Pubblicati atti ECM Camaiore

Sono online gli atti del corso dal titolo: “Il veterinario di Sanità Pubblica come operatore della legalità, dal controllo ufficiale alla sanzione amministrativa” svoltosi a Lido di Camaiore (LU) il 10 giugno u.s..

Il corso ha affrontato il tema del corretto inquadramento giuridico delle non conformità che si riscontrano in sede di controllo ufficiale e della conseguente individuazione del diritto applicabile lungo tutte le diverse fasi del procedimento sanzionatorio.

Scarica gli atti

 




Prima descrizione dell’Hantavirus Dobrava-Belgrade in Italia, in roditori selvatici del Friuli Venezia Giulia

In seguito all’evidente moria di roditori rilevata lo scorso anno in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, numerosi campioni sono stati consegnati all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) per gli accertamenti di laboratorio. La rivista scientifica Viruses ha pubblicato il resoconto delle attività diagnostiche effettuate, che hanno portato alla prima segnalazione in Italia del virus Dobrava-Belgrade, nello specifico in Friuli Venezia Giulia. Si tratta di un virus a RNA del genere Orthohantavirus, un gruppo di patogeni che vengono mantenuti in natura da diverse specie di roditori, ma anche da piccoli mammiferi insettivori e dai chirotteri.

L’importanza degli Hantavirus è legata al fatto che alcuni di questi sono zoonotici, ovvero possono essere trasmessi dal serbatoio animale all’uomo, nel quale possono causare patologie anche piuttosto serie. I casi umani sono segnalati in diverse parti del mondo, soprattutto in Asia, mentre sono meno frequenti in Europa. Ad oggi, i rarissimi casi italiani derivano probabilmente da infezioni contratte nella vicina Slovenia, associate quasi esclusivamente a due specie virali: Puumala e, appunto, Dobrava-Belgrade.

Poiché entrambi questi virus circolano ampiamente nei roditori selvatici delle limitrofe Croazia e Slovenia, la ricerca di Hantavirus è stata condotta anche nei campioni delle due rispettive specie serbatoio: l’arvicola rossastra (Myodes glareoulus) e il topo dal collo giallo (Apodemus flavicollis), raccolti nell’Italia nordorientale. Su questi soggetti è stato effettuato uno screening diagnostico a 360 gradi, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

L’hantavirus Dobrava-Belgrade è stato individuato in 4 soggetti di topo collo giallo provenienti dalla provincia di Udine. Il sequenziamento del genoma completo ha permesso di associarlo ai ceppi che circolano nella stessa specie in Slovenia e Croazia; l’esame necroscopico, per contro, non ha rilevato segni specifici negli organi dei roditori. L’ipotesi è dunque che la mortalità degli animali non fosse correlata al virus, che con ogni probabilità convive in modo del tutto naturale con il suo ospite animale, quanto piuttosto alla dinamica ciclica della popolazione di roditori.

Le mortalità cicliche “di massa” nei micromammiferi sono infatti note e contribuiscono alla regolazione della popolazione, in particolare dopo esplosioni demografiche dovute a fattori come stagioni particolarmente calde, con un’iperproduzione di risorse alimentari. Pertanto la malattia da Hantavirus, oggi da noi così rara, potrebbe diventare più rilevante in un contesto di cambiamento climatico. Infatti, l’incidenza di casi umani risulta strettamente correlata alla prevalenza del virus nel suo serbatoio che, come abbiamo imparato per il Covid-19, aumenta in caso di assembramenti. In pieno accordo con il concetto di ‘One Health’, ancora una volta la sorveglianza veterinaria risulterà fondamentale per tutelare anche la salute dell’uomo.

Fonte: IZS Venezie




Sede Territoriale di Piacenza IZSLER: Laboratorio di riferimento WOAH per la Paratubercolosi

Nel corso dell’ultima Sessione Generale dell’Assemblea Mondiale dei Delegati WOAH (World Organisation for Animal Health, già OIE), è stato conferito ad IZSLER, Sede territoriale di Piacenza, un nuovo laboratorio di riferimento WOAH per la Paratubercolosi. Questo riconoscimento valorizza ulteriormente l’attività svolta presso la Sede territoriale di Piacenza sin dalla seconda metà degli anni ottanta con lo sviluppo delle prime metodiche per la rilevazione dell’agente eziologico della malattia, il Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis.

Tale attività ha portato il Ministero della Salute ad assegnare nel 2003 ai laboratori della Sede di Piacenza il Centro di Referenza Nazionale per la Paratubercolosi. Nel corso degli anni la continua crescita tecnico-scientifica, la partecipazione e l’organizzazione di svariati congressi nazionali e internazionali, le collaborazioni scientifiche, frutto del costante impegno dei colleghi coinvolti, in particolare del responsabile del Centro di referenza fino all’anno scorso, Dott.ssa Norma Arrigoni, hanno portato i laboratori della Sede di Piacenza ad essere un riferimento sulla malattia sia a livello nazionale che internazionale. Al Dott. Matteo Ricchi, designato come esperto del laboratorio WOAH, alla Dott.ssa Chiara Garbarino che ha raccolto l’eredità della guida del Centro di referenza Nazionale e ai colleghi della sede di Piacenza, i migliori auguri per il proseguo della loro attività scientifica.

Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




Assegnato all’IZSVe il Laboratorio di referenza WOAH per le micoplasmosi aviarie

AvicoliPrestigioso riconoscimento internazionale per l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) con la designazione del Laboratorio di referenza WOAH per le micoplasmosi aviarie. L’assegnazione è stata ufficializzata nel corso della 89^ Assemblea generale della WOAH, l’Organizzazione mondiale della sanità animale (precedentemente denominata OIE), che si è tenuta a Parigi dal 23 al 26 maggio 2022. A capo del nuovo Laboratorio è stato nominato il dott. Salvatore Catania, direttore della sezione di Verona dell’IZSVe. Il Laboratorio di referenza avrà competenza sia per Mycoplasma gallisepticum che per Mycoplasma synoviae e fornirà supporto tecnico-scientifico, diagnostico, consulenza e attività di formazione ai Paesi membri della WOAH.

Laboratori di referenza WOAH vengono assegnati per affrontare le problematiche scientifiche e tecniche relative ad una determinata malattia, fornire assistenza tecnico-scientifica e consulenza su argomenti legati alla diagnosi e al controllo della malattia per cui il Laboratorio è designato. Inoltre svolgono attività di formazione per il personale di laboratorio dei paesi membri e coordinano studi scientifici e tecnici in collaborazione con altri laboratori o organizzazioni, anche attraverso programmi di gemellaggio fra laboratori.

Le micoplasmosi aviarie provocano infezioni a carico soprattutto dell’apparato respiratorio e articolare degli animali, e possono generare perdite economiche rilevanti per l’industria avicola. La sezione di Verona dell’IZSVe negli anni si è affermata come presidio territoriale per la prevenzione e il controllo delle malattie diffusive del settore avicolo, tra cui le micoplasmosi, e ha sviluppato capacità tecniche e scientifiche in grado di far fronte a importanti crisi sanitarie, come nel caso della recente epidemia di influenza aviaria.

La nomina del Laboratorio micoplasmosi, sostenuta dal Ministero della Salute, arriva a pochi giorni dal riconoscimento all’IZSVe del Centro di referenza FAO per i coronavirus zoonotici e porta a 18 il numero dei Centri di referenza nazionali e internazionali che hanno sede all’IZSVe.

Fonte: IZS Venezie




IZSVe e IZSAM nominati Centro di referenza FAO per i coronavirus zoonotici

Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali delle Venezie (IZSVe) e dell’Abruzzo e Molise (IZSAM) sono stati nominati Centro di referenza FAO per i coronavirus zoonotici.

Con la nomina la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha valutato positivamente l’expertise scientifica dei due Istituti Zooprofilattici italiani, confermandoli poli di eccellenza per la ricerca biomedica e la sanità pubblica veterinaria.

“Siamo molto orgogliosi di questo importante riconoscimento che rafforza ancora di più lo spessore dell’Istituto a livello internazionale” dichiara la Dg dell’IZSVe Antonia Ricci. “In questi anni abbiamo puntato sullo sviluppo di linee di ricerca innovative e sullo studio di malattie emergenti. Questo è un risultato di tutto l’Istituto che abbiamo raggiunto grazie a competenze scientifiche di altissimo livello e alla capacità di fare rete a livello internazionale. Il mio ringraziamento va al Ministero della salute che ha fortemente sostenuto le nostre candidature presso le agenzie internazionali”.

Il Centro di referenza FAO per i coronavirus zoonotici è stato assegnato all’IZSVe e all’IZSAM per un periodo di quattro anni, sotto la direzione del dott. Francesco Bonfante, veterinario dirigente e responsabile del Laboratorio ricerca modelli animali presso la SCS6 – Virologia speciale e sperimentazione dell’IZSVe. Il vicedirettore del Centro di Referenza è il dott. Alessio Lorusso, veterinario dirigente del reparto Virologia e colture cellulari dell’IZS di Teramo. La candidatura comune dei due Istituti come Centro di Referenza FAO rappresenta il coronamento di una lunga e proficua collaborazione nell’ambito dello studio e della ricerca nel campo della virologia veterinaria.

Durante la pandemia da SARS-CoV-2 l’IZSVe ha contribuito a monitorare la circolazione del virus nel comparto zootecnico italiano e negli animali domestici, coordinando a livello nazionale attività di sorveglianza e di ricerca di numerosi Istituti Zooprofilattici Sperimentali. Nonostante la straordinarietà degli eventi, l’IZSVe ha reagito all’emergenza pandemica con grande incisività, facendo tesoro della decennale esperienza nella gestione delle epidemie animali e nel monitoraggio degli agenti virali emergenti con potenziale zoonotico. In particolare, ha formato équipe di ricercatori in grado di studiare i meccanismi di spillover di diversi patogeni con potenziale pandemico (influenza aviaria, coronavirus animali) dalla fauna selvatica agli animali domestici, in una prospettiva One Health.

Grazie alla sua organizzazione, al know-how, alla disponibilità di laboratori specializzati e infrastrutture informatiche capaci di gestire al meglio le operazioni di ricezione, analisi e refertazione dei campioni, l’IZSAM è stato operativo nella lotta contro la pandemia sin dall’inizio dell’emergenza, da marzo del 2020. L’IZS di Teramo ha investito subito nell’acquisto di strumenti altamente tecnologici, si è dotato di un nuovo laboratorio ad alto contenimento biologico e ha svolto oltre il 60% dell’intera attività analitica della Regione Abruzzo, arrivando a processare 4.500 campioni al giorno. Contestualmente ha portato avanti attività di ricerca su più fronti come il sequenziamento del genoma del virus mediante metodiche di nuova generazione (NGS) che, a fine 2020, ha permesso di rilevare la cosiddetta variante inglese, quella brasiliana e consente il monitoraggio costante delle mutazioni di rilevanza clinica ed epidemiologica.

Nelle prime fasi della pandemia ci siamo spesi con tutte le forze nell’attività analitica, supportando non solo le ASL del nostro territorio di competenza ma anche la ATS di Bergamo. Di pari passo abbiamo intensificato la ricerca” afferma il DG dell’IZS di Teramo Nicola D’Alterio“ad esempio attraverso l’analisi genomica, fondamentale per mappare in tempo reale le varianti e intercettare le nuove mutazioni del virus. Abbiamo sempre adottato un approccio One Health, che ci contraddistingue in tutte le nostre attività, avviando collaborazioni interdisciplinari in Italia e nel resto del Mondo, come in Africa. All’IZS delle Venezie ci lega un rapporto di stima reciproca e stretta collaborazione scientifica” conclude D’Alterio, “aver ottenuto insieme questo importante riconoscimento da parte della FAO premia non solo il nostro lavoro ma quello di tutti gli IIZZSS italiani, coordinati perfettamente dal Ministero della salute”.

Fra i compiti del nuovo Centro FAO vi sono innanzitutto la valutazione e la gestione del rischio di circolazione di coronavirus zoonotici negli animali, da attuarsi mediante attività di sorveglianza e studi di caratterizzazione della patogenicità e trasmissibilità del virus. Inoltre il Centro darà supporto tecnico-scientifico a diversi Paesi del continente africano e del Medio Oriente, al fine di potenziare la capacità della comunità scientifica internazionale di intercettare prontamente la circolazione di coronavirus zoonotici, emersi o emergenti, a livello di fauna selvatica e di animali domestici.

Fonte: IZS Venezie




Convocazione Assemblea dei Soci SIMeVeP 2022

Assemblea SIMeVePL’Assemblea dei Soci della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva è convocata il giorno 27 aprile 2022 alle ore 06.30 in prima convocazione e il giorno 27 aprile 2022  alle ore 11.00 in seconda convocazione e si svolgerà presso la sede della SIMeVeP in Via Nizza 11 a Roma, per gli adempimenti statutari, il rinnovo del Consiglio Direttivo l’analisi e la programmazione delle attività SIMeVeP

Per motivi organizzativi è necessario iscriversi tramite email da inviare a segreteria@veterinariapreventiva.it entro il 15 aprile 2022.

 

 




ECM a Brusasco (TO) PSA: strategie di controllo e salvaguardia delle filiere produttive

imparareSi terrà a Brusasco (TO) il prossimo corso di formazione della SIMeVeP dal titolo “PSA: strategie di controllo e salvaguardia delle filiere produttive” e si svolgerà il giorno  28 aprile 2022.

Programma

Scheda di iscrizione




Quanto possono sopravvivere i coronavirus sulle superfici?

coronavirusSARS-CoV-2, il coronavirus responsabile della COVID-19, può sopravvivere sulle superfici fino a 28 giorni, più di tutti gli altri coronavirus. La sopravvivenza del virus e la sua contagiosità sono inoltre influenzate dalle condizioni ambientali. Lo afferma una revisione sistematica della letteratura condotta dai ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) e pubblicata su Science of the Total Environment.

Il ruolo dei fomiti nella trasmissione di SARS-CoV-2

I fomiti sono oggetti inanimati o superfici porose/non porose che, se contaminati o esposti a microrganismi patogeni, possono trasferire una malattia infettiva a un nuovo ospite. Ricercatori dell’IZSVe hanno effettuato una revisione sistematica della letteratura per definire quanto i coronavirus umani (SARS-CoV-2, SARS-CoV-2 e MersCoV) possono sopravvivere sulle superfici di vari fomiti.

COVID-19 è la malattia respiratoria causata da SARS-CoV-2, il virus responsabile della pandemia diffusasi in quasi 200 Paesi da fine 2019. SARS-CoV-2 si aggiunge ad altri due coronavirus umani (hCoV) noti già dal 2002 per la loro letalità e capacità di infettare l’uomo: SARS-CoV (Severe Acute Respiratory Syndrome coronavirus), responsabile dell’epidemia di SARS del 2002-2004, e MersCoV (Middle East Respiratory Syndrome coronavirus), responsabile della Mers, Sindrome Respiratoria medio-orientale

Come ogni malattia emergente, anche la COVID-19 richiede l’impegno della comunità scientifica per comprenderne i meccanismi di sviluppo e di trasmissione, al fine di adeguare i protocolli diagnostici e terapeutici. Una delle tante domande a cui gli scienziati hanno cercato di trovare nel più breve tempo una risposta è stata la modalità di diffusione di SARS-CoV-2. Mentre è stato ampiamente dimostrato che la principale via di trasmissione del virus sia il contatto diretto con una persona infetta, la sua trasmissione tramite il contatto con superfici contaminate (fomiti) è ritenuta possibile ma non è ancora supportata da solide evidenze scientifiche.

fomiti sono oggetti inanimati o superfici porose/non porose che, se contaminati o esposti a microrganismi patogeni, possono trasferire una malattia infettiva a un nuovo ospite. Sono esempi di fomiti i vestiti sporchi, gli asciugamani, le lenzuola, i fazzoletti, le medicazioni chirurgiche, gli aghi contaminati. La letteratura ha dimostrato la capacità dei fomiti di trasmettere virus respiratori e patogeni enterici, ma per SARS-CoV-2 il loro ruolo è ancora ampiamente sconosciuto. Proprio in ragione della scarsità di prove disponibili sul ruolo dei fomiti, nel rispetto del principio di precauzione numerose linee guida hanno raccomandato fin dall’inizio della pandemia come misure preventive la pulizia e disinfezione delle superfici, l’uso di guanti e l’igiene delle mani.

Un primo passo per studiare la capacità dei fomiti di traferire SARS-CoV-2 a chi vi entri in contatto è definire quanto il virus possa sopravvivere sulla superficie del fomite, raccogliendo un numero consistente di prove che dimostrino come possibile questo percorso di trasmissione del virus. Inoltre, è necessario analizzare anche la persistenza del virus nell’ambiente, che a sua volta dipende dalle caratteristiche strutturali del virus, da fattori ambientali (temperatura, umidità, esposizione ai raggi UV) e dalle caratteristiche della superficie del fomite.

Lo studio dell’IZSVe
Dallo studio è emerso che banconote (in polimero e in carta), vetro e acciaio potrebbero trasmettere il virus fino a un massimo di 21 giorni, periodo in cui la carica virale di SARS-CoV-2 è risultata essere pericolosa per l’uomo. Alte temperature combinate a un elevato tasso di umidità favoriscono l’inattivazione di SARS-CoV, così come la luce UV e quella solare.

I ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno svolto una revisione sistematica della letteratura scientifica per definire quanto a lungo SARS-CoV-2 riesca a sopravvivere sulle superfici dei fomiti. La ricerca ha incluso anche gli altri due principali coronavirus umani, MersCoV e SARS-CoV vista la loro pericolosità per la salute pubblica.

La comparazione delle evidenze scientifiche pubblicate in letteratura è stata effettuata su 18 articoli scientifici, selezionati dopo lo screening di 1.436 articoli restituiti dalle banche dati come articoli pertinenti la domanda di ricerca. La sopravvivenza dei coronavirus è stata valutata su differenti materiali: polimeri (plastica, PVC, teflon, guanti monouso, …), metalli (acciaio, alluminio, rame, …), vetro, carta, legno, tessuti (stoffa, camici monouso e in cotone), mascherine, spugne sterili, ceramica, banconote, mosaici e suolo.

Dalla revisione sistematica emerge che a temperatura ambiente SARS-CoV-2 può sopravvivere fino a 28 giorni su vetro, acciaio, polimeri plastici (banconote in polimero e vinile) e banconote di carta, e fino a 7 giorni sulle mascherine chirurgiche. 28 giorni è il periodo di sopravvivenza più lungo dimostrato in laboratorio: SARS-CoV è il coronavirus che ha mostrato un tempo di sopravvivenza maggiore dopo SARS-CoV-2, sopravvivendo fino a 14 giorni su superfici di vetro. Per quanto riguarda invece la contaminazione umana tramite fomite, ovvero la capacità dei fomiti di trasmettere l’infezione, banconote (in polimero e in carta), vetro e acciaio potrebbero trasmettere il virus fino a un massimo di 21 giorni, periodo in cui la carica virale di SARS-CoV-2 è risultata essere pericolosa per l’uomo.

Anche le condizioni ambientali influenzano la capacità di sopravvivenza del virus sui fomiti: alte temperature combinate a un elevato tasso di umidità favoriscono l’inattivazione di SARS-CoV e riducono la sopravvivenza di SARS-CoV-2, mentre basse temperature e poca umidità ne aumentano le chance a prescindere dalla tipologia di superficie colonizzata dal virus. Anche la luce UV e quella solare possono ridurre la vita dei coronavirus sulle superfici: soprattutto durante la stagione estiva è molto improbabile che superfici esposte al sole (in particolare quelle in acciaio inossidabile) riescano a trasmettere il virus, suggerendo la possibile maggior contagiosità di fomiti non esposti al sole.

Verso un approccio armonizzato
Comprendere la durata dei coronavirus sulle superfici può migliorare le misure di prevenzione e renderle sempre più corrispondenti all’effettiva potenzialità del singolo fomite di fungere da fonte del virus. Questo potrebbe contribuire per esempio a ridurre l’utilizzo indiscriminato di disinfettanti e detergenti, che ha un impatto negativo sull’ambiente.

Lo studio IZSVe è un contributo alla comprensione dei coronavirus umani, in particolar modo di SARS-CoV-2 nell’ecosistema uomo-ambiente-animale: le evidenze raccolte possono essere impiegate, in particolar modo dai gestori del rischio, per migliorare le misure di prevenzione e renderle sempre più corrispondenti all’effettiva potenzialità del singolo fomite di fungere da fonte del virus. Questo potrebbe contribuire per esempio a ridurre l’utilizzo indiscriminato di disinfettanti e detergenti, che ha un impatto negativo sull’ambiente.

Nel corso di questi due anni di pandemia, la comunità scientifica ha lavorato molto allo studio della sopravvivenza di SARS-CoV-2 sulle superfici e alla loro capacità infettante: nuovi studi sperimentali o revisioni sistematiche più recenti potrebbero smentire o aggiornare le evidenze raggiunte qui presentate. Nonostante ciò, il lavoro condotto dall’IZSVe evidenzia alcuni limiti nella letteratura finora disponibile, che possono essere spunto per la ricerca futura su questo specifico tema.

Innanzitutto gli studi finora pubblicati sono difficilmente comparabili tra di loro: sussistono differenze notevoli nella metodologia impiegata nelle singole prove sperimentali, motivo per cui i ricercatori IZSVe non hanno potuto dimostrare un legame tra tempo di sopravvivenza del virus e caratteristiche della superficie contaminata, suggerendo di lavorare alla definizione di un protocollo di riferimento per la conduzione delle prove di sopravvivenza del virus.

Inoltre i risultati ottenuti dalla revisione sistematica si riferiscono a studi di laboratorio,condotti in un contesto sperimentale, motivo per cui potrebbero non restituire l’effettiva capacità di resistenza di SARS-CoV-2: sarà importante quindi condurre studi sempre più aderenti alle reali condizioni di diffusione del virus nell’ambiente.

Fonte: IZS Venezie

 




La lotta al doping animale: il contributo dell’intelligenza artificiale

La lotta al doping animale: il contributo dell’intelligenza artificiale

Ci sono atleti e atleti. Alcuni sono fenomeni veri, campioni straordinari che per talento e lavorando tenacemente raggiungono risultati prodigiosi. Ce ne sono altri che non avendo le stesse doti e meno voglia di sacrificarsi, ma pur di affermarsi, fanno uso di sostanze che accrescono slealmente le loro prestazioni.
La pratica in questione si chiama “doping”.
È un’azione fraudolenta che non è utilizzata soltanto in ambito sportivo. Già, perché se ne fa uso anche negli allevamenti degli animali da reddito.
La somministrazione di farmaci non autorizzati o l’utilizzo di sostanze farmacologiche permesse ma somministrate a bassi dosaggi e per periodi prolungati hanno effetti dopanti sugli animali.
L’uso di questi prodotti può provocare danni e lasciare conseguenze ai consumatori.
L’assunzione di carne con residui di molecole non autorizzate, infatti, può essere pericolosa per l’essere umano, soprattutto per i soggetti con delle pregresse patologie.
Svelare la loro presenza, dunque, è indispensabile per proteggere la salute dei cittadini.
Per poter fronteggiare questa piaga il CIBA – Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Biologiche sugli Anabolizzanti Animali -, che ha sede presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università degli studi di Torino, ha applicato un programma di apprendimento automatico Weka (Waikato Environment for Knowledge Analysis) per svelare l’uso illecito di cortisonici per il “doping animale”.
È stato sviluppato un modello predittivo in grado di individuare i vitelli dopati con cortisonici, che sono i principi attivi di più largo utilizzo per “ingrassare” in modo fraudolento i bovini.
Sono sostanze che di fatto sono anche responsabili di enormi effetti collaterali per l’uomo, tra cui l’aumento della pressione sanguigna, l’iperglicemia e l’immunosoppressione.
Il modello generato da Weka è in grado di classificare correttamente il 95% degli animali testati sulla base dei valori di cinque biomarcatori sierici (cortisolo, inibina, capacità antiossidante del siero, osteocalcina, e urea).
La ricerca ha confermato quanto e come l’intelligenza artificiale può essere applicata con eccellenti risultati a salvaguardia della salute dei consumatori e a tutela del benessere animale.

Fonte: IZS Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta




Le microplastiche non sono tutte uguali

microplasticheUno studio del Cnr-Irsa ha rilevato che, in acqua, i batteri che crescono sulle microparticelle derivate dagli pneumatici sono più pericolosi per l’ambiente rispetto a quelli che si sviluppano sui frammenti delle bottiglie di plastica, che invece potrebbero porre problemi per la salute dell’uomo. La ricerca è pubblicata su Journal of Hazardous Materials

Plastiche e microplastiche sono riconosciute come un inquinante emergente con effetti nefasti sulla salute dell’ambiente, dell’uomo e degli animali acquatici. Uno studio dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa) ha dimostrato come microplastiche diverse possano causare un impatto differente sulle comunità batteriche in acqua. La ricerca è stata pubblicata su Journal of Hazardous Materials.

“In un sistema che replica un fiume o un lago italiano abbiamo comparato le comunità batteriche che crescono sul polietilene tereftalato (Pet) ricavato da una bottiglia di bibita, molto abbondante in acqua, con quelle che si sviluppano su particelle di pneumatico usato, quasi sconosciute a causa del fatto che tendono a non galleggiare e ad affondare molto lentamente”, spiega Gianluca Corno del Cnr-Irsa. “Abbiamo quindi dimostrato che la prima offre rifugio a batteri patogeni umani che possono causare rischio immediato per la salute umana, senza però favorirne una crescita immediata. Le particelle di pneumatico, grazie al rilascio costante di materia organica e nutrienti, favoriscono invece la crescita abnorme di batteri cosiddetti opportunisti che, pur non causando un rischio diretto per l’uomo, causano una perdita di qualità ambientale, di biodiversità microbica, e un conseguente depauperamento dei servizi ecosistemici offerti”.

Generalmente le comunità batteriche che crescono sulle microplastiche come biofilm sono studiate senza approfondirne le differenze legate al tipo di plastica su cui proliferano, ma come un unico comparto, la cosiddetta plastisfera. “Questo risultato ci pone, per la prima volta, di fronte alla necessità di riconsiderare i metodi di analisi dell’inquinamento da microplastiche e di tenere in conto le particelle di pneumatico, che possono avere un impatto decisivo sulla qualità degli ecosistemi acquatici in nazioni come l’Italia dove i fiumi sono particolarmente esposti a questo tipo di inquinamento”, conclude Corno.

La ricerca è stata finanziata nell’ambito del progetto AENEAS da AXA Research Fund. 

Fonte: CNR