Resistenza agli antimicrobici e ambienti di produzione degli alimenti: fonti e opzioni per il controllo

Antibioticoresistenza

La resistenza agli antimicrobici (AMR) negli alimenti di origine vegetale e/o nell’acquacoltura ha origine per lo più da fertilizzanti di origine fecale e acque (compresa quella usata per irrigare). Secondo l’EFSA in zootecnia le fonti potenziali di resistenza sono riconducibili a mangimi, esseri umani, acqua, aria o polvere, suolo, fauna selvatica, roditori, artropodi e attrezzature.

Per la prima volta gli esperti dell’EFSA hanno valutato il ruolo svolto dagli ambienti destinati alla produzione alimentare nell’insorgenza e diffusione dell’AMR, mappando le principali fonti dei relativi batteri e geni, anche se i dati attuali non consentono di quantificare il contributo specifico di ciascuna di esse a questo problema di portata mondiale.

L’EFSA ha individuato i batteri e i geni resistenti di massima priorità per la salute pubblica che possono essere trasmessi tramite la catena alimentare, vagliando la letteratura scientifica per documentarne la presenza nelle suddette fonti ambientali.

Tra le misure volte a limitare la comparsa e la diffusione di resistenza negli ambienti per la produzione alimentare vi sono la riduzione della contaminazione microbica di origine fecale nei fertilizzanti, nell’acqua e nei mangimi nonché l’adozione di buone pratiche igieniche in genere . Gli esperti hanno inoltre formulato raccomandazioni per proseguire la ricerca nei settori ritenuti prioritari onde contribuire a colmare le lacune nei dati, affiancando così i responsabili dell’UE in materia di gestione del rischio nell’attuare il piano d’azione europeo «One Health» contro la resistenza agli antimicrobici.

Per elaborare il parere, gli esperti hanno lavorato a stretto contatto con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’Agenzia europea dei medicinali (EMA) e l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA).

Fonte: EFSA




Covid-19 e animali. Di Guardo: tamponi ai domestici e controlli sui cetacei

Il sito kodami.it ospita un’intervista al Prof. Giovanni Di Guardo, già docente di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria nell’Università di Teramo, sulla necessità di monitorare la presenza di SARS-CoV-2 nei mammiferi acquatici, con particolare riferimento ai Cetacei che popolano i nostri mari.

In generale lo stato di salute degli animali domestici, soprattutto, e di quelli presenti nei parchi e nei giardini zoologici, andrebbe strettamente monitorato –  tramite tamponi a tappeto e prelievo di campioni di sangue per determinare l’eventuale presenza di anticorpi anti-SARS-CoV-2 –  anche alla luce del fatto che molti casi di infezione tra loro decorrono in forma asintomatica o paucisintomatica, non destando pertanto allarme.

L’attenzione va rivolta anche al mondo marino, avverte Di Guardo. Secondo un lavoro coordinato dai colleghi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, dei 9 cetacei presi in esame (stenella striata, tursiope, balenottera comune, globicefalo, zifio, capodoglio, balenottera minore, megattera, orca), 7 sarebbero suscettibili a SARS-CoV-2, avendo il recettore ACE-2 piu’ simile a quello umano. Solo zifio e capodoglio li hanno più dissimili.

Altri studi già ci dicono che il tursiope e la balena grigia sono potenzialmente suscettibili a SARS-CoV-2, spiega Di Guardo: “tutto ciò, mentre c’è un’altra grande pandemia che ci si aspetta di vivere da qui al 2050, ed è quella della resistenza agli antibiotici. In mare la rete di sorveglianza ha già notato diversi casi di cetacei spiaggiati colpiti da infezioni sostenute da MRSA, lo stafilococco aureo resistente alla meticillina. È un problema quando poi si parla di itticoltura, con l’uso massiccio di farmaci negli allevamenti ittici».

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Spiaggiamento dei cetacei, perchè succede?

spiaggiamentiIl 26 dicembre un capodoglio si è spiaggiato lungo la costa di Castellabate, nel Cilento. Ormai non è più così raro che accada su una spiaggia italiana. Ma per quale motive succede?

Giovanni Di Guardo, docente alla facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Teramo e super esperto di cetacei, ne ha parlato in un’intervista a kodami.it.

«Un cetaceo spiaggiato è un’ “occasione d’oro” perché dà la possibilità di effettuare una serie di indagini fondamentali per conoscere il livello di minacce che affliggono questi animali. Oltre a farci capire come vivono e cosa gli facciamo. E quando gli spiaggiamenti sono molti, diventano un vero e proprio campanello d’allarme in grado di mostrarci le nefandezze di cui siamo capaci».

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Allevamento più sostenibile di cozze e ostriche

L’acquacoltura rappresenta il settore di produzione di alimenti animali in più rapida espansione al mondo, eppure in passato è rimasta indietro rispetto ad altri settori alimentari per quanto riguarda l’adozione di sistemi informativi di maggiore efficienza.

Al momento, il settore dell’acquacoltura, trainato dalla visione dello sviluppo sostenibile sta introducendo velocemente tecnologie che renderanno la gestione degli allevamenti ittici più ecologica ed efficiente. Tra le aree di innovazione figura l’acquacoltura di precisione. Questa tecnologia si avvale di una miriade di sensori interconnessi per il monitoraggio delle condizioni dell’allevamento ittico, sostenendo gli allevatori nel prendere decisioni volte all’ottimizzazione della salute ittica e del ritorno economico e, al tempo stesso, riducendo al minimo gli impatti ambientali.

In altri termini, l’acquacoltura di precisione possiede il potenziale di trasformare il settore dell’acquacoltura. Un articolo recente pubblicato sul sito web «Global Seafood Alliance» si concentra sulla produzione sostenibile di bivalvi, quali cozze e ostriche, allevati impiegando questa tecnologia. L’articolo è il quinto di una serie dedicata all’agricoltura di precisione pubblicata con il sostegno del progetto GAIN, finanziato dall’UE. Seguendo la scia dei quattro articoli di presentazione dell’acquacoltura di precisione e della sua applicazione nell’allevamento di trote, nel settore dei branzini e delle orate del Mediterraneo e in quello del salmone, quest’ultimo articolo si occupa dell’acquacoltura di bivalvi.

Fare i conti con i rischi dell’acquacoltura di bivalvi

L’articolo illustra gli strumenti innovativi dell’acquacoltura di precisione sviluppati dal gruppo di GAIN per contribuire alla previsione di eventi avversi sulla qualità dell’acqua che potrebbero pregiudicare l’acquacoltura di bivalvi e comportare chiusure dei siti. «La produzione di bivalvi allevati fa affidamento sull’eccellente qualità dell’acqua, che spesso esula dal controllo degli allevatori.

Alcuni eventi specifici che condizionano la qualità dell’acqua, tra cui la fioritura di alghe, la risalita delle acque profonde (upwelling) ricche di sostanze nutritive o il deflusso urbano, possono sfociare in chiusure normative dei siti di allevamento dei bivalvi per prevenire l’immissione sul mercato dei bivalvi contaminati, arrecando pertanto danni economici gravi agli allevatori. La portata e l’intensità di tali eventi peggiorativi della qualità dell’acqua sono difficili da prevedere poiché sono innescati da combinazioni complesse di diversi fattori interagenti», spiegano gli autori. Al fine di fornire agli allevatori di bivalvi un sistema di allerta precoce e di favorire una previsione e una gestione delle decisioni migliori, il gruppo ha impiegato strumenti basati sull’apprendimento automatico per modellare le condizioni ambientali. I dati adoperati per la modellizzazione comprendevano sensori ambientali in loco, dati provenienti da satelliti e dall’oceano aperto, dati meteorologici e schemi di temperature e correnti, che sono stati tutti confrontati con i dati relativi alle chiusure passate dei siti. L’integrazione delle fonti di dati è avvenuta su una piattaforma basata su cloud che permette il monitoraggio in tempo reale dei siti di acquacoltura dei bivalvi. «La modellizzazione e l’apprendimento automatico hanno inoltre incorporato dati necessari alle disposizioni statutarie per la legislazione a livello statale e dell’UE, comprese la direttiva quadro sulle acque (“buono stato ecologico”) e la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino (“buono stato ambientale”).

L’archiviazione dei dati in una soluzione centralizzata basata su cloud aiuterà inoltre gli allevatori a ottenere certificazioni sulla sostenibilità», si afferma nell’articolo. Le prove sono state eseguite presso il sito pilota di Sagres sulla costa dell’Algarve nella parte sud-occidentale del Portogallo. Tuttavia, l’utilizzo dell’apprendimento automatico per la creazione di modelli predittivi specifici per il sito permette il facile adattamento della tecnologia ad allevamenti di bivalvi in altri luoghi. L’attività di ricerca ha riscontrato alcune forti variazioni nelle condizioni di chiusura «tra siti, evidenziando l’esigenza di tecniche di modellizzazione e di apprendimento automatico che si servono di dati specifici per ciascun sito e per la sua storia al fine di prevedere le condizioni di chiusura.» Basandosi sull’apprendimento automatico di tipo semiautomatico, gli strumenti per l’acquacoltura di precisione del gruppo «permettono di raggiungere tale livello di precisione.» Il gruppo del progetto GAIN (Green Aquaculture Intensification in Europe) ha attualmente raggiunto la fase di collaudo del prodotto finale per il settore industriale.

Fonte: Commissione Europea




Tetrodotossine nei molluschi bivalvi, primo rilevamento nell’Adriatico settentrionale

Analisi di laboratorio condotte dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) su alcuni campioni di cozze provenienti dalla laguna di Marano hanno riscontrato una presenza notevole di tetrodotossine, sostanze tossiche che costituiscono un serio rischio per la salute dei consumatori. Si tratta del primo rilevamento di queste tossine in molluschi bivalvi provenienti dall’area settentrionale del Mare Adriatico.

Analisi di laboratorio condotte dall’IZSVe su alcune cozze provenienti dalla laguna di Marano, in provincia di Udine, hanno riscontrato una presenza notevole di tetrodotossine, sostanze tossiche che costituiscono un serio rischio per la salute dei consumatori, note anche come “veleno del pescepalla”.

Le analisi svolte e i loro risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Food control dai ricercatori dell’IZSVe, in collaborazione con esperti del Centro di Ricerche Marine di Cesenatico (Laboratorio nazionale di riferimento per il monitoraggio delle biotossine marine), dell’Università “Federico II” di Napoli, del Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (CoNISMa) e dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Friuli Venezia Giulia (ARPA FVG).

Il veleno del pesce palla

Le tetrodotossine sono neurotossine con effetti potenzialmente letali per l’uomo: se ingerite ad alte dosi possono bloccare la conduzione nervosa, provocando paralisi e blocchi cardiorespiratori. Sono note comunemente come “veleno del pesce palla”, in quanto sono state identificate per la prima volta in questa famiglia di pesci (tetrodontidi). I pesci palla convivono infatti con batteri simbionti produttori di tetrodotossine: per questo mangiare la carne dei pesci palla è molto rischioso.

Gli avvelenamenti da tetrodotossine sono frequenti in diversi Paesi del sud-est asiatico nei quali viene fatto largo consumo di questi pesci, come ad esempio Giappone, Taiwan e Bangladesh. In Giappone, in particolare, il pesce palla è alla base di un piatto tradizionale chiamato fugu, che per legge può essere preparato solo da cuochi autorizzati con una licenza speciale, rilasciata dalle autorità sanitarie a seguito di un esame molto selettivo.

Nell’Unione Europea e in molti altri Paesi del mondo invece il commercio dei tetrodontidi per scopi alimentari è vietato.

Le tetrodotossine nei mari europei

I campioni era stati prelevati dai Servizi veterinari dell’Azienda sanitaria locale competente nell’ambito dei programmi di monitoraggio e controllo ufficiale degli allevamenti di acquacoltura. Si tratta del primo rilevamento di queste sostanze in molluschi bivalvi provenienti dall’area settentrionale del Mare Adriatico, e della quantità più alta mai riscontrata in molluschi bivalvi europei.

Le tetrodotossine sono presenti non solamente nei pesci palla, ma anche in diverse altre specie ittiche come i polpi dagli anelli blu (Hapalochlaena) e in vari crostacei e gasteropodi marini.

Tradizionalmente, in Europa la presenza di queste sostanze negli organismi acquatici non era considerata una minaccia rilevante per i consumatori. Solo in tempi recenti ricercatori e autorità hanno iniziato a occuparsi di questo rischio, in seguito alla diffusione nel Mediterraneo di specie invasive note per essere portatrici di tetrodotossine, come il pesce palla argenteo (Lagocephalus sceleratus).

Nel 2008 è stata segnalata la prima intossicazione umana da tetrodotossine in Europa, avvenuta in Spagna e dovuta al consumo di un gasteropode contaminato proveniente da mari portoghesi. Inoltre, negli ultimi anni Paesi come il Regno Unito, la Grecia, i Paesi Bassi e l’Italia hanno segnalato la presenza di tetrodotossine in numerosi campioni di molluschi bivalvi, anche specie importanti per l’acquacoltura europea come le cozze (Mytilus sp.) e le ostriche (Crassotea Gigas).

In questo contesto si inserisce la segnalazione effettuata dai ricercatori dell’IZSVe, che hanno riscontrato la presenza di tetrodotossine in alcuni campioni di cozze del mediterraneo (Mytilus galloprovincialisprelevati nel maggio 2017 e nel maggio 2018 dalla laguna di Marano, in provincia di Udine.

I campioni erano stati prelevati dai Servizi veterinari dell’Azienda sanitaria locale competente nell’ambito dei programmi di monitoraggio e controllo ufficiale degli allevamenti di acquacoltura presenti sul territorio. Le analisi hanno riscontrato nelle cozze un accumulo di tetrodotossine pari a 541 μg/kg nei campioni del 2017 e 216 μg/kg in quelli del 2018: la quantità più alta di queste sostanze mai riscontrata in molluschi bivalvi europei.

Per cercare di comprendere meglio questo fenomeno i ricercatori dell’IZSVe stanno continuando a monitorare i molluschi delle aree lagunari dell’Alto Adriatico attraverso un progetto di Ricerca Corrente finanziato dal Ministero della Salute (RC 01/19). Lo studio è ancora in corso, ma dai primi dati raccolti sembra emergere che il periodo delle contaminazioni sia delimitato alla tarda primavera.

Fonte: IZS delle Venezie




Nuovo coronavirus ed ecosistemi marini

E’ pubblicato su La Settimana Veterinaria n° 1161 del 21 ottobre 2020, il contributo del Prof. Giovanni Di Guardo, Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria dell’Università di Teramo, Facoltà di Medicina Veterinaria, che ipotizza, “secondo il salvifico “principio di precauzione” e l’altrettanto benefico e salutare concetto della “One Health”, la possibilità di un “ciclo” dell’infezione da SARS-CoV-2 in ambiente marino, legato sia alla crescente contaminazione ambientale prodotta dall’innumerevole quantità di mascherine e altri DPI che vengono quotidianamente eliminati e smaltiti e nei quali potrebbe ancora albergare virus, sia al preoccupante dato secondo cui circa il 60% dei pazienti affetti da Covid-19 eliminerebbe per via fecale l’agente virale per ben 22 giorni.

“Sebbene delfini e balene non figurino ancora fra le specie sensibili (o resistenti) nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, andrebbe tuttavia sottolineato che il tursiope e la balena grigia rappresentano due specie cetologiche caratterizzate da un livello di similitudine/omologia di sequenza della molecola ACE-2 (il recettore grazie al quale il virus SARS-CoV-2 è in grado di entrare nelle cellule ospiti), rispetto all’analoga molecola umana, fra i più alti tra quelli finora osservati nei mammiferi. Ciò equivale a dire che l’infezione sarebbe biologicamente plausibile nelle due specie sopra citate” osserva Di Guardo.

“Sarebbe oltremodo auspicabile il ricorso a opportune indagini siero-epidemiologiche sugli esemplari di delfini e balene rinvenuti spiaggiati, al precipuo fine di verificare negli stessi anche l’eventuale presenza di anticorpi nei confronti di SARS-CoV-2, cosa altrettanto auspicabile per le diverse specie di mammiferi terrestri suscettibili all’infezione”

conclude il professore.

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Acquacultura del futuro: proteine intelligenti che catturano virus e batteri dei pesci

Grazie alla decennale esperienza nel campo della patologia ittica e alla disponibilità di un Acquario Sperimentale autorizzato, i ricercatori del Centro di referenza nazionale per le patologie di pesci, molluschi e crostacei dell’IZSVe sperimenteranno l’efficacia di proteine intelligenti nel riconoscimento e inattivazione dei patogeni, fornendo un’alternativa sostenibile alla gestione delle malattie in acquacoltura. Il progetto di ricerca rientra nel Programma H2020-EU.1.2.1 – FET Open, lo strumento della Commissione europea che incoraggia e sostiene idee radicalmente nuove per la ricerca scientifica e tecnologica del futuro.

L’idea, semplice e rivoluzionaria, promette di cambiare l’acquacoltura nel prossimo futuro. Il progetto “PathoGelTrap” che ha l’obiettivo di produrre un gel di proteine che cattura e intrappola virus e batteri dei pesci direttamente in acqua  per risolvere le problematiche infettive degli allevamenti intensivi e favorirne la sostenibilità, si propone di innovare le pratiche di gestione delle malattie infettive, fornendo all’industria una tecnologia in grado di rimuovere efficacemente specifici agenti patogeni direttamente dall’acqua.

Tutte le informazioni sul sito dell’IZS delle Venezie




Mediterraneo: quasi 50.000 esemplari di 116 specie diverse hanno ingerito plastica

plastica mareAlmeno 116 specie diverse nel Mediterraneo hanno ingerito plastica (l’ingestione è il principale effetto noto della plastica in mare); il 59% di queste sono pesci ossei, inclusi in questa percentuale anche quelli di interesse commerciale come sardine, triglie, orate, merluzzi, acciughe, tonni, scampi, gamberi rossi; il restante 41% è costituito da altri animali marini come mammiferi, crostacei, molluschi, meduse, tartarughe, uccelli.

Questi alcuni dei risultati di uno studio, condotto anche da ricercatori dell’Ispra, incluso nel capitolo del libro “Plastics in the Aquatic Environment – Current Status and Challenges” pubblicato dalla Springer Nature, in cui si aggiorna la letteratura scientifica disponibile per descrivere l’impatto dei rifiuti sulla vita marina nel Mediterraneo, un ecosistema sensibile, caratterizzato da elevata biodiversità ma anche uno degli ecosistemi più minacciati al mondo dai rifiuti marini, su scala globale composti principalmente da plastica. Sono stati analizzati 128 documenti che riportavano impatti dei rifiuti marini su 329 categorie di organismi del Mediterraneo. Si tratta ad oggi dello studio più ampio ed aggiornato sull’intero Mediterraneo.

Se c’è troppa plastica nello stomaco dei pesci, accade anche che buste e bottigliette diventino vettore di trasporto o ambiente di vita per diverse specie. Sono state rintracciate 168 categorie di organismi marini trasportati da oggetti galleggianti (principalmente di plastica), anche in ambienti in cui non erano stati rintracciati prima; tra questi, ci sono anche batteri patogeni che possono causare malattie nei pesci che li ingeriscono. Gli organismi più comuni trasportati dai rifiuti marini sono gli artropodi (crostacei) e gli Cnidari (gorgonie, coralli). I rifiuti marini, in particolare lenze e reti da pesca, possono inoltre distruggere, ferire e soffocare colonie di coralli e gorgonie anche in ambienti molto profondi e remoti.

La produzione mondiale di plastica è passata dai 15 milioni del 1964 agli oltre 310 milioni attuali, e ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate finiscono negli oceani del mondo. La plastica raggiunge il mare a causa di una cattiva gestione dei rifiuti, ma anche per la sovrapproduzione di imballaggi e prodotti monouso che vengono messi in circolazione dall’industria alimentare e non solo. Per limitare i danni, l’Unione europea ha approvato una direttiva contro la plastica monouso, che rappresenta una delle principali tipologie di plastica trovate nel Mediterraneo.

La plastica può colpire gli organismi marini attraverso l’ingestione e l’intrappolamento e gli impatti variano a seconda del tipo e delle dimensioni. Almeno 44 specie marine sono soggette ad intrappolamento nella plastica, in particolare reti da pesca. L’intrappolamento spesso determina la morte per affogamento, strangolamento o denutrizione, soprattutto per i mammiferi marini; la tartaruga marina Caretta caretta è la specie mediterranea più soggetta ad intrappolamento ed è anche una delle principali specie del Mediterraneo note per ingerire plastica (le prime evidenze di
ingestione di rifiuti da parte della Caretta risalgono a metà anni ’80): è infatti stata identificata come specie indicatrice dell’ingestione di rifiuti nell’ambito della Strategia Marina.

Diverse specie minacciate e quindi incluse nella Lista Rossa dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN) – dal corallo rosso, passando per il tonno rosso, lo spinarolo, e arrivando al capodoglio – risultano compromesse dai rifiuti marini. Mentre dallo studio emergono gli effetti diffusi dei rifiuti marini, e in particolare della plastica, sugli organismi marini del Mediterraneo, al contrario, non ci sono evidenze scientifiche di effetti negativi dell’ingestione di microplastiche nei pesci, nè tantomeno del trasferimento delle microplastiche fino all’uomo.

Per ulteriori informazioni, l’ISPRA collabora ai due progetti comunitari INDICIT e INDICIT 2 che possono essere consultati qui

Fonte: ISPRA




Report spiaggiamenti cetacei nel Lazio e Toscana 2017 – 2019

spiaggiamentiE’ stata pubblicata la relazione congiunta delle attività svolte nell’ambito degli spiaggiamenti di cetacei avvenuti lungo le coste del Lazio e della Toscana dal gennaio 2017 all’agosto 2019, periodo durante il quale si sono registrati 140 soggetti spiaggiati, con la prevalenza di Stenella coeruleoalba (n. 72) e Tursiops truncatus (n. 40).

Sugli animali spiaggiati, quando possibile e a seconda dei casi, sono stati eseguiti esami necroscopici, virologici, batteriologici, parassitologici, istologici e tossicologici.

La ricerca di agenti virali si è concentrata particolarmente sul Dolphin Morbillivirus (DMV) e sull’Herpesvirus. Il Morbillivirus è ampiamente riconosciuto come agente eziologico causa della morte di singoli animali o come responsabile negli eventi di mortalità nei Cetacei. Meno si conosce dell’Herpesvirus il cui ruolo deve essere ancora approfondito.

I dati confermano in ogni caso l’estrema importanza del monitoraggio sanitario, e in particolare degli agenti zoonotici, negli animali marini.

Si ritrovano infatti anche in queste specie di mammiferi problematiche emergenti di sanità pubblica ed agenti dal potere patogeno per l’uomo, come Brucella sp. ( isolata per la prima volta nel Mediterraneo in una Stenella spiaggiata nel 2012 lungo le coste Toscane) e Listeria monocytogenes (isolata in più soggetti nel 2017) che è anche uno dei principali contaminanti ambientali di importanza per la salute pubblica.

La gestione degli animali, le attività legate agli spiaggiamenti, i risultati conseguiti sono frutto di un lavoro delle equipe che a vario titolo operano per la salvaguardia e per il monitoraggio dello status sanitario dei cetacei: AA.SS.LL., Capitanerie di Porto, Osservatorio Toscano Biodiversità, ARPAT Livorno, Università di Siena, Banca Dati Spiaggiamenti, Università di Padova, Università di Teramo, Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Diagnostiche sui mammiferi marini Spiaggiati (C.Re.Di.Ma), Ministero della Salute, MiPAAFF, e tutta la rete degli IIZZSS.

Il testo integrale della relazione

A cura della segreteria SIMeVeP




Granchio blu dell’Atlantico sulle coste abruzzesi

Granchio blu dell'atlanticoIl 25 gennaio un esemplare di granchio appartenente ad una sospetta specie aliena, è stato pescato lungo la costa prospiciente Pescara da membri della Scuola Sub Loto, una struttura pescarese dedita alla ricerca e alla protezione dell’ambiente marino delle coste dell’Abruzzo e del Molise.

L’esemplare di granchio femmina, con un carapace di 180 x 74 mm, è stato conferito ed esaminato dagli specialisti del reparto Ecosistemi Dulciacquicoli che lo hanno identificato come appartenente alla specie Callinectes sapidus. Seguendo la procedura il rinvenimento è stato segnalato all’ISPRA, l’Istituto Superiore della Protezione dell’Ambiente.

Il Callinectes sapidus (Rathbun, 1896), meglio conosciuto come Granchio blu dell’Atlantico, appartiene alla famiglia dei portunidi, detti anche granchi nuotatori. Originario delle coste dell’Atlantico Occidentale e del Messico, il Granchio blu è stato introdotto nelle acque del Mediterraneo agli inizi del secolo scorso attraverso le acque di zavorra. Allo stato attuale sono poche le informazioni a disposizione in merito alla sua distribuzione.

Dopo la prima segnalazione effettuata nel 2012, quella del 25 gennaio 2020 è la seconda segnalazione di rinvenimento di Callinectes sapidus lungo le coste abruzzesi. La presenza di specie aliene in un nuovo habitat può produrre numerosi effetti negativi come l’alterazione della biodiversità, la competizione con le specie autoctone, l’introduzione di nuove patologie, nonché effetti imprevedibili sulla pesca: comunque rappresenta un potenziale pericolo per la salute umana.

Per questi motivi è importante che eventuali rinvenimenti vengano portati all’attenzione della Guardia Costiera o di un Ente scientifico competente, al fine di attivare tempestivamente una serie di azioni finalizzate a contenerne la diffusione.

Fonte: IZS Abruzzo e Molise