Antibiotico-Resistenza: lo studio sul batterio E. COLI tra ambiente, animali e persone

Un’indagine condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, in collaborazione con l’Unità di Patologia Clinica e Microbiologia dell’Ospedale di Teramo, ha analizzato la presenza di ceppi di Escherichia coli resistenti agli antibiotici in diversi ambienti e specie. Nel loro lavoro scientifico, pubblicato sulla rivista Frontiers in Microbiology, i ricercatori si sono concentrati in particolare su quei ceppi che producono enzimi (le β-lattamasi a spettro esteso, o ESBL) in grado di rendere inefficaci alcuni antibiotici di uso comune nella medicina umana e veterinaria.

Sulla base delle analisi compiute su quasi mille campioni raccolti nella regione Abruzzo, lo studio ha utilizzato strumenti di genomica avanzata per individuare i geni della resistenza e comprendere meglio come questi si diffondano tra ambienti e specie diversi, inclusi animali da allevamento, selvatici, da compagnia, alimenti e pazienti umani.

“Abbiamo trovato una presenza non trascurabile di ceppi resistenti sia negli allevamenti che negli animali da compagnia e nell’ambiente – dice Lisa Di Marcantonio, Batteriologia e Sviluppo Antigeni Batterici – IZS Teramo – mentre negli animali selvatici i casi sono stati meno frequenti. Questo tipo di confronto aiuta a capire come le attività umane possano influenzare la diffusione della resistenza”.

Le analisi indicano infatti che i ceppi resistenti sono più frequenti nei contesti più vicini all’uomo. Negli animali da compagnia, ad esempio, la presenza supera il 16%, mentre negli animali selvatici è inferiore al 7%. Questa differenza potrebbe essere legata a due fattori principali: da un lato, l’uso diretto di antibiotici negli animali da compagnia e negli allevamenti, che può selezionare ceppi batterici sempre più resistenti; dall’altro, la diffusione indiretta di questi batteri attraverso acque reflue, suolo contaminato o alimenti. In altri termini, l’ambiente urbano e agricolo sarebbe più favorevole alla circolazione della resistenza rispetto agli spazi naturali.

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Fonte: IZS Teramo




Veterinari europei, canadesi e statunitensi insieme contro l’AMR

Veterinari europei, canadesi e statunitensi insieme contro l’AMRL’American Veterinary Medical Association (AVMA), la Federation of Veterinarians of Europe (FVE) e la Canadian Veterinary Medical Association (CVMA) — che rappresentano complessivamente oltre 400.000 veterinari in tutto il mondo — hanno pubblicato oggi due dichiarazioni congiunte di rilievo che riaffermano il loro impegno condiviso verso un uso responsabile degli antimicrobici e la lotta globale contro la resistenza agli antimicrobici (AMR).

La prima dichiarazione sul Monitoraggio Continuo dell’Uso e della Resistenza agli Antimicrobici delinea raccomandazioni complete per i responsabili politici, i regolatori e l’industria della salute animale per rafforzare la gestione degli antimicrobici a livello mondiale. Le raccomandazioni chiave includono:

  • Mantenere la supervisione veterinaria degli antimicrobici di importanza medica.
  • Garantire una regolamentazione basata sulla scienza e specifica per settore dell’uso degli antimicrobici.
  • Bilanciare la salute e il benessere animale con quelli umani nelle analisi del rischio AMR.

 La seconda dichiarazione sul rafforzamento della gestione antimicrobica veterinaria sottolinea l’importanza di un monitoraggio continuo dell’uso e della resistenza agli antimicrobici in tutti i settori e regioni. Richiede di:

  • Sistemi di sorveglianza globali robusti.
  • Standard armonizzati per la raccolta e l’analisi dei dati.
  • Approcci coordinati One Health integrano prospettive di salute umana, animale e ambientale.

Sebbene la maggior parte del carico globale di AMR umano sia legata a infezioni acquisite in ambito sanitario, affrontare la resistenza antimicrobica richiede un’azione coordinata in tutti i settori. La professione veterinaria continua a contribuire nel settore della salute animale attraverso la prevenzione, le misure di biosicurezza e pratiche di prescrizione giudiziate.

Una gestione efficace della RAM richiede un vero approccio One Health, in cui ogni settore si assume la responsabilità delle proprie pratiche lavorando in modo collaborativo“, afferma Siegfried Moder, Presidente della FVE.

Le dichiarazioni congiunte evidenziano la necessità globale di diagnostiche accessibili, finanziamenti sostenibili per la ricerca e la sorveglianza della RAM in tutti i settori, e l’accesso continuo a antimicrobici efficaci per proteggere la salute e il benessere animale—minimizzando al contempo il rischio di sviluppo di resistenza.

entrambe le dichiarazioni congiunte sono disponibili sul sito web della FVE:

 




Passi avanti

AntibioticoresistenzaSebbene l’uso degli antimicrobici sia ancora molto elevato in zootecnia, il sistema veterinario del nostro Paese ha fatto negli ultimi anni notevoli progressi

L’antimicrobicoresistenza (Amr) continua a rappresentare una delle principali minacce per la salute pubblica a livello globale. Nello scenario europeo i dati più recenti evidenziano progressi significativi nella riduzione del consumo di antimicrobici negli animali da produzione alimentare, ma una sostanziale stabilità nel settore umano.

In Europa. Il rapporto congiunto delle tre agenzie europee (Efsa, Ema ed Ecdc), noto come Jiacra IV, analizza in modo integrato i dati su consumo di antimicrobici (Amc) e Amr in batteri isolati da esseri umani e animali, raccolti tramite le reti di sorveglianza Ue tra il 2019 e il 2021. Lo studio adotta l’approccio One Health, riconoscendo l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale.

Nel 2021, il consumo di antimicrobici è stato pari a 125 mg/kg di biomassa umana (nei 28 paesi Ue/See analizzati) e 92,6 mg/kg di biomassa animale (29 paesi), con ampie variazioni nazionali. Come si evince dal report, l’Italia è fra i paesi con il più alto consumo di antibiotici sia in medicina umana che in veterinaria.

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Fonte: panoramadellasanita.it




Allarme Oms: un’infezione su sei è ormai resistente agli antibiotici

AntibioticoresistenzaNel 2023 una persona su sei nel mondo ha contratto un’infezione batterica resistente ai trattamenti antibiotici. È quanto emerge dal nuovo rapporto globale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), basato sui dati del sistema di sorveglianza Glass (Global antimicrobial resistance and use surveillance system), che raccoglie informazioni da oltre 100 Paesi.

I risultati mostrano una crescita della resistenza antimicrobica (Amr) del 40% tra il 2018 e il 2023, con un aumento medio annuo compreso tra il 5% e il 15%. Nel mondo, le infezioni causate da otto batteri comuni – Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter, Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Salmonella, Shigella e Neisseria gonorrhoeae – sono quelle più colpite dal fenomeno.

Sud-Est asiatico e Mediterraneo orientale le aree più colpite

La resistenza antimicrobica non colpisce in modo uniforme. Secondo l’Oms, nelle regioni del Sud-Est asiatico e del Mediterraneo orientale un’infezione su tre è ormai resistente agli antibiotici, mentre in Africa il dato è di una su cinque. Le aree più vulnerabili sono anche quelle dove i sistemi sanitari non dispongono di laboratori in grado di identificare i patogeni o di trattarli con farmaci efficaci.

In molti Paesi a basso e medio reddito, i pazienti affetti da infezioni resistenti non solo non ricevono le cure appropriate, ma non hanno nemmeno accesso agli antibiotici di base. «La resistenza antimicrobica sta superando i progressi della medicina moderna, minacciando la salute delle famiglie in tutto il mondo – ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms – Serve un uso responsabile degli antibiotici e un accesso equo a diagnosi e trattamenti di qualità».

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Fonte: ilsole24ore.com




AI: una nuova opportunità contro le infezioni antibiotico resistenti?

Antibioticoresistenza

A partire dalla scoperta e sviluppo della penicillina negli anni ‘40 del secolo scorso, la ricerca farmacologica ha compiuto progressi inarrestabili per oltre quarant’anni identificando nuove classi di antibiotici, ciascuna con uno specifico meccanismo d’azione, che hanno consentito per decenni di trattare un ampio spettro di infezioni batteriche con successo. Tuttavia, le straordinarie capacità adattative dei patogeni, stimolate da un uso eccessivo e spesso inadeguato degli antibiotici, hanno inaspettatamente portato allo sviluppo di resistenze contro i principali meccanismi molecolari dei farmaci.

Al contempo, all’“età dell’oro” della scoperta antibiotica è seguito un forte rallentamento nella ricerca: l’incapacità di individuare strategie terapeutiche innovative ha contribuito a rendere l’antibiotico resistenza la pandemia silenziosa di questo secolo. Secondo il rapporto dell’ONU No Time to Wait del 2019, in assenza di un intervento urgente e coordinato a livello globale, le infezioni resistenti potrebbero causare fino a 10 milioni di morti all’anno entro il 2050. Attualmente in Europa si registrano 35.000 decessi annui legati a queste infezioni, un terzo dei quali in Italia, che si conferma tra i maggiori consumatori di antibiotici.

Come riporta l’AIFA, l’agenzia del farmaco, nel suo Rapporto nazionale sull’uso degli antibiotici in Italia relativo all’anno 2023, nella nostra penisola si osserva un preoccupante incremento del 5,4% nel consumo di antibiotici a uso sistemico e del 4,3% attraverso le altre vie di somministrazione rispetto all’anno precedente. Si tratta dunque di una sfida non più rinviabile, per la quale è urgente dotarsi di nuovi strumenti. E l’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi l’alleato che finora è mancato.

La vista lunga dell’algoritmo

Da circa un decennio, infatti, la ricerca scientifica sfrutta modelli di AI per sviluppare nuove strategie terapeutiche. Gli algoritmi più utilizzati si basano su modelli matematici in grado di elaborare grandi volumi di dati: partendo da dataset contenenti migliaia di molecole ad attività nota, il sistema è capace di individuare le porzioni molecolari responsabili dell’attività contro determinati target terapeutici, prevederne le interazioni nell’organismo in termini di efficacia e tossicità, ed eventualmente generare, sulla base delle informazioni acquisite, strutture molecolari ex novo potenzialmente attive. I modelli più comunemente usati si basano su metodi tradizionali di apprendimento automatico (Machine Learning, ML). Gli algoritmi riescono a riconoscere le caratteristiche strutturali importanti e a prevedere come queste molecole interagiranno con l’organismo, in termini di efficacia o tossicità. Questo permette di ridurre drasticamente la necessità di testare ogni singola molecola in laboratorio, con un grande vantaggio in termini di costi e tempi.

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Fonte: scienzainrete.it




Relazione sulla resistenza agli antimicrobici dei batteri zoonotici e commensali negli animali destinati alla produzione

Pubblicata dal Ministero della Salute la relazione sulla resistenza agli antimicrobici dei batteri zoonotici e commensali negli animali destinati alla produzione di alimenti e nelle carni derivate.

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Fonte: Ministero della Salute




Aumento delle temperature e resistenza agli antimicrobici: un legame allarmante

AntibioticoresistenzaL’antibiotico resistenza, o più propriamente la resistenza agli antimicrobici senza dimenticare anche le resistenze contro altri microrganismi, quali funghi, virus e protozoi, riguarda una moltitudine di microrganismi. E tanti sono anche i fattori che possono concorrere ad aumentarne o alleggerirne il peso sulla nostra salute. E tra questi un ruolo di primo piano potrebbe averlo anche il clima, motivo per cui le azioni di prevenzione nella lotta al fenomeno non dovrebbero dimenticarlo.

A mettere sul piatto la questione questo, fornendo un’analisi dettagliata – sebbene con qualche inevitabile lacuna, come gli stessi autori riconoscono – è uno studio appena apparso sulle pagine di Nature Medicine. Nella loro analisi il team di Lianping Yang della Sun Yat-sen University di Guangzhou ha raccolto i dati provenienti da alcuni sistemi di sorveglianza antimicrobica di un centinaio di paesi relativi alle analisi compiute su oltre trenta milioni di colture batteriche di sei tra i principali microrganismi resistenti. Si tratta, in particolare, di Escherichia coli Klebsiella pneumoniae resistenti a cefalosporine di terza generazione e di E.coli, K.pneumoniae, Acinetobacter baumanni e Pseudomonas aeruginosa resistenti ai carbapenemi.

Oms: ogni anno 1,2 milioni di morti

Una volta raccolti i dati, relativi al periodo che va dal 1999 al 2022, i ricercatori hanno estrapolato delle stime di prevalenza della resistenza agli antimicrobici insieme a dei trend temporali. In questo modo hanno osservato che, in media, dal 2000 il fenomeno è cresciuto nella stragrande maggioranza dei paesi analizzati, con un ritmo più elevato nei paesi a basso e medio reddito. Secondo i dati disponibili, inoltre, la prevalenza della resistenza agli antimicrobici – che secondo l’Oms, ogni anno causa 1,27 milioni di morti direttamente e concorre al decesso di 5 milioni di persone – risulta maggiore nell’Asia meridionale, nel Medio Oriente, nel Nord Africa e nell’Africa subsahariana.

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Fonte: repubblica.it




Batteri, la resistenza agli antibiotici raggiunge il plateau in 20 anni

antibioticoresistenza

La resistenza agli antibiotici tende a stabilizzarsi in un arco relativamente lungo di tempo. A questa la conclusione è giunto uno studio dell’Università di Losanna, in Svizzera, coordinato da Sonja Lehtinen e pubblicato da PLoS Pathogens.

Comprendere i modelli di resistenza a lungo termine è importante per monitorare e caratterizzare la resistenza ai farmaci, nonché per dare informazioni sull’impatto degli interventi di contrasto al fenomeno.

Lo studio Il team ha analizzato la resistenza ai farmaci in oltre 3 milioni di campioni batterici raccolti in 30 paesi in Europa dal 1998 al 2019, che comprendevano otto specie batteriche, tra cui Streptococcus pneumoniae, Staphylococcus aureus, Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae.

Dall’analisi è emerso che, sebbene le resistenze antimicrobiche aumentino all’inizio, in risposta all’uso di antibiotici, questo fenomeno non prosegue in in modo indefinito. Al contrario, nella maggior parte dei batteri esaminati, i tassi di resistenza raggiungono il plateau nell’arco temporale di 20 anni.

L’uso di antibiotici ha contribuito alla rapidità con cui i livelli di resistenza si sono stabilizzati, così come alla variabilità dei tassi di resistenza nei diversi Paesi. Tuttavia, l’associazione tra i cambiamenti nella resistenza ai farmaci e l’uso di antibiotici è risultata debole in questo studio, suggerendo l’ipotesi che in gioco vi siano ulteriori fattori, ancora sconosciuti.

“In questo studio volevamo verificare se le frequenze di resistenza agli antibiotici in Europa stessero aumentando nel lungo termine – conclude Sonja Lehtinen – Invece, abbiamo riscontrato un andamento in cui, dopo un aumento iniziale, le resistenze tendono a raggiungere un plateau stabile”.

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Fonte: quotidianosanita.it




Formazione pratica per allevatori e medici veterinari: nuove misure per combattere la resistenza agli antimicrobici

Per sostenere l’obiettivo della strategia Farm to Fork (F2F) e garantire un’applicazione efficace sul campo delle nuove misure per combattere la resistenza agli antimicrobici (AMR) (HaDEA/2023/OP/0009), la Commissione europea ha lanciato una formazione rivolta ad allevatori e medici veterinari che lavorano con animali destinati alla produzione di alimenti nell’ambito del programma Single Market – settore alimentare.

L’obiettivo della formazione è sensibilizzare allevatori e medici veterinari sui nuovi obblighi previsti dalla normativa dell’UE in materia di prescrizione e uso di antimicrobici veterinari e dei mangimi medicati e fornire informazioni sulle possibili misure concrete necessarie per garantire la conformità.

Il corso ha anche lo scopo di promuovere la condivisione di conoscenze sulle migliori pratiche per le diverse specie e sistemi di allevamento, contribuendo a ridurre le malattie e la necessità di utilizzo degli antimicrobici.

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Fonte: Ministero della Salute




Le microplastiche favoriscono la resistenza agli antibiotici

La sempre più dilagante presenza di microplastiche potrebbe favorire lo sviluppo di batteri e microrganismi resistenti agli antibiotici. Questo allarmante risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Applied and Environmental Microbiology, condotto dagli scienziati dell’Università di Boston. Il team, guidato dagli scienziati Muhammad Zaman e Neila Gross, ha individuato una delle tante possibili conseguenze delle microplastiche sulla salute.

La plastica fornisce una superficie che i batteri possono colonizzare

In questo lavoro, gli scienziati hanno esaminato il modo in cui un comune batterio, l’Escherichia coli, reagiva a un ambiente chiuso caratterizzato dalla presenza massiccia di microplastiche. “Le micro e le nanoplastiche sono praticamente onnipresenti”, afferma Zaman. “La plastica fornisce una superficie che i batteri possono colonizzare, per poi creare un biofilm, che agisce come uno scudo, mantenendo i microrganismi saldamente ancorati”, aggiunge Anche se i batteri possono far crescere biofilm su qualsiasi superficie, il gruppo di ricerca ha scoperto che le microplastiche potevano sovralimentare i biofilm, a tal punto che i mix di antibiotici non riuscivano a penetrare lo scudo, che era molto più resistente rispetto a quanto osservato su altri materiali.

La prevalenze delle microplastiche rappresenta un rischio per i sistemi sanitari

Il tasso di resistenza agli antibiotici sulla microplastica era così alto rispetto ad altre sostanze che il gruppo di ricerca ha eseguito gli esperimenti più volte, testando diverse combinazioni di antibiotici e tipi di materiale plastico. Ogni volta, i risultati sono rimasti coerenti. “Siamo rimasti davvero sorpresi – commenta Zaman – il nostro lavoro dimostra che la plastica non è solo una possibile superficie in cui i batteri possono attaccarsi, ma ne favorisce la resistenza”. Questi risultati, sottolineano gli esperti, hanno importanti implicazioni, specialmente per le realtà più svantaggiate, dove l’uso della plastica spesso è inevitabile, date le circostanze. Secondo gli autori, ad esempio, la prevalenza delle microplastiche potrebbe aggiungere un altro elemento di rischio ai sistemi sanitari che assistono i rifugiati.

Fonte: sanitainformazione.it

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