Covid: studio, seconda ondata inevitabile per effetti climatici

Cambiamenti climaticiLa “seconda ondata” della pandemia potrebbe non avere nulla a che vedere con la mancanza di prudenza o di adeguate misure di controllo. Secondo uno studio condotto da Talib Dbouk e Dimitris Drikakis, ricercatori dell’Università di Nicosia a Cipro, avere due focolai all’anno durante una pandemia è praticamente inevitabile, a causa dell’impatto delle temperature, dell’umidità e del vento.

I risultati, pubblicati sulla rivista Physics of Fluids, evidenziano che sebbene le mascherine, le restrizioni dei viaggi e le linee guida per il distanziamento sociale aiutino a rallentare la crescita dei nuovi contagi a breve termine, a giocare un ruolo chiave a lungo termine sono soprattutto gli effetti climatici.

Per questo, gli studiosi sostengono che bisognerebbe incorporarli nei modelli epidemiologici.

Attualmente i modelli per prevedere il comportamento di un’epidemia contengono solo due parametri di base: la velocità di trasmissione e la velocità di recupero. Questi tassi tendono a essere trattati come costanti, ma Dbouk e Drikakis pensano che in realtà non sia così. Secondo gli studiosi, temperatura, umidità relativa e velocità del vento giocano tutti un ruolo significativo.

Per questo, gli studiosi suggeriscono di modificare i modelli in modo che tengano conto anche di queste condizioni climatiche.

I ricercatori hanno chiamato questa nuova variabile Indice del tasso di infezione nell’aria (Air). Quando hanno applicato l’indice AIR ai modelli di Parigi, New York City e Rio de Janeiro, hanno scoperto che prediceva accuratamente il momento della seconda epidemia in ciascuna città, suggerendo che due focolai all’anno sono un fenomeno naturale.

Inoltre, il comportamento del virus a Rio de Janeiro è risultato nettamente diverso dal comportamento del virus a Parigi e New York, a causa delle variazioni stagionali negli emisferi settentrionale e meridionale, coerenti con i dati reali. Gli autori sottolineano l’importanza di tenere conto di queste variazioni stagionali quando si progettano misure per la gestione della pandemia.

“Proponiamo che i modelli epidemiologici debbano incorporare gli effetti climatici attraverso l’indice AIR”, dice Drikakis. “I lockdown nazionali o i lockdown su larga scala non dovrebbero essere basati su modelli di previsione a breve termine che escludono gli effetti della stagionalità meteorologica“, aggiunge. “In caso di pandemia, dove non è disponibile una vaccinazione massiccia ed efficace, la pianificazione del governo dovrebbe essere a lungo termine, considerando gli effetti meteorologici e progettando di conseguenza le linee guida per la salute e la sicurezza pubblica“, sottolinea Dbouk. Man mano che la temperatura aumenta e l’umidità diminuisce, Drikakis e Dbouk si aspettano un altro miglioramento nel numero di infezioni, sebbene notino che le linee guida su uso mascherine e su distanziamento sociale dovrebbero continuare a essere seguite con le opportune modifiche basate sul clima.

Fonte: AGI




Ormai imminente l’eradicazione della peste dei piccoli ruminanti

FAOA livello mondiale, negli ultimi anni, il numero di focolai di peste dei piccoli ruminanti (PPR – peste des petits ruminants), è diminuito di due terzi, mostrando l’impegno della comunità internazionale nel combattere questa malattia animale altamente contagiosa e alimentando le speranze di centrare l’obiettivo dell’eradicazione mondiale di questa malattia entro il 2030.

La PPR può essere letale per gli animali (con un tasso di mortalità che varia dal 30 al 70%) ma non colpisce l’uomo. Ciò premesso, la PPR produce comunque gravi conseguenze per la sicurezza alimentare, nonché per i mezzi di sussistenza e la resilienza delle comunità. Nel 2019 (anno cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili) sono scoppiati poco più di 1200 focolai di PPR in tutto il mondo, rispetto agli oltre 3500 del 2015, secondo i nuovi dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e i suoi partner.

La riduzione dei focolai di PPR è riconducibile all’impatto delle campagne di vaccinazione in oltre 50 paesi: campagne finanziate e portate avanti con il sostegno della FAO e dei suoi partner. In solo 12 di questi paesi, sono stati vaccinati oltre 300 milioni di capi ovini e caprini fra il 2015 e il 2018. Due le aree geografiche più colpite dalla PPR, con il maggior numero di focolai riscontrati nel periodo 2015-2019; l’Asia (oltre il 75%) e l’Africa (oltre il 24%), ma la malattia potrebbe anche non essere stata documentata in modo completo. Quasi la metà di tutti i focolai del periodo considerato ha interessato solo cinque paesi, sottolineando la necessità urgente di rafforzare la prevenzione e i meccanismi di controllo.

La PPR si è diffusa a un ritmo allarmante negli ultimi 15 anni. Più di 70 paesi, soprattutto in Asia, Africa e Medio Oriente, hanno segnalato la presenza della malattia da quando venne individuata per la prima volta in Côte d’Ivoire negli anni ‘40. Nella sua fase più critica, la malattia, se fuori controllo, rischia di infettare fino all’80% dei 2,5 miliardi di piccoli ruminanti a livello globale, esercitando enorme pressione su alcune delle popolazioni più vulnerabili al mondo.

Per circa 300 milioni di nuclei familiari, i piccoli ruminanti (ovini e caprini) costituiscono una fonte alimentare e di reddito. Tali nuclei, pertanto, rischiano di perdere i loro mezzi di sussistenza se la malattia non viene tenuta sotto controllo. Si stima, inoltre, che la PPR causi perdite economiche fino a 2,1 miliardi di USD l’anno. All’inizio era considerata una malattia come la peste bovina, ma che colpiva solo i piccoli ruminanti domestici. Nel recente passato, tuttavia, la PPR ha infettato cammelli, bovini, bufali e anche varie specie selvatiche, dal bufalo africano fino all’antilope saiga in Asia.

La strada per eradicare la PPR

Nel 2015, la comunità internazionale si è prefissata l’obiettivo di eradicare la PPR entro il 2030. Da allora, la FAO e l’Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE) hanno sviluppato e attuato la Strategia mondiale per il controllo e l’eradicazione della PPR. “Eradicare questa malattia è possibile e fondamentale per mettere fine a povertà e fame. Non solo salverebbe una preziosa fonte di cibo e di reddito per molte persone vulnerabili; potrebbe anche prevenire la migrazione di intere famiglie, un rischio che esiste quando vengono distrutti i loro mezzi di sussistenza. Un mondo libero dalla PPR offrirebbe anche più sicurezza e possibilità di emancipazione per le donne rurali, spesso responsabili del bestiame”, afferma Maria Helena Semedo, Vicedirettore generale della FAO.

Da maggio 2020 (ultimi dati disponibili), 58 paesi e una regione della Namibia sono stati riconosciuti “liberi dalla PPR”. Gli ultimi paesi a essere inseriti in questo elenco, l’anno scorso, sono la Russia e il Lesotho. Inoltre, 21 paesi, che non hanno registrato nuovi casi per cinque anni di seguito, possono preparare la documentazione per essere ufficialmente dichiarati, dall’OIE, “paesi liberi dalla PPR”. Per essere considerato ufficialmente libero dalla PPR, il paese è sottoposto a un rigoroso processo in quattro fasi (valutazione, controllo, eradicazione e post-eradicazione) portato avanti da FAO e OIE.

La vaccinazione è essenziale per la prevenzione e il controllo della PPR, sulla base dell’esperienza di successo dell’eradicazione della peste bovina nel 2011 da parte di FAO, OIE e dei loro partner, e della disponibilità di vaccini efficaci contro la PPR. La FAO e l’OIE raccomandano di portare avanti la vaccinazione contro la PPR per due anni consecutivi, seguita dalla vaccinazione degli animali neonati per uno o due anni di seguito.

Principali ostacoli alla lotta contro la PPR

“Se i focolai di PPR sono notevolmente diminuiti negli ultimi anni, resta invece estesa la portata dell’infezione da virus PPR, sia a livello geografico che di animali ospiti, e occorre fare di più per combattere la malattia”, spiega Felix Njeumi, veterinario e Coordinatore del programma PPR della FAO.

La mancanza di vaccini, i movimenti delle greggi e, soprattutto, le sfide logistiche per proseguire il programma vaccinale continuano a rimanere gli ostacoli principali per prevenire e controllare la PPR. Il costo di una dose di vaccino rappresenta circa un ottavo del costo di distribuzione del vaccino.

Nessuno dei vaccini esistenti è termotollerante e, pur esistendo una tecnologia capace di superare il problema della termotolleranza, la maggior parte dei paesi dove la PPR è endemica si trova nell’area geografica tropicale o subtropicale con risorse limitate per garantire la catena del freddo necessaria per la conservazione e il trasporto dei vaccini.

I vaccini esistenti al momento, inoltre, non fanno differenza fra animali infetti e non vaccinati. “Riconosciamo l’assoluta importanza della vaccinazione contro la PPR per eradicare questa malattia e proteggere la salute e il benessere animale, oltre ai mezzi di sussistenza delle persone. La banca dei vaccini contro la PPR offre tempestivamente agli agricoltori vaccini di alta qualità ed economicamente accessibili, grazie ai quali paesi e regioni possono poi dichiararsi liberi dalla PPR”, asserisce Jean-Philippe Dop, Vicedirettore generale dell’OIE per gli Affari istituzionali e le attività regionali.

La banca e le riserve di vaccino contro la PPR costituite dalla FAO, dall’OIE e da altri partner hanno migliorato la garanzia di qualità e la fornitura dei vaccini. Per riuscire a eradicare la PPR, tuttavia, occorre colmare la carenza di finanziamenti per le campagne di vaccinazione e altre attività del programma. La prima fase del programma mondiale contro la PPR prevedeva, come obiettivo, la vaccinazione di 1,5 miliardi di piccoli ruminanti entro la fine del 2021. Il 50% dell’obiettivo è stato raggiunto a metà del 2020, ma la pandemia da COVID-19, l’anno scorso, ha inciso molto negativamente sui servizi veterinari, tra cui anche le vaccinazioni contro la PPR e la documentazione dei focolai.

Conseguenze negative che continueranno nel 2021 con il mondo ancora alle prese con la pandemia. La FAO sottolinea la necessità di attuare misure di prevenzione e controllo, che devono essere coordinate tra paesi confinanti, al fine di limitare il passaggio transfrontaliero della malattia. Inoltre, risulta essenziale rafforzare la sorveglianza e il monitoraggio sierologico post-vaccinale a livello nazionale.

Si stima a 340 milioni di USD la carenza di finanziamenti per il Programma mondiale di eradicazione della PPR. Gravi problemi permangono, sia a livello finanziario che logistico. Tuttavia, gli ultimi dati evidenziano dei progressi, indicando l’impegno dei paesi, della FAO e dell’OIE per eradicare la PPR e giustificando un cauto ottimismo. La seconda fase (2022-2027) del programma sarà elaborata nel 2021.

Fonte: FAO




Codici zoom per partecipare all’Assemblea SIMeVeP

Assemblea SIMeVePPubblichiamo i codici per partecipare all’Assemblea dei Soci SIMeVeP che si terrà alle ore 17.00 sulla piattaforma Zoom.

CODICI ZOOM 

https://us02web.zoom.us/j/88948097759

ID: 889 4809 7759

 

 




ISPRA: ’Annuario dei dati ambientali 2020′

albero, proteggereIn attesa di conoscere gli effetti della pandemia sull’ambiente nel 2020 con l’Annuario dei dati ambientali ISPRA, che sarà presentato il prossimo autunno, viene fotografato lo stato dell’ambiente nel 2019. Nella pubblicazione sono disponibili i dati sui principali temi ambientali: qualità dell’aria, clima, biodiversità, mare, rifiuti.

Annuario in cifre, rivolto ai cittadini, ai tecnici, agli studiosi e ai decisori politici, è un documento di tipo statistico che restituisce in forma sintetica e maggiormente divulgativa una selezione dei contenuti e degli indicatori più significativi per le Aree tematiche della Banca dati indicatori ambientali. Contiene un indice, una breve introduzione all’Area tematica e l’elenco degli indicatori selezionati per rappresentarla, opportunamente descritti.

Il documento presenta, per ciascun indicatore scelto, prevalentemente la serie storica più rappresentativa corredata da commenti, brevi informazioni o dati particolarmente rilevanti posti in evidenza. A ogni indicatore trattato corrisponde un solo grafico, ritenuto più rappresentativo dagli esperti e, quindi, selezionato anche per l’abstract della Banca dati indicatori. Inoltre, per una più immediata lettura sono riportati specifici simboli che identificano lo Stato, il Trend, l’appartenenza ad altri core-set (SDGs, Green deal) e il riferimento a Obiettivi fissati dalle normative.

Annuario dei Dati Ambientali 2020

Fonte: ISPRA




COVID-19, identificato dall’IZS di Torino il primo caso in Italia di variante inglese su gatto

gattoI laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLV) hanno identificato il primo caso di variante inglese di SARS-CoV-2 (lineage B.1.1.7) in un gatto.

Da bibliografia è la prima segnalazione a livello nazionale.

Si tratta di un gatto maschio castrato di razza europea, otto anni, che vive nel novarese in un contesto domestico. I sintomi respiratori nel gatto sono comparsi una decina di giorni dopo l’insorgenza della malattia e dall’isolamento domiciliare dei suoi conviventi.

Grazie al tempestivo intervento del Servizio Veterinario della Asl di Novara, che ha seguito con scrupolo le linee guida del Ministro della Salute, i campioni del test sono stati trasmessi all’IZSPLV dove è stata diagnosticata la positività al Covid-19, e dove, a seguito di ulteriori accertamenti, è stata riscontrata la presenza della variante inglese.

Il gatto, come i suoi proprietari, ora sono in via di guarigione.

L’IZSPLV sta lavorando all’approfondimento del caso in stretta connessione con la Regione Piemonte e il Ministero della Salute.

«La positività del gatto non deve generare allarmi – osserva Bartolomeo Griglio, responsabile della Prevenzione della Regione Piemonte -; a causa della malattia dei loro proprietari, gli animali d’affezione si ritrovano a vivere in ambienti a forte circolazione virale. Non è dunque inatteso che anch’essi possano contrarre l’infezione, ma non esiste evidenza scientifica sul fatto che giochino un ruolo nella diffusione del Covid-19. Il contagio interumano rimane la principale via di diffusione della malattia».

Sul piano della gestione sanitaria degli animali di pazienti infetti, la raccomandazione generale è di adottare comportamenti utili a ridurre quanto più possibile l’esposizione degli animali al contagio, evitando, ad esempio, i contatti ravvicinati con il paziente, così come si richiede agli altri membri del nucleo familiare.

«Gli organismi internazionali che si sono occupati dell’argomento – rileva Griglio – consigliano di evitare effusioni e di mantenere le misure igieniche di base che andrebbero sempre tenute come il lavaggio delle mani prima e dopo essere stati a contatto con gli animali, con la lettiera o la scodella del cibo».

«La diagnosi di Covid-19 su un gatto e l’identificazione della variante inglese effettuate presso il nostro Istituto – dichiara il direttore generale dell’IZSPLV, Angelo Ferrari – dimostrano quanto il sistema dei controlli e la gestione integrata della pandemia siano efficaci e pronti ad agire tempestivamente rispetto a quanto accade sul territorio».

A complimentarsi per primo con l’Istituto Zooprofilattico è l’assessore regionale alla Sanità del Piemonte, Luigi Genesio Icardi: «Mi congratulo per il lavoro di alta professionalità che l’istituto sta svolgendo, nell’emergenza pandemica il sequenziamento dei virus è un’attività strategica. Anche in questo caso, l’Istituto si conferma un’eccellenza scientifica di livello nazionale».

L’approfondimento scientifico

La sequenza parziale del gene S con tecnica Sanger, comprendente la regione del “Receptor Binding Domain di Sars-CoV-2”, ha permesso di osservare la presenza dell mutazione N501Y e di altre tre mutazioni (A570D, P681H, T716I) che, insieme con la delezione 69-70, precedentemente rilevata con il test diagnostico in real time PCR (ThermoFisher), sono compatibili con la variante inglese VOC 202012/01. Sono in corso gli approfondimenti diagnostici, mediante sequenziamento dell’intero genoma con tecnica NGS, per l’attribuzione del “lineage” genomico.

Fonte: IZS Torino




SARS-CoV-2 nei visoni: raccomandazioni per migliorare il monitoraggio

logo-efsaIn un nuovo rapporto si raccomanda il rilevamento precoce di SARS-CoV-2 (coronavirus) negli allevamenti di visoni dell’Unione europea come obiettivo prioritario delle attività di monitoraggio.

Il rapporto, redatto dall’EFSA e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), propone alcune strategie di monitoraggio che contribuiranno a prevenire e controllare la diffusione della malattia.  Vi si conclude che tutti gli allevamenti di visoni vanno considerati a rischio di SARS-CoV-2 e che il monitoraggio dovrebbe comprendere, oltre alla sorveglianza passiva da parte di allevatori e veterinari, misure attive come test sugli animali e sul personale.

Il rapporto è stato richiesto dalla Commissione europea in seguito ai focolai epidemici di SARS-CoV-2 verificatisi negli allevamenti di visoni in vare parti d’Europa nel 2020.

Al gennaio 2021 il virus era stato rilevato in 400 allevamenti di visoni in otto Paesi dell’UE/SEE, di cui 290 in Danimarca, 69 nei Paesi Bassi, 21 in Grecia, 13 in Svezia, 3 in Spagna, 2 in Lituania, 1 in Francia e in Italia.

Fonte: EFSA




I grandi carnivori riconquistano il territorio

Imbattersi in una lince, sentire l’ululato di un lupo, osservare un orso. Forse potrebbe non essere più tanto difficile e insolito in alcune aree, non ora che queste specie stanno ricolonizzando gran parte della loro storica area di distribuzione in Europa.

Dopo essere stati spinti sull’orlo dell’estinzione nel secolo scorso, negli ultimi decenni linci, lupi e orsi stanno ricolonizzando l’Europa, complici il cambiamento nell’uso del suolo e la diversa densità di popolazione, ma non la graduale espansione delle aree protette. È quanto emerge dal recente studio condotto da un gruppo internazionale di 11 Paesi coordinato da ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie della Sapienza Università di Roma e del Cnr. Questi fattori sembravano aver influenzato il ritorno dei grandi carnivori in Europa negli ultimi 24 anni, ma fino a oggi l’effettivo ruolo svolto era stato poco chiaro. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Diversity and Distributions, indicano che tra il 1992 e il 2015 la combinazione di questi elementi abbia contribuito all’aumento della presenza di queste tre specie nell’Europa orientale, nei Balcani, nella penisola iberica nord-occidentale e nella Scandinavia settentrionale, mentre tendenze contrastanti sono emerse per l’Europa occidentale e meridionale.

“È molto probabile che la coesistenza dei grandi carnivori con gli esseri umani in Europa non sia legata solo alla disponibilità di un habitat idoneo, ma anche a fattori come la tolleranza da parte dell’uomo e le politiche per diminuire la caccia di queste specie”, spiega Marta Cimatti della Sapienza, primo autore del lavoro. “Questo permette di avere nuove opportunità per riconciliare la conservazione e la gestione di queste specie con lo sviluppo socioeconomico nelle aree rurali”.

Luca Santini, ricercatore della Sapienza e del Cnr e senior author dello studio, sottolinea: “sfruttare i cambiamenti socioeconomici e paesaggistici per creare nuove opportunità di recupero per le specie sarà una sfida per l’Europa, cui si dovranno affiancare una corretta educazione ambientale, norme legislative e una gestione mirata a mitigare i conflitti fra uomo e fauna selvatica nelle aree recentemente ricolonizzate dai questi grandi carnivori”.

“L’associazione tra il diverso uso del suolo, l’abbandono delle aree rurali, l’aumento delle aree protette e l’espansione dei grandi carnivori in Europa sarà importante anche nei prossimi decenni”, conclude Luigi Boitani della Sapienza, coautore e presidente della Large Carnivore Initiative for Europe, “e suggerisce che la ricolonizzazione di vaste aree europee continuerà e che dunque saranno necessari maggiori sforzi per far coesistere l’uomo e questi grandi carnivori”. 


Riferimenti pubblicazione: “Large carnivore expansion in Europe is associated with human population density and land cover changes – Cimatti M., Ranc N., Benítez-López A., Maiorano L., Boitani L., Cagnacci F., ?engi? M., Ciucci P., Huijbregts M.A.J., Krofel M., López Bao J., Selva N., Andren H., Bautista C., Cirovic D., Hemmingmoore H., Reinhardt I., Maren?e M., Mertzanis Y., Pedrotti L., Trbojevi? I., Zetterberg A., Zwijacz-Kozica T., Santini L – Diversity and Distributions, 2021. DOI 10.1111/ddi.13219
https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/ddi.13219

Fonte: CNR




EYWA, sistema di allarme rapido per le malattie trasmesse dalle zanzare

EYWA (EarlY WArning System for Mosquito borne disease) è un sistema di monitoraggio che risponde alle esigenze di prevenzione e protezione dalla salute pubblica contro le malattie trasmesse da zanzare (MBD, mosquito-borne diseases). Ideato e coordinato dall’Osservatorio Nazionale di Atene / BEYOND Center of Earth Observation Research and Satellite Remote Sensing, dal 2020 EYWA si avvale della collaborazione di diverse realtà di ricerca europee impegnate nella ricerca e nel controllo della diffusione dei vettori, tra cui anche il Laboratorio di parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria (SCS3) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe)

Che cos’è EYWA?
EYWA è un insieme di modelli epidemiologici ed entomologici basati sui grandi dati di osservazione della Terra e combinati con parametri ambientali, climatici e meteorologici, socioeconomici e demografici. Obiettivo di EYWA è usare questa infrastruttura di dati per definire dei modelli predittivi di diffusione dei vettori, funzionali al monitoraggio e alla prevenzione delle malattie trasmesse da zanzare.

EYWA è un insieme di modelli epidemiologici ed entomologici, convalidati e dinamici, basati sui grandi dati di osservazione della Terra e combinati con parametri ambientali, climatici e meteorologici, socioeconomici e demografici. Obiettivo di EYWA è usare questa infrastruttura di dati per definire dei modelli predittivi di diffusione dei vettori, funzionali al monitoraggio e alla prevenzione delle MBD.

In linea con i principi della scienza aperta, EYWA raccoglie e combina nel proprio sistema dati relativi a parametri ambientali essenziali, serie temporali meteo, dati del portale GEOSS e dati dal programma di osservazione terrestre Copernicus (C3S, ERA5, IMERG, CLMS, ecc.). Questi vengono poi integrati con dati entomologici ed epidemiologici (casi di malattie negli animali e nell’uomo) che verranno forniti dai cinque Paesi europei membri del consorzio (Grecia, Francia, Germania, Italia e Serbia), dove l’Italia è rappresentata da IZSVe, Fondazione Edmund Mach e Università di Trento.

I dati sono pubblicati in una piattaforma Web GIS a disposizione delle organizzazioni sanitarie nazionali e delle autorità pubbliche, nonché degli istituti di ricerca e delle aziende private. Attraverso un continuo approccio di co-progettazione e co-creazione, EYWA ha raggiunto il livello di preparazione tecnologica TRL 7, che corrisponde alla “dimostrazione di un prototipo di sistema in ambiente operativo”. Negli anni a venire, EYWA includerà i dati anche di altri Paesi e di ulteriori MBD, per rendere il sistema sempre più globale, anche oltre i confini europei.

EYWA raccoglie e combina nel proprio sistema dati provenienti da diverse fonti, integrandoli con dati entomologici ed epidemiologici che vengono forniti dai cinque Paesi europei membri del consorzio (Grecia, Francia, Germania, Italia e Serbia). I dati sono pubblicati in un’apposita piattaforma Web GIS.

L’approccio EYWA è interdisciplinare: entomologia, epidemiologia, ecologia, big data analytics, intelligenza artificiale e citizen science sono combinati e integrati in un’unica filiera per offrire ai gestori del rischio e alle autorità sanitarie un sistema di allarme rapido (early warning system) a supporto dei sistemi decisionali per la gestione delle epidemie da vettori.

Sulla base dei dati raccolti e disponibili in EYWA, le autorità di sanità pubblica e le figure coinvolte nella gestione del rischio saranno facilitate nel processo di contenimento delle MBD: i modelli predittivi di distribuzione dei vettori e dei focolai forniranno indicazioni evidence based per pianificare in modo più efficiente e puntuale le azioni di monitoraggio dei vettori e di prevenzione dei focolai, mitigando il loro impatto sul territorio e ottimizzando risorse umane ed economiche a tutela della salute pubblica.

Il ruolo dell’IZSVe

Il Laboratorio di parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria dell’IZSVe è coinvolto in EYWA dal suo inizio, nel 2020. Tra i partner del progetto, l’IZSVe è stato il primo ente, in accordo con il Dipartimento di Prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria della Regione Veneto, a fornire ai coordinatori di EYWA dati entomologici ed epidemiologici (casi di West Nile disease nell’uomo) relativi al territorio di competenza. Grazie ai dati condivisi dall’IZSVe è stato possibile validare i primi modelli predittivi sviluppati dal sistema EYWA, collaborazione che continuerà anche nei prossimi anni per affinare le previsioni di insorgenza di MBD.

Per approfondire

Visita la pagina del progetto sul sito BEYOND: http://beyond-eocenter.eu/index.php/web-services/eywa




OIE: pubblicata la “Quinta relazione annuale sull’uso degli antibiotici negli animali a livello globale”

valutare_antibioticiL’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (OIE) ha pubblicato la sua quinta relazione annuale sull’uso degli antibiotici negli animali a livello globale (in inglese).

Sulla base dei dati comunicati da 69 paesi per gli anni tra il 2015 e il 2017, è stata rilevata una diminuzione complessiva del 34% dell’indicatore globale mg/kg che indica una tendenza verso un uso sempre più razionale degli antimicrobici negli animali.

L’OIE sta attualmente sviluppando un sistema IT interattivo e automatizzato che fornirà ai paesi accesso 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per rivedere, analizzare ed utilizzare i propri dati nazionali, consentendo all’OIE di mantenere il proprio impegno a fornire analisi dei dati globali al pubblico.

Fonte: alimenti-salute.it




Un nuovo metodo per la rilevazione delle tossine botuliniche senza l’impiego di animali da laboratorio

laboratorio di ricercaL’Istituto  Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha validato un  nuovo metodo per la rilevazione dell’attività biologica delle tossine botuliniche di tipo C e D ed i rispettivi mosaici  CD e DC alternativo all’uso di animali da laboratorio. Lo studio è stato condotto dai ricercatori dalla sezione di Treviso dell’IZSVe, in collaborazione con il Centro di riferimento nazionale per il botulismo dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta (USA), e pubblicato sulla rivista scientifica Toxins.

Le tossine botuliniche sono proteine neurotossiche, prodotte da batteri per lo più del genere Clostridium, che causano il botulismo, una malattia potenzialmente fatale che provoca paralisi flaccida. Sono attualmente conosciuti 7 sierotipi della  tossina botulinica, denominati con le lettere dalla A alla G. Le tossine di tipo A, B, E ed F sono principalmente  causa di botulismo nell’uomo, mentre i tipi C e D interessano gli animali.

Il test di riferimento per l’identificazione delle tossine botuliniche è la prova biologica su topo. L’IZSVe, in collaborazione con ISS e CDC, ha validato un nuovo metodo per la rilevazione dell’attività biologica delle tossine botuliniche di tipo C e D senza l’impiego di animali da laboratorio, basato sull’utilizzo di uno spettrometro di massa comunemente presente nei laboratori di microbiologia diagnostica.

La disponibilità di un metodo sensibile, affidabile e rapido per la rilevazione di queste tossine è determinante  sia per la salute umana sia per quella animale. Il test di riferimento per l’identificazione  delle tossine botuliniche è la prova biologica su topo. Tale metodo seppur molto sensibile e specifico grazie all’uso di antisieri per i singoli sierotipi, prevede però  il sacrificio di numerosi animali e richiede almeno quattro giorni per la conferma di un esito negativo. Il sacrificio di animali ad uso diagnostico pone inoltre numerosi problemi di carattere etico, e per tale motivo si stanno cercando sempre nuovi metodi alternativi che non prevedano l’uso di animali da laboratorio.

Il nuovo metodo denominato “EndoPep-MS” è stato inizialmente sviluppato dai ricercatori dei CDC di Atlanta utilizzando spettrometri di massa ad alta risoluzione, molto costosi e che possono essere utilizzati solo da personale altamente qualificato. Tale peculiarità lo rendeva poco impiegabile nei comuni laboratori di diagnostica. I ricercatori dell’IZSVe hanno invece validato e implementato il metodo “EndoPep-MS” utilizzando uno spettrometro di massa comunemente presente nei laboratori di microbiologia diagnostica sia in campo umano che veterinario.

I test hanno dimostrato che il metodo “EndoPep-MS” può essere applicato con risultati sovrapponibili o addirittura migliori in termini di sensibilità rispetto alla prova biologica per la rilevazione delle tossine botuliniche C e D e per le loro forme a mosaico CD e DC, anche su strumenti meno performanti di quelli con cui è stato sviluppato. I risultati permettono di considerare questo metodo come una valida alternativa alla prova biologica su topo, in quanto può essere facilmente eseguito nei laboratori di microbiologia senza la necessità di personale specializzato nella spettrometria di massa.

Fonte: IZS Venezie