Ispra: sprecati due terzi dell’energia alimentare prodotta

Il 5 febbraio si è celebrata la Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, il tema di quest’anno, #tempodiagire – #timetoact, sottolinea l’importanza di un’azione immediata per contrastare questo fenomeno e raggiungere l’obiettivo 12.3 delle Nazioni Unite.

La scoperta, una dozzina di anni fa, che le perdite e rifiuti alimentari (convenzionalmente indicati come “spreco alimentare”) lungo tutta la catena di fornitura alimentare ammontavano a circa un terzo della produzione alimentare, suscitò l’enorme interesse di governi, accademie e settore privato.

Il fatto che quantità sostanziali di alimenti siano prodotti ma non mangiati dagli esseri umani ha impatti negativi sostanziali: ambientali, sociali ed economici. Le stime suggeriscono che l‘8-10% delle emissioni globali di gas serra sono associate al cibo che non viene consumato.
La riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari è stata identificata come un mezzo essenziale per migliorare la sicurezza alimentare riducendo al contempo la pressione sulle risorse naturali.

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, riconoscendo che la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari è un mezzo essenziale per raggiungere la sicurezza alimentare riducendo al contempo la pressione sulle risorse naturali, chiede ai Paesi di ridurre entro il 2030, rispetto ai valori del 2015, le perdite di cibo nelle filiere di produzione e di fornitura, comprese le perdite post-raccolto, e dimezzare i rifiuti alimentari pro-capite (misurato in kcal/persona/giorno) a livello di vendita al dettaglio e di consumo.

Purtroppo, sebbene consapevolezza e sforzi siano aumentati, lo spreco alimentare non è diminuito. Rispetto alle prime stime globali della FAO nel 2011 (1,3 miliardi di tonnellate), studi recenti che considerano anche le perdite in campo riportano che lo spreco alimentare ammontino a 2,5 miliardi di tonnellate, pari al 40% della produzione.

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Fonte: ISPRA Ambiente




Api e microplastiche

apeLe microplastiche – cioè i frammenti di plastica di dimensioni inferiori ad un micrometro, un milionesimo di metro – stanno diventando uno dei principali inquinanti a livello globale, presenti ormai in molti ambienti e con effetti che spesso sono ancora da capire pienamente.

Prodotte dalla degradazione degli oggetti in plastica, per le loro piccolissime dimensioni si diffondono velocemente nell’ambiente e sono difficilissime da rimuovere.

Così si trovano ormai in mare, nelle acque dolci, nel terreno, nell’aria e all’interno di molti organismi viventi, dove possono causare problemi che vanno dalle ostruzioni fisiche, ad effetti tossici e cancerogeni.

Un problema reso più grave dal fatto che qualsiasi oggetto in plastica può produrle, anche se non è ancora un rifiuto, come uno pneumatico che si consuma sull’asfalto o un maglione sintetico durante il lavaggio e l’asciugatura.

E oltre all’attenzione sui vari problemi che possono causare all’uomo e all’ambiente, si stanno iniziando a moltiplicare anche gli studi sui possibili effetti sulle api.

Per cercare di fare il punto sulla questione abbiamo parlato con il dottor Giovanni Cilia del Crea Agricoltura e Ambiente, Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria, che è stato anche tra gli autori di un recente articolo sugli effetti combinati di insetticidi, patogeni e microplastiche sulle api, pubblicato sulla rivista Environmental Toxicology and Pharmacology.

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Fonte: agronotizie.com




Missione in Antartide a caccia di influenza aviaria

Si è svolta fra ottobre e novembre una storica missione dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) fra i ghiacci dell’Antartide alla ricerca dell’influenza aviaria, con l’obiettivo di verificare la presenza del virus H5N1 fra le popolazioni di pinguini e contrastare questa minaccia globale anche nelle aree più remote del pianeta.

La missione è stata promossa su iniziativa dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), l’ente che si occupa della programmazione operativa e della gestione tecnico-logistica delle attività di ricerca italiane nel continente antartico. L’ENEA ha richiesto all’IZSVe di verificare l’eventuale presenza del virus fra le colonie di pinguini situate nel raggio operativo della Stazione “Mario Zucchelli”, una delle due basi italiane in Antartide, al fine di dotare il personale di istruzioni operative e dispositivi di sicurezza mirati alla riduzione del rischio zoonotico da H5N1.

A volare tra i ghiacci sono stati Francesco Bonfante e Alessio Bortolami, virologi veterinari della SCS6 – Virologia speciale e sperimentazione, che una volta concluso l’indispensabile addestramento, sono partiti per una missione assolutamente unica, cogliendo questa occasione per meglio comprendere le dinamiche di diffusione dell’influenza aviaria nel continente antartico.

Nel 2022 l’influenza aviaria si è spinta per la prima volta fino alle coste più meridionali del Sudamerica dove ha causato episodi di mortalità di massa in numerose specie di uccelli, oltre a decimare intere colonie di leoni ed elefanti marini. Il virus H5N1 è stato ritrovato in pinguini della Georgia del Sud, un gruppo di isole prossime al continente antartico, e nel febbraio 2024 è entrato definitivamente nel continente antartico, nelle vicinanze della stazione di ricerca argentina Primavera Base.

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Fonte: IZS Venezie




Convegno Nazionale – Malattie da Vettori: Focus su CCHF e TBE

Si terrà il 27 febbraio a Roma, presso il Ministero della Salute a via Ribotta, il Convegno Nazionale, accreditato ECM, MALATTIE TRASMESSE DA VETTORI: focus su Febbre emorragica Crimea-Congo e Encefalite da zecca organizzato dal Ministero della Salute in collaborazione con  SIVeMP e SIMeVeP.

Il corso è accreditato per Medici Veterinari, Biologi e Medici Chirurghi (solo discipline Malattie infettive/Igiene, epidemiologia e sanità pubblica/Igiene degli alimenti e della nutrizione/Medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro).

Si stima che attualmente l’80% della popolazione mondiale è a rischio di contrarre una o più malattie da vettori e che queste ogni anno siano responsabili della morte di oltre mezzo milione di persone. Pertanto, le arbovirosi rappresentano un problema di sanità pubblica di primaria importanza la cui lotta risulta difficile e particolarmente sfidante.

L’aumento delle temperature ed i conseguenti cambiamenti macro e microclimatici possono influenzare la biologia e l’ecologia dei vettori, così come gli scambi transfrontalieri ne favoriscono la diffusione e la distribuzione geografica.
Per questi motivi, si assiste con maggiore frequenza alla comparsa di eventi epidemici ed alla endemizzazione delle stesse arbovirosi.

In un’ottica di “salute unica” e di collaborazione intersettoriale, imprescindibile per l’approccio alla lotta delle infezioni da vettori, la giornata di studio vuole contribuire all’aggiornamento degli iscritti su due importanti malattie trasmesse da zecche, attraverso l’intervento di specialisti che potranno fornire ai partecipanti una visione multidisciplinare degli argomenti.

Posti esauriti, è possibile partecipare solo come uditore.

Locandina Convegno

 

 




Disponibili la registrazione e la presentazione del Focus sull’uso del farmaco negli animali d’affezione

E’ possibile rivedere l’incontro su Focus sul farmaco per gli animali d’affezione che si è tenuto il 23 gennaio u.s..e 13.30 alle 15.00 . L’incontro in collaborazione con SIMeVeP , tenuto dalla dottoressa Silvia Fiorina e dal dottor Marco Cecchetto.

 

L’incontro  è stato organizzato in collaborazione ADMV e SIMeVeP – Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, per rispondere a domande pratiche e prevenire errori che potrebbero causare sanzioni. La dr.ssa Silvia Fiorina e il dr. Marco Cecchetto ci chiariscono i dubbi su modalità di prescrizione farmaci, affrontano le problematiche legate alla gestione delle prescrizioni, all’uso di farmaci generici, degli stupefacenti e alla complessa situazione del mercato, dove la scarsità di farmaci veterinari specifici spesso costringe noi professionisti a scelte difficili.

 

PRESENTAZIONE FOCUS




Spreco alimentare, in Italia cresce a 14 miliardi. Ecco il cibo che finisce di più nella spazzatura

Cresce ancora la quota di cibo che si butta nella spazzatura e scende sempre di più l’attenzione alle buone pratiche.

In totale, considerando tutta la filiera, lo spreco alimentare in Italia presenta un conto salato di 14,1 miliardi di euro per 4,5 milioni di tonnellate di prodotti sfiorando i 140 euro a testa l’anno (139,71) contro i 126 euro di un anno fa. A preoccupare è il segnale negativo che arriva dalle nostre case con un costo di 8,2 miliardi di euro sul totale del costo dello spreco di filiera.

Questa la fotografia scattata nel Rapporto ‘Il caso Italia’ 2025 dell’Osservatorio Waste Watcher International, elaborazione Ipsos/Università di Bologna, in vista della 12/a Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, il 5 febbraio, fondata dalla campagna Spreco Zero. Giornata che lancia il countdown verso l’obiettivo Onu 2030 di dimezzare lo sperpero di cibo: “A quella data – spiega il direttore scientifico Waste Watcher e della Giornata, di cui è anche ideatore, Andrea Segrè – lo spreco si dovrà attestare a 369,7 grammi settimanali, e per fare questo dobbiamo tutti tagliare, ogni anno, da qui al 2029, circa 50 grammi di cibo a settimana a testa”. Che tradotto in pratica significa un quarto di mela in meno nel bidone ogni settimana, o un quarto di bicchiere di latte in meno gettato negli scarichi, o una rosetta di pane in meno nell’umido.

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Fonte: ansa




Ci sono ancora milioni di specie di animali e piante che non conosciamo

Conosciamo quasi 2 milioni di specie di animali e piante, ma la comunità scientifica stima che ce ne siano molte di più, almeno 8 milioni. E infatti ogni anno capita che ne vengano classificate di nuove, anche grazie alle spedizioni per studiare la biodiversità e scoprire organismi ancora ignoti.

Per esempio in poco più di un mese, nell’estate del 2022, un gruppo di ricerca ha trovato 27 nuove specie in una zona di foreste del Perù. È stato un risultato molto significativo, peraltro considerando che quattro sono mammiferi, la classe di animali che conosciamo di più. In mare le scoperte sono ancora più numerose, perché ci vivono molti più organismi e ci sono vaste porzioni di fondali mai esplorate: all’inizio dell’anno scorso due spedizioni al largo del Cile hanno scoperto circa 150 nuove specie in due mesi.

La spedizione in Perù era stata organizzata da Conservation International, una ong statunitense che si propone di preservare dall’estinzione altre specie viventi. Dal 1991 porta avanti brevi missioni scientifiche in aree del pianeta che hanno una biodiversità ricca ma non abbastanza studiata. In più di trent’anni di spedizioni in foreste, fiumi e barriere coralline ha scoperto più di 1.400 specie precedentemente sconosciute.

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Fonte: ilpost.it




“One Health”, salute e clima: cosa è cambiato e cosa cambierà

La nomina del nuovo Presidente Donald Trump in USA ha determinato un cambiamento profondo delle politiche americane su temi sensibili come salute, clima, immigrazione che impattano tutte sul tema “One Health”.

La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2024 (UNFCCC COP 29) si è tenuta nel novembre 2024 a Baku, in Azerbaigian, ha avuto uno svolgimento complesso e ha registrato grandi differenze di intenti tra i Paesi partecipanti tanto che si è stato ad un passo di un clamoroso fallimento. I Paesi emergenti chiedevano aiuti per adottare tecnologie green, mentre i Paesi più sviluppati frenavano e alla fine per evitare il fallimento completo si è arrivati ad un mini accordo finanziario a supporto dei Paesi con siccità e con alti livelli di inquinamento. L’andamento ed i risultati della conferenza sono stati senza dubbio condizionati dall’attesa dell’esito delle elezioni americane di novembre 2024. Elezioni che hanno poi registrato la designazione di Donald Trump a Presidente USA con il pieno controllo della Camera dei Rappresentanti e del Senato, nonché della Corte Suprema e poi i primi atti ostili verso gli interventi e le misure adottate dalla precedente amministrazione per il contrasto del cambiamento climatico

Clima e ambiente: lo scenario in divenire Lo Stato di salute della natura e del clima è ormai allarmante e l’azione delle principali imprese globali, nonostante un positivo slancio, rimane al di sotto di quanto sarebbe necessaria per rispristinare lo stato di salute degli ecosistemi planetari.

È quanto emerge dal Briefing State of Nature and Climate 2025”, redatto da World Economic Forum (WEF), Potsdam Institute of Climate Impact Research (PIK) e l Carbon Discluse Project (CDP) e presentato il 21 gennaio 2025 nel corso di un evento dal titolo “Nature e Clima: un bilancio globale”, organizzato dal Centre for Nature and Climate del WEF, una piattaforma multi-stakeholder che si concentra sulla protezione del nostro ambiente e sulla promozione di pratiche sostenibili, a cui sono affiliate oltre 400 organizzazioni pubbliche e private, più di 150 fondazioni filantropiche e 5 Governi, la cui mission è realizzare la decarbonizzazione dell’industria in linea con il percorso di Parigi per il riscaldamento globale a 1,5 °C; la transizione dei sistemi nell’uso degli oceani e del suolo e la gestione delle risorse in termini di cibo, acqua e materiali.

Nel corso dell’evento, a cui hanno partecipato quali relatori il Direttore del PIK, Johan Rockström, la CEO del Centre for Nature and Climate, Gim Huay Neo e la CEO del CDP, Sherry Madera, si è sottolineato come la Terra stia perdendo resilienza. Già sei dei nove punti di svolta planetari sono già al di fuori dei limiti di sicurezza, lasciandoci sull’orlo di un declino irreversibile e che c’è necessità di un’azione più incisiva del settore privato nell’affrontare l’emergenza climatica e della natura.

Il briefing fornisce solide prove scientifiche che l’umanità sta mettendo la stabilità dell’intero Sistema Terra a rischio, mettendo a repentaglio lo sviluppo economico globale. I limiti del sistema planetario (Planetary Boundaries) si trovano nella “zona di rischio crescente”.

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Fonte: quotidianosanita.it




Nuovo promettente anticorpo contro l’aviaria

Il trattamento a base di anticorpi altamente neutralizzanti MEDI8852 può proteggere i primati dalla malattia causata dal virus dell’influenza aviaria H5N1. Questo incoraggiante risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Science, condotto dagli scienziati dell’Università di Pittsburgh e del NIH Vaccine Research Center.

Il team, guidato da Douglas Reed, ha valutato l’efficacia di una terapia anticorpale nel prevenire l’infezione grave da H5N1. L’anticorpo ampiamente neutralizzante, spiegano gli esperti, riconosce una regione relativamente stabile del virus, e tende a non perdere efficacia rispetto agli anticorpi che prendono di mira le strutture più soggette a mutazioni. Questa caratteristica assicura che la protezione immunitaria sia durevole ed efficace anche in caso emergano varianti.

“Questo tipo di prevenzione – osserva Reed – può essere particolarmente utile nel controllo delle epidemie e nel contenimento della pandemia di influenza aviaria. Nell’ambito delle sperimentazioni, l’anticorpo ha funzionato magnificamente”. A gennaio 2025, riportano gli scienziati, è stato segnalato un caso di H5N1 negli Stati Uniti associato a decesso dell’ospite, ma l’Organizzazione mondiale della sanità conta 950 episodi a livello globale dal 1997, oltre la metà dei quali fatali. Il patogeno, aggiungono gli studiosi, si è diffuso dagli uccelli selvatici ai mammiferi in tutto il mondo, raggiungendo leoni marini in Sud America e visoni in Europa. Eppure, le strategie di prevenzione sono ancora piuttosto limitate.

“Il nostro anticorpo – afferma Simon Barratt-Boyes, autore corrispondente dell’articolo – ha come bersaglio una regione che non varia tra i diversi virus influenzali, per cui protegge efficacemente l’organismo anche da nuovi ceppi. I primati in cui è stato testato MEDI8852 sono stati protetti contro malattia grave e morte in ogni scenario osservato e i livelli sierici sono rimasti sufficientemente stabili per 8-12 settimane dall’inoculazione”.
“Questa ricerca – concludono gli autori – getta le basi per lo sviluppo di contromisure mediche contro future pandemie del virus influenzale H5N1”.

Fonte: AGI




One Health: le agenzie dell’UE coalizzate per affrontare la resistenza ai fungicidi azolici nei funghi Aspergillus

AflatossinePer la prima volta le cinque agenzie europee per la salute e l’ambiente – EFSA, ECDC, ECHA, AEA ed EMA[1]– con il supporto del CCR, hanno analizzato congiuntamente come l’uso di sostanze azoliche (fuori dalla medicina umana) influisca sulla salute pubblica.

I farmaci azolici sono essenziali per trattare l’aspergillosi, una grave infezione causata dai funghi Aspergillus, che però stanno sviluppando una crescente resistenza ai trattamenti con azoli, rendendo gli interventi meno efficaci.

Le sostanze azoliche vengono largamente impiegate nei prodotti fitosanitari (i pesticidi) per contenere le malattie fungine in agricoltura e orticoltura; come farmaci veterinari per il trattamento delle infezioni fungine negli animali; come biocidi nei preservanti del legno; come prodotti chimici industriali (ad esempio intermedi e vernici) e nei cosmetici (ad esempio come attivi antiforfora).

Il rapporto congiunto mette in luce come il loro uso estensivo al di fuori della medicina umana, in particolare in agricoltura, contribuisca al rischio che l’Aspergillus sviluppi resistenza agli azoli. L’esposizione a certi ambienti in cui vengono utilizzati o sono presenti fungicidi azolici, come i rifiuti agricoli e orticoli e il legname fresco di taglio, potrebbe far aumentare il rischio di infezione da Aspergillus spp. resistente agli azoli.

I dati raccolti dai Paesi UE/SEE (2010-2021) e inclusi nel rapporto espongono in dettaglio l’uso dei fungicidi azolici in Europa: i prodotti fitosanitari costituiscono la maggior parte delle vendite registrate in tutti i settori

Ha dichiarato Bernhard Url, direttore esecutivo ad interim dell’EFSA: “L’uso di fungicidi azolici – in agricoltura e in altri settori al di fuori della medicina umana – con il loro impatto sulla resistenza agli antifungini evidenzia la necessità cruciale di bilanciare prassi efficaci con la tutela della salute e dell’ambiente. L’approccio One Health ci consente di riunire competenze diverse per affrontare questa sfida e salvaguardare la salute pubblica per le generazioni future”.

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Fonte: EFSA