Echinococcosi cistica, dall’ISS il più grande studio epidemiologico al mondo

E’ pubblicata sulla rivista scientifica internazionale The Lancet Infectious Diseases, la più grande indagine ecografica al mondo sull’echinococcosi cistica coordinata dal Centro di Collaborazione OMS per l’echinococcosi dell’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito del progetto HERACLES (Human Cystic Echinococcosis ReseArch in CentraL and Eastern Societies).

Lo scopo della ricerca è stato in particolare  quello di stimare la vera portata dell’echinococcosi cistica in Est Europa, mentre il progetto HERACLES è un progetto collaborativo di Sanità Pubblica Internazionale finanziato dalla Commissione europea e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità in un partenariato di 9 centri operanti in paesi endemici come Italia, Spagna, Romania, Bulgaria e Turchia. Il partenariato è inoltre supportato da un network di 60 centri presenti in Europa ed in Asia e coadiuvato da un comitato consultivo rappresentato dall’OMS e dall’ ECDC.

L’echinococcosi cistica è una malattia infettiva negletta diffusa in tutto il mondo e causata da un parassita (Echinococcus granulosus) simile ad una piccola tenia nella sua forma adulta ed una cisti nella sua forma larvale. L’echinococcosi cistica è una malattia zoonotica (trasmessa dagli animali all’uomo) presente in ambienti rurali dove è praticata la pastorizia.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima essere presenti almeno un milione di persone infette nelle aree endemiche rurali del mondo con un costo associato annuo di circa 3 miliardi di dollari americani per la gestione clinica umana e per le perdite di produzione nel bestiame. In Europa tra le aree di maggiore endemia vi sono i paesi dell’Est e del bacino del Mediterraneo, dove tuttavia poche informazioni sono disponibili. In Italia è possibile stimare in maniera solo parziale la portata del problema data la sola disponibilità dei dati derivanti dalle schede di dimissione ospedaliera che riportano un totale di circa 21000 dimissioni nel periodo 2001-2014 e circa 900 nuovi pazienti ricoverati per anno.

Maggiori informazioni nell’articolo pubblicato su ALLISS – Newsletter mensile dell’ISS

A cura della segreteria SIMeVeP




Assegnato il Premio di laurea 2017

La Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva ha assegnato il V premio per la miglior tesi di laurea in Sanità pubblica veterinaria presentata durante l’anno 2017 da laureandi in Medicina veterinaria.

Il premio è stato istituito con l’intento di stimolare, promuovere e incentivare l’approfondimento delle tematiche relative alla SPV e alla Sicurezza Alimentare già durante il percorso formativo accademico.

Quest’anno il lavoro ritenuto più rispondente ai requisiti previsti dal bando è risultato quello della DOTT.SSA FEDERICA GUADAGNO, relatore Prof. Vittorio Sala dell’Università di Milano, dal titolo: “Rischio occupazionale su base infettiva in suinicoltura: epidemiologia interspecifica, controllo e prevenzione“.
Alla neodottoressa vanno le congratulazioni del Consiglio direttivo.

Il Premio di 1.000 euro le sarà consegnato in occasione del corso “Valorizzazione della selvaggina cacciata. Una scelta buona, sana e sostenibile: da problema a opportunita’“ che si terrà dal 3 al 5 dicembre a Bagno Vignoni San Quirico d’Orcia (SI).

A titolo di riconoscimento per il lavoro svolto, riportiamo (in ordine alfabetico) il nome degli altri partecipanti:

MICHELA BERTOLA
Studio sperimentale dei possibili effetti antimicrobici degli insetti per uso alimentare umano –  UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

ROSA CIAVARELLA
Ricerca dei geni dell’antibiotico resistenza in api (apis mellifera ligustica) allevate in Umbria – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI PERUGIA

PATRIZIO COIN
Nuovo approccio diagnostico per la ricerca di Erysipelothrix Rhusiopathiae in maiali macellati regolarmente –  UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

ALESSANDRO CORRADINI
Ruolo del veterinario ispettore nella sorveglianza delle malattie emergenti – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA

LUCA LANER Indagini sulla diffusione dell’infezione da virus schmallenberg in ruminanti selvatici in provincia di Trento –  UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

FRANCESCO MASTROSIMONE Sostenibilità agli antibiotici da parte di Escherichia coli isolati da feci bovine – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI PERUGIA

PIERPAOLO ROMANELLI Modernizzazione dell’ispezione delle carni: applicazione di uno score clinico e di un panel ematologico-ematochimico per la valutazione ispettiva della bovina da latte al macello UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO

RACHELE ROSSINI Studio della dinamica di comportamento di Listeria innocua dureante la produzione di formazzio di Fossa di Sogliano DOP – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA

MANUEL SANTAGIULIANA Distribuzione topologia listeria supp. Sulla cotenna di suini macellati regolarmente –  UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

LUNA STOPPINI Infertilità nella bovina da latte indotta dalle micotossine: risultati preliminare sulla somministrazione di due diversi sequestranti nelle razione – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI PERUGIA

CHIARA ZIZI Epidemiologia e controllo della listeriosi nella Regione Marche – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA

A tutti i colleghi neolaureati vanno i migliori e sinceri auguri di un proficuo futuro professionale da parte della SIMeVeP.

Fino al 31 gennaio 2018 è possibile partecipare alla VI edizione del Premio che sarà conferito alla migliore tesi di laurea in tema di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare discussa nel corso del 2018.

 




La radio-telemetria per individuare i nidi delle vespe velutine

L’individuazione e la  distruzione dei nidi delle vespe velutine sono importantissimi per frenare la diffusione di questo pericoloso insetto alieno, finora però l’utilizzo di droni e radar non aveva dato esiti soddisfacenti poichè i nidi si nascondono su alberi alti e frondosi oppure su cornicioni posizionati anche a 20 metri di altezza, e sono quindi estremamente difficili da vedere.

Recentemente un team di scienziati franco-inglese ha testato la radio telemetria e la tecnica si è rivelata molto promettente: tramite l’istallazione di un trasponder sul corpo dell’insetto, l’animale diventa tracciabile.

I risultati, pubblicati su Communications biology, una rivista di Nature, riaccendono le speranze di poter trovare i nidi in maniera facile ed efficiente.

Leggi l’articolo integrale




Premio tesi di laurea, rinnovato il bando SIMeVeP 2018

La Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, per promuovere e incentivare l’approfondimento delle tematiche relative alla sanità pubblica veterinaria e alla sicurezza alimentare già durante il percorso formativo accademico  e sostenere gli studenti che decidono di approfondirle, rinnova per il 2018 il premio per la miglior tesi di laurea presentata durante l’anno da laureandi in Medicina veterinaria.

La tesi premiata potrà essere pubblicata sulla rivista della società Argomenti.

Regolamento Premio di laurea 2018

Ricordiamo agli studenti che, per favorire il loro  avvicinamento alle attività di sanità pubblica, la SIMeVeP propone loro anche l’iscrizione gratuita che dà diritto alla frequenza gratuita ai corsi di formazione e agli eventi organizzati dalla SIMeVeP, alla partecipazione alle attività dei gruppi di lavoro, all’abbonamento gratuito alla rivista Argomenti.

 




PCB e orche

OrcaIn un recente articolo pubblicato sulla prestigiosa Rivista Science dal Dr Jean Pierre Desforges e Collaboratori è stato predetto un drammatico declino numerico, superiore al 50%, che di qui alla fine di questo secolo interesserà la popolazione mondiale di orche (Orcinus orca).

La causa di questo impressionante calo demografico è stata ascritta dagli Autori del succitato articolo alle elevate concentrazioni di policlorobifenili (PCB) che le orche, in ragione del comprovato ruolo di “predatori apicali” che le colloca ai vertici delle catene trofiche marine, riescono ad accumulare nei propri tessuti corporei, specialmente a livello del “blubber”, vale a dire del grasso sottocutaneo.

Nonostante i 40 anni oramai trascorsi dalla messa al bando da parte degli USA dei PCB, contaminanti ambientali persistenti chimicamente affiliati alle famigerate diossine ed all’altrettanto famigerato DDT, pure messo al bando nel 1970, i livelli effettivi e/o presunti di tali sostanze nel blubber di esemplari appartenenti a più popolazioni di orche popolanti i diversi mari ed oceani del Pianeta verrebbero considerati da Desforges e Collaboratori pienamente capaci di inficiare lo stato di salute e di conservazione della specie, provocandone appunto nel giro dei prossimi 80 anni la drammatica contrazione numerica anzidetta.

All’articolo in parola ha fatto seguito la pubblicazione, ancora su Science, di una “Letter to the Editor” congiuntamente firmata dal Professor Giovanni Di Guardo, Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Universita’ di Teramo, nonché dal Professor Antonio Fernandez, Docente di Anatomia Patologica Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Universidad de Las Palmas de Gran Canaria.

I due Studiosi, pur concordando sull’opportunità dell’ “allerta” generato dal contributo di Desforges e Collaboratori, osservano tuttavia che, in virtù del cospicuo numero di contaminanti chimici che le orche – al pari di tutti gli altri Cetacei Odontoceti -sarebbero in grado sia di accumulare sia di “biomagnificare” contestualmente in ambito tissutale, risulterebbe molto difficile se non addirittura impossibile “dissezionare” l’azione patogena esplicata dai soli PCB rispetto a quella svolta dalle altre sostanze presenti nelle succitate “miscele”. Inoltre, i potenti effetti immunotossici, unitamente a quelli esercitati sul sistema endocrino e sulla biologia riproduttiva dell’ospite da parte dei PCB, ricalcano in larga misura quelli esplicati da altri contaminanti ambientali, organoclorurati e non-organoclorurati, cosicché risulterebbe pressoché impossibile definire con precisione “chi fa cosa”.

La tossicità dei PCB sulle orche dovrebbe esser parimenti messa in relazione, commentano Di Guardo e Fernandez, sia con i livelli di espressione dei recettori per tali composti (AHR) presenti nei tessuti di tale specie cetologica sia con le capacità metaboliche della stessa nei confronti dei PCB, senza peraltro dimenticare l’importante ruolo svolto dalle micro-nanoplastiche quali “attrattori, concentratori e trasportatori” di molteplici contaminanti ambientali persistenti, che a seguito di catastrofici eventi quali gli “tsunami” potrebbero esser così veicolati a grandi distanze.

Pertanto, concludono Di Guardo e Fernandez, sono necessari ulteriori, approfonditi studi finalizzati a definire il reale impatto dei PCB sulle popolazioni di orche a livello globale.

Fonte: Comunicato stampa




Scienze Omiche: Ministero salute istituisce coordinamento inter-istituzionale

scienze omicheL’11 luglio 2018 si è insediato, presso la Direzione generale della prevenzione sanitaria, il Coordinamento Inter-Istituzionale che ha il compito di attuare il “Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche”, approvato con Intesa Stato Regioni del 26 ottobre 2017. Ciò costituisce un punto di svolta nella pianificazione riguardante l’utilizzo della genomica (scienze omiche in generale) nel sistema sanitario nazionale.

Dopo il sequenziamento del genoma umano, la genetica molecolare e l’analisi genomica hanno acquisito un ruolo specifico per il progresso della medicina e dell’assistenza sanitaria e sono diventate una forza trainante nella ricerca e nella pratica medica. Il progresso in genomica ha assunto implicazioni cruciali per la salute pubblica perché offre l’opportunità di differenziare individui e gruppi con maggiori probabilità di sviluppare determinate condizioni patologiche.

Le iniziative di pianificazione sulla genomica si sono sviluppate a partire dal Piano nazionale della prevenzione 2010-2012 che ha identificato al punto 2.4 la “medicina predittiva” come una delle macroaree di intervento, fornendo indicazioni per realizzare un nuovo approccio alla prevenzione attraverso l’utilizzo appropriato, etico ed efficace dei test genetici in prevenzione. Inoltre nell’Intesa del 29 aprile 2010 (allegato 2) è stata identificata, tra le azioni da realizzare, la predisposizione di un Protocollo di utilizzo della Public health genomics predisposto dal Ministero della salute e rispetto al quale è stata sancita l‘intesa del 13 marzo 2013 su “Linee di indirizzo sulla genomica in sanità pubblica“.

Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche

Fonte: Ministero della salute

Su scienza omiche e sicurezza alimentare leggi anche: La Sicurezza Alimentare nell’Era “Omica” e della Bioinformatica, a cura di Maurizio Ferri




Giornata mondiale della biodiversità

Per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla perdita di biodiversità, il 22 maggio di ogni anno le Nazioni Unite celebrano la Giornata Mondiale della Biodiversità, per ricordare l’entrata in vigore della Convenzione per la Diversità Biologica (CDB), avvenuta il 22 maggio 1993. Il venticinquesimo anniversario è un’occasione per celebrare i risultati della Convenzione, comunicare al mondo l’importanza della biodiversità e stimolare e promuovere ulteriori sforzi finalizzati al raggiungimento del Piano Strategico per la Biodiversità 2011-2020 e gli impegni connessi, compresi gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, approvati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’ambito di Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Cambiamento climatico, specie aliene invasive e distruzione di habitat rappresentano le principali minacce alla perdita di natura e biodiversità.

L’attuale ritmo di estinzione delle specie animali e vegetali è considerato da 100 a 1.000 volte superiore a quello registrato in epoca pre-umana. Gli scienziati ritengono che siamo di fronte alla sesta estinzione di massa, questa volta per cause antropiche, persino superiore a quella che ha segnato la fine dei dinosauri, 65 milioni di anni fa. Dal 1500 a oggi, le specie estinte documentate sono 765, di cui 79 mammiferi, 145 uccelli, 36 anfibi. Attualmente le estinzioni procedono al ritmo di un numero compreso tra 10 e 690 specie per settimana.

Di tutte le estinzioni, il 75% è stato causato da un eccessivo sfruttamento delle specie (caccia, pesca, commercio illegale di piante e animali), dalla distruzione degli habitat per infrastrutture o per avere nuovi campi per l’agricoltura, dall’agricoltura intensiva. Altre cause sono l’inquinamento e l’introduzione di specie aliene invasive. Gli scienziati dicono che il cambiamento climatico aumenterà i suoi effetti negativi sulla biodiversità ma già adesso si contano estinzioni legate al caos climatico, soprattutto tra gli anfibi.

Non è solo l’estinzione (ossia la scomparsa dell’ultimo individuo di un gruppo che per definizione è raro) delle specie che preoccupa la comunità scientifica, ma la diminuzione del numero totale di animali. Negli ultimi 25 anni le popolazioni degli animali selvatici si sono dimezzate. Secondo la “lista rossa” dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), sono minacciati di estinzione 1.199 Mammiferi (il 26% delle specie descritte), 1957 Anfibi (41%), 1.373 Uccelli (13%) e 993 Insetti (0,5%).

Anche la ricchezza della biodiversità italiana è seriamente minacciata e rischia di essere irrimediabilmente perduta, a causa della distruzione degli habitat e della loro frammentazione e degrado, l’invasione di specie aliene invasive, le attività agricole, gli incendi, il bracconaggio, i cambiamenti climatici. Dai dati dell’Annuario dei dati ambientali ISPRA emerge che – per quanto riguarda il grado di minaccia delle 672 specie di Vertebrati valutate nella recente “Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani” (576 terrestri e 96 marine) – 6 sono estinte nel territorio nazionale in tempi recenti: due pesci, lo storione comune e quello ladano; tre uccelli: la gru, la quaglia tridattila, il gobbo rugginoso; e un mammifero, il pipistrello rinolofo di Blasius.

Le specie minacciate di estinzione sono 161 (138 terrestri e 23 marine), pari al 28% delle specie valutate. Considerando che per il 12% delle specie i dati disponibili non sono sufficienti a valutare il rischio di estinzione e assumendo che il 28% di queste sia minacciato, si stima che complessivamente circa il 31% dei Vertebrati italiani sia minacciato. Il 50% circa delle specie di Vertebrati italiani non è a rischio di estinzione imminente.

L’analisi dei principali settori produttivi indica che i fattori legati all’agricoltura incidono per il 70 percento negli scenari di perdita di biodiversità terrestre. Affrontare le tendenze e gli scenari nei sistemi alimentari globali è quindi cruciale nel determinare se i piani strategici per la biodiversità 2011-2020 e post 2020 potranno avere successo. Le soluzioni per raggiungere sistemi agro-alimentari sostenibili includono aumenti ‘sostenibili’ di produttività, attraverso il ‘restauro’ dei servizi ecosistemici nelle aree agricole, la riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari e il cambiamento dei nostri modelli di acquisto e consumo di cibo, fibre, cosmetici e altri prodotti non alimentari di origine agricola.

Comunicato stampa ISPRA integrale

Infografica




OIE, FAO, OMS su AMR: passi avanti ma meno risultati nei paesi più poveri

OIE OMS FAOI paesi stanno facendo significativi passi avanti nella lotta alla resistenza antimicrobica (AMR). Rimangono tuttavia seri gap che richiedono un’azione urgente – questo il messaggio del rapporto pubblicato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), l’Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale (OIE), e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Il rapporto traccia i progressi fatti in 154 paesi e rivela ampie discrepanze. Alcuni paesi, molti europei, lavorano a politiche sull’AMR in ambito umano e animale da oltre 4 decenni, altri hanno iniziato solo da poco. I progressi nello sviluppo e nell’implementazione di piani per affrontare questa minaccia crescente sono maggiori nei paesi ad alto reddito rispetto a quelli a basso reddito, ma nessun paese riporta una capacità sostenuta e ad ampio raggio in tutte le aree.

Il rapporto registra lo stato della sorveglianza, dell’educazione, del monitoraggio e della regolamentazione del consumo e dell’uso di antimicrobici nell’ambito della salute umana, dell’allevamento e della salute animale, oltre che delle piante e dell’ambiente, come raccomandato dal Piano Globale di Azione pubblicato dall’OMS nel 2015.

Tra i risultati promettenti si legge che 105 paesi hanno messo in piedi sistemi di sorveglianza per segnalare infezioni resistenti ai farmaci nella salute umana, mentre 68 paesi hanno instaurato un sistema per il tracciamento del consumo di antibiotici. In aggiunta, 123 paesi segnalano di avere sviluppato politiche per la regolamentazione della vendita di antimicrobici, incluso l’obbligo di prescrizione medica per il consumo umano – misura fondamentale per affrontare l’assunzione eccessiva o inappropriata di antimicrobici.

Tuttavia l’implementazione di queste politiche varia da paese a paese e medicinali non regolamentati sono ancora disponibili in contesti come i mercati di strada, senza limitazioni al loro utilizzo. I medicinali vengono spesso venduti al banco senza necessità di prescrizione. Questo rappresenta un rischio per la salute umana e animale e può potenzialmente contribuire allo sviluppo di resistenza antimicrobica.

Il rapporto si concentra su aree dove è urgente il bisogno di maggiori investimenti e azioni, soprattutto per quanto riguarda il settore animale e alimentare. Per esempio, solo 64 paesi riportano di rispettare le raccomandazioni FAO-OIE-OMS sui limiti di utilizzo di antimicrobici fondamentali per la promozione della crescita animale negli allevamenti. Di questi, 39 sono paesi ad alto reddito, per lo più paesi della regione europea dell’OMS. Al contrario solo 3 paesi della regione africana dell’OMS, e 7 della regione Americhe, hanno fatto questo importante passo per ridurre l’emergere della resistenza antimicrobica.

67 paesi segnalano di avere messo in atto leggi per il controllo di tutti gli aspetti della produzione, autorizzazione e distribuzione di antimicrobici per uso animale. 56 tuttavia affermano di non avere o di non essere in grado di segnalare l’esistenza di politiche o legislazioni nazionali per il controllo della qualità, della sicurezza e dell’efficienza dei prodotti antimicrobici utilizzati per la salute animale e delle piante, della loro distribuzione, vendita o utilizzo.

Si segnala inoltre una sostanziale mancanza di azione e di dati nei settori ambientali e delle piante. Anche se 78 paesi hanno regolamentazioni in atto per prevenire la contaminazione ambientale in generale, solo 10 di loro riferiscono di avere sistemi completi per garantire la conformità normativa per tutta la gestione dei rifiuti, incluso regolamenti per limitare lo scarico di residui antimicrobici nell’ambiente. Questo non è sufficiente per proteggere l’ambiente dai rischi della produzione antimicrobica.

Questo rapporto mostra un’attenzione crescente per la lotta alla resistenza antimicrobica” afferma il Dott. Ranieri Guerra, Direttore Generale Aggiunto dell’OMS per la Resistenza Antimicrobica. “Ci appelliamo ai governi perché assicurino un impegno costate su tutti i settori – umano, della salute animale, vegetale e dell’ambiente – altrimenti rischiamo di perdere l’uso di questi preziosi medicinali“.

Aiutare i paesi a basso e medio reddito a seguire le linee guida per un uso responsabile e prudente degli antimicrobici negli animali è una priorità urgente” afferma il Dott. Matthew Stone, Vice Direttore Generale dell’OIE. “L’implementazione degli standard internazionali dell’OIE, una legislazione nazionale appropriata e il rafforzamento dei servizi veterinari, sono elementi essenziali per aiutare tutti gli stakeholder della salute animale a contribuire al contenimento della minaccia posta dalla resistenza antimicrobica“.

La FAO plaude al fatto che molti paesi stiano intraprendendo azioni concrete per un uso responsabile degli antimicrobici in agricoltura” afferma Maria Helena Semedo, Vice Direttore Generale della FAO. “Tuttavia i paesi devono fare di più per ridurre l’utilizzo non regolamentato ed eccessivo di antimicrobici in agricoltura. E invitiamo in particolar modo i paesi a eliminare l’utilizzo di antimicrobici per promuovere la crescita animale negli allevamenti terrestri e acquatici“.

Dall’inchiesta e da altre fonti, il tripartito (FAO, OIE, OMS) nota come 100 paesi oggi siano dotati di piani di azione nazionali per l’AMR, e altri 51 li stiano sviluppando, seve però fare di più per assicurare che vengano implementati.

Solo 53 paesi riportando di avere gruppi di lavoro multi-settoriali funzionanti, mentre altri 77 affermano di averli creati. Solo 10 paesi affermano di aver identificato fondi sufficienti per tutte le azioni nel piano, e diversi paesi a medio e basso reddito potrebbero avere bisogno di assistenza allo sviluppo per l’implementazione dei loro piani di azione in modo efficiente e sostenibile.

La nota positiva è che, tra i 10 paesi maggiori produttori di pollame, suini e bovini che hanno risposto al sondaggio, nove hanno almeno sviluppato un piano di azione nazionale, mentre la maggior parte di questi hanno piani in opera con sistemi di monitoraggio.

L’Inchiesta

L’inchiesta globale Tripartita sui progressi dei paesi nell’affrontare l’AMR è parte degli sforzi per monitorare l’implementazione del Piano di Azione sull’AMR, approvato dai paesi membri della FAO e dell’OMS, e dai paesi membri dell’OIE nel 2015. L’indagine è sviluppata e pubblicata congiuntamente dalle tre organizzazioni e il rapporto analizza i dati del secondo anno dell’indagine.

L’inchiesta del 2018 ha ricevuto risposte da 154 paesi, sui 194 Paesi Membri dell’OMS contattati. Tutte le risposte, in entrambi gli anni, sono disponibili in un database open-access, per offrire la possibilità alla società civile ai vari stakeholder di monitorare i progressi a livello nazionale.

Fonte: FAO




FAO: le api devono essere protette per il futuro della nostra alimentazione

In occasione della prima Giornata mondiale delle api, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha esortato paesi e singoli individui a fare di più per proteggere le api e gli altri impollinatori per non rischiare un brusco calo della diversità alimentare.

Le api sono gravemente minacciate dagli effetti combinati del cambiamento climatico, dell’agricoltura intensiva, dei pesticidi, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento.

In Slovenia, per la cerimonia ufficiale, il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, ha affermato che i paesi devono passare a politiche e sistemi alimentari più favorevoli agli impollinatori e più sostenibili.

Non possiamo continuare a concentrarci sull’aumento della produzione e della produttività basandoci sull’uso diffuso di pesticidi e di sostanze chimiche che minacciano le colture e gli impollinatori“, ha affermato Graziano da Silva. “Ora dobbiamo trasformare le nostre parole in azioni e intraprendere misure specifiche per tutelare le api e gli altri impollinatori. Prenderci cura della loro sopravvivenza significa tutelare la nostra stessa sopravvivenza” ha sottolineato Dejan Židan Ministro dell’Agricoltura, delle Foreste e dell’Alimentazione della Slovenia.

Oltre il 75% delle colture alimentari mondiali dipendono in una certa misura dall’impollinazione per resa e qualità. L’assenza di api e di altri impollinatori eliminerebbe la produzione di caffè, mele, mandorle, pomodori e cacao, per citare solo alcune delle colture che si basano sull’impollinazione.

Ognuno di noi ha una responsabilità individuale nei confronti della protezione delle api e dovremmo tutti fare scelte rispettose degli insetti impollinatori“, ha aggiunto Graziano da Silva. “Anche la crescita dei fiori a casa per nutrire le api contribuisce a questo sforzo“.

Impollinatori, come api, api selvatiche, uccelli, pipistrelli, farfalle e coleotteri volando, saltano e strisciano sui fiori aiutando le piante a fertilizzarsi. Il numero e la diversità degli impollinatori sono diminuiti negli ultimi decenni e le prove indicano che il declino è principalmente conseguenza delle attività umane, compreso il cambiamento climatico, che possono interrompere le stagioni di fioritura.

Le pratiche agricole sostenibili, in particolare l’agro-ecologia, possono aiutare a proteggere le api riducendo l’esposizione ai pesticidi e contribuendo a diversificare il paesaggio agricolo.

Attraverso l’agro-ecologia, la FAO cerca di ottimizzare le interazioni tra piante, animali, esseri umani e ambiente. Le innovazioni sono necessarie e devono basarsi sulla creazione di conoscenza, dove la scienza si combini con le conoscenze e le esperienze locali, come un processo sociale “, ha affermato Graziano da Silva.

Con l’Organizzazione mondiale della sanità, la FAO ha anche sviluppato il Codice di condotta internazionale sulla gestione dei pesticidi. Ciò fornisce un quadro delle migliori pratiche che possono aiutare a ridurre l’esposizione degli impollinatori ai pesticidi.

La cerimonia ufficiale per la prima Giornata mondiale delle Api si è tenuta nel villaggio sloveno di Breznica, 50 chilometri a nord-ovest della capitale, con il patrocinio del presidente sloveno Borut Pahor. Breznica è il luogo di nascita nel 1734 di Anton Janša, un apicoltore e un pioniere dell’apicoltura moderna. Il suo compleanno, il 20 maggio, è stato scelto per essere segnato ogni anno come la Giornata Mondiale delle Api

La Slovenia, con la FAO, è stata determinante nello stabilire la giornata internazionale attraverso una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvata lo scorso anno all’unanimità, con il sostegno di Apimondia, la Federazione internazionale delle associazioni di apicoltori, dell’Associazione degli apicoltori sloveni e del Ministero sloveno dell’Agricoltura, delle Foreste e dell’Alimentazione.

Fonte: FAO




Scoiattolo rosso: nessuna traccia di squirrelpox virus in Italia

scoiattolo rossoLe principali popolazioni italiane di scoiattolo grigio non invasivo di origine nordamericana non sono portatrici di squirrelpox virus, patogeno all’origine della pericolosa infezione che minaccia l’intera popolazione continentale di scoiattolo rosso.

A rivelarlo uno studio, guidato dall’Università Statale di Milano e pubblicato su Animal Conservation, nato da una vasta indagine per verificare la presenza dello squirrelpox virus nella popolazione di scoiattoli grigi nordamericani introdotti in Italia nel 1948.

Il patogeno, che non è dannoso per la specie americana, è invece letale nella maggior parte dei casi per il nativo scoiattolo rosso, già a rischio di estinzione per la dura competizione in atto con lo scoiattolo grigio per le risorse alimentari. La comparsa dell’infezione virale in Gran Bretagna e successivamente in Irlanda ha provocato in questi territori il rapido declino dello scoiattolo rosso, e una sua eventuale presenza in Italia metterebbe a rischio la sopravvivenza della specie anche in tutta l’Europa continentale.

L’indagine volta a verificare la presenza dello squirrelpox virus in Italia è stata condotta grazie al supporto delle organizzazioni National Trust, European Squirrel Initiative e Red Squirrel Trust Wales e ha fatto uso di metodiche diagnostiche all’avanguardia per l’individuazione del virus e dell’esperienza dei colleghi britannici, partner dello studio, nell’affrontare questa pericolosa infezione.

Grazie all’impegno di molti colleghi d’oltremanica, il ruolo determinante giocato dallo squirrelpox virus nel rapido declino dello scoiattolo rosso in Gran Bretagna e Irlanda era noto da tempo” – spiegano Claudia Romeo e Nicola Ferrari, ricercatori del dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università Statale di Milano. “Tuttavia, l’eventuale presenza del virus nelle popolazioni di scoiattolo grigio introdotte in Italia fino ad oggi non era mai stata indagata“.

Il risultato della ricerca è positivo per lo scoiattolo rosso. “Dimostrare l’assenza di qualcosa non è mai un’impresa semplice” – dichiara la dottoressa Romeo – “ma oggi abbiamo finalmente delle buone notizie per gli scoiattoli rossi italiani e per tutta la popolazione continentale: sembra, infatti, che siano stati risparmiati da questa minaccia aggiuntiva che uccide ogni anno centinaia di animali nelle Isole Britanniche“.

I ricercatori sottolineano, però, come questo non significhi certo che gli scoiattoli rossi in Italia siano al sicuro dallo scoiattolo grigio: le due specie competono comunque per le risorse alimentari, e la presenza del grigio porta inevitabilmente all’estinzione locale del rosso. L’assenza dello squirrelpox virus concede, però, più tempo alle attuali attività di controllo e conservazione, perché, in assenza della malattia, la sola competizione alimentare è un processo molto più lento.

Non dobbiamo comunque abbassare la guardia” – spiega infine il dottor Ferrari – “perché nuovi nuclei di scoiattolo grigio di origine non ben documentata sono stati individuati lungo la penisola, e questo non ci permette di escludere una futura comparsa del virus nel nostro paese”.

L’attività di sorveglianza per lo squirrelpox virus deve quindi continuare, in modo da proteggere lo scoiattolo rosso da questa pericolosa infezione.

Fonte: Università degli Studi di Milano