Influenza aviaria da virus A(H5N1): fatti reali e potenziali scenari evolutivi

Mentre la pandemia da CoViD-19 non può ritenersi ancora del tutto estinta, complice la reiterata comparsa di nuove varianti e sottovarianti virali sempre più abili ad eludere l’immunità di popolazione conferita dalle pregresse vaccinazioni e/o infezioni da SARS-CoV-2, il virus dell’influenza aviaria A(H5N1) ad elevata patogenicita’ (highly pathogenic avian influenza/HPAI virus) sembra vieppiu’ rappresentare una minaccia globale.

Tale agente patogeno, affacciatosi per la prima volta sulla scena epidemiologica mondiale nel lontano 1959 in allevamenti di pollame in Scozia (1), sarebbe stato successivamente identificato nel 1996 in allevamenti intensivi di volatili in Cina (2), per essere infine isolato per la prima volta dall’uomo nel 1997. A tutt’oggi ammonterebbero a circa un migliaio gli episodi umani di malattia da HPAI virus A(H5N1), che sono stati segnalati in 23 Paesi e che sarebbero altresì caratterizzati, nel 50% dei casi, da una grave polmonite associata talvolta ad encefalite, nonché da esito fatale (3).

La recente comparsa sulla scena epidemiologica del clade 2.3.4.4b del virus A(H5N1), che si sarebbe diffuso in Eurasia, nelle Americhe e financo all’Artide e all’Antartide grazie alle rotte migratorie seguite dagli uccelli selvatici (4), rappresenterebbe in questo momento secondo il parere della Comunità Scientifica, congiuntamente alle infezioni sostenute da batteri antibiotico-resistenti, una delle più serie minacce pandemiche a livello globale. Ciò risulterebbe ascrivibile alla consistente diffusione geografica, alla notevole virulenza dell’agente patogeno e all’elevato indice di letalita’ dell’infezione, da un lato, nonché all’ampio e progressivamente crescente spettro d’ospite del clade virale 2.3.4.4b, complici le continue e reiterate mutazioni genetiche dello stesso (5).

In particolare, per quanto specificamente attiene al genoma di A(H5N1), sarebbero state sin qui identificate almeno 30 distinte mutazioni a carattere “non silente” – in corrispondenza, soprattutto, dell’emoagglutinina e delle polimerasi virali -, che avrebbero consentito il passaggio dell’infezione a numerose specie di volatili e di mammiferi domestici e selvatici, anche filogeneticamente (e geograficamente) distanti le une dalle altre, l’ultima delle quali sarebbe rappresentata dalla specie ovina, con un caso d’infezione riportato nei giorni scorsi in una pecora dello Yorkshire, nel Regno Unito (6). Sempre fra gli animali domestici si segnalano in special modo i bovini, nel cui latte non pastorizzato e’ stato identificato il virus e la cui ghiandola mammaria albergherebbe al proprio interno recettori in grado di riconoscere i ceppi virali di origine sia aviaria sia umana. Dai bovini allevati in Texas, Michigan ed in altre regioni statunitensi l’infezione si sarebbe quindi diffusa ai gatti attraverso il consumo di latte crudo (7) nonché all’uomo (allevatori in primis), con frequente sviluppo di congiuntivite e, occasionalmente, di sindromi febbrili e di blandi disturbi respiratori (8). Nonostante la documentata assenza di evidenza sin qui ottenuta a supporto della trasmissione di HPAI virus A(H5N1) da uomo a uomo (8), desta tuttavia preoccupazione la dimostrata suscettibilità di topi e furetti nei confronti dell’infezione sperimentalmente indotta con un ceppo virale isolato dalla congiuntiva di un allevatore texano (9). Negli animali esposti, infatti, il virus si sarebbe propagato in maniera sistemica agli organi respiratori, così come a numerosi distretti extra-respiratori (compreso il sistema nervoso centrale) dei medesimi, producendo una malattia ad esito fatale (9).

In un siffatto contesto, lo spiccato neurotropismo e la marcata neuropatogenicita’ del virus A(H5N1) nell’uomo, nel gatto ed in altri animali (10), costituirebbero ulteriori elementi di giustificato allarme per tutte quelle specie suscettibili all’infezione il cui stato di conservazione risulti gia’ più o meno seriamente minacciato. Oltremodo degni di segnalazione appaiono, al riguardo, gli episodi di mortalità collettiva segnalati nella popolazione di leoni marini (Otaria flavescens) lungo le coste di Peru’, Cile e Argentina, oltre che in alcuni esemplari di focena (Phocoena phocoena) e di tursiope (Tursiops truncatus) in Svezia ed in Florida, nonché in un orso polare in Alaska (11).

Cosa ci richiama alla mente e c’insegna al contempo tutto ciò?

La prima riflessione che viene avanti attiene alla necessità, assolutamente inderogabile ed improcrastinabile, di un approccio multidisciplinare, ispirato al concetto-principio della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – nella gestione del “rischio pandemico” e, più in generale, di qualsivoglia “rischio epidemico”, tanto piu’ in presenza di infezioni/malattie sostenute da agenti a documentata capacità zoonosica, come nello specifico caso del virus dell’influenza aviaria A(H5N1).

Nel fare e nel predisporre tutte le azioni “ad hoc” finalizzate a fronteggiare in maniera adeguata i rischi anzidetti, la collaborazione intersettoriale fra servizi medici e servizi veterinari assumerebbe inoltre una rilevanza strategica, che verrebbe ulteriormente avvalorata e potenziata dalla condivisione dei medesimi “tavoli di lavoro” da parte degli uni e degli altri. Fattispecie quest’ultima, mi preme sottolinearlo, che non ha neppure lontanamente riguardato il “Comitato Tecnico-Scientifico per la Pandemia da CoViD-19” (alias “CTS”), che non soltanto si è guardato bene dall’accogliere al proprio interno figure e competenze professionali veterinarie, ma che e’ stato invece incomprensibilmente disciolto due anni dopo la sua istituzione!

Quanto sarebbe stato utile, di contro, poter continuare a disporre di un siffatto organismo governativo, opportunamente rivisitato nella propria composizione, anche e soprattutto quando si pensi che i due terzi delle “malattie infettive emergenti” avrebbero la propria culla d’origine in uno o più serbatoi animali.

Tutto ciò mentre le mutazioni genetiche cui progressivamente ed inarrestabilmente soggiace il clade 2.3.4.4b del virus dell’influenza aviaria A(H5N1) lo starebbero rendendo sempre più in grado, con ogni probabilità, di attuare una quantomai temibile diffusione da Sapiens a Sapiens!

 

Bibliografia

1) USA Centers for Disease Control and Prevention (CDC). 1880-1959 Highlights in the History of Avian Influenza (Bird Flu) Timeline.

DOI: https://www.cdc.gov/bird-flu/avian-timeline/1880-1959.html.

2) USA Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Emergence and Evolution of H5N1 Bird Flu. (2024).

DOI: https://www.cdc.gov/flu/avianflu/communication-resources/bird-flu-origin-infographic.html.

3) USA Centers for Disease Control and Prevention (CDC). About Bird Flu. (2024).

DOI: https://www.cdc.gov/flu/avianflu/communication-resources/bird-flu-origin-infographic.html.

4) Huang P., Sun L., Li J., Wu Q., Rezaei N., Jiang S., Pan C. (2023). Potential cross-species transmission of highly pathogenic avian influenza H5 subtype (HPAI H5) viruses to humans calls for the development of H5-specific and universal influenza vaccines. Cell Discov. 9(1):58.

DOI: 10.1038/s41421-023-00571-x.

5) McKie R. (2024). Next pandemic likely to be caused by flu virus, scientists warn.

The Observer.

DOI: https://www.theguardian.com/world/2024/apr/20/next-pandemic-likely-to-be-caused-by-flu-virus-scientists-warn.

6) Mahase E. (2025). H5N1: UK reports world’s first case in a sheep. BMJ 388: r591.

DOI : https://doi.org/10.1136/bmj.r591.

7) Burrough E.R., Magstadt D.R., Petersen B., Timmermans S.J., Gauger P.C., Zhang J., Siepker C., Mainenti M., Li G., Thompson A.C., Gorden P.J., Plummer P.J., Main R. (2024). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Clade 2.3.4.4b Virus Infection in Domestic Dairy Cattle and Cats, United States, 2024. Emerg. Infect. Dis. 30(7):1335-1343.

DOI: 10.3201/eid3007.240508.

8) Garg S., et al. (2025). Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Virus Infections in Humans. N. Engl. J. Med. 392(9):843-854.

DOI: 10.1056/NEJMoa2414610.

9) Gu C., Maemura T., Guan L., et al. (2024). A human isolate of bovine H5N1 is transmissible and lethal in animal models. Nature 636:711-718. DOI: https://doi.org/10.1038/s41586-024-08254-7.

10) Bauer L., Benavides F.F.W., Veldhuis Kroeze E.J.B., de Wit E., van Riel D. (2023). The neuropathogenesis of highly pathogenic avian influenza H5Nx viruses in mammalian species including humans. Trends Neurosci. 46(11):953-970.

DOI: 10.1016/j.tins.2023.08.002.

11) Di Guardo G. (2024). Central Nervous System Disorders of Marine Mammals: Models for Human Disease? Pathogens 13(8):684.

DOI: 10.3390/pathogens13080684.

 

Giovanni Di Guardo,

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Stress da caldo: uno studio rivaluta e approfondisce gli indicatori comportamentali nelle bovine da latte

Lo “stress da caldo” negli animali allevati è uno dei fenomeni che si stanno studiando con maggiore attenzione negli ultimi anni. Infatti, questa condizione riguarda non solo il benessere animale, ma anche la sua salute e, infine, la sua produttività. Date inoltre le frequenti, a volte imprevedibili, variazioni climatiche, questo fenomeno è un oggetto di studio e approfondimenti molto interessante. Di seguito i risultati di un recente studio effettuato sulle bovine da latte.

 Le condizioni di caldo e umidità nella stalla possono causare stress da calore, che rappresenta una delle principali preoccupazioni per il benessere delle bovine da latte. È noto che lo stress da caldo riduce la produzione di latte e aumenta il rischio di problemi di salute (come zoppia e mastite) e di abbattimento; pertanto, non è solo un problema etico ma anche economico. La temperatura e l’umidità sono generalmente riconosciute come i principali fattori determinanti dello stress da calore, con la conseguente adozione diffusa dell’indice di temperatura-umidità (THI) come indicatore dello stress da calore. Tuttavia, anche altri parametri ambientali, come la radiazione solare e la velocità del vento, giocano un ruolo significativo nel determinare la gravità dello stress da calore.
Per un’efficace strategia di gestione dello stress da calore, è essenziale una diagnosi precoce dello stesso. Mentre molti allevamenti monitorano la temperatura e l’umidità nella stalla per adottare strategie di raffreddamento quando le condizioni nella stalla diventano troppo calde, gli indicatori basati sugli animali, come il comportamento delle vacche, consentirebbero un monitoraggio più accurato del carico di calore sperimentato dalle singole vacche.
Ad esempio, le vacche sottoposte a stress da calore riducono il tempo trascorso sdraiate, a mangiare e a ruminare e aumentano il tempo trascorso in piedi.

Leggi l’articolo

Fonte: assaspa.org




Affrontare le sfide sanitarie dell’acquacoltura grazie alle alghe marine

Un recente studio condotto da un team di ricercatori norvegesi e spagnoli esplora il potenziale ruolo svolto dalle alghe marine nel ridurre l’infiammazione intestinale dei pesci d’allevamento. Sostenuta dai progetti BlueRemediomics e ALEHOOP, finanziati dall’UE, la ricerca dispone del potenziale di contribuire ad affrontare le sfide poste dinanzi all’industria dell’acquacoltura al fine di mantenere la salute dei pesci. L’indagine ruota intorno a una famiglia di enzimi, chiamati metalloproteinasi di matrice (MMP) e normalmente presenti nei vertebrati, che rivestono ruoli di vitale importanza in molti processi diversi, come il rimodellamento tissutale, un processo che governa il ripristino di tessuti e organi. È stato tuttavia scoperto che questi enzimi sono implicati anche in diversi disturbi infiammatori, compresi quelli che colpiscono l’intestino. Il team di ricerca si è prefisso di scoprire se l’inclusione nella dieta di determinate specie di alghe marine dotate di proprietà di inibizione delle MMP fosse in grado di ridurre l’infiammazione intestinale che si osserva di norma quando ingredienti di origine vegetale vengono integrati nei mangimi per pesci.

Il valore degli estratti di alghe marine

Per lo studio sono state scelte tre specie di pesci carnivori, ovvero il salmone atlantico, la spigola e l’orata. I ricercatori hanno aggiunto alla dieta estratti di alghe marine brune e rosse fresche e lavorate, rilevando che questi composti bioattivi inibivano significativamente le MMP intestinali nelle tre specie bersaglio. L’équipe ha inoltre eseguito test in vitro simulando le condizioni digestive del salmone atlantico e dell’orata per scoprire che i mangimi sperimentali contenenti farina di alghe mantenevano questi effetti inibitori sulle MMP intestinali. «Le nostre simulazioni in vitro del processo digestivo nel salmone atlantico e nell’orata mediterranea dimostrano la loro elevata efficacia», riferisce Neda Gilannejad, co-autrice dello studio e ricercatrice senior presso NORCE Norwegian Research Centre AS, istituto partner del progetto BlueRemediomics, in un articolo intitolato «Tide of change: Can seaweed help with fish inflammation?» (L’onda del cambiamento: le alghe marine possono aiutare a ridurre l’infiammazione nei pesci?) di Jane Byrne, pubblicato sulla rivista «Feed Navigator». La ricerca mette in evidenza i notevoli vantaggi che l’acquacoltura può ottenere sfruttando il potenziale di risorse come le alghe. «I risultati dimostrano l’importanza rivestita dalla bioprospezione delle risorse marine per affrontare le pressanti sfide sanitarie poste dinanzi all’acquacoltura» osserva Gilannejad nello stesso articolo. Il progetto ALEHOOP (Biorefineries for the valorisation of macroalgal residual biomass and legume processing by-products to obtain new protein value chains for high-value food and feed applications), che ha sostenuto questa ricerca, si è concluso nel febbraio del 2025. In un periodo di quasi 5 anni, ha dimostrato la fattibilità della gestione della biomassa e dell’estrazione di proteine dai sottoprodotti dei legumi e ha convalidato l’utilizzo delle macroalghe verdi e di altre proteine di origine vegetale nei mangimi per animali e nei prodotti alimentari destinati agli esseri umani.

Leggi l’articolo

Fonte: Commissione Europea




Antibiotici in veterinaria. In Italia aumenta consumo, ma rimane sotto media Ue.

Per la prima volta, tutti i 27 paesi dell’Unione Europea (UE27), insieme a Islanda e Norvegia, hanno raccolto e segnalato dati sia sulle vendite che sull’uso di antimicrobici negli animali nei loro paesi. I risultati sono presentati nel primo rapporto annuale di sorveglianza sulle vendite e l’uso di antimicrobici per la medicina veterinaria (ESUAvet) in Europa. I dati coprono l’anno 2023, segnando l’inizio di un esercizio regolare che si tradurrà in rapporti annuali. A comunicarlo è l’Agenzia europea dei medicinali (Ema).

Secondo il rapporto, le vendite di antibiotici per animali destinati alla produzione alimentare hanno rappresentato il 98% delle vendite totali dell’Ue di medicinali veterinari contenenti sostanze con attività antibiotica. La classe di antimicrobici più venduta per gli animali destinati alla produzione alimentare è stata la penicillina, seguita da tetracicline e sulfonamidi.

I dati sull’uso sono stati raccolti per quattro principali specie animali destinate alla produzione alimentare nel 2023: bovini, suini, polli e tacchini, ma i dati condivisi non erano sufficientemente completi e accurati per iniziare a segnalare informazioni quantitative. Gli Stati membri si sono impegnati a consolidare i loro sistemi di raccolta dati sull’uso, con l’obiettivo di aumentare l’accuratezza e la copertura.

Il rapporto ESUAvet si basa sul progetto European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption (ESVAC), un’iniziativa volontaria tra le autorità nazionali e l’Ema per raccogliere dati affidabili sulle vendite in tutta Europa nel corso di 12 anni. Durante questo periodo è stato osservato un calo del 50% nelle vendite di antibiotici veterinari, grazie agli sforzi collettivi dei paesi che hanno fornito i dati e sviluppato strategie nazionali per incoraggiare un uso responsabile, nonché ai professionisti e agli agricoltori sul campo. I dati nei report annuali ESUAvet, raccolti tramite la piattaforma ASU, aiuteranno a identificare le tendenze nel consumo di antimicrobici negli animali in modo più accurato e con maggiore granularità, consentendo ai decisori di affrontare la crescente complessità della resistenza antimicrobica e di adottare misure appropriate per proteggere la salute sia degli animali che degli esseri umani in Europa.

Leggi l’articolo

Fonte: quotidianosanita.it




Convocazione Assemblea Soci SIMeVeP 2025

Assemblea SIMeVePL’Assemblea dei Soci della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva è convocata il giorno 10 aprile 2025 alle ore 06.30 in prima convocazione e il giorno 10 aprile 2025 alle ore 14.00 in seconda convocazione.

Si svolgerà presso la sede della SIMeVeP in Via Nizza 11 a Roma, per gli adempimenti statutari e l’analisi della programmazione delle attività SIMeVeP.

 




La One Health nel processo decisionale

Il 21 marzo 2025 si è svolto l’incontro “La One Health nel processo decisionale” organizzato da FARE SANITA’, a cui ha partecipato Maurizio Ferri in rappresentanza della SIMeVeP.

Il tavolo, a cui hanno partecipato esperti ed esperte provenienti da settori e discipline afferenti alla STEM, ha voluto segnare l’inizio di un percorso per favorire l’ingresso di One Health nei processi decisionali applicati alle città, territori, attività produttive e sanità. Essendo una scienza delle relazioni con un impatto diretto sulla prevenzione delle malattie e dei disastri naturali, One Health deve favorire l’incontro ed integrazione in chiave preventiva e dinamica di discipline tecnico-scientifiche-sociali che si occupano di ambiente, salute umana, sanità animale, attività antropiche. Di sicuro la veterinaria pubblica si presenta ontologicamente con un forte accento One Health in virtù di interventi che storicamente operano nell’interfaccia ambiente-animale-uomo.

Il primo confronto ha consentito di stabilire alcune connessioni tra gli ecosistemi, tracciare le direttrici su cui muovere la cultura One Health nel nostro paese ed evidenziare le criticità nel rapporto science-policy, come la mancanza di una cultura delle relazioni tra i responsabili politici e di un approccio integrato alle problematiche sanitarie ed ambientali.  Tale cultura si costruisce anche e soprattutto promuovendo la prospettiva One Health nell’istruzione, formazione professionale e consapevolezza pubblica.

I lavori continueranno nei prossimi mesi e un documento programmatico redatto dai partecipanti al tavolo per sensibilizzare la politica e la comunità scientifica, verrà ufficialmente presentato in occasione dell’ evento Welfar, Fiera del Fare Sanità il 4-7 Novembre 2025 alla Fiera di Roma.

Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP




Influenza aviaria: a che punto è la diffusione e perché bisogna agire ora

Che cos’è l’influenza aviaria?

L’influenza aviaria o “bird flu”, è una malattia virale causata dai virus influenzali di tipo A della famiglia Orthomyxoviridae, sono endemici negli uccelli acquatici selvatici, ma possono infettare anche altri volatili e, in alcuni casi, i mammiferi, compresi gli esseri umani. I virus dell’influenza aviaria sono classificati in base alla loro patogenicità negli uccelli in due categorie principali: influenza aviaria a bassa patogenicità (LPAI) e influenza aviaria altamente patogena (HPAI).

I virus LPAI generalmente causano una malattia lieve o possono persino non manifestare sintomi negli uccelli. Al contrario, i virus HPAI, in particolare i sottotipi H5 e H7, sono responsabili di malattie gravi che si diffondono rapidamente tra il pollame, portando a tassi di mortalità elevati in diverse specie di uccelli. È importante notare che alcuni ceppi LPAI possono mutare e diventare altamente patogeni nel pollame, sottolineando la necessità di un monitoraggio continuo.

La distinzione tra LPAI e HPAI è fondamentale per valutare il livello di minaccia per il pollame e le potenziali conseguenze economiche. La capacità di alcuni ceppi LPAI di trasformarsi in HPAI evidenzia l’importanza di una sorveglianza costante per prevenire focolai più gravi. I virus influenzali di tipo A sono ulteriormente suddivisi in sottotipi in base a due proteine presenti sulla superficie del virus: l’emagglutinina (HA) e la neuraminidasi (NA). Sono noti 18 sottotipi di HA (H1-H18) e 11 sottotipi di NA (N1-N11), che possono combinarsi in numerose varianti virali. Alcuni sottotipi specifici hanno dimostrato di poter infettare l’uomo, tra cui H5N1, H7N9, H5N6, H5N8, H3N8, H7N4, H9N2 e H10N3.

La diffusione dell’influenza aviaria tra uccelli e esseri umani

La trasmissione dell’influenza aviaria tra gli uccelli avviene principalmente tramite il contatto diretto tra uccelli infetti e sani. Gli uccelli infetti rilasciano il virus attraverso la saliva, le secrezioni nasali e le feci. Gli uccelli migratori, in particolare quelli acquatici, sono serbatoi naturali del virus e giocano un ruolo fondamentale nella sua diffusione su vaste aree geografiche. La loro capacità di migrare senza mostrare segni di malattia complica il controllo della diffusione del virus, rendendo necessaria una sorveglianza e monitoraggio internazionali.

Leggi l’articolo

Fonte: ilsole24ore.com




Stop Lattococcosi? Insieme si può…anzi, insieme si deve!

pesciStop Lattococcosi? Insieme si può…anzi, insieme si deve! – Si è conclusa la serie di workshop del progetto “Stop Lattococcosi? Insieme si può!”, che ha visto il contributo di 21 relatori e la partecipazione di oltre 90 operatori del settore. Questo percorso, promosso dal Centro di referenza nazionale per lo studio e la diagnosi delle malattie dei pesci, molluschi e crostacei, dall’Associazione Piscicoltori Italiani e da Skretting, ha rappresentato un’importante occasione di dialogo e collaborazione tra allevatori, veterinari, autorità sanitarie e amministrazioni pubbliche, ricercatori, mangimisti, aziende farmaceutiche e altri attori della filiera, tutti uniti dall’obiettivo comune di contrastare la diffusione della Lattococcosi in acquacoltura.

Dai workshop è emersa con chiarezza la necessità di un approccio integrato per affrontare la Lattococcosi, che ha recentemente colpito specie ittiche di grande rilievo come spigola e orata. Nessun singolo intervento è sufficiente da solo: solo attraverso strategie sinergiche, che combinano vaccinazione, terapia, biosicurezza, nutrizione e selezione genetica, è possibile gestire efficacemente la patologia.

Un aspetto fondamentale degli incontri è stata la formazione di gruppi di lavoro, che hanno favorito un confronto attivo e costruttivo tra i partecipanti. Questo percorso collaborativo ha portato alla realizzazione di un Manuale di Buone Pratiche, che raccoglie le conoscenze acquisite proponendo linee guida operative e supportando le iniziative già in atto per la prevenzione e il contenimento della Lattococcosi.

Per permettere un accesso diretto alle informazioni emerse dal progetto, il Manuale di Buone Pratiche è stato reso disponibile in formato digitale, insieme alle registrazioni dei workshop. Questi materiali consentono di approfondire i temi trattati e di ascoltare direttamente gli interventi dei relatori. Per consultarli, visita il seguente link: Lattococcosi nelle specie marine – Skretting

Leggi l’articolo

Fonte: pesceinrete.it




Il virus dell’influenza aviaria H5N1 causa della prossima pandemia? Dalla Cina agli Stati Uniti, dai polli ai bovini, alle persone

Lectio magistralis di Maria Paola Landini già docente di Microbiologia e preside della Facoltà medico-chirurgica nell’Università di Bologna.

Ne discutono: Enrica Martini direttrice di U.O.C. di Veterinaria, sanità animale e igiene di allevamenti e produzioni zootecniche della AUSL di Bologna; Paolo Pandolfi direttore del Dipartimento di Sanità pubblica dell’AUSL di Bologna

A/H5N1: Orthomyxovirus a trasmissione respiratoria, identificato in uccelli selvatici in Cina nel 1996 che, da allora, ha causato epidemie in allevamenti di volatili in vari paesi, terminate con l’abbattimento di tutti i capi. Durante le epidemie si sono avuti casi umani in persone addette agli allevamenti ma assenza di trasmissione interumana certa.

Negli ultimi anni la frequenza di infezioni da H5N1  è aumentata e il virus ha fatto vari “salti di specie” anche in mammiferi. Di particolare preoccupazione è la situazione statunitense perché il virus sta dilagando nei polli (abbattimento record 150 milioni di polli)  e nei bovini che  funzionano come “mixing vessel” consentendo un “rimescolamento genetico” fra virus di origine aviaria ed umana, in stretta analogia con il comprovato ruolo svolto in tal senso dai suini.

La situazione statunitense non sembra essere sotto controllo e il recente divieto alle istituzioni sanitarie (CDC, NIH etc..) di fornire dati senza che prima non siano stati visionati a livello governativo, non conforta. Un’ altra pandemia sembra inevitabile. Da quale patogeno sarà causata, da dove partirà, e quando inizierà, è impossibile da prevedere, certamente il virus A/H5N1 è vicino alla meta mancando solo una mutazione aminoacidica nell’ emoagglutinina per renderlo in grado di riconoscere il recettore umano e di trasmettersi a livello interumano.

Leggi l’articolo

Fonte: trucioli.it




Ecm 2025, ecco le nuove metodologie di formazione e le priorità

Ecm

Con il Programma nazionale 2025 pubblicato dall’Agenas, la Commissione Nazionale ECM ha delineato le tematiche di interesse strategico per il triennio, confermando la crescente attenzione verso la formazione continua nel settore sanitario. Tra le priorità individuate emergono ambiti cruciali come il Piano pandemico, l’Health Technology Assessment (HTA), l’innovazione digitale e la sicurezza degli operatori sanitari, segnalando una chiara volontà di adattare il sistema sanitario alle sfide attuali e future.

Il Programma 2025 introduce un incremento di 0,3 crediti ECM per ogni ora di formazione erogata su specifici temi di interesse nazionale, incentivando gli operatori sanitari a partecipare ad aggiornamenti su settori ritenuti essenziali. In particolare, le priorità identificate includono:

• Innovazione digitale e sanità connessa: con un focus su telemedicina, intelligenza artificiale e digitalizzazione dei processi assistenziali.
 One Health: un approccio integrato che considera la salute umana, animale e ambientale in un’unica prospettiva di prevenzione e risposta alle emergenze sanitarie.
• DM77 e sviluppo dell’assistenza territoriale: modelli organizzativi per potenziare la medicina del territorio, riducendo la pressione sugli ospedali.
• Formazione sulle infezioni ospedaliere: con l’obiettivo di ridurre i casi di infezioni correlate all’assistenza sanitaria.
• Piano pandemico nazionale: strategie di preparazione e risposta a emergenze sanitarie su larga scala.
• HTA (Health Technology Assessment): valutazione delle tecnologie sanitarie per migliorare la qualità delle cure e l’efficienza delle risorse.
• Sicurezza per gli operatori sanitari e socio-sanitari: prevenzione delle aggressioni e tutela della salute mentale degli operatori.

La Commissione Nazionale ECM ha anche posto l’accento sulla necessità di adottare metodologie formative innovative. La modalità “ibrida”, che prevede eventi in presenza combinati con formazione a distanza (FAD) sincrona, diventerà uno standard, rispondendo alla crescente esigenza di flessibilità nell’aggiornamento professionale. Inoltre, strumenti avanzati come il metaverso, i simulatori di realtà virtuale e la gamification saranno progressivamente integrati nei percorsi formativi, garantendo un apprendimento più coinvolgente ed efficace. Uno degli obiettivi cardine del nuovo programma ECM è la promozione della formazione multidisciplinare, incentivando la collaborazione tra diverse professionalità sanitarie. Questo approccio consente di migliorare la qualità dell’assistenza, favorendo il confronto tra esperti di settori diversi e ottimizzando l’applicazione delle conoscenze acquisite.

Leggi l’articolo

Fonte: doctor33.it