Il nuovo rapporto di SYSTEMIQ LTD sul futuro della carne coltivata

La produzione di carne per soddisfarne il fabbisogno di quasi otto miliardi di persone sul pianeta sta mettendo a dura prova le risorse disponibili. Fattori come lo sfruttamento dei terreni per l’allevamento intensivo, il disboscamento, la minaccia alla biodiversità e l’ emissione di gas serra sono responsabili degli effetti disastrosi del cambiamento climatico.  Se questo trend globale continuerà, il consumo di carne è destinato a crescere in modo significativo, con un aumento della domanda del 30% entro il 2050.  Tuttavia, è possibile contrastare questa tendenza e mitigare gli effetti della pressione ambientale attraverso la diversificazione della dieta e l’introduzione di proteine alternative tra cui quelle ​​vegetali, carni coltivate in laboratorio, o persino proteine ​​di insetti.

Una  analisi pubblicata nel 2019 dalla società di consulenza AT Kearney stima che nel 2040 la carne coltivata occuperà il 35% del mercato della carne globale insieme ad  altri analoghi di origine vegetale per un totale di 640 miliardi di dollari. Riguardo invece ai volumi di produzione futuri il rapporto Mc Kinsey prevede che entro il 2030 la produzione di carne coltivata,  benchè in crescita costante, con 2,1 milioni di tonnellate potrà soddisfare solo lo 0,5% della domanda globale di carne a causa delle capacità limitate degli attuali bioreattori che oggi vanno da 2.000 a 10.000 litri.   Una stima più recente è fornita dalla società di consulenza Systemiq Ltd. finanziato da e in collaborazione con Good Food Institute (GFI) relativo ai benefici economici che il settore della carne coltivata potrebbe apportare in Unione Europea ed altri come un migliore valore nutrizionale, profili di grassi più sani e rischi ridotti di zoonosi e resistenza antimicrobica,  riduzione del bioaccumulo di tossine soprattutto nei frutti di mare e livelli superiori di disponibilità alimentare per la riduzione dei  costi di produzione della carne, influenzati dal cambiamento climatico, dalla pressione sulle risorse, nonché dalla dipendenza dalle importazioni e dalla produzione di mangimi per animali.  Per stimare il potenziale della carne coltivata l’analisi prende in considerazione tre scenari, di cui due ambiziosi ma plausibili per lo sviluppo futuro del settore della carne coltivata.

L’obiettivo di questa analisi non è quello di fornire proiezioni definitive su ciò che accadrà ma di illustrare quale potrebbe essere il potenziale economico per l’Europa nell’ambito di alcuni scenari ambiziosi con l’intento di assumere fin da ora un ruolo di leadership nel settore. Negli scenari delineati, l’analisi stima che il settore potrebbe rappresentare un mercato globale da 170 a 510 miliardi di euro entro il 2050, e  nello scenario più ambizioso da 15 a 80 miliardi di euro all’anno a livello europeo, fra consumo interno ed esportazioni e sulla base di una catena di valore nazionale della carne coltivata e di opportunità commerciali. Inoltre la crescita di questo settore creerebbe 25.000-90.000 nuovi posti di lavoro ben retribuiti. La relazione rileva anche un particolare vantaggio competitivo nell’UE che in forza della ricerca nella scienza e nella biotecnologia è in grado di fornire materie prime per la coltivazione cellulare, come i terreni di crescita e attrezzature. In una prospettiva sul ruolo che i singoli paesi potrebbero svolgere nella filiera della carne coltivata, il rapporto illustra con casi-studio specifici le opportunità per Francia, Spagna, Polonia e Germania di sviluppare mercati nazionali e input chiave per la bioproduzione. Questi risultati sono estremamente entusiasmanti ma per cogliere l’opportunità, occorre assicurare la scalabilità del settore e la progressione da prodotto di nicchia (intorno a 85 euro al kg) a prodotto maggiormente accessibile con la parità di prezzo rispetto alle carni convenzionali, condizioni che potranno realizzarsi solo in un contesto normativo equo e trasparente e con investimenti significativi dei governi nei settori della ricerca e sviluppo nei prossimi anni.  La relazione ha calcolato che per concretizzare lo scenario più atteso e realizzare questi benefici, il settore della carne coltivata necessita di un investimento globale medio annuo di 55 miliardi di euro a livello globale da qui al 2050, di cui 5 miliardi dovrebbero provenire dall’UE, tra investimenti pubblici (500 milioni) e privati. L’UE sta attualmente destinando  diversi miliardi per le infrastrutture di trasporto green ed innovazioni eco-compatibili.  E’ ampiamente dimostrato come investimenti simili nel settore alimentare producano vantaggi superiori.

Dal punto di vista dell’impatto ambientale, il rapporto rileva che se il settore della carne coltivata crescesse a livello globale fino a queste dimensioni, rispetto ad altre tecnologie, potrebbe mitigare fino a 3,5 giga tonnellate di emissioni di gas serra (pari al 17% delle emissioni totali del sistema alimentare nel 2050).  Inoltre, si risparmierebbero fino a un terzo dei terreni agricoli globali (1,4 miliardi di ettari) e fino a 225 milioni di metri cubi di acqua, il tutto rafforzando la salute pubblica e la sicurezza alimentare. La capacità del settore di raggiungere questi traguardi dipenderà dalla disponibilità degli investimenti pubblici e privati necessari per superare le sfide tecniche, ridurre i costi e scalare la produzione in modo efficiente. Questi scenari dipenderanno anche dalla capacità della carne coltivata di mantenere un percorso di commercializzazione equo e basato su dati concreti in Europa e nel mondo. In termini di allocazione, gli autori del report consigliano di distribuire l’investimento con una suddivisione 40/60, dando priorità al 40% per Ricerca e sviluppo e al 60% per la costruzione di infrastrutture, entrambi fondamentali per inviare i segnali giusti agli attori privati ​​e sbloccare i flussi di capitale privato.  In Italia i poli universitari in cui si fa ricerca sul settore hanno sollecitato un dialogo multidisciplinare, concretizzatosi con  una conferenza multidisciplinare dal titolo ‘Le scienze della carne coltivata’ organizzato presso il Molecular biotechnology center “Guido Tarone  dall’Università di Torino e da Good Food Institute in occasione della European Biotech Week.  Sono stati coinvolti accademici di biotecnologia, ingegneria, diritto, psicologia, nutrizione, sicurezza alimentare e bioetica per riflettere sul futuro della carne coltivata e su come orientarsi tra le sfide che ci attendono.  L’evento ha visto il lancio di un progetto di crowdfunding a supporto della ricerca in UniTo, che ha già raccolto oltre il 90% dei fondi.

Dott. Maurizio Ferri e Dott.ssa Maria Grazia Cofelice – SIMeVeP




Scienza: l’IA scopre oltre 160.000 nuove specie di virus

L’intelligenza artificiale, AI, ha scoperto 161.979 nuove specie di virus a RNA, il che, secondo i ricercatori, migliorerà notevolmente la mappatura della vita sulla Terra e potrebbe aiutare a identificare molti altri milioni di virus ancora da caratterizzare. Lo dimostra uno studio guidato da Edwards Holmes, della School of Medical Sciences della Facoltà di Medicina e Salute dell’Università di Sydney, pubblicato su Cell. Lo studio è il più grande lavoro di scoperta di specie virali mai pubblicato. “Ci è stata offerta una finestra su una parte altrimenti nascosta della vita sulla Terra, rivelando una notevole biodiversità”, ha dichiarato Holmes, autore senior del lavoro. “Si tratta del maggior numero di nuove specie virali scoperte in un unico studio, che amplia in modo massiccio la nostra conoscenza dei virus che vivono tra noi”, ha dichiarato Holmes. “Trovare così tanti nuovi virus in un colpo solo è sbalorditivo e non fa che scalfire la superficie, aprendo un mondo di scoperte”, ha continuato Holmes. “Ce ne sono altri milioni da scoprire e possiamo applicare lo stesso approccio all’identificazione di batteri e parassiti”, ha proseguito Holmes. Sebbene i virus a RNA siano comunemente associati alle malattie umane, si trovano anche in ambienti estremi in tutto il mondo e potrebbero persino svolgere un ruolo chiave negli ecosistemi globali. In questo studio sono stati trovati nell’atmosfera, nelle sorgenti calde e nelle bocche idrotermali. “Il fatto che gli ambienti estremi ospitino così tanti tipi di virus è solo un altro esempio della loro fenomenale diversità e della loro tenacia nel vivere negli ambienti più difficili, e potenzialmente ci fornisce indizi su come sono nati i virus e altre forme di vita elementari”, ha affermato Holmes. I ricercatori hanno costruito un algoritmo di apprendimento profondo, LucaProt, per calcolare grandi quantità di dati di sequenze genetiche, tra cui genomi di virus lunghi fino a 47.250 nucleotidi e informazioni genomicamente complesse per scoprire più di 160.000 virus

“La stragrande maggioranza di questi virus era già stata sequenziata e si trovava in banche dati pubbliche, ma erano così divergenti che nessuno sapeva cosa fossero”, ha detto Holmes. “Costituivano quella che viene spesso definita ‘materia oscura’ delle sequenze”, ha precisato Holmes. “Il nostro metodo di intelligenza artificiale è stato in grado di organizzare e classificare tutte queste informazioni disparate, facendo luce per la prima volta sul significato di questa materia oscura”, ha aggiunto Holmes. Lo strumento di intelligenza artificiale è stato addestrato a calcolare la materia oscura e a identificare i virus in base alle sequenze e alle strutture secondarie delle proteine che tutti i virus a RNA utilizzano per la replicazione. L’IA è stata in grado di accelerare in modo significativo la scoperta dei virus che, se si utilizzassero i metodi tradizionali, richiederebbe molto tempo. “Per la scoperta dei virus ci affidavamo a noiose pipeline bioinformatiche, che limitavano la diversità che potevamo esplorare, ora disponiamo di un modello basato sull’intelligenza artificiale molto più efficace, che offre una sensibilità e una specificità eccezionali e, allo stesso tempo, ci permette di approfondire la diversità virale”, ha sottolineato Mang Shi, coautore della Sun Yat-sen University e responsabile istituzionale dello studio.

“Abbiamo intenzione di applicare questo modello in diverse applicazioni”, ha annunciato Shi. ”LucaProt rappresenta un’integrazione significativa tra la tecnologia AI all’avanguardia e la virologia, dimostrando che l’AI può svolgere efficacemente compiti di esplorazione biologica”, ha osservato Zhao-Rong Li, ricercatore presso l’Apsara Lab di Alibaba Cloud Intelligence.” Questa integrazione – ha precisato Li – fornisce preziose intuizioni e incoraggia l’ulteriore decodifica delle sequenze biologiche e la decostruzione dei sistemi biologici da una nuova prospettiva”. “Continueremo inoltre la nostra ricerca nel campo dell’IA per la virologia”, ha commentato Li. “L’ovvio passo successivo è quello di addestrare il nostro metodo per trovare un numero ancora maggiore di questa straordinaria diversità, e chissà quali altre sorprese sono in serbo”, ha concluso Holmes.

Fonte: AGI




Docufilm “Raccontiamo la bontà”

Lotta Spreco AlimentareL’ associazione AVCI odv, di cui SIMEVEP è sostenitrice,  ha presentato il progetto “Raccontiamo la Bontà”, Bando n.7 sul Volontariato/Terzo settore anno 2023 della Regione Piemonte.

Il nucleo centrale del progetto che vede costituirsi in rete diverse altre organizzazioni di volontariato è stato il docufilm attorno al quale si sviluppano altre iniziative finanziate dalla Regione Piemonte.

Il docufilm descrive l’impegno dei volontari nell’affrontare i problemi legati alla povertà (anche alimentare) nei territori di Biella e di Vercelli ma vuole dare anche risalto all’importanza dell’impegno pubblico, soprattutto del Servizio Veterinario che con i suoi professionisti svolge il ruolo di formatore per favorire il recupero delle eccedenze e la riduzione degli sprechi.

Il  4 ottobre il docufilm è stato presentato in anteprima durante il Convegno “Prevenire lo spreco alimentare: un incrocio di azioni virtuose tra etica, educazione, solidarietà e salute” organizzato dalla ASLCN2- Alba.

Docufilm “Raccontiamo la bontà”




Una nuova frontiera naturale per zootecnia a agricoltura: studio sulle applicazioni della bava di lumaca

E’ stato istituito a Cherasco, sede del Polo Elicolo (allevamento chiocciole) più avanzato d’Europa, il primo gruppo di studio al mondo per l’applicazione della bava di lumaca – nota da tempo per le sue proprietà terapeutiche sull’uomo – in zootecnia per la cura delle mastiti bovine e in agricoltura per migliorare la resilienza delle colture ai cambiamenti climatici.

Alla presentazione ha partecipato anche Romano Marabelli, Advisor della Direzione Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (WOAH).

Comunicato stampa




Dagli studi su un verme il Premio Nobel per la Medicina!

Ad un anno di distanza dal Premio Nobel assegnato a Katalin Karikó e Drew Weissman per la rivoluzionaria tecnologia dell’RNA messaggero (mRNA), grazie alla quale sono stati messi a punto i vaccini anti-Covid che hanno consentito di salvare centinaia di milioni di vite umane, e’ ancora una volta l’RNA a prendersi la scena del Nobel per la Medicina, che è stato appena conferito a Victor Ambros e Gary Ruvkun per la scoperta dei “micro-RNA”. Si tratta di brevi sequenze di RNA non codificanti ma al contempo regolanti l’attività dei geni umani ed animali, la cui funzione potra’ risultare a seconda dei casi stimolata oppure inibita, con tutte le straordinarie ricadute che ciò potrà avere nella lotta sia ai tumori sia alle patologie cardiovascolari e neurodegenerative financo alle malattie infettive. Quasi per paradosso, verrebbe da dire, queste ultime fattispecie sembrano accomunare sia le potenziali applicazioni sia i futuri sviluppi delle tecnologie dell’mRNA e dei micro-RNA, pur nelle sostanziali differenze che ne governano le relative funzioni biologiche ed i rispettivi meccanismi d’azione.

Non tutti sanno, inoltre, che la scoperta dei micro-RNA si deve agli studi effettuati su Caenorhabditis elegans, un verme lungo un solo millimetro e composto da un migliaio di cellule, il cui numero rimane costante per il suo intero arco vitale. Quest’ultima costituisce, giustappunto, la principale caratteristica biologica per la quale questo nematode e’ stato e continua ad essere tuttora, da oltre 60 anni, oggetto di innumerevoli ricerche finalizzate a comprendere i meccanismi coinvolti nella “morte, rigenerazione e differenziazione cellulare”. Faccio riferimento, in particolar modo, all’ “apoptosi” (alias “morte cellulare programmata”), i cui geni responsabili vennero identificati, in prima battuta, grazie agli studi condotti su C. elegans, negli anni sessanta, da Sydney Brenner, il quale 40 anni piu’ tardi – nel 2002, per la precisione – venne insignito del Premio Nobel per la Medicina insieme ai Colleghi Robert Horvitz e John Sulston.

Historia Magistra Vitae, tanto più quando si pensi che ad un verme il genere umano deve immensa gratitudine!

 

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Malattia di Chagas. Il Rapporto Ecdc sui potenziali “portatori” di Trypanosoma cruzi in Europa

Tipicamente associata all’America Latina, la malattia di Chagas (CD) è ora una preoccupazione crescente in Europa a causa della trasmissione congenita e della trasmissione tramite sostanze di origine umana.

Il rapporto, A comprehensive systematic review for identifying the risk factors for carrying a Trypanosoma cruzi infection in non-endemic countries , identifica diversi fattori di rischio chiave ed è particolarmente rilevante per il contesto europeo.

I movimenti di massa della popolazione hanno causato l’emergere della malattia di Chagas (CD) al di fuori delle regioni endemiche, tra cui l’Unione Europea/Spazio Economico Europeo (UE/SEE). Il parassita responsabile della CD, Trypanosoma cruzi , può essere trasmesso attraverso sostanze di origine umana (SoHO), come trasfusioni di sangue e trapianti di organi, esponendo a un rischio i riceventi. Questo, insieme alla trasmissione congenita, è motivo di crescente preoccupazione nei paesi non endemici.

Gli individui nati nei paesi latinoamericani, in particolare in Bolivia, corrono un rischio maggiore di essere portatori di T. cruzi. Ma oltre alle origini geografiche, il rapporto evidenzia altri importanti fattori di rischio associati a maggiori probabilità di essere portatori di un’infezione da T. cruzi nei paesi non endemici, come: aver soggiornato in paesi endemici, una storia di vita in zone rurali o condizioni abitative scadenti in regioni endemiche, aver ricevuto trasfusioni di sangue o trapianti di organi in queste aree, origine materna da un paese endemico e avere una storia familiare di malattia di Chagas.

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Fonte: quotidianosanita.it




Encefalite da zecche, trasmissione attraverso sangue e organi. Ecdc: rischio raro, ma serve monitoraggio

L’encefalite da zecche (Tbe), malattia virale trasmessa principalmente attraverso punture di zecche, presenta un rischio estremamente basso di trasmissione attraverso sostanze di origine umana come sangue, organi e tessuti. Lo afferma l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), che ha pubblicato un rapporto sul tema. Nonostante la documentazione di rari casi di trasmissione tramite trasfusione o trapianto da singoli donatori, l’Ecdc raccomanda alcune misure di precauzione, come il rinvio temporaneo dei donatori di sangue che hanno subito recenti punture di zecca (nei 28 giorni precedenti) e l’implementazione di test sierologici e molecolari per i donatori che sono stati potenzialmente esposti.
Trasmissione dell’encefalite da zecche 

Tra il 2013 e il 2022, sono stati segnalati 28.680 casi confermati di Tbe nell’Ue/See, la maggior parte dei quali si è verificata nell’Europa centrale e settentrionale. La maggior parte delle infezioni da virus Tbe rimane asintomatica. Tuttavia, sono state segnalate condizioni a lungo termine in una percentuale sostanziale di pazienti con sintomi neurologici e viene generalmente segnalato un tasso di mortalità di circa lo 0,5%. La valutazione pubblicata dall’Ecdc si concentra sui rischi di trasmissione del virus Tbe (TBEV) attraverso sostanze di origine umana (SoHO) come sangue, organi, tessuti e cellule.
Sebbene la trasmissione del virus Tbe attraverso SoHO sia documentata, la valutazione suggerisce che tali eventi sono estremamente rari. In particolare, sono stati segnalati due casi tramite trasfusione di sangue da un singolo donatore e tre tramite trapianto di organi, sempre da un singolo donatore. Sebbene non sia possibile valutare il rischio di trasmissione del virus Tbe tramite trasfusione di sangue, la probabilità che questa porti a una malattia sintomatica è considerata molto bassa. Anche il rischio di trasmissione del virus Tbe tramite trapianto di organi è considerato basso. Inoltre, in assenza di casi segnalati, il rischio di trasmissione del virus Tbe tramite trapianto di tessuti e cellule non può essere valutato.

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Fonte: vet33.it




L’Oms lancia un piano strategico globale contro la dengue

I casi di dengue sono aumentati in tutte e sei le regioni dell’Oms. Una chiamata all’zione per combattere anche le altre malattie arbovirosi trasmesse da Aedes

Oggi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha lanciato il Global Strategic Preparedness, Readiness and Response Plan (Sprp) per affrontare la dengue e altri  arbovirus trasmessi da Aedes . Il piano mira a ridurre il peso della malattia, della sofferenza e dei decessi causati dalla dengue e da altre  malattie arbovirosi trasmesse da Aedes come Zika e chikungunya, promuovendo una risposta coordinata a livello globale.

Il piano delinea le azioni prioritarie per controllare la trasmissione e offre raccomandazioni ai paesi interessati in vari settori, tra cui la sorveglianza delle malattie, le attività di laboratorio, il controllo dei vettori, il coinvolgimento della comunità, la gestione clinica e la ricerca e sviluppo, attraverso un approccio che coinvolga l’intera società e le regioni.

Si stima che quattro miliardi di persone siano a rischio di infezione da arbovirus in tutto il mondo e si stima che questo numero aumenterà a 5 miliardi entro il 2050. I casi di dengue sono aumentati in tutte e sei le regioni dell’Oms e il numero di casi è approssimativamente raddoppiato ogni anno dal 2021, con oltre 12,3 milioni di casi alla fine di agosto di quest’anno, quasi il doppio dei 6,5 milioni di casi segnalati in tutto il 2023.

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Fonte: panoramadellasanita.it




World One Health Congress: in Africa l’ottava edizione (2024)

Sono stati quattro giorni pieni di contenuti scientifici importanti quelli dell’ottavo World One Health Congress (8WOHC) che si è svolto – per la prima volta in Africa – a Città del Capo il 24 settembre 2024.

Oltre 1400 esperti leader nel campo della One Health si sono riuniti per condividere dati scientifici all’avanguardia in 70 sessioni e presentare oltre 600 poster scientifici. Ad essere presentate, le ultime scoperte su malattie tropicali trasmesse da vettori, zoonosi, antibiotico resistenza, malattie neglette, sorveglianza, sequenziamento, sicurezza e salubrità di alimenti e mangimi, biosicurezza, clima, intelligenza artificiale, big data e preparazione alle pandemie.

L’assessore James Vos, membro del comitato del sindaco per la crescita economica della città di Città del Capo, ha aperto il congresso dando il benvenuto ai delegati di 87 Paesi «dove le idee prendono vita e innovazione e opportunità si incontrano».

Il Centro per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha partecipato ai lavori della Conferenza con un contributo specifico nei seguenti settori:

  • “One Health Preparedness: how to evaluate Simulation Exercises to enhance multi-sectorial national preparedness plans and capacitate One Health workforce”. L’ISS sta organizzando e implementando esercizi di simulazione in Italia mirati al rafforzamento della preparedness per patogeni a potenziale pandemico a trasmissione respiratoria. In questo contesto è stato elaborato un Piano di valutazione atto a identificare la forza lavoro coinvolta nella preparedness in termini di ruoli, istituzioni e competenze necessarie.
  • “Pathways to strengthen One Health systems in the Pan-European Region for integrated prevention and preparedness strategies and health security”. L’ISS (Centro Nazionale per la Salute Globale) è impegnato in una ricerca operativa per individuare fattori facilitanti che supportano l’operazionalizzazione dell’approccio One Health nella regione Pan-Europea a supporto di una governance e azioni integrate per la prevenzione e preparedness a minacce all’interfaccia uomo-ambiente-animale.
  • “Integrating Diversity and Equity in One Health”. La sessione, organizzata dalla Rete “Women for One Health” di cui è membro il Centro per la Salute Globale dell’ISS, ha esplorato come la diversità degli attori coinvolti in strategie One Health e l’equità nella rappresentazione nei processi di policy-making sono essenziali per un approccio One Health efficace e funzionale.

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Fonte: ISS




Cambiamenti climatici: così modificano la distribuzione degli insetti vettori di zoonosi

Temperature più elevate, aumento della siccità, fenomeni meteorologici più violenti, riscaldamento delle acque marine e innalzamento del livello dei mari, perdita di specie animali e vegetali, maggior variabilità delle produzioni agricole e maggiori rischi per la salute. Sono i principali effetti della “evoluzione incontrollata” del clima, meglio nota come “cambiamenti climatici” per i più.

Un fenomeno che la comunità scientifica ritiene abbia effetti significativi sulla vita animale e quindi non di meno, sugli insetti. L’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), il più numeroso consesso mondiale di esperti sul clima, anche all’interno del suo sesto rapporto “Climate change 2023”, sottolinea che gli attuali trend delle temperature, abbinati ai regimi pluviometrici sempre meno costanti, influenzino significativamente la vita della maggioranza degli organismi sulla Terra.

Gli effetti del cambiamento climatico sugli insetti

Sebbene la materia di studio, focalizzata solo sugli insetti, sia alquanto complessa (le specie di insetti presenti sulla Terra sono milioni e vivono negli ambienti più disparati, con preferenze climatiche e microclimatiche molto diverse da specie a specie), i principali effetti del cambiamento climatico sulla vita di questi organismi possano essere così sintetizzati:

  1. Il riscaldamento globale, portando temperature più miti in aree in precedenza climaticamente meno favorevoli, influenzerà la dinamica delle popolazioni della maggioranza delle specie di insetti agendo direttamente sulla loro sopravvivenza, in genere favorendola nelle aree del pianeta attualmente temperate o più fredde.
  2. Il riscaldamento globale agirà sui tempi in cui tali specie compiranno le proprie generazioni, sulla loro fecondità e sulla capacità di disperdersi in un determinato areale.
  3. Le popolazioni che vivono in climi miti o freddi trarranno maggior beneficio dal cambiamento climatico poiché presenteranno un più rapido sviluppo e una maggiore sopravvivenza. Sempre nelle stesse aree la mortalità degli stadi svernanti diminuirà grazie alle temperature invernali più miti, permettendo a molte specie di conquistare areali più a Nord.
  4. Gli effetti del riscaldamento globale sulle specie di insetti modificheranno le interazioni trofiche tra le piante ospiti di cui gli insetti si nutrono e i nemici naturali che si sviluppano a spese degli insetti tenendone controllate le popolazioni.
  5. Le specie di insetti che prediligono climi miti, temperati, o climi tendenzialmente freddi, potranno al contrario subire regressioni nel loro areale di distribuzione complessivo e potrebbero subire la scomparsa negli ambienti precedentemente colonizzati (le specie che vivono alle quote più elevate avranno la tendenza a spostarsi a quote più alte e, se anche lì le condizioni ambientali diventassero proibitive per la loro sopravvivenza, se ne potrebbe rilevare la scomparsa).

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Fonte: aboutpharma.com