Dall’Ema i nuovi dati sulle vendite e l’uso di antibiotici in medicina veterinaria nell’Unione europea

Un aumento che non ci si aspettava. Dopo oltre dieci anni di calo costante, le vendite di antimicrobici destinati agli animali da allevamento sono tornate a crescere in Europa. A certificarlo è il nuovo report dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema), che per la prima volta combina dati di vendita e di uso reale negli allevamenti dei Paesi dell’Unione, dell’Islanda e della Norvegia.

L’incremento (più cinque per cento nel 2024) interrompe una tendenza virtuosa considerata un pilastro nella lotta alla resistenza antimicrobica. Per l’Agenzia, è ancora presto per parlare di inversione di rotta. Ma gli esperti avvertono: il rialzo potrebbe segnalare l’inizio di una nuova fase critica per la strategia One health europea.

I dati Esuavet 2024: vendite in aumento e monitoraggio più dettagliato

Il nuovo rapporto del sistema Esuavet evidenzia come il 98 per cento degli antimicrobici veterinari venduti nel 2024 sia destinato agli animali da reddito.

La novità più rilevante non riguarda soltanto i numeri, ma la qualità del monitoraggio: oltre alle vendite, il sistema rileva l’uso effettivo degli antimicrobici per specie (includendo bovini, suini, polli e tacchini).

La raccolta di questi dati consente di identificare modelli di consumo più precisi, offrendo agli Stati membri strumenti per politiche mirate.

L’Ema ha inoltre pubblicato una dashboard pubblica che permette di visualizzare, confrontare e analizzare le tendenze nel tempo, rendendo la sorveglianza più trasparente rispetto al passato.

Fine di una tendenza decennale?

Il punto più discusso del report è il possibile arresto della diminuzione pluriennale del consumo veterinario di antibiotici.

Dal 2010 al 2022, l’iniziativa Esvac aveva documentato un calo complessivo di circa il cinquanta per cento nelle vendite di antimicrobici veterinari nell’Unione europea, con riduzioni significative anche nelle classi considerate critiche per la salute umana come cefalosporine di terza e quarta generazione, colistina e chinoloni.

I risultati 2024 rompono questa continuità. L’Ema parla di “fluttuazione temporanea”, ma ricorda che andrà verificata nei prossimi due anni per capire se siamo davanti a un evento circoscritto o all’inizio di un trend al rialzo.

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Fonte: abouthpharma.com




Sistemi per valorizzare il siero di latte

latteUno studio approfondito basato sulla chiusura del ciclo dall’estrazione delle proteine al compostaggio in film di proteine del siero di latte. Sono emerse potenzialità sia per la valorizzazione dei rifiuti alimentari che per la riduzione dei rifiuti di imballaggio alimentare

Le proteine del siero di latte estratte dai sottoprodotti della produzione del formaggio sono state analizzate come potenziale alternativa sia per la valorizzazione dei rifiuti alimentari che per la riduzione dei rifiuti di imballaggio alimentare.

Le proteine del siero di latte sono state ultrafiltrate dal siero del formaggio locale e utilizzate per la produzione di film tramite stampaggio a compressione.

La caratterizzazione fisico-chimica della proteina estratta ha mostrato che la purezza della proteina estratta era del 91,6% in peso.

Le analisi FTIR e XRD, nonché le immagini SEM, hanno rivelato la presenza di lattosio nella proteina estratta. La solubilità delle pellicole realizzate in acqua indicava che le pellicole di proteine del siero di latte sarebbero adatte per il confezionamento di alimenti grassi, ad esempio il formaggio, seguendo così la strategia dell’economia circolare.

Inoltre, poiché la biodegradabilità dei film era superiore al 70% dopo 48 ore in condizioni di compostaggio, si può concludere che i film di proteine del siero di latte sono rapidamente compostabili in qualsiasi impianto di compostaggio industriale, evidenziando il carattere più sostenibile di questi film.

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Fonte: alimentinews.it




On-line le presentazioni del Convegno di Alghero

Sono a disposizione i lavori presentati dai relatori del corso La gestione della Fauna Selvatica: One Health e opportunità socioeconomiche, svoltosi il 5 dicembre u.s. ad Alghero.

Presentazioni




Tartarughe marine e mitili: uno studio al servizio delle politiche ambientali

Negli ultimi anni, lungo le coste italiane, i mitilicoltori hanno iniziato a notare un fenomeno inatteso: tartarughe marine che si aggirano tra le file degli allevamenti di cozze, spesso lasciando dietro di sé reti danneggiate e mitili divorati. Da queste osservazioni nasce il primo studio sistematico in Italia sulle interazioni tra Caretta caretta e gli impianti di mitilicoltura, condotto in collaborazione tra l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, l’Università Politecnica delle MarcheISPRA e CNR-IAS.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Animals , ha combinato un’indagine tra i mitilicoltori italiani con l’analisi dei contenuti gastrici di tartarughe spiaggiate o catturate accidentalmente. “Questo fenomeno mette in dialogo diretto conservazione e acquacoltura. – spiega la dottoressa Ludovica Di Renzo, IZSAM, Laboratorio Ecosistemi acquatici e terrestri, Reparto Allevamento e Sperimentazione Animale – Volevamo capire quanto fosse diffuso, raccogliere e divulgare i dati e offrire uno strumento utile agli organi competenti per le decisioni future. I risultati mostrano infatti che la presenza delle tartarughe negli allevamenti non è più episodica, ma in crescita negli ultimi anni, parallelamente all’aumento della temperatura delle acque. Questo rende necessarie strategie di mitigazione che tutelino il lavoro degli acquacoltori senza compromettere la conservazione delle tartarughe marine”.

Il questionario, compilato da 36 aziende di mitilicoltura, ha rivelato che quasi tutti gli allevatori hanno osservato tartarughe nelle proprie aree di lavoro, in particolare nel Mare Adriatico. Le segnalazioni sono risultate più frequenti in estate al Nord e in autunno al Sud, seguendo l’andamento stagionale delle acque più calde. Oltre il 90% dei mitilicoltori ha dichiarato di aver subito danni diretti alle strutture e perdite di prodotto, stimate in alcuni casi in decine di migliaia di euro.

Se da un lato gli allevamenti rappresentano vere e proprie “oasi di biodiversità”, attirando molte specie marine, dall’altro le interazioni con le tartarughe comportano danni economici rilevanti: la rottura delle reti e il consumo dei molluschi può causare perdite fino a centinaia di migliaia di euro l’anno. Le misure di dissuasione testate finora hanno avuto scarso successo.

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Fonte: IZS Teramo




Aumento dei casi gravi di infezione da Listeria in Europa, secondo l’ultimo rapporto annuale dell’UE

Listeria monocytogenesOgni anno, migliaia di persone si ammalano in Europa dopo aver consumato alimenti contaminati; uova, carne e prodotti alimentari pronti al consumo sono tra le fonti di infezione più frequenti. Il rapporto mostra che, nonostante gli elevati standard di sicurezza alimentare in Europa, le malattie di origine alimentare continuano a colpire persone di tutte le età, in particolare quelle più vulnerabili alle forme gravi, mentre molte di queste malattie potrebbero essere prevenute.

Listeria: un’infezione rara ma grave

Nel 2024, la listeriosi ha causato la percentuale più alta di ricoveri ospedalieri e decessi tra tutte le infezioni di origine alimentare segnalate nell’Unione europea (UE). Circa 7 persone su 10 infettate dalla listeriosi hanno dovuto essere ricoverate in ospedale e 1 persona su 12 è deceduta.

La tendenza all’aumento delle infezioni osservata negli ultimi anni può essere spiegata da diversi fattori, tra cui l’invecchiamento della popolazione europea, il cambiamento delle abitudini alimentari (come il crescente consumo di alimenti pronti al consumo) e pratiche inadeguate nella manipolazione e nella conservazione degli alimenti.

Per quanto riguarda gli alimenti pronti al consumo, i livelli di contaminazione rimangono molto bassi nella maggior parte delle categorie: gli ultimi dati sullaListeria monocytogenes mostrano che la percentuale di campioni che superano i limiti europei in materia di sicurezza alimentare variava tra lo 0% e il 3% per tutti i prodotti analizzati, con le salsicce fermentate che risultavano essere i prodotti più frequentemente contaminati.

“Anche se la contaminazione rimane rara, la Listeria può causare malattie gravi, rendendola una delle minacce alimentari più serie che monitoriamo”, ha dichiarato Ole Heuer, capo dell’unità responsabile delle malattie legate all’approccio “One Health” dell’ECDC. “La protezione dei gruppi vulnerabili, come gli anziani, le donne in gravidanza o le persone con un sistema immunitario indebolito, richiede una sorveglianza rigorosa, una produzione alimentare sicura e precauzioni essenziali a casa”. 

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Fonte: EFSA




Allevare la varroa per conoscerla meglio

La varroaVarroa destructor Anderson & Trueman, è ormai da oltre quarant’anni uno dei problemi principali dell’apicoltura moderna. Eppure, paradossalmente, di questo acaro sappiamo ancora poco, soprattutto riguardo alla sua biologia. Una mancanza di conoscenze che è stata causata soprattutto da due problemi.
Il primo problema è che nel mondo apistico c’è sempre stato molto più interesse a cercare di capire come ucciderla che a cercare di capire come vive.
Il secondo problema è che, per quanto sia diffusa in quasi tutti gli alveari del mondo, è difficile raccoglierne in quantità adatte per studiarla approfonditamente, perché compie il suo ciclo vitale strettamente legata alle api, cosa che ne rende difficilissimo l’allevamento in laboratorio.
E proprio su questo aspetto, sull’allevamento in laboratorio, si stanno concentrando gli sforzi dell’Università di Udine, che vanta un’esperienza pluridecennale nello studio della biologia e del comportamento di questo acaro.
Per farci spiegare cosa si sta studiando a Udine abbiamo intervistato il professor Francesco Nazzi, che guida il gruppo di ricerca che sta lavorando al miglioramento e alla standardizzazione delle tecniche di allevamento della varroa.

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Fonte: Agronotizie




Pubblicate le Linee guida per il recupero e la riabilitazione dei chirotteri

Le linee guida rappresentano uno strumento tecnico metodologico di riferimento per tutti i centri di recupero per la fauna  e forniscono indicazioni aggiornate e uniformi sulle corrette procedure di gestione dei chirotteri durante le fasi di recupero e riabilitazione degli individui trovati in difficoltà. Il documento comprende una parte introduttiva generale, i criteri per il ricovero, le metodologie di stabulazione, un prontuario medico, esempi di interventi chirurgici e protocolli per la gestione delle patologie più comuni, oltre ai criteri per valutare l’idoneità alla vita libera e le modalità di rilascio in natura.

È inoltre presente una sezione dedicata alla gestione delle specie esotiche.

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Fonte: ISPRA




Influenza aviaria e suina, Ecdc pubblica la guida europea per il rischio umano

Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) ha pubblicato una nuova guida operativa per supportare i Paesi dell’Unione europea nella prevenzione e gestione delle minacce influenzali di origine animale con potenziale trasmissione all’uomo, alla luce dell’aumento dei casi di influenza aviaria A(H5N1) registrato nell’autunno 2025 tra uccelli selvatici e pollame in diversi Stati membri.

Il documento fornisce un quadro strutturato di risposta sanitaria che copre diversi scenari, dall’attuale fase in cui nell’Ue e nello Spazio economico europeo non sono stati segnalati casi umani di infezione da virus aviari, fino a situazioni più critiche che includono la possibilità di infezioni nell’uomo e di una eventuale trasmissione interumana con rischio pandemico.

«Sebbene il rischio attuale per la popolazione europea sia basso, l’influenza aviaria resta una seria minaccia per la salute pubblica a causa dei focolai diffusi negli animali in tutta Europa», afferma Edoardo Colzani, responsabile dell’unità Respiratory Viruses dell’Ecdc. «È essenziale che i segnali di allerta precoce non vengano trascurati e che le azioni di sanità pubblica siano tempestive, coordinate ed efficaci. Questa guida offre ai Paesi un framework chiaro e adattabile per prepararsi a rispondere alla possibile trasmissione dei virus influenzali dagli animali all’uomo».

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Fonte: doctor33




Microplastiche scoperte anche nella catena alimentare antartica

Le microplastiche non risparmiano nemmeno gli ambienti più isolati del pianeta. Una ricerca condotta dall’Università del Kentucky e dall’Università di Modena e Reggio Emilia ha rilevato per la prima volta frammenti di plastica nel tratto digestivo del Belgica antarctica, unico insetto endemico dell’Antartide e specie fondamentale per il ciclo dei nutrienti del suolo. Secondo Elisa Bergami, ecologista dell’Università di Modena e Reggio Emilia, “l’ingestione di microplastica, pur limitata al 7% degli esemplari, dimostra che la plastica raggiunge i suoli antartici”.

Esperimenti sulle larve

Per comprendere gli effetti delle microplastiche, i ricercatori hanno esposto le larve di B. antarctica a microsfere di polietilene per dieci giorni. Le larve hanno ingerito particelle solo a concentrazioni elevate, senza variazioni significative nella sopravvivenza o nel metabolismo. Carboidrati e proteine sono rimasti stabili, mentre i lipidi hanno mostrato una leggera diminuzione con maggior presenza di plastica. Gli effetti a lungo termine restano però incerti e richiedono ulteriori studi.

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Fonte: ambienteinsalute.it




L’Oms lancia un nuovo Piano strategico globale e condiviso contro i coronavirus

Pubblicato il nuovo Piano strategico 2025-2030 per la gestione delle minacce da coronavirus, attuali e future, e da Mers (Sindrome respiratoria mediorientale), firmato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). Si tratta del primo piano unificato contro questo tipo di patologie e rappresenta un punto strategico nell’evoluzione tra la risposta emergenziale e la gestione a lungo termine integrata.

Il Piano riunisce lezioni e buone pratiche degli ultimi cinque anni di gestione della pandemia da Covid-19 e del lavoro continuo su Mers e altre malattie respiratorie. L’obiettivo è quello di guidare le autorità sanitarie nazionali e i partner verso l’adozione di un approccio coerente e orientato all’azione.

I coronavirus – a partire dal 2002 con Sars fino al 2019 con Covid – hanno più volte dimostrato la loro capacità di scatenare epidemie e pandemie. Il Covid-19, inoltre, continua a circolare ampiamente e, in alcuni casi, a causare gravi malattie e decessi tra i pazienti fragili. Per il 6% dei guariti, la sindrome “long Covid” diventa una realtà e nel 15% dei casi, i sintomi permangono per oltre un anno.

Il Piano, in questo senso, raccoglie i precedenti Piani Strategici di Preparazione e Risposta per Covid-19 e prova a illustrare un processo consultivo e inclusivo basato sul contributo di tutti gli stati membri Oms. Comprende sia la gestione di routine sia scenari di emergenza, riflettendo la flessibilità di cui i sistemi nazionali hanno bisogno per affrontare i coronavirus già in circolazione e l’emergere di un nuovo coronavirus con potenziale pandemico.

L’Oms ha anche ampliato la CoViNet (Coronavirus Network), una rete di programmi di sorveglianza sulle malattie che raccogli i laboratori di riferimento per Sars-CoV-2, Mers-CoV e altri coronavirus di emergenza; per ampliare ulteriormente il monitoraggio globale. Ora la rete conta 45 laboratori, di cui 11 aggiunti nel 2025.

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Fonte: quotidianosanità.it