ECM, a fine anno scade il triennio formativo. Il punto su sanzioni e abbuoni

EcmIl 31 dicembre 2025 scade il triennio formativo entro il quale i professionisti sanitari, odontoiatri ed igienisti dentali inclusi, devono raccogliere i crediti formativi previsti dal Sistema di Educazione Continua in Medicina (ECM). Lo ricorda un articolo di Odontoiatria33 che evidenzia come il triennio formativo attuale, 2023-2025, introduca una novità significativa riguardante l’assolvimento dell’obbligo formativo e le conseguenze in caso di inadempienza: ovvero la non copertura da parte dalla propria compagnia assicurativa per quanto riguarda l’RC Professionale se non si raccolgono almeno il 70% dei crediti obbligatori.

Obbligo ECM e scadenza del triennio formativo

Per il triennio 2023-2025, l’obbligo formativo per i professionisti sanitari è confermato in 150 crediti ECM, salvo eventuali esoneri, esenzioni o riduzioni. Di fatto quasi nessuno dovrà raccogliere i 150 crediti, mediamente sono da raccoglierne circa 70, ne parliamo in questo approfondimento.

Sanzioni e abbuoni

Fino al 31 dicembre 2025 (ma in realtà se ne parlerà ad aprile visto che i provider hanno 90 giorni di tempo per registrare i crediti) le sanzioni sono state di fatto sospese. In realtà, la delibera della Commissione ECM non prevede la sospensione delle sanzioni (essendo le sanzioni definite per legge non potrebbe farlo) ma la possibilità, fino a fine 2025, di effettuare nella propria area riservata sul portale CoGeAPS, lo spostamento dei crediti raccolti negli eventi frequentati nel 2023 al triennio precedente (2020-2022), se si ha la necessità di mettersi in pari e i crediti da spostare.

Implicazioni per la copertura assicurativa

La vera novità rilevante di questo triennio (salvo modifiche legislative) riguarda l’efficacia delle polizze di Responsabilità Civile Professionale (RC professionale). A partire dal 1° gennaio 2026, l’efficacia di queste polizze sarà condizionata all’assolvimento di almeno il 70% dell’obbligo formativo individuale nel triennio precedente. Ciò significa che, per il triennio 2023-2025, i professionisti dovranno aver conseguito almeno 105 crediti ECM (pari al 70% di 150) per garantire la validità della propria copertura assicurativa se non hanno abbuoni da rivendicare. Ma molto probabilmente basterà aver raccolto una cinquantina di crediti in tre anni, ovvero quanto ne rilascia un corso FAD annuale come quelli abbinati all’abbonamento a Dental Cadmos.

 

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Fonte: doctor33




Collana Manuali “Pratiche agroecologiche nell’allevamento bovino”: download gratuito!

Un team di medici veterinari, agronomi e dottori forestali – tra i quali i creatori di questo sito web – esplorano le potenzialità applicative delle logiche agroecologiche nel contesto della zootecnia moderna. Facendo leva su esperienze di campo già operative in Italia, gli autori presentano percorsi innovativi, in linea con i principi delle politiche “One Health” che stanno guidando il rinnovamento dell’approccio ad una produzione agrozootecnica che garantisca, allo stesso tempo, la Salute dell’Uomo, degli Animali e dell’Ambiente. Percorsi che, in contemporanea, permettono di rendere più efficienti i processi zootecnici nonché di migliorare nettamente la loro sostenibilità economica.

La Collana – nata dall’elaborazione dei contenuti di una serie di corsi di formazione promossi da Veneto Agricoltura per i consulenti agricoli nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale del Veneto –  si compone di 6 volumi e tratta sia le basi teoriche sia i metodi di applicazione sul terreno delle pratiche agroecologiche nell’allevamento del bovino da latte e da carne, aprendo così spazi per un dialogo virtuoso e costruttivo tra i diversi operatori del settore, con l’obiettivo di facilitare il confronto e la reciproca contaminazione tra sistemi produttivi basati su tecniche ed organizzazione differenti, per raggiungere la comune meta del soddisfacimento dei fabbisogni alimentari dell’Umanità nel rispetto degli equilibri ecologici attuali e futuri del nostro Pianeta. Completano l’opera una serie di video che, quasi fossero dei casi-studio, esplicitano ulteriormente la concreta fattibilità della transizione verso una zootecnia agroecologica.

(Tutti i files sono scaricabili GRATUITAMENTE seguendo gli specifici link)

Fonte: allevareinagricoltura.com




Aviaria. Grasselli: nessun allarme per cani e gatti ma bisogna stare all’erta

Ciò che era assolutamente impensabile, per i cambiamenti in atto può accadere. Quindi abbiamo il dovere di monitorare”. Lo ha detto Aldo Grasselli, Segretario Nazionale SIVeMP e Presidente Onorario SIMEVeP in un‘intervista rilasciata a Quotidiano Nazionale sui rischi per gli animali domestici, dopo la morte in Islanda di 3 gatti colpiti dall’influenza aviaria.

Bisogna stare all’erta, senza allarmarsi. E mantenere norme banalissime di igiene. Evitare, per esempio, di far girare i nostri animali dove ci sono deiezioni di uccelli. Anche per difenderci da altre patologie che i nostri amici volatili ci possono trasmettere più facilmente, come salmonellosi, campylobatteriosi o clamidiosi. Queste patologie spesso convivono con gabbiani e piccioni, e indubbiamente possono essere trasportate anche in casa dai nostri animali domestici. Ma sul problema dell’aviaria non mi allarmerei”.

In questi anni stiamo assistendo a cambiamenti di carattere ecologico, provocati da cambiamenti climatici che modificano l’habitat non solo di animali ma anche di parassiti che vivono su questi animali”.

Questo può far sì che ciò che era assolutamente impensabile, possa accadere. Quindi abbiamo il dovere di monitorare i cambiamenti che avvengono in questi ecosistemi e di quelle patologie che potrebbero colpire l’uomo. Dobbiamo stare all’erta, con un monitoraggio epidemiologico e un sistema di sorveglianza adeguati” ha concluso Grasselli.




Una ricerca dell’IZSPLV sulla salute dei serpenti selvatici premiata al “Game of Research”

L’IZSPLV ha condotto un’indagine nazionale su Ophidiomyces ophiidicola, agente eziologico dell’ofidiomicosi, una patologia emergente che minaccia la biodiversità dei serpenti. in alcune popolazioni di ofidi statunitensi questa patologia è associata ad una aumentata mortalità. Lo studio ha analizzato centinaia di campioni tra recenti e storici, provenienti da quasi tutte le regioni italiane, rilevando il patogeno in cinque specie diverse. I dati ottenuti sottolineano sia la diffusione attuale sia la presenza storica di questa micosi in Italia, evidenziando la necessità di un monitoraggio standardizzato e di strategie di conservazione mirate.

I risultati del lavoro sono stati presentati nel corso della quarta edizione del Game of Research una giornata di condivisione e divulgazione scientifica dedicata alle Scienze Veterinarie, che è stata ospitata dal Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università degli Studi di Torino.

Il contributo proposto dall’IZSPLV Ophidiomyces ophiidicola and Ophidiomycosis: occurrence and distribution in free-ranging Italian snakes since the mid-20th century, è stato presentato da Matteo Riccardo Di Nicola e Pierluigi Acutis ed è stato premiato quale seconda migliore tra le “presentazioni orali”.

Questo riconoscimento conferma il valore della ricerca e l’impegno da parte dell’IZSPLV nella tutela dell’erpetofauna selvatica, che contribuisce alla diffusione di una maggiore consapevolezza sulle patologie emergenti che minacciano gli ecosistemi.

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Fonte: IZS Piemonte Liguria Valle d’Aosta




Un quarto degli animali d’acqua dolce a rischio estinzione

Inquinamento, dighe, agricoltura intensiva, specie invasive. E così rischiamo di perdere la bellezza di 23mila specie che vivono negli ecosistemi d’acqua dolce, quasi un quarto del totale. Sarebbe un duro colpo alla biodiversità: a lanciare l’allarme è un gruppo di scienziati della International Union for Conservation of Nature (Iucn), un’organizzazione non governativa internazionale con sede in Svizzera, in uno studio appena pubblicato sulle pagine della rivista Nature. Gli autori auspicano che i risultati del loro lavoro spronino e aiutino i decisori a intraprendere al più presto tutte le azioni necessarie a preservare la biodiversità delle acque dolci e scongiurare il pericolo di estinzione delle specie a rischio.

“Gli ecosistemi di acqua dolce”, scrivono i ricercatori nello studio, “sono ricchissimi di biodiversità e rappresentano un mezzo di sussistenza e di sviluppo economico per molte popolazioni umane, e sono attualmente sottoposti a uno stress molto elevato”. La maggior parte delle valutazioni finora compiute sulle specie a rischio di estinzione, però, non si erano concentrate su quelle che vivevano nelle acque dolci, e ciò ha parzialmente condizionato le politiche di conservazione.

“Finora, le politiche ambientali e le definizioni delle priorità di conservazione sono state stabilite soprattutto sulla base dei dati relativi ai tetrapodi terrestri. Abbiamo le prove che questi dati non sono sufficienti a rappresentare le esigenze delle specie di acqua dolce né a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati in fatto di biodiversità”. Tutelare questa biodiversità è particolarmente importante: le acque dolci ospitano, infatti, oltre il 10% di tutte le specie viventi conosciute, e molte di esse svolgono un ruolo fondamentale per il ciclo dei nutrienti, per il controllo delle inondazioni e per la mitigazione dei cambiamenti climatici.

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Fonte: repubblica.it




ISS – Influenza aviaria, cosa sapere

issChe cos’è l’influenza aviaria? Perché se ne parla?
Con il termine influenza aviaria si definisce una infezione virale che si verifica principalmente negli uccelli. In particolare, gli uccelli selvatici, soprattutto acquatici, sono il veicolo principale di diffusione di questi virus, che poi possono essere trasmessi, ad esempio, agli animali da allevamento, provocando danni economici ingenti, e, sporadicamente, all’uomo. I virus aviari hanno una grande capacità di mutare e, recentemente, alcuni di questi ceppi virali sono stati trasmessi anche ai mammiferi, tra cui bovini, e animali da compagnia, in particolare gatti.

Negli ultimi mesi si è parlato molto dei virus aviari, soprattutto per i diversi focolai che si stanno verificando negli USA, che coinvolgono in particolare gli allevamenti di bovini da latte, con centinaia di casi negli animali e alcune decine di contagi nell’uomo, generalmente con sintomatologia lieve, associata per lo più a congiuntivite e talvolta a sintomi che coinvolgono le vie respiratorie superiori (qui la pagina del CDC con gli ultimi aggiornamenti sul tema). Lo scorso 6 gennaio il CDC statunitense ha segnalato il primo decesso in una persona ricoverata per influenza aviaria in Luisiana.
Al momento in Italia non si segnalano infezioni in allevamenti di bovini, mentre, come accade ormai da diversi anni, ci sono stati focolai in allevamenti di volatili analogamente ad altri paesi europei (qui i bollettini periodici dell’ECDC).

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Fonte: ISS




L’afta epizootica torna in Germania dopo oltre tre decenni di assenza

L’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (WOAH) ha diffuso l’informazione circa la notifica da parte della Germania di un focolaio di afta epizootica (FMD) nel Brandeburgo, nel nord della Germania. Questo è il primo caso di FMD nel paese dal 1988, come riportato ufficialmente dal Ministro dell’Agricoltura.

Il laboratorio di riferimento nazionale, Friedrich-Loeffler-Institut (FLI), ha identificato il sierotipo O del virus FMD in tre bufali d’acqua nel distretto di Märkisch-Oderland. Questi bufali, infettati dalla FMD, sono successivamente deceduti. Le autorità locali stanno collaborando con specialisti per indagare sull’origine del focolaio. Come parte della risposta, tutti i 14 bufali dell’allevamento colpito sono stati abbattuti e distrutti. I servizi veterinari competenti del Ministero e le autorità veterinarie locali hanno adottato tutte le misure necessarie per contenere la malattia.

Il virus FMD non rappresenta un rischio per gli esseri umani.

Sebbene i virus FMD siano comunemente presenti in Medio Oriente e in Asia, l’origine precisa e la via d’ingresso in Germania rimangono al momento sconosciute.

La banca antigeni tedesca per la FMD, istituita specificamente per emergenze come questo focolaio, contiene vaccini adeguati contro il virus. Una volta attivata dai Länder, la banca può rapidamente produrre i vaccini necessari.

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Fonte: IZS Teramo




C’è una formula per capire se la specie invasiva avrà successo

Una formula per prevedere se una specie invasiva riuscirà a stabilirsi in un nuovo ecosistema. È il frutto di uno studio guidato dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) e pubblicato su Nature Ecology and Evolution. incentrato sulla determinazione del successo o meno di un’invasione da parte di una nuova specie.

Nelle comunità naturali, gli ecologi hanno ipotizzato che più un ecosistema è diversificato, più resisterà a un’invasione, perché la maggior parte delle nicchie ecologiche sarà già occupata e poche risorse saranno rimaste per un invasore. Tuttavia, sia nei sistemi naturali che in quelli sperimentali, gli scienziati hanno osservato che questo non è sempre vero: mentre alcune popolazioni altamente diversificate sono resistenti all’invasione, altre popolazioni altamente diversificate hanno maggiori probabilità di essere invase.

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Fonte: repubblica.it




Ragno violino. Questionario sulla conoscenza della specie e delle sue problematiche sanitarie

Le numerose segnalazioni da parte dei cittadini, relative a presunti o effettivi avvistamenti del ragno violino, hanno spinto l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana (IZSLT) a indagare attraverso un questionario strutturato la conoscenza di questa specie e delle sue problematiche sanitarie diffusa tra la popolazione.

Il questionario è anonimo e composto da 29 domande, articolate in 5 sezioni:

  • dati socio-demografici
  • conoscenze sul ragno violino
  • problematiche sanitarie legate alla specie
  • misure preventive e strategie di controllo
  • consapevolezza e gestione del rischio

L’obiettivo dell’iniziativa è anche quello di contenere l’allarmismo, fornendo informazioni scientificamente fondate per permettere di comprendere meglio i rischi e le modalità di prevenzione che il contatto con il ragno violino può comportare. Al termine del questionario è possibile infatti consultare e scaricare una brochure informativa sul ragno violino predisposta da esperti di IZSLT in collaborazione con Salute Lazio.

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Fonte: IZS Venezie




Alcune riflessioni sulla carne coltivata

Possiamo immaginare un futuro scintillante di un mondo appena oltre il presente in cui la carne è abbondante e accessibile, con quasi nessun costo per l’ambiente e senza la preoccupazione esistenziale legata all’uccisione degli animali.  Al centro di questa visione ci sono mega-strutture high-tech, che ospitano serbatoi d’acciaio (i bioreattori  o fermentatori) alti come palazzi contenenti migliaia di litri di terreni di coltura cellulare ed in grado di produrre milioni di chili di carne, tali da nutrire un intero paese. È una visione edonistica,  ma anche altruistica, una scappatoia per gli eccessi dell’umanità, perché consente di risparmiare acqua, liberare terreni, proteggere le specie vulnerabili e la biodiversità e ridurre le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale.  Parliamo di carne coltivata o carne a base cellulare, correlata all’origine biologica delle cellule e al metodo di produzione, impropriamente chiamata carne sintetica o artificiale, termini imprecisi che possono avere una connotazione negativa per i consumatori. L’aspetto semantico con l’utilizzo di una terminologia per i nuovi alimenti prodotti utilizzando nuove tecnologie – più facilmente comprensibile dal grande pubblico – è rilevante per  superare la potenziale neofobia e la possibile riluttanza verso le nuove scelte alimentari. Esistono diverse definizioni di carne coltivata. Quella che preferisco è la seguente: la carne coltivata è una carne animale genuina, in grado di replicare le stesse proprietà sensoriali e nutrizionali di quella convenzionale, in quanto costituita dello stesso tipo di cellule organizzate nella stessa struttura dimensionale del tessuto muscolare animale.  In parole povere, la carne coltivata è prodotta a partire da vere cellule animali, ad esempio cellule prelevate da un bovino, un pollo, un suino, un pesce.  L’unica differenza è che il prodotto è sempre basato su cellule animali ma non siamo costretti ad allevare e macellare animali.

Sebbene di recente interesse, l’idea originale di carne coltivata ha radici antiche.  Nel 1923, JBS Haldane nel libro ‘Dedalo della scienza e del futuro’ prospettò l’idea del cibo sintetico o coltivato in laboratorio. Winston Churchill nel 1931, critico nei confronti dei metodi di allevamento, introdusse l’argomento della carne coltivata.  Ma la prima ricerca di carne coltivata risale al 2002, quando la NASA pubblicò uno studio sulle colture di cellule muscolari di tacchino e filetto di pesce rosso.  A seguire nel 2013 Mark Post, uno scienziato olandese presentò il primo prototipo di carne a base di cellule di muscolo scheletrico bovino, sotto forma di hamburger, costato circa 290 mila euro per 142 grammi.  Ma il vero pioniere della carne coltivata è l’olandese Willem van Eelen, che negli anni 80’ pose le basi per questa nuova tecnologia.  Oggi il testimone di Willem van Eelen è passato a sua figlia Ira van Eelen, cofondatrice di RespectFarm, un progetto pilota che in alternativa ai grossi impianti, propone il decentramento della produzione di carne coltivata, riadattando le infrastrutture agricole esistenti in strutture per la carne coltivata e  garantendo la transizione dei mezzi di sostentamento degli agricoltori verso un modello di business più sostenibile. RespectFarm fa parte del programma di ricerca collaborativo FEASTS per la carne e pesce coltivato, finanziato con fondi strutturali e di investimento europei, e propone l’integrazione dell’agricoltura tradizionale con l’agricoltura cellulare, con un ruolo futuro nel passaggio verso la sostenibilità. Negli ultimi dieci anni, dunque il concetto di agricoltura cellulare, in particolare la coltivazione di carne e frutti di mare da cellule animali, è passato dalla fantascienza al mondo reale, sebbene con un mercato di nicchia, in alcuni paesi.

Ma come si produce la carne coltivata? Sinteticamente si parte dal prelievo di cellule (per lo più staminali perché dotate di estesa capacità rigenerativa) da un animale tramite una biopsia, e loro inserimento in un bioreattore (o fermentatore), che riproduce le stesse condizioni che le cellule incontrerebbero all’interno del corpo, tra cui presenza di sostanze nutritive, ossigeno e fattori necessari per la crescita e differenziazione. In alternativa alla biopsia che necessita di prelievi continui,  non garantisce l’uniformità dei campioni e presenta limiti dovuti alla soglia di divisione delle cellule primarie (limite di Hayflick), si possono utilizzare linee cellulari più omogenee e performanti e conservate in biobanche. La carne coltivata rappresenta dunque una fusione di biologia e tecnologia, afferisce alla agricoltura cellulare che unisce la tecnologia delle colture cellulari e biologia delle cellule staminali (in prestito dal settore biofarmaceutico) alla ingegneria tissutale-cellulare del settore della medicina umana rigenerativa.

Su questo sfondo di innovazione tecnologica una domanda ricorrente è questa: ma è naturale? Una riflessione che discende da un mito sociale più ampio secondo cui naturale equivale a migliore, più sano e più sicuro.  Siamo avvezzi a romanticizzare il naturale e questa preferenza deriva da pregiudizi radicati legati ad un comfort psicologico: la naturalezza sembra familiare e sicura, anche quando la scienza suggerisce il contrario. E su questo c’è un forte influenza del marketing. Etichette come biologico o naturale sono progettate per rassicurarci, ma possono oscurare i costi ambientali ed etici della produzione.  E’ una prima impressione che però si scontra con una realtà molto più complessa.  Sappiamo che gli alimenti naturali o convenzionali sono spesso imprevedibili. Prendiamo ad esempio la carne tradizionale prodotta in  ambienti (allevamenti ed impianti di macellazione e lavorazione) in cui circolano patogeni come E. coli, Salmonella, Campylobacter che si trasmettono all’uomo, per i quali il rischio non è mai zero e possono persistere anche con ispezioni rigorose.

Diversamente dalle procedure manuali, la tecnologia di automazione del processo di produzione della carne coltivata all’interno di bioreattori dotati di sofisticati  sistemi di monitoraggio, consente di rilevare rapidamente, tramite sensori fisico-chimici eventuali condizioni sfavorevoli nelle vasche di coltivazione, inclusi batteri patogeni, ma anche residui di ormoni ed antibiotici.

A differenza della maggior parte dei produttori di alimenti che testano i lotti in modo casuale, questo sistema offre maggiori garanzie poiché esamina ogni singolo lotto, riduce il rischio di contaminazione e aumenta il controllo, la sicurezza e la tracciabilità dei processi.  In pratica, il rischio può essere facilmente monitorato utilizzando test per la quantificazione dei farmaci veterinari sulla linea cellulare e sul prodotto finito, ma soprattutto recuperando i dati sanitari degli animali donatori.

L’utilizzo della modellazione poi, offre vantaggi sostanziali in termini di riproducibilità, scalabilità e sostenibilità, riduce al minimo le materie prime, gli sprechi, la manipolazione e la dipendenza dall’operatore portando a una maggiore efficienza dei bioprocessi. Il processo dunque è progettato per soddisfare rigorosi standard normativi che garantiscono la qualità e la sicurezza.  Per la produzione su larga scala, i bioreattori automatizzati operano ad alta intensità energetica e richiedono grandi quantità di acqua. Tuttavia, i  bioreattori automatizzati lavorano ad alta intensità energetica e richiedono grandi quantità di acqua. Da un punto di vista della sostenibilità i relativi costi possono essere ridotti utilizzando fonti di energia rinnovabili e introducendo pratiche di riciclaggio e riutilizzo dell’acqua. In aggiunta alla sicurezza ci sono vantaggi  di tipo ambientale rispetto all’agricoltura e allevamento tradizionali, che senza una corretta regolamentazione e pianificazione, favoriscono la deforestazione, sono responsabili per un terzo dell’emissione globale di gas serra proveniente dal settore della produzione alimentare (potenzialmente la carne coltivata produce il 92% in meno di emissioni) e consumano vaste risorse.  I dati ci dicono che siamo nel bel mezzo di una catastrofe globale al rallentatore, ogni anno che passa, la forza distruttiva del cambiamento climatico diventa più destabilizzante e il danno umano agli animali più estremo.

Tornando al quesito sopra espresso, possiamo chiederci: l’agricoltura naturale può raggiungere la  precisione della carne coltivata? E sostenibilità ma anche compassione (viene ridotta la macellazione industriale) non sono forse una definizione migliore di naturale? La scienza sta ora sfidando queste percezioni, dimostrando che il meglio può essere creato attraverso l’innovazione.  La carne coltivata, forse, non è del tutto naturale, ma è più sicura, più sostenibile ed eticamente allineata con i valori moderni.  Inoltre tra i suoi vantaggi, e questo va incontro alle esigenze dietetiche dei nuovi consumatori più attenti, c’è la possibilità di ottimizzarla sotto il profilo nutrizionale. La carne è ricca di acidi grassi saturi, come l’acido stearico, palmitico e laurico, questi ultimi due responsabili dell’aumento delle concentrazioni di colesterolo nel sangue, ma povera di acidi grassi polinsaturi (es. omega 3 e 6) che invece, riducono i livelli di colesterolo e con essi il rischio di subire malattie cardiovascolari. Queste sostanze più salutari potrebbero consentire di creare una prodotto proteico più funzionale e benefico per il consumatore.

Oggi alcuni prodotti che includono cellule coltivate sono stati approvati per la vendita a Singapore, Hong Kong, Stati Uniti (in pausa) e  Israele, ma non ancora nei paesi dell’Unione Europea. Uma Valeti, fondatore e CEO dell’azienda Upside Foods, ha dichiarato nel 2016 che ‘l’umanità è sull’orlo del ‘secondo addomesticamento’: invece di addomesticare gli animali per produrre carne, addomestichiamo le cellule per coltivarla direttamente, un cambiamento dietetico importante quanto il passaggio dalla caccia e dalla raccolta alle colture e all’allevamento. Per il futuro sicuramente i quadri normativi sui nuovi prodotti alimentari (novel food) dissiperanno le preoccupazioni relative alla sicurezza e trasparenza dei  metodi di produzione e dei potenziali impatti a lungo termine. Per migliorare l’efficacia della comunicazione con i non esperti (es. clienti, consumatori, elettori) e le parti interessate (es. allevatori, enti di regolamentazione e politici) e sviluppare un quadro unificato e multidisciplinare, occorrerà  superare l’approccio frammentato e a silos della ricerca sull’agricoltura cellulare in diversi settori (es. economico, alimentare, sanitario, biotecnologico e ambientale, promuovere la collaborazione tra industria, gruppi di ricerca, mondo accademico e autorità regolatorie e condividere database scientifici. Sono necessari modelli accurati.  E per averli abbiamo bisogno di dati migliori su cellule, composizione della biomassa, cinetica e consumo dei nutrienti ed efficienza energetica.  Sullo sfondo di dati promettenti di una recente analisi per il contributo significativo della carne coltivata all’economia dell’UE e una elettrizzante corsa globale agli  investimenti nel settore dell’ordine di miliardi di dollari da parte di capitale di rischio e fondi sovrani, nonché dei principali produttori di carne, e di start-up come East Just e Upside food, che, prima di aver superato le sfide tecnologiche più fondamentali, hanno spinto per l’approvazione del governo americano, si stagliano dichiarazioni che sottolineano come all’ampia rivoluzione della carne coltivata non corrisponda una prospettiva reale, e sicuramente non nei pochi anni che ci sono rimasti per evitare la catastrofe climatica.  Dalle interviste con investitori e addetti ai lavori, tra cui molti che hanno fatto parte dei team di leadership di aziende del settore, emerge una litania di risorse sperperate, promesse non mantenute, strutture costose, significativi ostacoli tecnologici e dati scientifici non validati.  Sono battute d’arresto prevedibili del ciclo hype di Gartner per l’innovazione e di sviluppo di tecnologie trasformative, che la storia ha dimostrato non seguire una linea retta. Affinché l’agricoltura cellulare raggiunga il “plateau della produttività”, non deve solo superare ostacoli di tipo biotecnologico e ingegneristico, ma anche quelli di natura sociale e politica. La carne coltivata, una idea futuristica, lungi dal ritenerla, in una prospettiva di scalabilità a lungo termine, sostitutiva di quella convenzionale, rappresenta una preziosa opportunità a fianco alle offerte vegetali e proteine alternative per realizzare una transizione proteica sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Le conseguenze disastrose del cambiamento climatico sono un wake-up che ci spinge a reinventare le nostre economie, a ripensare ai consumi e ridisegnare le nostre relazioni con la natura e l’uno con l’altro.

Parimenti è giunto il momento di ripensare alla narrativa del cibo cercando di superare la dicotomia semplicistica tra natura e innovazione scientifica e tecnologia che non riesce a catturare l’evoluzione dei moderni processi di produzione e favorire l’accettazione da parte del pubblico di soluzioni solo apparentemente innaturali come la carne coltivata.

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Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP