Dieci anni dall’Accordo di Parigi, si può fare di più
Con l’Accordo di Parigi (dicembre 2015), i Paesi si sono impegnati a elaborare i propri piani di riduzione delle emissioni di gas serra, noti come Contributi determinati a livello nazionale (NDC). Nel loro insieme, questi impegni non bastano a garantire nemmeno l’obiettivo minimo dell’Accordo di Parigi: avere una probabilità del 66% di restare sotto i 2 °C di riscaldamento entro la fine del secolo. Nel 2024 la soglia di 1,5 °C è già stata superata, anche se temporaneamente. Sebbene ciò non rappresenti ancora un superamento di lungo periodo, indica che esiste il forte rischio di oltrepassare il limite in modo permanente nel prossimo futuro. Le ragioni del ritardo sono di due tipi: un deficit di attuazione e uno di ambizione degli stessi impegni presi a livello nazionale.
Secondo l’IPCC, prima della crisi energetica legata alla guerra in Ucraina nel 2022, la produzione di energia era responsabile del 34% delle emissioni nette totali di gas serra di origine antropica a livello mondiale, cioè 20 gigatonnellate di CO2 equivalente all’anno; l’industria rappresentava il 23% (14 Gt), l’agricoltura, l’uso delle foreste e gli altri usi del suolo il 22% (13 Gt), i trasporti il 15% (8,7 Gt) e gli edifici il restante 6% (3 Gt). Raggiungere emissioni nette zero entro metà secolo è l’obiettivo comune, ma i percorsi per arrivarci differiscono profondamente tra i settori. La ricerca ha chiarito che passare alle fonti di energia rinnovabile e alla mobilità elettrica di corto raggio è molto più fattibile rispetto alla decarbonizzazione in ambito industriale, agricolo o nel trasporto aereo, a causa delle difficoltà tecniche nella transizione dei settori hard-to-abate, della mancanza di alternative scalabili per il trasporto a lunga distanza, dell’inefficienza dei combustibili alternativi per l’aviazione, e delle complessità legate a fattori rilevanti per il settore agricolo, come le tendenze demografiche, i sistemi alimentari, la competizione per l’uso del suolo.
Per questi motivi, tutti i percorsi verso emissioni nette zero elaborati da IPCC e IEA includono almeno una parte di mitigazione da realizzare mediante le strategie di rimozione dell’anidride carbonica (CDR), come l’afforestazione, la bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS), il potenziamento dell’assorbimento del carbonio nel suolo o la cattura diretta della CO2 dall’aria. La rimozione della CO₂ (CDR) è indispensabile per compensare le emissioni residue, ma non può sostituire un abbattimento profondo alla fonte. L’IPCC AR6 la definisce “inevitabile” per raggiungere lo zero netto, ma solo come integrazione a una rapida decarbonizzazione. Livelli troppo elevati di CDR potrebbero infatti incoraggiare un maggiore consumo di combustibili fossili, soprattutto nel breve-medio termine, prima che il calo dei costi delle energie rinnovabili consenta di alimentare la CDR con energia pulita. Inoltre, gli impatti sull’uso del suolo potrebbero essere molto significativi: in uno scenario estremo di mitigazione con CDR molto elevato, la superficie agricola diminuirebbe dell’86% tra il 2050 e il 2100.
Fonte: scienzainrete.it
La tutela delle acque e dei mari rappresenta una delle grandi sfide del nostro tempo: cambiamenti climatici, inquinamento, diffusione di plastiche e specie aliene, resistenza antimicrobica e nuove esigenze produttive dell’acquacoltura mettono alla prova la salute degli ecosistemi acquatici e, con essa, la sicurezza alimentare e la salute collettiva. In questo scenario, la Rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali Italiani è impegnata, anche con progetti di cooperazione internazionale, in un ampio programma di sorveglianza epidemiologica, diagnostica, monitoraggio e ricerca per la salvaguardia del benessere delle acque e degli ambienti marini, un ambito in cui ambiente, salute animale e salute umana si intrecciano profondamente.
I soldati di Napoleone che affrontarono la campagna russa nel 1812 vennero decimati a causa della diffusione di due agenti patogeni, responsabili della febbre enterica e della febbre ricorrente. Questo curioso risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Current Biology, condotto dagli scienziati dell’Institut Pasteur in Francia. Il team, guidato da Nicolás Rascovan, ha estratto e sequenziato il materiale genetico dai denti di 13 soldati sepolti in una fossa comune di Vilnius, in Lituania, e riesumati nel 2002. Dopo aver rimosso la contaminazione ambientale, gli autori hanno identificato frammenti di DNA e agenti patogeni batterici.
Nonostante il termine deserto si associ a un’idea di vuoto o disabitato, gli ecosistemi desertici ospitano una componente importante di biodiversità, unica nel suo genere.
Sebbene l’uso degli antimicrobici sia ancora molto elevato in zootecnia, il sistema veterinario del nostro Paese ha fatto negli ultimi anni notevoli progressi
Il 23 e il 24 Ottobre si è tenuto a Sassari presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pregreffi” il XXIX convegno nazionale della Società Italiana di Patologia Ittica (S.I.P.I.). Nell’ ambito di questo evento è stato realizzato il Workshop ECM dal titolo: “One Health, una sfida nel settore ittico”, nel quale si è evidenziata la necessità di un approccio multidisciplinare One Health che coinvolga veterinari, biologi, produttori, istituzioni, esperti di settore e tutti gli altri attori presenti in questo complesso ambito. Negli ecosistemi acquatici l’ambiente, l’uomo e gli animali sono uniti in maniera indissolubile.
E’ il quadro ambientale che emerge dall’analisi del Rapporto europeo “Europe’s Environment 2025” dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, del Rapporto Ispra “Stato dell’Ambiente in Italia 2025: Indicatori e Analisi” e il Rapporto Ambiente SNPA.
Zanzare Culex pipiens e virus West Nile: nuovo studio riscrive la storia evolutiva
Un nuovo metodo di analisi consente di misurare con maggiore accuratezza gli ormoni legati allo stress in cavalli e pecore, offrendo uno strumento utile per valutare il loro benessere nel tempo