White striping nei polli, come l’allevamento intensivo cambia la carne che mangiamo
Striature bianche sul petto del pollo, carni dure e accumulo di grasso non sono solo un difetto estetico: riflettono la pressione degli allevamenti intensivi, lo stress metabolico degli animali e un rapido accrescimento selezionato geneticamente. A fare chiarezza sull’argomento, in un’intervista a Voce della Sanità, è Maria Grazia Cofelice, Dirigente Veterinario del Servizio Veterinario Igiene degli Alimenti di Origine Animale, ASL Pescara e membro del Gruppo di Lavoro della Simevep. La professionista sanitaria spiega, dunque, come genetica, dieta e allevamento intensivo contribuiscano a queste alterazioni, e chiarisce che, pur non rappresentando un rischio per la sicurezza alimentare, incidono sulla qualità nutrizionale e organolettica della carne.
White striping e petto di legno: cosa sono e perché compaiono
Il fenomeno del “White striping”, ossia la presenza di striature bianche sui muscoli del petto di pollo, insieme al “petto di legno”, caratterizzato da aree pallide, gonfie e dure, non è un semplice difetto estetico. Si tratta, in realtà, di miopatie muscolari degenerative: «Le fibre muscolari dei polli crescono troppo velocemente, non ricevono abbastanza sangue e ossigeno e alcune vanno incontro a morte per anossia. Al loro posto si formano strisce bianche di tessuto fibroso e grasso, da qui il nome di white striping», spiega la veterinaria. L’incidenza maggiore si riscontra nei maschi pesanti, selezionati per una resa elevata del petto e per una rapida crescita. Cofelice sottolinea come il difetto sia facilmente riconoscibile anche macroscopicamente, soprattutto sui tessuti freschi: «Le striature biancastre sono visibili a occhio nudo, anche se tendono a scomparire durante la cottura».
Fonte: vocedellasanita.it
Si è chiusa la COP 30, come previsto senza menzionare nel testo finale (il
Ogni quanto vanno cambiate le spugnette per i piatti? E le uova, una volta acquistate, dove vanno riposte?
Monitorare i salti di specie dei virus influenzali prima che diventino un’emergenza è l’obiettivo di FluWarning, un sistema digitale di allerta precoce sviluppato dal Politecnico di Milano e dall’Università degli Studi di Milano. Analizzando milioni di sequenze virali depositate su GISAID, il software riconosce variazioni genetiche anomale che possono indicare il passaggio del virus da una specie all’altra, come accaduto nell’ultimo anno con l’H5N1 nei bovini da latte negli Stati Uniti. Lo
L’aumento degli alimenti ultra-processati nelle diete di tutto il mondo rappresenta una sfida urgente per la salute pubblica, che richiede politiche coordinate e azioni di sensibilizzazione a livello globale.
Tra il 6 settembre e il 14 novembre 2025 sono stati segnalati 1 443 casi di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) A(H5) negli uccelli selvatici in 26 Paesi europei, quattro volte in più rispetto allo stesso periodo nel 2024 e il numero più alto quanto meno dal 2016.
L’American Veterinary Medical Association (AVMA), la Federation of Veterinarians of Europe (FVE) e la Canadian Veterinary Medical Association (CVMA) — che rappresentano complessivamente oltre 400.000 veterinari in tutto il mondo — hanno pubblicato oggi due dichiarazioni congiunte di rilievo che riaffermano il loro impegno condiviso verso un uso responsabile degli antimicrobici e la lotta globale contro la resistenza agli antimicrobici (AMR).
Le cosiddette ‘Nature Based Solutions’, le “Soluzioni Basate sulla Natura”, che offrono benefici tangibili per la salute nelle infrastrutture e il tema della decarbonizzazione in sanità saranno oggetto di due eventi a cui parteciperà l’Iss con il dipartimento Ambiente e Salute durante i lavori della Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – COP 30, che si svolge a Belém, Brasile, dal 10 al 21 Novembre 2025.
La crescente diffusione del clade 2.3.4.4b del virus dell’influenza aviaria A(H5N1) a numerose specie di volatili e di mammiferi domestici e selvatici desta fondati motivi di allarme. Preoccupa particolarmente, in un siffatto contesto, la documentata acquisizione dell’infezione da parte di specie la cui conservazione in natura appare già seriamente minacciata, quali l’orso polare in Alaska, i leoni e gli elefanti marini sudamericani, nonché delfini e focene lungo le coste nordamericane e scandinave (Di Guardo, 2025). Ulteriore preoccupazione la giustificano, altresì, i reiterati casi di malattia umana in allevatori statunitensi, conseguenti ad esposizione/consumo di latte non pastorizzato proveniente dai numerosi allevamenti bovini colpiti dal virus in USA (Garg et al., 2025).. In un caso di malattia recentemente diagnosticato in un paziente cileno, l’agente responsabile possedeva inoltre il medesimo profilo genetico del virus isolato da leoni marini deceduti lungo le coste di quel Paese (Pardo-Roa et al., 2025). Fortunatamente, il virus dell’influenza aviaria A(H5N1) non avrebbe ancora acquisito, nonostante i continui eventi mutazionali a carico del proprio genoma, la capacità di trasmettersi efficacemente da uomo a uomo (Di Guardo, 2025).