NutrInform Battery. Pubblicato il Manuale d’uso

Il Manuale fornisce le condizioni d’uso del marchio NutrInform Battery nonché le indicazioni sulla sua progettazione, presentazione e posizionamento in coerenza con le modalità di presentazione delle informazioni di cui al regolamento (UE) n. 1169/2011.

Il Manuale è pubblicato ai sensi dell’articolo 1, comma 4 del Decreto 19 novembre 2020 “Forma di presentazione e condizioni di utilizzo del logo nutrizionale facoltativo complementare alla dichiarazione nutrizionale in applicazione dell’articolo 35 del regolamento (UE) 1169/2011” pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 304 del 7 dicembre 2020.

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Basso rischio di infezione parassitaria in gran parte delle specie ittiche allevate nelle acque europee

pesciBuone notizie per i consumatori di pesce europei: c’è un parassita di cui non si devono preoccupare quando consumano pesce d’allevamento prodotto dalla maricoltura d’Europa. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista «Eurosurveillance», il rischio correlato a questo parassita, chiamato Anisakidae, è trascurabile per il pesce di mare allevato in Europa. L’aumento della domanda di prodotti ittici in Europa e le nuove tendenze alimentari che prevedono il consumo di pesce crudo o poco cotto potrebbero avere aumentato la nostra esposizione ai parassiti dei pesci. Il diritto europeo richiede pertanto l’applicazione di un trattamento di congelamento ai prodotti ittici destinati a essere consumati crudi o poco cotti. L’unica specie esente da tale trattamento è il salmone atlantico per il quale, come dimostrato dagli studi precedenti, il rischio che contenga parassiti è molto basso. Con il sostegno del progetto ParaFishControl, finanziato dall’UE, lo studio in questione si è dunque concentrato sulla presenza di parassiti di Anisakidae zoonotici, ovvero trasmessi dagli animali agli esseri umani, nelle specie ittiche marine più allevate in Europa, ad esclusione del salmone atlantico. L’Anisakidae è una famiglia di vermi nematodi parassiti presenti nell’intestino degli animali. Se questi vermi vengono ingeriti da una persona tramite il consumo di pesce crudo o poco cotto, le loro larve possono provocare una malattia chiamata anisachiasi. Identificata per la prima volta negli esseri umani nel 1960, questa malattia è considerata una grave minaccia per la salute umana ed è la causa di migliaia di sindromi invasive e allergiche correlate in tutto il mondo, come affermato dallo studio.

Le specie ittiche studiate

I ricercatori hanno valutato il rischio di presenza del parassita Anisakidae zoonotico in orate, branzini, rombi chiodati e trote iridee marine allevati nei mari europei. Da marzo 2016 a novembre 2018 sono stati analizzati in totale 6 549 pesci marini: 2 753 orate, 2 761 branzini e 1 035 rombi chiodati. I campioni sono stati raccolti da 14 allevamenti in Grecia, Spagna e Italia. In aggiunta, sono stati esaminate 200 trote iridee provenienti dalla Danimarca, oltre a 290 branzini e 352 orate importati in Spagna e in Italia da Croazia, Grecia e Turchia. Secondo lo studio, l’orata, il branzino e il rombo chiodato «rappresentano il 95 % della produzione della maricoltura dell’UE, escludendo il salmone atlantico, e vengono allevati quasi interamente in 19 paesi mediterranei, tra cui Grecia, Spagna e Italia sono i più importanti produttori dell’UE». Data l’assenza di vermi di Anisakidae zoonotici nel pesce esaminato, il gruppo di ricerca ha scoperto che il rischio di infezione è trascurabile per la gran parte delle specie ittiche prodotte dalle attività della maricoltura europea. Gli autori dello studio concludono: «Orate, branzini, rombi chiodati e trote iridee marine allevati dovrebbero pertanto essere considerati adatti, al pari del salmone atlantico, a beneficiare dell’esenzione dal trattamento di congelamento previsto dal regolamento UE 1276/2011 per i prodotti di itticoltura, nella forma di “prodotti della pesca che vanno consumati crudi o praticamente crudi; oppure i prodotti della pesca marinati, salati e qualunque altro prodotto della pesca trattato, se il trattamento praticato non garantisce l’uccisione del parassita vivo”». Il progetto ParaFishControl (Advanced Tools and Research Strategies for Parasite Control in European farmed fish) si è concluso a marzo 2020. Il suo obiettivo generale è stato rendere il settore dell’acquacoltura europea più sostenibile e competitivo. Per raggiungerlo, il progetto ha migliorato la comprensione scientifica delle interazioni tra pesci e parassiti, trovando modi per evitare, controllare e mitigare la presenza dei parassiti più pericolosi che interessano le specie ittiche maggiormente allevate in Europa.

Per ulteriori informazioni, consultare: sito web del progetto ParaFishControl

Fonte: Commissione Europea




Biodiversità, la tutela degli insetti impollinatori al centro della nuova direttiva

impollinatoriNell’atto del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani diretto a parchi nazionali e aree marine protette si sottolinea l’urgenza dell’azione di tutela, confermata anche dalla pandemia in corso

Proteggere e ripristinare la biodiversità e assicurare il mantenimento dei servizi ecosistemici. In particolare: proseguire e migliorare le azioni a tutela degli insetti impollinatori, dai quali dipende oltre il 70% della produzione agricola per la nostra alimentazione, e di monitoraggio dell’habitat coralligeno. Questi gli obiettivi della Direttiva 2021 agli enti parco nazionali e alle aree marine protette per l’indirizzo delle attività dirette alla conservazione della biodiversità. Obiettivi la cui urgenza, sottolinea l’introduzione dell’atto firmato dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, è stata ribadita dalla pandemia in corso e che costituiscono “uno dei pilastri sui cui costruire una ripresa economica dell’Italia agganciata al Green Deal europeo”.

Dopo l’istituzione delle cosiddette “aree protette”, avvenuta con legge nel 1991, periodicamente il ministro dell’Ambiente (ora della Transizione ecologica) emana direttive di “indirizzo delle attività dirette alla conservazione della biodiversità”. Pur mantenendo uno sguardo globale sul tema della tutela della biodiversità, e quindi sulle sue minacce (consumo di suolo, urbanizzazione, emissioni inquinanti e climalteranti), la Direttiva Biodiversità 2021 si focalizza sulle azioni dirette ad affrontare il declino degli insetti impollinatori. Si tratta di un problema globale, che ha colpito molti paesi dell’Unione Europea e anche l’Italia e che è al centro anche della nuova Strategia dell’UE per la biodiversità e del relativo Piano per il ripristino della natura.

Gli Enti Parco nazionali, si legge nel documento, dovranno “assicurare la prosecuzione e il consolidamento delle azioni sugli impollinatori”. Centrale è l’attività di monitoraggio, che risulta essenziale per studiare il fenomeno del declino di questi insetti, comprenderne le cause e pianificare azioni di contrasto efficaci. Tale attività dovrà essere aggiornata alla luce dello schema di monitoraggio europeo, pubblicato lo scorso ottobre per fornire informazioni complete sulle popolazioni degli agenti impollinatori. Il monitoraggio dovrà interessare, secondo la Direttiva Biodiversità 2021 “gli apoidei selvatici e i lepidotteri diurni, nonché sirfidi e lepidotteri notturni”.

Agli Enti Parco nazionali è richiesto inoltre di individuare e proporre, entro il 15 maggio 2021, piani di azione per la conservazione della biodiversità da sviluppare con altri parchi. Le attività sugli insetti impollinatori, invece, saranno oggetto di una relazione intermedia da sottoporre alla Direzione per il patrimonio naturalistico del MiTe, oltre che della rendicontazione prevista per fine anno.

La Direttiva Biodiversità 2021 prevede, infine, azioni di monitoraggio dell’habitat coralligeno che dovranno essere svolte dalle Aree marine protette. Queste dovranno, inoltre, “stimare il disvalore generato dall’impatto delle attività di pesca” su tale habitat e proseguire le attività di raccolta dati già avviate con le direttive precedenti.

La Direttiva è consultabile al seguente link.

Fonte: Ministero della Transizione Ecologica




Covid19: al G20 Iss propone piattaforma di formazione in sanità pubblica per fronteggiare le crisi sanitarie future

logo ISSSarà il Public Health Officer la risposta alle emergenze sanitarie future e l’Istituto Superiore di Sanità propone una piattaforma per la formazione. È questa la proposta lanciata in occasione del G20, il meeting organizzato daPalazzo Chigi che ha visto partecipare i delegati di tutti i Paesi membri, i rappresentanti di alcuni Paesi ospiti, delle Agenzie delle Nazioni Unite e di Istituzioni italiane ed internazionali, in occasione dell’evento virtuale “G20 Public Health Officers (PHOs) training Laboratorium to lead preparedness and response to health crisis”.
“Il Public Health Officer rappresenta un trait d’union tra il mondo scientifico della medicina e della sanità pubblica e l’universo dei decisori – dice Silvio Brusaferro – da qui nasce la proposta di creare un Laboratorium internazionale, un luogo virtuale di incontro e scambio di idee, che ha l’obiettivo di rendere armonica la formazione d’eccellenza dei professionisti di sanità pubblica, per guidare la prevenzione, la preparazione e la risposta alle crisi sanitarie in tutto il mondo”.
L’Istituto Superiore di Sanità si propone di ospitare le migliori attività formative in tema di sanità pubblica, nate e consolidate durante la pandemia, fondamentali per la risposta a tutte le future crisi sanitarie internazionali.

Fonte: ISS




Pesticidi negli alimenti: presentati gli ultimi dati

Pubblicato l’ultimo rapporto sui residui di pesticidi negli alimenti nell’Unione europea, uno spaccato dei tenori di residui riscontrati nell’intero territorio in un paniere di prodotti di largo consumo. 

Nel 2019 sono stati analizzati complessivamente 96 302 campioni di alimenti, dei quali il 96,1% è risultato nei limiti di legge. Quanto al sottoinsieme di 12 579 campioni analizzato in base al programma di controllo coordinato dall’UE (EUCP) si è riscontrato che era nei limiti di legge il 98% di essi.

L’EUCP ha analizzato campioni presi a caso in 12 prodotti alimentari: mele, cavoli cappuccio, lattuga, pesche, spinaci, fragole, pomodori, avena in chicchi, orzo in chicchi, vino (rosso e bianco), latte vaccino e grasso di maiale. Di questi campioni:

  • 6 674, ovvero il 53%, sono risultati privi di residui quantificabili;
  • 5 664, ovvero il 45%, contenevano uno o più residui in concentrazioni inferiori o pari ai limiti ammessi;
  • il 2% infine, cioè 241 campioni, conteneva residui eccedenti il massimo di legge, dei quali l’1% è stato sottoposto a misure legali.

Il programma coordinato utilizza a rotazione triennale panieri di prodotti analoghi, in modo da poter individuare per prodotti specifici tendenze in aumento o diminuzione. Rispetto al 2016 il tasso di sforamento risulta diminuito per pesche (da 1,9% a 1,5%), lattuga (da 2,4% a 1,8%), mele (da 2,7% a 2,1%) e pomodori (da 2,6% a 1,7%); aumentato invece per fragole (da 1,8% a 3,3%), cavoli cappuccio (da 1,1% a 1,9%), uva da vino (da 0,4% a 0,9%) e grasso di maiale (da 0,1% a 0,3%). Come nel 2016 non risultano sforamenti nel latte vaccino.

L’EFSA ha tradotto le risultanze del programma coordinato in grafici e diagrammi disponibili sul proprio sito web, rendendo i dati più accessibili ai non specialisti.

Oltre ai dati armonizzati e confrontabili raccolti nell’ambito del programma coordinato UE, il rapporto annuale dell’EFSA utilizza anche i dati provenienti dalle attività di controllo nazionali dei singoli Stati membri dell’UE, della Norvegia e dell’Islanda.

Questi programmi nazionali di controllo sono mirati sul rischio, quindi su prodotti con presenza probabile di residui di pesticidi o nei quali siano state individuate violazioni delle norme negli anni precedenti. Essi forniscono  informazioni importanti ai gestori del rischio ma, a differenza dei dati provenienti dal programma coordinato dall’UE, non forniscono un quadro statisticamente rappresentativo dei livelli di residui che ci si aspetterebbe di trovare negli alimenti in vendita in Europa.

Nell’ambito dell’analisi dei risultati l’EFSA ha effettuato anche una valutazione dei rischi alimentari. Tale analisi suggerisce che i prodotti alimentari analizzati nel 2019 abbiano poca probabilità di rappresentare un problema per la salute dei consumatori. Vengono tuttavia avanzate alcune raccomandazioni per aumentare l’efficienza dei sistemi di controllo europei, al fine di garantire come sempre un elevato livello di tutela dei consumatori.

Fonte:  EFSA




Studiare gli effetti di propagazione dei patogeni dagli animali agli esseri umani

zoonosiGli scienziati di tutto il mondo stanno facendo a gara per chiarire gli effetti di propagazione, ovvero quando la diffusione delle malattie si verifica tra comunità animali ed esseri umani. Questa ricerca potrebbe contribuire a una migliore protezione contro malattie future.

Come ha mostrato la pandemia di COVID-19, le malattie infettive hanno il potere di alterare il nostro stile di vita. Uno dei principali meccanismi di fondo che gli scienziati stanno tentando di comprendere è l’effetto di propagazione, vale a dire quando e come avviene la trasmissione di patogeni tra specie, passando dagli animali agli esseri umani. Questo fenomeno si verifica molto in natura, ma la sua velocità si è drasticamente impennata negli ultimi decenni. Gran parte di tale incremento è attribuibile all’invasione e al danneggiamento degli habitat animali a livello mondiale da parte degli esseri umani, ad esempio, tramite l’ampliamento delle aree agricole in regioni densamente boscose e remote. Il più recente e drammatico esempio è rappresentato dal salto di specie del virus SARS-CoV-2 da un serbatoio animale agli esseri umani, comportando l’affermarsi della devastante pandemia di COVID-19. Ulteriori esempi riguardano il virus dell’HIV e dell’Ebola. «È evidente che esiste un rischio costante di nuove malattie infettive emergenti nel prossimo futuro. Per cercare di arginare il salto di specie dei patogeni, si dimostra determinante comprendere i meccanismi biologici che trainano la propagazione», spiega Benny Borremans, ecologista delle malattie presso l’Università della California di Los Angeles, partner del progetto. Questo era l’obiettivo del progetto SpiL, finanziato dall’UE. Il progetto SpiL ha esaminato una serie di dati formidabile relativa alla diffusione della Leptospira, un patogeno batterico che provoca la leptospirosi tra popolazioni di leoni marini della California e di volpi delle Channel Islands. «Il progetto ha effettuato una sintesi di concetti e casi di studio provenienti dalla letteratura in materia per l’elaborazione di una nuova teoria sulla propagazione dei patogeni tra ecosistemi», afferma Borremans, responsabile della ricerca del progetto SpiL nonché borsista del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie.

Progressi scientifici

Il primo importante risultato affronta un problema diffuso quando si tratta di studiare la diffusione di una malattia in una popolazione, per cui è difficile conoscere il momento esatto in cui una persona si è contagiata, in particolare nelle popolazioni animali. Un nuovo e promettente approccio misura il decadimento nei biomarcatori di infezione, tra cui gli anticorpi o la presenza di materiale genetico del patogeno. Ciò permette ai ricercatori di calcolare in maniera retrospettiva il verificarsi dell’infezione. «Questo tipo di analisi è stato tradizionalmente condotto solo tramite dati di infezione sperimentali. Un grande passo in avanti compiuto dal nostro operato è stato permettere l’esclusivo utilizzo di dati sul campo», spiega Niel Hens, professore di biostatistica presso l’Università di Hasselt, in Belgio, e coordinatore del progetto SpiL. Una nuova analisi statistica creata dal gruppo del progetto ha consentito l’integrazione di biomarcatori differenti, migliorando il calcolo retrospettivo del momento in cui avviene l’infezione. «Questo metodo costituisce un importante passo in avanti in questo ambito», aggiunge Hens. Questa attività ha fornito un vantaggio immediato per la comprensione della risposta immunitaria contro il virus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della COVID-19. Uno studio di risposta rapida, condotto da Borremans, è stato pubblicato sulla rivista eLife. Un secondo fondamentale risultato è stato lo sviluppo di una nuova teoria sulla propagazione. Il concetto che l’incontro di diversi ecosistemi si traduca nella propagazione è in circolazione da un po’ di tempo, ma i progressi teorici in merito si rivelano carenti. «Tramite la sintesi della letteratura in materia, abbiamo promosso nuovi concetti sulla propagazione dei patogeni in prossimità dei confini tra ecosistemi», afferma Jamie Lloyd-Smith, professore di ecologia e coordinatore delle attività del progetto svolte presso l’Università della California. I risultati potrebbero trovare un impiego immediato nella prevenzione degli effetti da propagazione. «Riteniamo che, sebbene siano molti i motivi per aspettarsi effettivamente velocità di propagazione più elevate ai confini tra ecosistemi, esistono anche meccanismi che riducono le velocità di propagazione», spiega Lloyd-Smith.

Ricerca futura

Al fine di evitare l’insorgenza di pandemie future e di comprendere davvero la propagazione, gli scienziati dovranno istituire una rete globale di indagine volta al monitoraggio continuo dei campioni presenti nella fauna selvatica e negli esseri umani. «Al centro di molti di questi tentativi si pongono i metodi di modellizzazione quantitativa, come quelli elaborati durante il progetto SpiL», afferma Borremans.

Fonte: Commissione Europea




Influenza Aviaria – EFSA: 25 paesi UE/SEE interessati

Circa 1 000 rilevamenti di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) sono stati segnalati in 25 Paesi UE/SEE e nel Regno Unito tra l’8 dicembre 2020 e il 23 febbraio 2021, si segnala in un recente rapporto sull’HPAI in Europa.

La maggior parte dei 1 022 rilevamenti – 592 – sono stati segnalati negli allevamenti di pollame, il resto in uccelli selvatici e uccelli in cattività. La maggior parte dei rilevamenti sono stati segnalati dalla Francia tra le anatre.

A causa della continua presenza di virus HPAI negli uccelli selvatici e nell’ambiente, c’è tuttora rischio di ulteriore diffusione, principalmente nelle aree ad alta densità di pollame.

In Russia sono stati segnalati nell’uomo sette casi di infezione da virus A(H5N8) HPAI, con sintomi lievi o nulli, tra addetti del settore pollame.

Il rischio di infezione legato al virus dell’influenza aviaria A(H5N8) rimane molto basso per la popolazione dell’UE/SEE in genere e basso per le persone esposte al virus per motivi professionali.

Rimane la possibilità che emergano nuovi ceppi con un maggiore potenziale di infettare gli esseri umani, ma a oggi non c’è evidenza di alcuna mutazione nota per il suo potenziale zoonotico.

Maggiori informazioni sulla situazione in Russia si possono reperire nel rapporto pubblicato questa settimana dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.

Fonte: EFSA




Il cambiamento climatico ha modificato la distribuzione dei pipistrelli favorendo la comparsa del virus SarsCov2

Il riscaldamento globale potrebbe avere favorito l’emergere del virus SarsCoV2. Lo indica la ricerca dell’università di Cambridge pubblicata sulla rivista Science of the total environment, che per la prima volta stabilisce un collegamento fra le condizioni climatiche delle foreste nel Sud della Cina e la comparsa di nuovi coronavirus veicolati dai pipistrelli.

La ricerca ha studiato i cambiamenti su larga scala avvenuti nella vegetazione della provincia meridionale cinese dello Yunnan, nel Myanmar e in Laos. Con l’aumento delle temperature, della luce solare e dell’anidride carbonica nell’atmosfera, il cambiamento climatico ha modificato gli habitat naturali, dalla savana tropicale alle foreste decidue, che sono così diventati gli ambienti adatti per molte specie delle specie di pipistrelli che vivono nelle foreste.

I ricercatori hanno infatti riscontrato che, rispetto alla media, sono aumentate del 40% le specie di pipistrelli che nell’utimo secolo si sono spostate nel Sud della Cina, dove sono stati isolati più di 100 tipi di coronavirus che hanno origine nei pipistrelli. Questa zona è inoltre quella in cui i dati genetici suggeriscono che possa essere nato il coronavirus SarsCoV2.

Il cambiamento climatico degli ultimi 100 anni ha reso la provincia dello Yunnan l’habitat ideale per più specie di pipistrelli“, commenta Robert Beyer, primo autore dello studio. Poiché il clima ha modificato gli habitat, le specie hanno lasciato delle aree spostandosi in altre, portandosi i virus con sé. “Sono cambiate così le regioni dove erano presenti i virus e – osserva . sono diventate possibili nuove interazioni tra gli animali e i patogeni, facendo evolvere alcuni virus in modo da rendendoli più dannosi nel trasmettersi“.

Nel mondo ci sono circa 3.000 i tipi di coronavirus veicolati dai pipistrelli finora noti e ogni specie di questi mammiferi ne ospita in media 2,7, senza quasi mai mostrare sintomi. Il cambiamento climatico ha inoltre aumentato il numero di specie di pipistrelli in Africa Centrale, Centro e Sud America. “Servono limiti all’espansione delle aree urbane e agricole – dicono i ricercatori – e bisogna cercare spazi negli habitat naturali per ridurre il contatto tra umani e animali che veicolano malattie“.

Fonte: ANSA




L’IZS Abruzzo e Molise coordinerà l’analisi dei dati sulle zoonosi nella UE

Alla fine di questo difficile anno l’Istituto ha ottenuto un ulteriore successo internazionale, aggiudicandosi una gara d’appalto dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) per l’analisi dei dati sulle zoonosi e la produzione del report annuale sulle zoonosi nell’Unione Europea, in conformità alla Direttiva CE 2003/99.

L’EFSA, in collaborazione con la sua agenzia consorella: il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), e gli Stati membri della UE, raccoglie annualmente tutti i dati sul monitoraggio delle malattie zoonotiche, dei microrganismi zoonotici negli esseri umani e negli animali, negli alimenti e nei mangimi, nonché dei focolai di origine alimentare. A seguito di un’analisi approfondita dei dati raccolti, viene redatta la relazione annuale di sintesi dell’Unione Europea sulle zoonosi e sui focolai di origine alimentare.

Aggiudicandosi questa gara, per un valore di circa 2,2 milioni di euro, l’IZSAM coordinerà un consorzio di centri di ricerca composto dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’IZS delle Venezie, dall’IZS della Lombardia e dell’Emilia Romagna e dall’Agenzia nazionale francese per la sicurezza alimentare, l’ambiente e il lavoro (ANSES), che comprende più di 40 esperti nelle diverse zoonosi, in epidemiologia e in sanità pubblica.

Il Consorzio si occuperà di analizzare annualmente i dati raccolti da EFSA e ECDC, valutando i trend, la frequenza e la distribuzione geografica delle principali zoonosi nell’Unione Europea, preparando quindi il report annuale. Inoltre svilupperà sistemi innovativi su web per l’interrogazione e la disseminazione dei dati sulle zoonosi e dei risultati delle analisi epidemiologiche svolte.

Il coordinatore del progetto è il dott. Paolo Calistri, responsabile del reparto Epidemiologia e Analisi del Rischio del Centro di Referenza Nazionale per l’Epidemiologia Veterinaria, la Programmazione, l’Informazione e l’Analisi del Rischio dell’IZS dell’Abruzzo e del Molise.

Fonte IZS Abruzzo e Molise




Sicurezza alimentare: un algoritmo semplifica le procedure di controllo

Semplificare il sistema dei controlli per garantire che sulle tavole dei consumatori finiscano cibi che corrispondono, per qualità e origine, a quanto indicato in etichetta. È il risultato di un lavoro di ricerca condotto da due ricercatori del Dipartimento di Statistica e Metodi Quantitativi dell’Università di Milano-Bicocca, Francesca Greselin e Andrea Cappozzo, in collaborazione con i colleghi Ludovic Duponchel dell’Università di Lille (Francia) e Brendan Murphy dell’University College Dublin (Irlanda).

I promettenti risultati dell’analisi condotta sono stati descritti in uno studio dal titolo “Robust variable selection in the framework of classification with label noise and outliers: Applications to spectroscopic data in agri-food” (DOI: 10.1016/j.aca.2021.338245), pubblicato da Analytica Chimica Acta”, una prestigiosa rivista nell’ambito della chimica analitica e della spettroscopia. Data l’eccezionalità dei risultati ottenuti, l’articolo è stato posto in primo piano, con un artwork che lo evidenzia sulla copertina della rivista.

L’utilizzo della spettroscopia negli studi di “food authenticity”, negli ultimi decenni, ha consentito di analizzare le sostanze senza danneggiare il campione sottoposto a verifica. Grazie all’utilizzo di sistemi di “machine learning”, poi, è stato possibile semplificare l’analisi della grande mole di dati raccolti. Un ulteriore passo in avanti è quello frutto dello studio condotto dal team internazionale di ricercatori che hanno “testato” la metodologia su tre diverse tipologie di prodotti: lieviti, carne e olio. La tecnica messa a punto, infatti, consente di ridurre dall’ordine delle migliaia a quello delle decine il numero di misurazioni da acquisire dal segnale spettrometrico per un’accurata verifica che escluda adulterazioni delle sostanze. Tutto ciò con evidenti vantaggi sia in ordine di tempo che di costo delle operazioni di controllo

L’impiego di moderne tecniche di spettroscopia e “machine learning” nel settore agroalimentare aiuterà ad automatizzare i controlli dei cibi che entrano nelle nostre case, per assicurare maggiore qualità e sicurezza per consumatori. Tali metodologie, infatti, potranno trovare applicazione sia nell’ambito delle verifiche condotte dalle autorità governative, sia nelle procedure di certificazione di qualità dei prodotti.

Fonte: Comunicato Stampa Università degli Studi Milano Bicocca