Dall’interazione robot-animali nuove soluzioni per affrontare la crisi climatica e ambientale

L’interazione tra robot e animali può offrire soluzioni innovative alla crisi climatica e ambientale. È questa la tesi proposta da due scienziati europei, Thomas Schmickl, professore presso l’University of Graz, e Donato Romano, ricercatore presso l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in un articolo pubblicato sulla rivista Science Robotics.

“L’obiettivo è sviluppare simbiosi tra organismi viventi e macchine in grado di generare proprietà collettive emergenti utili per la comprensione della complessità biologica, promuovere una gestione ambientale sostenibile, ispirare soluzioni in ingegneria, e fornire supporto in ambienti estremi” spiega Romano.

La collaborazione tra robot e animali per salvare il pianeta

Nel lavoro Schmickl e Romano hanno raccolto gli esempi più rilevanti di nuovi sistemi di interazione tra animali e robot sviluppati negli ultimi anni. Il grande vantaggio dell’interazione robot-animale è quello di creare sistemi che sfruttano il comportamento naturale degli animali e le capacità tecnologiche dei robot per affrontare problemi complessi. I robot possono collaborare con le specie animali per monitorare e proteggere gli ecosistemi, sostenere la biodiversità e migliorare la resilienza ecologica. Collaborando, animali e robot sono in grado di svolgere compiti di cui né l’uno né l’altro sarebbero capaci da soli, come ripristinare habitat, controllare specie invasive o raccogliere dati ambientali in tempo reale in modo non invasivo. Queste sinergie possono inoltre contribuire a gestire risorse naturali in modo sostenibile e a mitigare gli effetti negativi delle attività umane sugli ecosistemi.

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Fonte: aboutpharma.com




È il Betanodavirus la causa della mortalità delle cernie nel Sud Italia

È un virus la causa della mortalità di cernie segnalata in queste ultime settimane nel Mediterraneo. Anche se non è un fenomeno nuovo, l’intensità con la quale si sta manifestando nel 2024 è fonte di preoccupazione tra i non addetti al settore. La mortalità anomala infatti sembra coinvolgere non solo le coste italiane (Puglia, Calabria e Sicilia) ma anche le coste del sud della Spagna e delle Isole Baleari.

L’encefalo retinopatia virale, questo il nome della malattia, è causata da un piccolo virus a RNA chiamato Betanodavirus. Questo agente virale è presente da molti anni nel Mediterraneo dove infetta numerose specie ittiche, sia allevate che selvatiche. Alcune specie, come spigole e cernie, sembrano essere particolarmente suscettibili e la malattia si manifesta con particolare gravità e mortalità elevata.

Il virus colpisce principalmente i tessuti nervosi (cervello, midollo spinale e retina) dei pesci alterandone la capacità di nuoto e di visione. Per questo molto spesso i pesci malati presentano lesioni cutanee (desquamazione ed escoriazioni) e lesioni oculari (cheratiti, panoftalmiti), e sono ritrovati a galleggiare a pelo d’acqua.

Grazie alla collaborazione con il prof. Antonio Terlizzi, professore ordinario di zoologia presso il Dipartimento di scienze della vita dell’Università di Trieste e direttore del Dipartimento di ecologia marina integrata della Stazione Zoologica di Napoli, numerosi soggetti di cernia (Epinephelus spp.) pescati morti o morenti lungo le coste pugliesi sono già stati analizzati dal Laboratorio di ittiovirologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), che ha confermato la diagnosi della virosi escludendo nel contempo altre cause di mortalità.

La dott.ssa Anna Toffan, responsabile del Laboratorio nonché responsabile del Laboratorio di referenza WOAH per questa malattia, grazie ad una estesa rete di contatti nel Mediterraneo, da anni monitora questi fenomeni.

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Fonte: IZS Venezie




La “firma” dell’inquinamento antropogenico da mercurio sul pesce consumato nel mondo

Uno studio condotto dall’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia) di Rende (Cosenza) ha determinato, per la prima volta, la “firma” dell’inquinamento antropogenico da mercurio -in termini di settori di emissione e regioni geografiche di provenienza- sul consumo di pesce proveniente dalle diverse zone di pesca dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO).

La ricerca, pubblicata sulla rivista Environment International, ha incrociato modelli numerici e informazioni reperite in banche dati rese disponibili da istituzioni internazionali, tra cui i dati riferiti all’inventario globale delle emissioni di mercurio AMAP/UNEP 2013*, e ha quantificato il mercurio antropogenico emesso nel 2012 e depositato nel corso dello stesso anno nelle diverse zone di pesca. I ricercatori hanno, quindi, valutato la persistenza di tale inquinante tramite l’analisi del pesce consumato negli anni successivi (anni 2012-2021, il mercurio, infatti, è un inquinante persistente che ha effetti a lungo termine negli ecosistemi), e stimato la sua firma in ‰, sul pesce proveniente dalle varie “zone di pesca” consumato nel mondo.

Se nel Mar Mediterraneo -ovvero la zona di pesca 37- l’impatto maggiore è dato dalle emissioni di mercurio dagli impianti di produzione di energia presenti in Europa, a livello globale emerge che il settore produttivo che ha maggiore impatto in tutte le zone di pesca è quello delle miniere d’oro artigianali e su piccola scala (ASGM), mentre l’area geografica in cui sono maggiori le emissioni che favoriscono la contaminazione da mercurio è l’Asia Orientale.

Per quanto riguarda il Mar Mediterraneo, tra gli impianti di produzione di energia, quelli alimentati a carbone contribuiscono in modo quasi totalitario (oltre il 95%) all’inquinamento da mercurio. La maggior parte di queste emissioni provengono dall’Europa centrale e orientale (quasi il 40%) e dalla Germania (il 25%), mentre l’Italia contribuisce solo per il 2%.

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Fonte: cnr.it




Specie invasive: strategie di controllo e di adattamento per il comparto della pesca

L’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Ancona (Cnr-Irbim) ha coordinato il Technical Report “Fisheries responses to invasive species in a changing climate – Lessons learned from case studies” appena rilasciato dalla Food and Agriculture Organization delle Nazioni unite (FAO) e ora liberamente disponibile in rete: uno strumento a disposizione dei decisori politici, amministratori e delle imprese del settore pesca per rispondere in modo efficace al crescente impatto delle specie acquatiche invasive (AIS), sfida globale oggi ulteriormente aggravata dai cambiamenti climatici.

Esito di una approfondita ricerca che ha coinvolto undici casi di studio condotti da altrettanti team di esperti internazionali e un sondaggio condotto su 101 scienziati provenienti da 44 Paesi. Il Report individua tre differenti tipologie di misure: socioeconomiche, ambientali, fino a soluzioni che puntano a favorire una maggiore conoscenza e consapevolezza del problema a livello generale. Nove le misure esaminate, ciascuna corredata da analisi dei pro e dei contro e guide di implementazione dettagliate.

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Fonte: CNR




Parassiti nei pesci d’allevamento, le specie indenni secondo l’Efsa

Un nuovo parere pubblicato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) dimostra che non vi sono prove di infezione da parassiti zoonotici nella maggior parte dei pesci allevati in sistemi di acquacoltura a ricircolo (Sar). Il salmone atlantico, la trota iridea, l’orata, il rombo, il moscardino, l’ippoglosso atlantico, la carpa comune e il pesce gatto europeo possono essere consumati senza alcuna preoccupazione.

Lo studio
Un parere scientifico pubblicato dall’Efsa ha valutato i dati provenienti dall’area Ue/Efta e i nuovi metodi per individuare ed eliminare i parassiti dai pesci. Sebbene limitati, i dati indicano che molte specie di pesci d’allevamento destinate al mercato – il salmone atlantico, la trota iridea, l’orata, il rombo, il moscardino, l’ippoglosso atlantico, la carpa e il pesce gatto europeo – sono indenni da infezioni da parassiti.
Tuttavia, il ritrovamento di parassiti come l’Anisakis in spigole europee, tonno rosso dell’Atlantico, merluzzo e tinca, allevati in gabbie aperte in mare aperto o in bacini a flusso continuo, rende necessarie ulteriori analisi.
Lo studio riporta che i pesci allevati in sistemi chiusi di acquacoltura a ricircolo di acqua filtrata e mangime trattato termicamente sono quasi sicuramente indenni.
Gli esperti dell’Efsa necessitano di ulteriori dati per stimare la prevalenza di parassiti specifici nelle specie ittiche selezionate, nei vari sistemi di allevamento e nelle zone di produzione dell’area studiata, e per poter fornire un quadro completo delle varie combinazioni tra le principali specie ittiche d’allevamento e i loro parassiti.

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Fonte:vet33




Granchio blu, da minaccia a risorsa alimentare

Il granchio blu atlantico (Callinectes sapidus) è una specie cosiddetta “aliena” per il territorio europeo, introdotta al di fuori del suo areale naturale di distribuzione (la costa occidentale dell’oceano Atlantico). La sua capacità di adattamento all’ambiente, l’elevata fecondità e capacità di dispersione, le grandi dimensioni e il comportamento aggressivo lo rendono una specie ad alto potenziale invasivo. Sebbene la sua presenza sia stata riportata nel Mediterraneo a partire dalla seconda metà del secolo scorso, questa specie ha provocato recentemente importanti impatti negativi ai settori della pesca e dell’acquacoltura italiana.

A partire dall’estate del 2023 le attività di venericoltura delle zone del Delta del Po sono state compromesse dall’aumento consistente di questo crostaceo e dalla sua attività di predazione nei confronti di molluschi bivalvi fossori, causando ingenti perdite nell’allevamento delle vongole veraci filippine (Ruditapes philippinarum) e il quasi totale blocco di un settore in cui l’Italia vanta il primato europeo. In questo contesto il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF), ha deciso di avviare delle attività di studio per la valutazione di strategie di contenimento, raccolta e immissione sul mercato del granchio blu.

Infatti, se da un lato la presenza di questo crostaceo rappresenta una grave minaccia per la molluschicoltura italiana, dall’altra, almeno fino a quando non verrà ripristinato un equilibrio tra popolazione di molluschi e granchio blu, è una potenziale risorsa proteica da poter sfruttare ai fini alimentari, sia per consumo umano che come materia prima per la produzione di farine ad uso zootecnico, per l’industria del pet food o per l’estrazione di chitina/chitosano.

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Fonte: IZS Venezie




Laguna di Venezia: vongole in pericolo a causa dei sedimenti contaminati

La gestione dei sedimenti dragati nei porti e nelle lagune deve essere volta ad evitare potenziali impatti sugli ecosistemi marini. È pertanto fondamentale indagare i possibili effetti di miscele complesse di contaminanti chimici presenti nei sedimenti su specie animali che risiedono nelle lagune e nelle aree costiere.
Questo tema, anche in seguito alla recente approvazione del cosiddetto “nuovo protocollo fanghi” (Decreto 22 maggio 2023 n.86), che ha affiancato alla caratterizzazione chimica dei sedimenti anche la valutazione degli effetti ecotossicologici su specie animali, è di estremo interesse nella laguna di Venezia.

Il Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari Venezia, ha pubblicato sulla prestigiosa rivista «BMC Biology» uno studio in cui sono stati investigati gli effetti dell’esposizione a sedimenti campionati in diversi siti sul fondo del canale Vittorio Emanuele III (il canale che collega Marghera alla città di Venezia) nella vongola filippina Ruditapes philippinarum.

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Fonte: lescienze.it




La plastica biodegradabile e i potenziali effetti sui pesci

plastica mareLa plastica biodegradabile e i potenziali effetti sui pesci – Una recente ricerca condotta dall’Università di Otago ha sollevato nuove preoccupazioni riguardo all’uso della plastica biodegradabile utilizzata come soluzione all’inquinamento marino. Mentre è noto che le microplastiche derivate dal petrolio impattano negativamente la vita marina, si sapeva poco sull’effetto delle alternative biodegradabili.

Lo studio, finanziato dall’Università di Otago e pubblicato su Science of the Total Environment, ha analizzato l’impatto della plastica derivata dal petrolio e della plastica biodegradabile su pesci selvatici. I risultati sono stati sorprendenti: entrambe le tipologie di plastica hanno dimostrato di essere dannose per i pesci marini.

Ashleigh Hawke, autrice principale della ricerca ha evidenziato che i pesci esposti alla plastica derivata dal petrolio hanno subito un deterioramento delle prestazioni di fuga, alterazioni nei comportamenti di nuoto e un calo del metabolismo aerobico. D’altra parte, quelli esposti alla bioplastica hanno registrato solo una diminuzione della loro velocità massima di fuga.

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Fonte: pesceinrete.com




Linee guida per monitoraggio biotossine nelle aree di produzione e stabulazione molluschi bivalvi

L’Ufficio 2 – Igiene degli alimenti ed esportazioni della Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e della nutrizione del Ministero della Salute ha diffuso una nota sulla pubblicazione delle Linee Guida per la valutazione del rischio per la gestione uniforme del monitoraggio delle biotossine marine nelle aree di produzione e stabulazione dei molluschi bivalvi a livello nazionale.

Il Regolamento (UE) 2019/627, in conformità al regolamento (UE) 2017/625, stabilisce, per i molluschi bivalvi, che nei periodi di raccolta la frequenza del campionamento ai fini dell’analisi delle tossine abbia cadenza settimanale. Tuttavia, tale frequenza può essere ridotta o aumentata in determinate zone classificate di stabulazione o di produzione o per determinati tipi di molluschi bivalvi vivi in base a una valutazione del rischio dell’Autorità Competente relativa alla presenza di tossine o fitoplancton.

Lo scopo delle Linee Guida è quindi quello di fornire un supporto alle Autorità Competenti (AC) regionali e locali per l’elaborazione della valutazione del rischio che può portare a una diminuzione o a un aumento della frequenza dei controlli.

Sul sito del Laboratorio Nazionale di Riferimento per il monitoraggio delle biotossine marine (LNR-BM) Centro Ricerche Marine di Cesenatico (CRM) sono disponibili quattro documenti:

  • Procedura Operativa per la Valutazione del Rischio;
  • Modulo per la Valutazione del Rischio;
  • Esempio di compilazione Modulo Valutazione del Rischio;
  • Istruzioni Operative Monitoraggio fitoplancton tossico.

La valutazione del rischio è soggetta ad una rivalutazione periodica e deve necessariamente essere riportata in modo completo dalle AC in un documento ufficiale a giustificazione della riduzione della frequenza settimanale per il monitoraggio delle biotossine marine nei molluschi bivalvi. Questa procedura può essere soggetta a modifiche e/o integrazioni, in relazione all’evoluzione delle conoscenze scientifiche ed in base all’esperienza acquisita dalle stesse AC dall’applicazione dei Regolamenti Comunitari.

Per approfondire consulta la pagina dedicata del sito del Laboratorio Nazionale di Riferimento per il monitoraggio delle biotossine marine (LNR-BM) Centro Ricerche Marine di Cesenatico




Pescato pesce palla nelle acque del salernitano

In data 8 gennaio 2023, nelle acque antistanti il litorale tra i comuni di Salerno e Cetara, è stata segnalata, da pescatori locali, la cattura all’amo di un raro pesce palla adulto, della lunghezza di 60 cm. L’esemplare è stato identificato come Lagocephalus lagocephalus, specie bentopelagica ben distribuita in acque tropicali e subtropicali, a profondità comprese tra i 10 e 100 metri, piuttosto rara nel Mediterraneo e comunemente conosciuto come capolepre.
Tuttavia non è la rarità della cattura ad aver destato scalpore, quanto la tossicità dei tessuti di tale specie. Infatti il capolepre, appartenente alla famiglia Tetraodontidae, deve la sua pericolosità alla tetradotossina (TTX), una neurotossina termostabile (non inattivata dalla cottura) contenuta principalmente nel tessuto epatico. La TTX se ingerita, infatti, può comportare effetti particolarmente gravi sulla salute dei consumatori, quali vomito, diarrea e alterazioni della conduzione nervosa come convulsioni e paralisi, fino al blocco cardio-respiratorio. La Comunità Europea, per tale motivo, con il Regolamento di esecuzione 627/2019, vieta l’immissione in commercio di prodotti della pesca ottenuti da specie appartenenti alla famiglia Tetraodontidae.

Attualmente, l’esemplare di capolepre è custodito presso la sede della Direzione Operativa C.Ri.S.Sa.P. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza Sanitaria del Pescato) dell’ASL Salerno, dove, dopo essere stato correttamente identificato, è stato crioconservato insieme ad altri esemplari di specie tossiche rinvenute nel corso degli anni.

Il rinvenimento è avvenuto in concomitanza con l’avvio di una campagna di sensibilizzazione promossa dal C.Ri.S.Sa.P. rivolta a pescatori professionali, subacquei e operatori del settore, ai quali si chiede di segnalare alle Autorità Sanitarie competenti la cattura accidentale, l’avvistamento o il rinvenimento nei circuiti commerciali di pesci velenosi e specie ittiche aliene. Tale intervento è finalizzato principalmente alla tutela della salute dei consumatori nonché all’acquisizione di informazioni relative alla presenza e diffusione nei nostri mari di tali specie, sensibilmente aumentate negli ultimi anni, di pari passo con il continuo riscaldamento delle acque del Mediterraneo.

Fonte: Sede operativa ASL Salerno C.Ri.S.Sa.P. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza Sanitaria del Pescato)