Vendite medicinali veterinari contenenti sostanze antibiotiche

Farmaci veterinari

In concomitanza della pubblicazione del decimo rapporto annuale sulla sorveglianza europea delle vendite di medicinali veterinari contenenti agenti antimicrobici (Tenth ESVAC Report), predisposto dall’Agenzia Europea per i medicinali, è online anche la relazione contenente un ’analisi e i trend delle vendite di antimicrobici in Italia, per il periodo di riferimento 2017-2018.

In base alle rilevazioni, si conferma la tendenza alla diminuzione delle vendite totali, pari al 17,2% rispetto al 2016; una riduzione ancor più significativa se si considera il calo del 42% rispetto ai dati del 2010. La diminuzione è associata a una generale riduzione delle vendite della maggior parte delle classi terapeutiche, in particolare tetracicline, penicilline, sulfamidici, macrolidi e polimixine, come risultato di un impego costante all’utilizzo prudente degli antibiotici.

Un’attenzione particolare è rivolta a quelle classi di antibiotici considerate di importanza critica e incluse nella categoria B “Restrict” della categorizzazione AMEG (Antimicrobial Advice Ad Hoc Expert Group) e classificate tra gli Highest Priority Clinically Important Antimicrobials nella lista della World Health Organization (WHO), che rappresentano una piccola proporzione delle vendite totali (circa il 3%). La riduzione più evidente è sicuramente quella relativa alle vendite per la classe delle polimixine (66% nel 2017 e 48.3% nel 2018) rispetto al 2016, per una riduzione totale dell’82% se si considera il periodo 2010-2018. Altri cali significativi riguardano gli altri chinoloni, con un calo del 79% (rispetto all’anno 2011), i fuorochinoloni con una riduzione del 21,3% e le cefalosporine di 3ͣ e ͣ4 generazione con un ribasso del 3,1% rispetto al 2016. Si riscontra, infine, una contrazione del 18% delle vendite di agenti antimicrobici autorizzati in forme farmaceutiche impiegate per il trattamento di gruppo, attraverso la somministrazione in soluzioni (acqua di abbeverata, siero di latte, broda, ecc.), come mangimi medicati (premiscele) o il top dressing (polveri orali).

Il trend positivo dimostra l’efficacia delle azioni pianificate e attuate nel settore veterinario per il contrasto all’antimicrobico-resistenza, in particolare della promozione di un uso prudente degli antimicrobici. Tale dato, inoltre, rappresentando il punto di partenza per la verifica del raggiungimento dei target prefissati dal Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR 2017-2020), mostra come siano stati già superati alcuni indicatori nazionali fissati al 2020.

L’utilizzo del sistema informatizzato per la tracciabilità dei medicinali veterinari e dei mangimi medicati, con la ricetta elettronica veterinaria obbligatoria dal 16 aprile 2019 nel nostro Paese, renderà più efficace il monitoraggio non solo delle vendite, ma soprattutto dell’effettivo consumo dei medicinali negli animali, permettendo di rinforzare le azioni di contrasto all’AMR.

Consigli su come leggere la relazione.

La stessa Agenzia sottolinea “I dati presentati non dovrebbero essere utilizzati da soli come base per stabilire le priorità nella gestione del fenomeno dell’AMR, ma dovrebbero essere presi in considerazione anche dati aggiuntivi, come ad esempio dati sulla produzione di animali per paese e sulla demografia animale, sui medicinali veterinari disponibili e altri fattori”. Soprattutto, l’Agenzia raccomanda di “non utilizzare tali dati per confrontare direttamente i paesi, poiché potrebbero essere necessarie informazioni e analisi più dettagliate”.

Consulta la relazione:

Dati di vendita dei medicinali veterinari contenenti sostanze antibiotiche. Risultati del progetto ESVAC, Anni 2017 – 2018

L’EMA mette a disposizione un database interattivo ESVAC,accessibile agli operatori e a tutti i cittadini, che permette loro di conoscere i dati relativi alle vendite per specifici Paesi o per determinate classi di antimicrobici, così come personalizzare tabelle, mappe e grafici.

Fonte: Ministero della Salute




CoViD-19, One Health, One Ocean, and Veterinarians

ambiente, animale e uomoPubblichiamo la “Letter to the Editor”, dal titolo “CoViD-19, One Health, One Ocean, and Veterinarians”, scritta dal Prof. Giovanni Di Guardo e dal Prof.  Massimo Vignoli, entrambi docenti presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’ Universita’ di Teramo.

 

Leggi il contributo

 




Rischi emergenti e cambiamento climatico

logo-efsaUn’equipe internazionale di scienziati capeggiata dall’EFSA ha sviluppato una metodologia per individuare e definire i rischi emergenti per la sicurezza degli alimenti e dei mangimi, la salute delle piante e degli animali e la qualità nutrizionale rispetto ai cambiamenti climatici.

L’approccio – detto CLEFSA (“Il cambiamento climatico come motore dei rischi emergenti per la sicurezza degli alimenti e dei mangimi, la salute delle piante, degli animali e la qualità nutrizionale”) – è descritto in un nuovo rapporto, che include ‘schede di valutazione’ che caratterizzano i possibili effetti che il cambiamento climatico potrebbe avere su una ampia serie di questioni relative alla sicurezza degli alimenti.

Entro il 2020 verrà organizzato un seminario online sui risultati del progetto.

Vai all’approfondimento

 

 

 

 

 




RASFF, Relazione sul sistema di allerta rapido europeo per alimenti e mangimi, dati 2019

Il sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi in ambito europeo (RASFF) consente di notificare, in tempo reale, i rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi ad alimenti, mangimi e materiali a contatto con gli alimenti e quindi di adottare tempestivamente le opportune misure di salvaguardia.

La Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione ha redatto anche quest’anno un rapporto riguardante le principali problematiche sanitarie emerse nel corso dell’anno 2019, mettendo in evidenza i principali rischi notificati dai Paesi membri.

Nel corso dell’anno le notifiche pervenute attraverso il RASFF sono state 4000, a fronte delle 3.622 segnalazioni del 2018 e rappresentano il picco più elevato raggiunto negli ultimi vent’anni.

Delle 4000 notifiche pervenute:

  • 3506 hanno riguardato l’alimentazione umana (3622 nel 2018)
  • 322 l’alimentazione animale (313 nel 2018)
  • 172 i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti – MOCA (138 nel 2018).

Tra le notifiche ricevute:

  • 1478 si riferiscono a prodotti in importazione respinti ai confini (pari al 36,9%) e non distribuiti sul mercato europeo
  • 1145 sono state notifiche di Allerta (pari al 28,6%) e hanno riguardato prodotti distribuiti sul mercato
  • le restanti notifiche riguardano informazioni (852 informazioni per attenzione e 525 informazioni per follow up).

Per approfondire:

Fonte: Ministero delle Salute




Leishmaniosi canina sui Colli Euganei: la prevenzione funziona

  • La leishmaniosi canina (CanL) è una malattia causata dal protozoo parassita Leishmania infantum e viene trasmessa ai cani dalla puntura di un insetto vettore, il flebotomo o pappatacio. La malattia è endemica in buona parte dell’Italia centrale e meridionale, mentre al Nord non sono stati segnalati casi fino alla metà degli anni Novanta. È una malattia grave, con andamento generalmente cronico, e se non curata causa spesso la morte del cane.

La diagnosi precoce e la sorveglianza attiva possono pertanto fare la differenza per tutelare i nostri animali. Promotori di questo approccio, i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno contribuito, in collaborazione con le locali autorità sanitarie e amministrative, a monitorare e ridurre sensibilmente la diffusione della malattia nei Colli Euganei. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Parasitology Research.

Dal 2005, sorveglianza attiva e coinvolgimento della popolazione

Nel 2005 si è verificato un focolaio autoctono di leishmaniosi canina nel comune di Baone, situato in provincia di Padova, nella parte meridionale dei Colli Euganei. Negli anni successivi il focolaio è stato monitorato attivamente dai servizi veterinari locali, con l’attiva collaborazione dell’Università di Padova – Dipartimento di Medicina animale, produzioni e salute, l’IZSVe, i veterinari libero professionisti e le amministrazioni locali.

Sono state implementate diverse attività, finalizzate al controllo sanitario della popolazione canina ma anche alla sensibilizzazione della popolazione locale nei confronti della malattia. Sono state organizzate campagne di prelievi di sangue per i controlli sierologici dei cani (LeishDay 2006, 2007 e 2010) e incontri ripetuti con i loro proprietari (2006, 2008 e 2011) per promuovere l’adozione di misure preventive specifiche, come l’utilizzo di presidi repellenti i flebotomi vettori. Inoltre, nel 2009, l’amministrazione comunale di Baone ha gratuitamente fornito ai proprietari dei collari con antiparassitario da utilizzare nella stagione estiva.

Dal 2013, valutazione degli interventi di monitoraggio e prevenzione

Negli anni successivi sono state organizzate campagne di prelievi di sangue per i controlli sierologici dei cani (LeishDay) e incontri ripetuti con i loro proprietari per promuovere l’adozione di misure preventive specifiche. In seguito, nel 2013 e 2017, sono state effettuate due nuove campagne  di test sierologici sui cani, che hanno dimostrato come la sieroprevalenze fosse diventata significativamente inferiore rispetto all’inizio dell’epidemia.

Per valutare l’efficacia degli interventi messi in atto per ridurre la diffusione della malattia, sono state successivamente effettuate due nuove campagne (2013 e 2017) di test sierologici sui cani; al momento del prelievo, i proprietari degli animali hanno compilato un questionario per indicare le pratiche adottate per proteggere il proprio animale dalle punture dei flebotomi. Sempre nell’estate del 2017 è stata condotta anche un’indagine entomologica per aggiornare i dati di diffusione del flebotomo.

La prevenzione funziona

I dati raccolti sono stati confrontati statisticamente con quelli degli anni precedenti. I risultati mostrano come la sieroprevalenza nei cani (ovvero la presenza di anticorpi specifici per leishmaniosi canina sviluppati in seguito alla puntura di flebotomi infetti) sia ora significativamente inferiore a quella registrata all’inizio dell’epidemia, passando dal 32,4% nel 2006/2007, al 23,6% nel 2013 e infine al 6,3% nel 2017, nonostante la densità dei flebotomi sia rimasta pressoché stabile. Si è notato anche che i cani positivi nel 2017 (solo 4 su 64) avevano più di 6 anni, mentre i cani giovani non erano venuti a contatto con flebotomi infetti nelle stagioni precedenti.

La maggior parte dei proprietari di cani intervistati ha dichiarato di utilizzare regolarmente gli insetticidi topici sui propri cani durante la stagione dei flebotomi. Questo studio rappresenta infatti la prima esperienza italiana di controllo efficace di un focolaio stabile di leishmaniosi canina di nuova introduzione grazie all’uso massivo di insetticidi topici, applicati volontariamente dai cittadini interessati in un contesto non controllabile sperimentalmente.

Non ultimo, questa esperienza dimostra soprattutto che l’approccio attivo e collaborativo tra ricercatori, veterinari libero professionisti, autorità locali e cittadini è la chiave vincente per ottenere risultati eccellenti nella gestione di un focolaio di leishmaniosi.

Fonte: IZS Venezie




ISS: il punto sulla pandemia

Il punto sulla pandemia, dalla prima fase ai possibili scenari futuri in vista anche del virus influenzale: tutti gli strumenti a disposizione della sanità pubblica in un rapporto congiunto ISS e Ministero della Salute

Le criticità riscontrate nella prima fase pandemica, l’elaborazione di possibili scenari futuri e lo sviluppo di nuovi strumenti per fronteggiarli rafforzando i servizi sanitari. E’ una vera e propria “cassetta degli attrezzi” la nuova pubblicazione dell’ISS e del Ministero della Salute pubblicata in vista anche della prossima stagione influenzale dove si prevede la co-circolazione del virus SARS-CoV-2 e di virus influenzali stagionali.

Entrambi i virus, infatti, presentano una sintomatologia simile e richiedono una conferma di laboratorio per accertare la diagnosi differenziale. Diventa quindi estremamente importante il monitoraggio concomitante di casi di infezione da SARS-CoV-2 e da virus influenzali e la realizzazione di test diagnostici molecolari multipli. Proprio con questo obiettivo l’ISS ha avviato l’integrazione nel sistema InfluNet della sorveglianza COVID-19, con richiesta ai laboratori della Rete InfluNet di testare sistematicamente i tamponi pervenuti oltre che per virus influenzali anche per il virus SARS-CoV-2.

Questo documento ha l’obiettivo di rafforzare il coordinamento dei sistemi sanitari regionali e la pianificazione nazionale per fronteggiare un eventuale aumento nel numero di nuove infezioni da SARS-CoV-2. Si prevedono 4 diversi scenari possibili nella stagione autunno-inverno 2020- 2021.

SCENARIO 1: Situazione di trasmissione localizzata (focolai) sostanzialmente invariata rispetto al periodo luglio-agosto 2020, con Rt regionali sopra soglia per periodi limitati (inferiore a 1 mese) e bassa incidenza, nel caso in cui la trasmissibilità non aumenti sistematicamente all’inizio dell’autunno, le scuole abbiano un impatto modesto sulla trasmissibilità e i sistemi sanitari regionali riescano a tracciare e tenere sotto controllo i nuovi focolai, inclusi quelli scolastici.

SCENARIO 2: Situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa ma gestibile dal sistema sanitario nel breve e medio periodo, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente compresi tra Rt=1 e Rt=1,25. Un’epidemia con queste caratteristiche di trasmissibilità potrebbe essere caratterizzata da una costante crescita dell’incidenza di casi e corrispondente aumento dei tassi di ospedalizzazione e dei ricoveri in terapia intensiva. La crescita del numero di casi potrebbe però essere relativamente lenta, senza comportare un rilevante sovraccarico dei servizi assistenziali per almeno 2-4 mesi.

SCENARIO 3: Situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario nel medio periodo, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente compresi tra Rt=1,25 e Rt=1,5. Un’epidemia con queste caratteristiche di trasmissibilità dovrebbe essere caratterizzata da una più rapida crescita dell’incidenza di casi rispetto allo scenario e potrebbe comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali entro 2-3 mesi. È però importante osservare che qualora l’epidemia dovesse diffondersi prevalentemente tra le classi di età più giovani, come osservato nel periodo luglio-agosto 2020, e si riuscisse a proteggere le categorie più fragili (es. gli anziani), il margine di tempo entro cui intervenire potrebbe essere maggiore.

SCENARIO 4: Situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente maggiori di 1,5. Anche se una epidemia con queste caratteristiche porterebbe a misure di mitigazione e contenimento più aggressive nei territori interessati, uno scenario di questo tipo potrebbe portare rapidamente a una numerosità di casi elevata e chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali, senza la possibilità di tracciare l’origine dei nuovi casi. La crescita del numero di casi potrebbe comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali entro 1-1,5 mesi, a meno che l’epidemia non si diffonda prevalentemente tra le classi di età più giovani, come osservato nel periodo luglio-agosto 2020, e si riuscisse a proteggere le categorie più fragili (es. gli anziani).

Fonte: ISS




Convocazione Assemblea dei Soci SIMeVeP 2020

Assemblea SIMeVePL’Assemblea dei Soci della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva è convocata il giorno 22 ottobre 2020 alle ore 06.30 in via ordinaria in prima convocazione e il giorno 22 ottobre 2020 alle ore 15.00 in seconda convocazione e si svolgerà in videoconferenza.

All’ordine del giorno ci sarà l’approvazione del bilancio consuntivo 2019 e del bilancio preventivo 2020.

I codici di accesso verranno pubblicati nella mattinata del 22 ottobre 2020.

 

 

 




Nanomateriali? Non causano danni gravi agli organismi

nanotecnologieUno studio coordinato dal Cnr, con l’Istituto di biochimica e biologia cellulare (Ibbc) di Napoli e l’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica (Irib) di Palermo, pubblicato su Small, ha indagato i rapporti tra nanoparticelle e sistema immunitario di diversi esseri viventi, scoprendo reazioni simili e assenza di effetti patologici irreversibili. Un riscontro che ne incoraggia l’uso in medicina. La ricerca è frutto di una collaborazione internazionale finanziata dal programma Marie Sk?odowska-Curie di Horizon 2020

 I nanomateriali sono sostanze di dimensione infinitamente piccola con caratteristiche peculiari tali da consentirne una vasta gamma di applicazioni nell’ambito della biomedicina, dell’energia, dell’ambiente e dell’alimentazione. Se il loro uso da un lato fa parte della nostra vita quotidiana, dall’altro potrebbe avere delle ripercussioni sulla salute umana e sull’ambiente. L’immunità innata è la prima linea di difesa condivisa dalla maggior parte degli organismi viventi, dalle piante all’uomo. Ma cosa succede se un organismo incontra un nanomateriale? Il suo sistema immunitario lo riconosce come una minaccia?

A questa domanda ha cercato di rispondere uno studio coordinato dal Cnr, con l’Istituto di biochimica e biologia cellulare (Ibbc) di Napoli e l’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica (Irib) di Palermo, pubblicato sulla rivista Small. “In generale, il sistema immunitario reagisce con una reazione che culmina con l’eliminazione del corpo estraneo e poi si spegne per permettere il riparo del tessuto eventualmente danneggiato e il ripristino della sua integrità fisica e funzionale. Una risposta immune indotta dalle nanoparticelle può essere quindi considerata la risposta fisiologica atta a preservare lo stato di salute di un organismo”, spiegano le coordinatrici della ricerca Diana Boraschi del Cnr-Ibbc e Annalisa Pinsino del Cnr-Irib.

“Questo lavoro ha affrontato per la prima volta il tema della sicurezza dei nanomateriali attraverso uno studio comparativo della risposta immune innata: dalle piante agli invertebrati marini e terrestri, fino all’uomo. Sono stati progettati dei test biologici capaci di consentire l’identificazione delle modalità di interazione fra nanomateriali e sistema immunitario, le conseguenze sulle funzioni immuni e l’impatto che questi effetti potrebbero avere nella diagnosi e nella cura delle patologie umane”, prosegue Boraschi.

“La scoperta che abbiamo fatto è che l’interazione dei nanomateriali con gli organismi viventi attiva reazioni immunitarie comuni a tutti gli organismi e che, in generale, i nanomateriali non causano danni irreversibili o reazioni immunitarie patologiche”, precisa Pinsino. “Sebbene si tratti di ricerca di base, le nostre scoperte rappresentano un buon punto di partenza per pensare a un impiego intelligente delle nanoparticelle per la diagnosi e la cura personalizzata di tumori e patologie immunitarie”.

“Molti nanomateriali possono essere considerati immunologicamente sicuri e questo rappresenta un punto a favore dello sviluppo delle nanotecnologie intelligenti applicate alla medicina. Un’altra fondamentale scoperta è che il rapporto nanoparticelle-sistema immunitario può variare nelle diverse cellule e tessuti e, negli individui, in base all’età e alle condizioni di salute. Ciò implica la possibilità di puntare, come obiettivo realistico, a un loro impiego in medicina a livello individuale, cioè alla nanosicurezza e nanomedicina personalizzata”, conclude Boraschi.

Lo studio è stato sviluppato con il supporto del programma Marie Sk?odowska-Curie di Horizon 2020 chiamato Pandora (Probing the safety of nano-objects by defining immune responses of environmental organisms), per un budget di oltre 2.5 milioni di euro e un consorzio di 10 membri europei ed extraeuropei.

Fonte: CNR




ISS – Domande e risposte sull’RT del Covid-19

L’Istituto Superiore di Sanità ha predisposto una serie di domande e risposte sul numero di riproduzione netto (Rt):

Perché l’Rt Nazionale non sempre cresce sopra 1 se i casi aumentano? Come interpretare l’Rt nella fase di transizione epidemica di Covid-19 in Italia

Nelle ultime 5 settimane in Italia si è assistito ad un aumento nell’incidenza dei casi di COVID-19 mentre l’indice di trasmissione nazionale (Rt) calcolato sui casi sintomatici non sempre ha superato il valore medio di 1 nello stesso periodo, tranne nell’ultima settimana.

Sebbene possa non essere intuitivo, i due dati non sono in contraddizione ma danno informazioni complementari.

Perché non sono in contraddizione?

I due indicatori sono calcolati su dati leggermente diversi. Infatti il conteggio dei casi si riferisce al numero complessivo delle persone con infezione confermata da SARS-CoV-2 diagnosticate ciascun giorno sul territorio italiano (per data di diagnosi), mentre l’Rt è calcolato sul sottogruppo dei casi con sintomi non importati e riferito ai tempi in cui questi sintomi si sono sviluppati (per data di inizio sintomi).  Quindi il calcolo dell’Rt è relativo ad una parte della curva e ad un periodo temporale “sfalsato” di circa 1 settimana.

R0, Rt: cosa sono, come si calcolano?

Il numero di riproduzione di una malattia infettiva (R0) è il numero medio di infezioni trasmesse da ogni individuo infetto ad inizio epidemia, in una fase in cui normalmente non sono effettuati specifici interventi (farmacologici e no) per il controllo del fenomeno infettivo. R0 rappresenta quindi il potenziale di trasmissione, o trasmissibilità, di una malattia infettiva non controllata. Tale valore R0 è funzione della probabilità di trasmissione per singolo contatto tra una persona infetta ed una suscettibile, del numero dei contatti della persona infetta e della durata dell’infettività. La definizione del numero di riproduzione netto (Rt) è equivalente a quella di R0, con la differenza che Rt viene calcolato nel corso del tempo. Rt permette ad esempio di monitorare l’efficacia degli interventi nel corso di un’epidemia.

R0 e Rt possono essere calcolati su base statistica a partire da una curva di incidenza di casi giornalieri (il numero di nuovi casi, giorno per giorno). Per calcolare R0 o Rt non è necessario conoscere il numero totale di nuove infezioni giornaliere.

Perché calcoliamo Rt solo sui soli casi sintomatici?

Il metodo statistico di calcolo di Rt è robusto se viene calcolato su un numero di infezioni individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo. Regione per regione, i criteri con cui vengono individuati i casi sintomatici o i criteri con cui vengono ospedalizzati i casi più gravi sono costanti, e il numero di questo tipo di pazienti è quindi strettamente legato alla trasmissibilità del virus. Al contrario, l’individuazione delle infezioni asintomatiche dipende molto dalla capacità di effettuare screening da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare molto nel tempo. Ad esempio, la capacità di fare screening può aumentare significativamente quando diminuisce l’incidenza totale della malattia e quindi il carico di lavoro sul sistema sanitario. Il risultato è che un maggiore o minore aumento dei casi asintomatici trovati non dipende dalla trasmissibilità del virus ma dal numero di analisi effettuate.

Per questi motivi, le stime di R0 ed Rt non tengono conto delle infezioni asintomatiche. Si sottolinea a tal riguardo l’aumento continuo della capacità offerta diagnostica dei tamponi rino-naso faringei per la diagnosi molecolare e di altri test di screening quali test sierologici e test rapidi antigenici il cui utilizzo ha aumentato la probabilità di identificare le infezioni asintomatiche.

Quindi si è scelto di stimare la trasmissibilità di SARS-COV-2 nelle diverse regioni italiane fin da febbraio 2020 a partire dalla curva dei casi sintomatici giornalieri in quanto meno influenzato dal cambiamento che si è verificato in Italia nelle politiche di accertamento diagnostico su soggetti asintomatici (che in queste settimane costituiscono la maggior parte dei casi diagnosticati).

Come vengono considerati i casi importati nel calcolo di Rt?

Una considerazione a parte meritano le infezioni (sintomatiche) importate, cioè le infezioni contratte all’estero ed individuate al successivo ritorno in Italia. Queste infezioni possono essere considerate in due modi diversi: A) dal momento dell’ingresso in Italia queste persone (sia italiane che non) possono trasmettere esattamente come le persone che si sono infettate in Italia; B) oppure, queste persone sono rapidamente identificate (es. all’aeroporto) e isolate non contribuendo alla trasmissione in Italia. Essendo molto alta l’attenzione sugli ingressi/rientri dall’estero questo ci farebbe propendere per lo scenario B; tuttavia, sono già stati descritti diversi focolai autoctoni originatisi da persone infettatesi all’estero. Di conseguenza, è probabile che il loro contributo stia da qualche parte tra gli scenari A) e B). In assenza di dati di sufficiente qualità per comprendere meglio il ruolo delle infezioni importate dall’estero sull’epidemiologia di COVID-19 in Italia, si è al momento deciso di considerare lo scenario A). Va rimarcato che se fosse al contrario vero lo scenario B), questo comporterebbe una trasmissibilità di SARS-COV-2 in Italia maggiore di quanto riportato, anche perché le infezioni importate rappresentano una percentuale non trascurabile del totale in questo ultimo periodo.

Qual è l’informazione aggiuntiva che ci fornisce l’Rt calcolato in questo modo in aggiunta al dato sul numero di nuovi casi diagnosticati?

Rt ci dice che, nonostante sia osservato un aumento continuo dei casi totali da metà luglio, al netto dei casi asintomatici identificati attraverso attività di screening/tracciamento dei contatti e dei casi importati da stato estero (categorie non mutuamente esclusive), vi è stata stabilizzazione e solo recentemente un lieve aumento della trasmissibilità. Questo ci permette di affermare assieme ad altri dati che, sebbene il numero di casi riportato giornalmente sia numericamente simile a quanto riportato alla fine di febbraio 2020, la fase epidemiologica è completamente diversa con casi diagnosticati quasi esclusivamente in sintomatici ed un Rt stimato ad oltre 2.

Come va interpretato?

Questo dato, letto assieme a quello sul numero di nuovi casi diagnosticati ogni giorno, suggerisce che il grande lavoro svolto dai servizi territoriali ha per il momento contenuto la diffusione del virus sul nostro territorio. La maggior parte dei casi è identificato attraverso screening di popolazione e ricerca dei contatti con identificazione dei focolai e rapida realizzazione di misure di isolamento e quarantena. Il fatto che non vi sia sovraccarico dei servizi assistenziali è una conferma di questo. Allo stesso tempo però l’aumento dei casi diagnosticati conferma che ci sia una elevata circolazione del virus (sia autoctono che re-introdotto da altri Paesi) dà conto dell’aumento del lavoro richiesto agli stessi servizi territoriali le cui capacità di risposta rischiano di essere messe a dura prova.

Nota metodologica

La stima di R(t) viene effettuata con un metodo statistico consolidato [1], che stima la distribuzione a posteriori tramite un algoritmo Markov Chain Monte Carlo (MCMC) applicato alla seguente funzione di verosimiglianza

Dove, oltre a R(t):

  • P(k; λ) è la densità di una distribuzione Poisson, ovvero la probabilità di osservare k eventi se questi avvengono a una frequenza media λ.
  • C(t) è il numero di casi sintomatici con data di inizio sintomi al giorno t, con t=1,…,T
  • I(t) è il numero di casi sintomatici importati da un’altra regione o dall’estero aventi data inizio sintomi nel giorno t; essendo un sottoinsieme di C(t), si ha che C(t) ³ I(t) a ogni t.
  • p(T) è la distribuzione del tempo di generazione (una distribuzione gamma con parametri di shape = 1.87 e rate = 0.28, stimata su dati della regione Lombardia [2]).

 

Bibliografia essenziale

[1] Cori A, Ferguson NM, Fraser C, Cauchemez S. A new framework and software to estimate time-varying reproduction numbers during epidemics. Am J Epidemiol. 2013;178(9):1505-1512. doi:10.1093/aje/kwt133

[2] D Cereda, M Tirani, F Rovida, V Demicheli, M Ajelli, P Poletti, F Trentini, G Guzzetta, V Marziano, A Barone, M Magoni, S Deandrea, G Diurno, M Lombardo, M Faccini, A Pan, R Bruno, E Pariani, G Grasselli, A Piatti, M Gramegna, F Baldanti, A Melegaro, S Merler. The early phase of the COVID-19 outbreak in Lombardy, Italy. ArXiv:2003.09320v1, 2020.

Fonte: ISS




Il virus della rosolia passato dagli animali all’uomo

Nuova ipotesi dopo la scoperta di virus simili in topi e pipistrelli
Potrebbe essersi originato negli animali per poi passare all’uomo. Lo suggerisce la scoperta di due suoi stretti ‘parenti’, trovati in un gruppo di pipistrelli ugandesi e in alcuni topi in Germania. Descritti su Nature da due gruppi di ricerca indipendenti, questi nuovi virus sembrano essere innocui per l’uomo, ma non è possibile escludere che in futuro possano fare il salto di specie causando nuove epidemie.

“Saremmo negligenti a non preoccuparci, visto cosa sta accadendo nel mondo oggi”, afferma Tony Goldberg, epidemiologo dell’Università del Wisconsin tra i coordinatori dello studio. Il Rubella virus, il virus della rosolia isolato per la prima volta nel 1962, era considerato finora l’unico esemplare della sua famiglia. La sua eradicazione a livello globale è considerata come un obiettivo raggiungibile dall’Organizzazione mondiale della sanità perché al momento non sono noti animali che possano essere contagiati diventando un pericoloso serbatoio di infezione. A cambiare le carte in tavola potrebbe essere proprio l’identificazione dei suoi nuovi ‘parenti’.

Il virus Ruhugu, trovato in Africa, e il virus Rustrela, individuato in Germania, sono infatti presenti in specie di mammiferi molto comuni: quasi la metà dei topi e dei pipistrelli testati dai ricercatori sono risultati positivi. Ciò fa pensare che questi animali possano fungere da riserva per i virus, in quanto portatori sani che possono trasmettere l’infezione. Lo studio suggerisce dunque che il virus della rosolia, come tanti altri virus che colpiscono l’uomo, potrebbe essersi originato negli animali, ma non è noto se possa passare nuovamente dall’uomo agli animali. Se questo accadesse, o se i due nuovi virus arrivassero a contagiare l’uomo, la lotta alla rosolia si troverebbe a un punto di svolta. Le analisi dei ricercatori suggeriscono comunque che i virus Ruhugu e Rustrela sarebbero così simili al Rubella virus da poter essere fermati grazie all’attuale vaccino per la rosolia.

Fonte: ANSA