Premio per addetti alla ricerca nella cura degli animali e finanziamento della formazione per giovani ricercatori nei metodi alternativi

Premio per addetti alla ricerca nella cura degli animali e finanziamento della formazione per giovani ricercatori nei metodi alternativi

L’EPAA ha pubblicato il bando per “3Rs Student grants 2023″. Lo scopo è quello di sponsorizzare gli studenti affinché partecipino ai principali eventi 3R nel 2023. Verrà assegnata un super contributo (2500 EUR) per il 12° Congresso mondiale sulle metodiche alternative e l’uso degli animali nella ricerca e due contributi completi (500 EUR) per EUROTOX 2023. La call è rivolta agli studenti/giovani ricercatori interessati a questi eventi. Maggiori informazioni qui: https://lnkd.in/dvE-u6KY

La scadenza per entrambi gli eventi è lunedì 5 giugno 2023 alle 12:00 (mezzogiorno).

E’ stato anche aperto il bando per le candidature per il Refinement Prize 2023 dell’EPAA. Il premio di € 6000 sarà assegnato a un tecnico di laboratorio, custode di animali o tecnologo che ha dimostrato risultati eccezionali in nuovi approcci innovativi per promuovere l’implementazione e/o la sensibilizzazione al perfezionamento della sperimentazione animale.

Il bando è disponibile online sul sito dell’EPAA ed è accessibile tramite il link: https://single-market-economy.ec.europa.eu/calls-expression-interest/refinement-prize-2023-call-submissions_en  Le domande devono essere inviate a grow-epaa@ec.europa.eu entro lunedì 18 settembre 2023 alle 12:00 (mezzogiorno).

Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




Idrocarburi minerali negli alimenti: consultazione pubblica sulla bozza di parere

Gli esperti dell’EFSA hanno concluso in via provvisoria che gli idrocarburi saturi di oli minerali (MOSH) non costituiscono un problema per la salute dell’uomo, confermando però che alcune sostanze appartenenti a questo gruppo, note come idrocarburi aromatici di oli minerali (MOAH), possono dare adito a problemi.

Sono queste alcune delle conclusioni di un progetto di parere scientifico pubblicato oggi per pubblica consultazione e che aggiorna la precedente valutazione EFSA dei rischi da idrocarburi degli oli minerali negli alimenti.

Gli idrocarburi degli oli minerali (MOH) comprendono un’ampia varietà di composti chimici ottenuti principalmente dalla distillazione e raffinazione del petrolio. Vengono suddivisi in due gruppi principali: MOSH e MOAH.

“Per i MOSH sono stati osservati effetti avversi sul fegato in una specifica varietà di ratto, ma le evidenze suggeriscono che tali effetti non siano applicabili all’uomo. Abbiamo pertanto potuto escludere un rischio per la salute pubblica”, ha affermato James Kevin Chipman, presidente del gruppo di lavoro sugli idrocarburi minerali.

Gli esperti hanno poi esaminato due diversi tipi di MOAH concludendo che uno di essi può contenere sostanze genotossiche che potrebbero danneggiare il DNA delle cellule e causare cancro. Per genotossine come queste non è tuttavia possibile stabilire un livello di sicurezza.

Scarse le informazioni disponibili sulla presenza di MOAH negli alimenti, per cui gli esperti hanno lavorato su due diversi scenari predittivi avvalendosi dell’approccio del margine di esposizione (MoE): entrambi indicavano un possibile problema per la salute.

Idrocarburi degli oli minerali negli alimenti

I MOH possono contaminare gli alimenti in vari modi: per contaminazione dell’ambiente, con l’uso di lubrificanti nei macchinari da produzione alimentare, da agenti distaccanti, da coadiuvanti tecnologici, additivi alimentari o per mangimi, e per migrazione dai materiali a contatto con gli alimenti. Essi sono stati riscontrati in una varietà di alimenti, che solitamente contengono livelli più alti di MOSH che non di MOAH. I livelli più elevati di MOH sono stati riscontrati in alcuni oli vegetali e si stima che l’esposizione massima riguardi i giovani, soprattutto se nutriti da piccoli solo con alimenti per l’infanzia contenenti alti tassi di MOSH.

Raccomandazioni

Gli esperti raccomandano di condurre maggiori ricerche per quantificare la presenza di MOAH negli alimenti e di raccogliere dati di tossicità onde valutare meglio i rischi che essi comportano. Per i MOSH è importante continuare a studiarne i possibili effetti a lungo termine sulla salute umana.

Prossimi passi

È possibile trasmettere commenti qui fino al 30 aprile 2023. Una volta concluso, il parere fornirà  alla Commissione europea e agli Stati membri dell’Unione la base scientifica per eventuali misure di gestione del rischio.

Fonte: EFSA




Apicoltura. Il questionario Coloss 2022/2023 sulla perdita di colonie

apicolturaAnche quest’anno l’associazione COLOSS (Prevention of honey bee COlony LOSSes, www.coloss.org)  ha predisposto il questionario con cui raccogliere informazioni sulle perdite di colonie di api. Gli Stati europei e non solo che partecipano all’indagine somministrano annualmente agli apicoltori il questionario, standardizzato e uguale per tutti gli Stati, in modo da poter comparare a livello internazionale i dati raccolti e quindi comprendere meglio i fattori di rischio implicati nella perdita di colonie.

Si chiede la collaborazione degli apicoltori, delle loro associazioni, dei veterinari e delle istituzioni coinvolte nel settore dell’apicoltura per una diffusione capillare di questa iniziativa, affinché anche l’Italia contribuisca in modo significativo a questo studio.

Compilazione del questionario

Il questionario è compilabile online, in italiano e in tedesco, dal seguente link:

Questionario COLOSS – Versione italiana » Questionario COLOSS – Versione tedesca »Alcune domande, contrassegnate da un asterisco rosso, sono particolarmente importanti per il questionario ed è obbligatorio rispondere. Altre domande (senza asterisco) sono facoltative, ma vi chiediamo di rispondere anche a queste per poterle confrontare con le risposte dei questionari raccolti negli altri stati.

È possibile salvare le risposte inserite e riprendere la compilazione in un secondo momento seguendo le istruzioni riportate.
Istruzioni per il salvataggio del questionario (in italiano) >
Istruzioni per il salvataggio del questionario (in tedesco) >

Per supporto tecnico nella compilazione del questionario:
tel. 049 8084265


Scadenze

Affinché i dati raccolti siano analizzati ed inclusi nell’indagine europea 2022-2023, è necessario compilare il questionario entro e non oltre il 15 giugno 2023 e rispondere a tutte le domande contrassegnate con un asterisco rosso. I dati raccolti saranno trasmessi, in un’unica soluzione, ai coordinatori internazionali del monitoraggio per la successiva analisi ed elaborazione.

Controllo della coerenza dei dati

Al fine di verificare la coerenza e validità dei dati inseriti, si evidenziano alcuni punti:

  1. Il numero di colonie ad inizio inverno non deve mancare e deve essere maggiori di zero
  2. Il numero delle colonie perse non deve mancare e deve essere maggiore o uguale a zero
  3. Il numero delle colonie morte, più quello delle colonie perse a causa di problemi con la regina, più quello delle colonie perse a causa di calamità naturali non deve essere maggiore del numero delle colonie all’inizio dell’inverno
  4. Gli apicoltori con 1 apiario non possono avere le loro colonie a più di 15 km di distanza l’una dall’altra, ecc.
  5. Il numero di colonie svernate che hanno avuto una nuova regina [nell’anno precedente] non può essere maggiore del numero di colonie svernate!

Fonte: IZS Venezie




PIANO DELLA PREVENZIONE 2020- 2025: obiettivi e strategie in un’ottica di one health

Il 24 marzo si terrà a Terni il Convegno dal titolo “PIANO DELLA PREVENZIONE 2020- 2025: obiettivi e strategie in un’ottica di one health”, patrocinato dalla SIMeVeP e a cui parteciperanno il Presidente dott. Antonio Sorice e il Presidente Onorario dott. Aldo Grasselli.

Il Piano della Prevenzione 2020-2025 dichiara nelle sue premesse che gli interventi di Sanità Pubblica sono
fondamentali per lo sviluppo economico e sociale di un Paese e che la salute di tutti dipende dalla salute di
ciascuno.

La giornata formativa intende valorizzare a livello regionale l’esperienza che è stata maturata nella Usl
Umbria 2 che ha mutuato tale vision nella declinazione aziendale del Piano della Prevenzione, sottolineando
come questa richieda la necessità, all’interno dell’Azienda Sanitaria, di un lavoro multidisciplinare basato su
una stringente collaborazione tra tutte le Strutture Aziendali, tra le Aziende Sanitarie e Ospedaliere Umbre,
tra queste e gli stakeholder, necessaria per offrire prestazioni efficaci ai cittadini.

Programma del Convegno

 




Pubblicati gli atti corsi ECM Folgaria

Sono online le presentazioni dei corsi dal titolo  “La prevenzione nel mondo che cambia” che si sono svolti a Folgaria (TN) i giorni 13/14/16/17 marzo.

Ci troviamo in un mondo in continuo cambiamento. Ormai da decenni la comunità scientifica ha descritto come il clima del pianeta stia cambiando e come i cambiamenti climatici abbiano effetti importanti anche sulla vita degli insetti, compresi quelli che possono essere vettori di malattie per l’uomo e gli animali.
Il cambiamento inoltre è la condizione “naturale” delle società umane e ciò porta anche a mutamenti del rapporto uomo-animale, delle abitudini alimentari e delle norme che regolano la vita della collettività.

 




Ritrovato sulla costa laziale un pesce istrice tropicale

Un pesce istrice Chilomycterus reticulatus, conosciuto anche come pesce porcospino punteggiato, è l’esemplare di circa 60 cm spiaggiato a Santa Marinella e segnalato da un pescatore grazie alla campagna “Attenti a quei 4!” lanciata da ISPRA e CNR IRBIM per informare i cittadini sulla presenza di quattro pesci alieni potenzialmente pericolosi per la salute umana.
In seguito alla segnalazione ricevuta, i ricercatori dell’ISPRA sono intervenuti per recuperare l’esemplare di Santa Marinella ed effettuare le analisi morfologiche e molecolari per l’identificazione della specie.

E’ il secondo esemplare segnalato nel Mar Mediterraneo dal 2008

Il video del pesce istrice

Leggi il Comunicato




Principio di precauzione, una preziosa ancora di salvataggio quando si brancola nel buio

Mentre continua a suscitare grande scalpore l’inchiesta giudiziaria sull’impressionante numero di decessi avvenuti in Val Seriana durante le prime fasi della pandemia da SARS-CoV-2, credo sia utile fare alcune precisazioni.

Premetto che desidero astenermi, in prima istanza, dall’addentrarmi in una qualsivoglia disamina del dato di fatto, pur innegabile, secondo cui troppe volte abbiamo assistito, nel nostro Paese, ad interventi della Magistratura in contesti professionali – di natura sanitaria e non – che invariabilmente hanno peccato di scarsa o nulla “capacità di autocritica” (“critical self evaluation“, si direbbe nel mondo anglosassone ed anglofono), giustificando in tal modo la discesa in campo dell’Autorità Giudiziaria.

In secundis, per quanto risulti fuor di ogni dubbio che il livello delle conoscenze all’epoca disponibili sul betacoronavirus SARS-CoV-2 e sulla COVID-19 fosse assolutamente deficitario ed incomparabile rispetto a quello attuale, non andrebbe tuttavia dimenticato che la Comunità Scientifica Internazionale aveva già acquisito una nutrita serie di informazioni su altri due betacoronavirus patogeni e correlati a SARS-CoV-2, SARS-CoV(-1) e MERS-CoV, emersi rispettivamente sulla scena evolutiva nel 2002-2003 e nel 2012.

Per completezza d’informazione e, nondimeno, per amor di verità, sarebbe “cosa buona e giusta” porre adeguata enfasi, in un siffatto contesto, sul “principio di precauzione”, una quantomai preziosa ancora di salvataggio alla quale aggrapparsi in tutte quelle situazioni in cui il “pericolo” (il virus SARS-CoV-2, nella fattispecie) e la conseguente “analisi del rischio” (“quantificazione” della circolazione virale e dell’esposizione al virus) presentassero significative lacune conoscitive, come giocoforza accadeva all’esordio e nelle prime fasi della pandemia.

In una lettera a mia firma, pubblicata nel Febbraio 2020 sulla Rivista “Science”, ricordavo che il principio di precauzione era già sceso prepotentemente in campo durante la seconda metà degli anni ’80, a seguito dell’identificazione nel Regno Unito del “morbo della mucca pazza” – alias “encefalopatia spongiforme bovina” – nel Novembre 1986.

E’ bene sottolineare, a tal proposito, che tanto meno si conosce di una determinata condizione morbosa e/o noxa esercitante un più o meno significativo impatto sulla nostra salute, tanto più diviene opportuno se non indispensabile far ricorso al salvifico principio di precauzione, a maggior ragione allorquando si abbia a che fare con un agente patogeno totalmente nuovo ed altamente diffusivo quale si è rivelato sin “ab initio” il betacoronavirus SARS-CoV-2.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




EFSA, ECDC, EURL: focolai di influenza aviaria in atto nei volatili, basso il rischio per il pubblico

Continua a evolversi in Europa e a livello mondiale la situazione dell’influenza aviaria: segnalati nuovi focolai nei volatili e infezioni occasionali nei mammiferi. Sporadiche infezioni nell’uomo sono state segnalate in Paesi extra-UE, ma il rischio per la popolazione UE rimane basso. Sono queste alcune delle risultanze evidenziate nell’ultima relazione congiunta sull’influenza aviaria dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e del Laboratorio di riferimento dell’UE (EURL).

I virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) hanno provocato un aumento di casi di infezione negli uccelli selvatici dell’UE (in particolare nei gabbiani) e continuano a causare infezioni occasionali nei mammiferi. Il numero di focolai infettivi verificatisi nel pollame nell’UE tra dicembre 2022 e marzo 2023 è diminuito dopo il picco del novembre 2022. In Paesi come Francia, Belgio, Paesi Bassi e Italia è stata osservata nei gabbiani un’anomala mortalità di massa. Il rischio di infezioni nel pollame potrebbe aumentare nei prossimi mesi man mano che i gabbiani si spostano verso zone interne, sovrapponendosi eventualmente ad aree di produzione avicola. L’EFSA e l’EURL raccomandano pertanto di mettere in atto strategie di prevenzione nelle zone di produzione avicola.

Sorveglianza dei mammiferi sensibili

In alcuni dei virus circolanti sono state rilevate mutazioni associate ad adattamento genetico ai mammiferi, sia in mammiferi che uccelli. Inoltre recenti episodi di mortalità di massa di mammiferi come i leoni marini suggeriscono una potenziale trasmissione del virus HPAI anche tra i mammiferi. In questo contesto gli scienziati dell’EFSA e dell’EURL raccomandano di estendere e potenziare la sorveglianza ai mammiferi selvatici e d’allevamento, in particolare ai visoni americani e ai suini in quelle zone dove l’HPAI è circolante.

Basso il rischio per la popolazione generale

Anche se sono state segnalate sporadiche infezioni da influenza aviaria nell’uomo, che hanno causato grave malattia o esiti fatali, le infezioni nell’uomo restano un evento raro. La maggior parte delle infezioni gravi riferite nell’uomo di recente da Paesi extraeuropei erano connesse a persone esposte a pollame malato o morto che non avevano indossato dispositivi di protezione individuale, in particolare in piccoli allevamenti privati.

L’ECDC stima che il rischio per il pubblico in Europa sia basso, e da basso a moderato per i lavoratori addetti e altre persone a contatto con volatili e mammiferi morti o malati e potenzialmente infetti. L’ECDC conferma che i virus HPAI attualmente in circolazione sono sensibili ai farmaci antivirali disponibili per l’uomo, e che questi virus si legano di preferenza ai recettori di tipo avicolo presenti negli uccelli e non ai recettori umani.

ECDC, EFSA e EURL raccomandano l’uso appropriato di dispositivi di protezione individuale quando ci si trovi a contatto con volatili. Persone a contatto con volatili o mammiferi infetti devono essere sottoposte ad analisi e tenute sotto controllo onde individuare tempestivamente potenziali casi di trasmissione.

Atti scientifici di riferimento

Fonte: EFSA



Animali vulnerabili a Covid, non abbassare la guardia

A tre anni dalla sua esplosione, la pandemia sembra essere finalmente avviata verso la sua coda finale. Tuttavia, se quello che sta accadendo nell’uomo suggerisce un cauto ottimismo, gli esperti invitano a non perdere di vista quello che sta succedendo negli animali, dove il virus Sars-CoV-2 potrebbe trovare nuovi serbatoi e da lì tornare, magari in forma mutata, all’uomo.

Nei giorni scorsi, la Food and Agriculture Organization (Fao) ha pubblicato un aggiornamento sulla circolazione di Sars-CoV-2 negli animali.

A oggi circa 40 Paesi hanno riportato casi animali, compresa l’Italia.

I PAESI CON CASI DI COVID ANIMALE

Francia, Svizzera, Hong Kong, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Russia, Stati Uniti d’America, Danimarca, Giappone, Regno Unito, Cile, Canada, Brasile, Svezia, Italia, Spagna, Sud Africa, Grecia, Argentina, Lituania, Messico, Slovenia, Estonia, Bosnia Erzegovina, Lettonia, Polonia, Portogallo, Porto Rico, Croazia, Tailandia, Uruguay, Myanmar, Indonesia, Singapore, Colombia, Finlandia, India, Ecuador, Egitto.

Altrettanto lunga la lista degli animali di cui ci sono prove di trasmissione di Sars-Cov-2: dai cani e gatti domestici, fino agli ippopotami.

ANIMALI INFETTATI DA SARS-COV-2

Gatto domestico, cane domestico, visone americano domestico, furetto domestico, visone americano selvatico, gorilla, cervo, binturong, coati, gatto pescatore, tigre, leone, puma, leopardo delle nevi, leopardo indiano, lince canadese, iena maculata, lontra, criceto, ippopotamo, uistitì; lamantino, formichiere, mandrillo, saimiri, volpe rossa, bovini, bufalo.

A oggi non è ancora chiaro come gli animali possano contribuire all’evolversi della pandemia e se possano diventare una fonte di infezione per l’uomo.

La trasmissione da animane a uomo, seppure rara, è stata documentata più volte negli ultimi tre anni. Uno degli ultimi casi resi noti è quello di un leone che ha infettato tre dipendenti del Potawatomi Zoo di South Bend, in Usa. Secondo la ricostruzione contenuta in uno studio pubblicato su medRxiv il leone, che necessitava di essere alimentato da parte degli operatori dello zoo,  potrebbe aver contratto il virus da un dipendente dello zoo trasmettendolo a sua volta ad altri tre operatori.

«Il contatto stretto con i felini di grossa taglia dovrebbe essere considerato un fattore di rischio per la trasmissione zoonotica bidirezionale di Sars-CoV-2, indipendentemente dalla precedente immunizzazione», hanno concluso i ricercatori.

Intanto, proprio in questi giorni è stato pubblicato su mBio, rivista dell’American Society for Microbiology, uno studio che documenta la presenza del virus Sars-CoV-2 nei ratti di New York.

Lo studio è stato avviato nell’autunno del 2021, quando «l’U.S. Department of Agriculture (USDA) Animal and Plant Health Inspection Service ha prelevato degli esemplari di ratto grigio (Rattus norvegicus) a New York per cercare prove di infezione da SarsCoV2», spiega in una nota uno degli autori dello studio, Tom DeLiberto.

I test eseguiti dai ricercatori hanno rilevato che, dei 79 animali analizzati, 13 avevano anticorpi che dimostravano un’infezione da SarsCov2: in 9 di essi si trattava di un’infezione passata, mentre in 4 era ancora in corso. I test molecolari eseguiti su questi ultimi hanno mostrato che a causare l’infezione era un ceppo di virus che era diffuso in Usa circa un anno prima. Gli animali sono risultati però potenzialmente suscettibili anche alle varianti Delta e Omicron.

I ricercatori temono che il virus possa circolare in maniera silente nei ratti e poi tornare, magari in forma mutata, all’uomo. «I nostri risultati evidenziano la necessità di un ulteriore monitoraggio di Sars-CoV-2 nelle popolazioni di ratti per determinare se il virus circola negli animali e si sta evolvendo in nuovi ceppi che potrebbero rappresentare un rischio per l’uomo», afferma il primo firmatario dello studio Yang Wang. «Il virus Sars-CoV-2 rappresenta una tipica sfida ‘One Health’ che richiede approcci collaborativi, multisettoriali e transdisciplinari per essere compresa appieno», conclude il ricercatore.

Fonte: Healthdesk




ONU, aree protette anche negli Oceani

Anche gli Oceani avranno le aree protette, è il risultato dell’accordo storico all’Onu per il primo trattato internazionale a protezione dell’alto mare, quello che a oltre 200 miglia nautiche dalle coste esula dalle giurisdizioni nazionali e rappresenta i due terzi degli oceani, che rappresentano ecosistemi fondamentali per l’umanità.

“Il Trattato ONU sulle aree protette negli Oceani apre la strada all’umanità per fornire finalmente protezione alla vita marina in vaste aree dell’oceano. La sua adozione colmerà una lacuna significativa nel diritto internazionale e offrirà un quadro ai governi per lavorare insieme per proteggere la salute globale degli oceani, la resilienza climatica, il benessere socioeconomico e la sicurezza alimentare di miliardi di persone. Siamo pronti a supportarne l’attuazione”, afferma il direttore generale dell’IUCN, il dott. Bruno Oberle.

Il testo definito dai Paesi membri, sarà adottato dopo l’esame degli uffici legali e la traduzione nelle sei lingue delle Nazioni Unite. Dovrà essere ratificato in seguito da un numero sufficiente di Paesi. Il contenuto non è stato reso noto nel dettaglio ma si tratta di un passo avanti  per l’attuazione dell’impegno ’30×30′ preso alla conferenza Onu di dicembre sulla biodiversità, per proteggere un terzo dei mari (e delle terre) entro il 2030.

Senza un trattato, questo obiettivo sarebbe certamente fallito. Finora infatti non esistevano meccanismi legali per creare aree protette marine (Mpa) nelle acque internazionali difendendo la fauna e condividendo le risorse genetiche. Le acque oceaniche, benchè rappresentino i due terzi degli oceani e quasi la metà del pianeta,  è stato a lungo ignorato negli impegni ambientali, a vantaggio delle zone costiere e di qualche spazio particolare.

La necessità di proteggere gli oceani nella loro interezza è emerge dal fatto che essi  producono la metà dell’ossigeno che respiriamo e rappresentano il 95% della biosfera del pianeta, limitando il riscaldamento climatico assorbendo anidride carbonica.

Le principali minacce per gli oceani sono l’inquinamento, l’acidificazione delle acque e la pesca eccessiva. Tra i nodi che finora avevano impedito un accordo c’erano la procedura per creare le aree marine protette e il modello per gli studi di impatto ambientale.

“Una vittoria per il multilateralismo e per gli sforzi globali per contrastare le tendenze distruttive che minacciano la salute degli oceani, oggi e per le generazioni a venire”, ha commentato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres.

Fonte: IUCN