-204.
  3. Sacchini, S., Díaz-Delgado, J., Espinosa de los Monteros, A., Paz, Y., Bernaldo de Quirós, Y., Sierra, E., Arbelo, M., Herráez, P., Fernández, A. (2020). Amyloid-beta peptide and phosphorylated tau in the frontopolar cerebral cortex and in the cerebellum of toothed whales: Aging versus hypoxia. Biol. Open 9(11):bio054734.
  4. Davis, D.A., Mondo, K., Stern, E., Annor, A.K., Murch, S.J., Coyne, T.M., Brand, L.E., Niemeyer, M.E., Sharp, S., Bradley, W.G., Cox, P.A., Mash, D.C. (2019). Cyanobacterial neurotoxin BMAA and brain pathology in stranded dolphins. PLoS One 14(3):e0213346.
  5. Rush, T., Liu, X., Lobner, D. (2012). Synergistic toxicity of the environmental neurotoxins methylmercury and beta-N-methylamino-L-alanine. Neuroreport 23:216-219.
  6. Davis, D.A., Garamszegi, S.P., Banack, S.A., Dooley, P.D., Coyne, T.M., McLean, D.W., Rotstein, D.S., Mash, D.C., Cox, P.A. (2021). BMAA, Methylmercury, and Mechanisms of Neurodegeneration in Dolphins: A Natural Model of Toxin Exposure. Toxins (Basel) 13(10):697.
  7. Lauren, J., Gimbel, D.A., Nygaard, H.B., Gilbert, J.W., Strittmatter, S.M. (2009). Cellular prion protein mediates impairment of synaptic plasticity by amyloid-β oligomers. Nature 457:1128-1132.
  8. Di Guardo, G. (2018). Alzheimer’s disease, cellular prion protein, and dolphins. Alzheimers Dement. 14, 259-260.

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università  degli Studi di Teramo

 




Le nanoplastiche possono risalire la catena alimentare dalle piante ai pesci

microplasticheChe fine fanno le nanoplastiche, una volta che si sono formate e sono rilasciate nell’ambiente? La domanda è fondamentale, per capire se e in quale modo questi frammenti di plastica di dimensione inferiore al millesimo di millimetro, arrivino agli esseri umani attraverso la catena alimentare e per indagare i possibili effetti tossici che sono già stati dimostrati a carico delle piante e di diverse specie di animali invertebrati e vertebrati. Finora questa domanda non aveva molte risposte, date la difficoltà di condurre studi in un settore ancora in gran parte inesplorato e la carenza di metodologie efficaci. Per esempio, non si sapeva in che modo interagissero con il complesso ecosistema del suolo, anche se è noto che può essere contaminato attraverso le piogge, l’irrigazione con acque reflue, la dispersione di fanghi di depurazione e la pacciamatura con film di plastica. 

Ora però uno studio appena pubblicato su Nano Today dai ricercatori dell’Università della Finlandia Orientale traccia un primo itinerario possibile, che segue la catena alimentare e arriva fino agli esseri umani: le piante commestibili (in primo luogo quelle coltivate sul terreno, e che quindi potrebbero captare molte nanoplastiche proprio dal suolo e dalle acque che lo bagnano), poi da loro agli insetti e dagli insetti ai pesci.
I ricercatori hanno messo a punto un metodo per tracciare le nanoplastiche lungo la catena alimentare

Gli autori hanno infatti messo a punto un metodo che sfrutta il gadolinio, un tracciante comunemente impiegato in medicina nucleare, per marcare frammenti del diametro di 250 nanometri di due tra i polimeri più diffusi, il PVC e il polistirene. Il metodo è stato quindi applicato a un modello di catena alimentare costituito da tre livelli: lattuga, larve di mosche soldato nere e pesci insettivori. Nello specifico, le piante di lattuga sono state coltivate per 14 giorni in un terreno contaminato. Alla fine delle due settimane, le lattughe sono state utilizzate come cibo per le larve di mosca per cinque giorni, dopo i quali queste ultime sono state somministrate ai pesci per altri cinque giorni.

Le immagini al microscopio elettronico di sezioni di lattuga, larve e pesci hanno poi mostrato quanto le particelle di plastica entrino negli organismi. Per quanto riguarda la lattuga, esse passano dalle radici e si accumulano nelle foglie. Da lì si trasferiscono agli insetti, che infatti mostrano le stesse particelle, senza apparenti processi metabolici di degradazione, tanto nello stomaco quanto nell’intestino. E lì restano anche quando le larve sono tenute a digiuno per 24 ore e hanno quindi svuotato l’apparato digerente, una scoperta particolarmente preoccupante. Infine, anche i pesci nutriti con le larve contengono le stesse nanoplastiche, in particolare nelle branchie, nell’intestino e nel fegato, dove l’accumulo è più elevato rispetto a tutte le altre sedi, mentre non ve n’è traccia nel cervello. Con ogni probabilità dai pesci le nanoplastiche giungono poi, direttamente o indirettamente, agli altri anelli della catena alimentare, esseri umani compresi.
Le nanoplastiche sono state trovate all’interno delle foglie di lattuga, nell’intestino delle larve e nell’apparato digerente e nelle branchie dei pesci

Sia nella lattuga che nelle mosche e poi nei pesci sono presenti entrambi i polimeri, ma il polistirene in quantità minori, a dimostrazione di come ci siano differenze anche rilevanti tra le diverse tipologie di plastica. In generale sono comunque in grado di penetrare in profondità nelle catene alimentari senza risentirne e accumulandosi in alcuni organi più che in altri. 

Anche se è necessario confermare quanto scoperto, concludono gli autori, non ci sono motivi per pensare che fenomeni molto simili, se non identici, accadano con tutte le nanoplastiche e con tutte le piante, con gli insetti che se ne nutrono e con gli organismi superiori che, a loro volta, hanno una dieta a base di insetti. E dai pesci alle persone il passo è molto breve, spesso diretto.

Fonte: ilfattoalimentare.it




Dal pesce scorpione al granchio blu, nuove frontiere a tavola

Dal pesce scorpione grigliato, all’antipasto a base del pesce coniglio, al granchio blu al vapore, una specie quest’ultima molto diffusa e apprezzata in Italia, tanto da pensare alla creazione di una vera e propria filiera.

 Sono oltre mille le specie aliene stabilizzate nel Mediterraneo per l’innalzamento delle temperature che, da problema per ecosistemi marini e pescatori, sono diventate un’opportunità economica e ambientale.

Finiscono in cucina e hanno fatto nascere nuovi promettenti mercati.

Merito anche della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo della Fao che ha puntato a formare i pescatori per catturare pesci alieni e i consumatori a mangiarli. E questo in molti Paesi del Bacino, come Cipro, Egitto, Grecia, Libano, Israele, Siria e Turchia.

“Attenuare l’impatto di questi specie è praticamente impossibile – fa sapere Miguel Bernal del Gfcm-Fao – e la pesca commerciale si dimostra lo strumento più efficace”. Basti pensare che negli Usa dove si consumano 60 mila tonnellate l’anno di granchi blu, hanno messo a punto una nuova tecnologi per estrarne e facilmente la polpa. Una frontiera emergente anche in Italia, dove la dicono lunga i furti dei cinesi denunciati a Goro. I listini di vendita all’ingrosso sono ancora contenuti, fa sapere Fedagripesca-Confcooperative, tra i 2 e i 10 euro al chilo ma i segnali di crescita ormai ci sono tutti.

Fonte: ansa.it




Mare monstrum: Mediterraneo invaso da centinaia di nuovi pesci

Una ricerca pubblicata dalla rivista ‘Global Change Biology’ e coordinata dall’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine del Cnr di Ancona ricostruisce la storia delle invasioni biologiche nel mare nostrum, che negli ultimi 130 anni ha subito l’arrivo di circa duecento nuove specie ittiche grazie al cambiamento climatico

Con centinaia di specie esotiche, il Mar Mediterraneo viene oggi riconosciuto come la regione marina più invasa al mondo. Una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Global Change Biology e coordinata dall’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine (Cnr-Irbim) di Ancona, ricostruisce questa storia per le specie ittiche introdotte a partire dal 1896.

Lo studio dimostra come il fenomeno abbia avuto un’importante accelerazione a partire dagli anni ’90 e come le invasioni più recenti siano capaci delle più rapide e spettacolari espansioni geografiche”, spiega Ernesto Azzurro del Cnr-Irbim e coordinatore della ricerca. “Da oltre un secolo, ricercatori e ricercatrici di tutti i paesi mediterranei hanno documentato nella letteratura scientifica questo fenomeno, identificando oltre 200 nuove specie ittiche e segnalando le loro catture e la loro progressiva espansione. Grazie alla revisione di centinaia di questi articoli e alla georeferenziazione di migliaia di osservazioni, abbiamo potuto ricostruire la progressiva invasione nel Mediterraneo”. Tale processo ha cambiato per sempre la storia del nostro mare.

Sono due le porte di ingresso di questa colonizzazione: “Le specie del Mar Rosso, entrate dal canale di Suez (inaugurato nel 1869), sono le più rappresentate e problematiche. Ci sono, tuttavia, altri importanti vettori come il trasporto navale ed il rilascio da acquari. I ricercatori hanno considerato anche la provenienza atlantica tramite lo stretto di Gibilterra”, continua Azzurro.

Ma quali sono gli effetti ambientali e socio-economici di queste ‘migrazioni ittiche’?

Alcune di queste specie costituiscono nuove risorse per la pesca, ben adattate a climi tropicali e già utilizzate nei settori più orientali del Mediterraneo”, spiega il ricercatore Cnr-Irbim. “Allo stesso tempo, molti ‘invasori’ provocano il deterioramento degli habitat naturali, riducendo drasticamente la biodiversità locale ed entrando in competizione con specie native, endemiche e più vulnerabili. Il ritmo della colonizzazione è così rapido da aver già cambiato l’identità faunistica del nostro mare; pertanto ricostruire la storia del fenomeno permette di capire meglio la trasformazione in atto e fornisce un esempio emblematico di globalizzazione biotica negli ambienti marini dell’intero pianeta”.

La ricerca è stata svolta grazie al supporto dei progetti InterregMED MPA-Engage e del progetto @CNR USEit.

Fonte: CNR