Indagine ISPRA sulla gestione del cinghiale in Italia nel periodo 2015-2021

cinghialiAl 2021 stimato un milione e mezzo di cinghiali in italia. In sette anni, abbattimento aumentato del 45. Danni all’agricoltura per 120 milioni di €. Abruzzo e Piemonte le regioni più colpite

Cinghiali, continua la crescita degli abbattimenti (o prelievi) e dei danni: nel periodo 2015-21 il prelievo di cinghiali è aumentato del 45% e in media sono stati abbattuti circa 300.000 cinghiali all’anno (di cui 257.000 in caccia ordinaria e 42.000 in interventi di controllo faunistico). Nello stesso periodo, gli importi annuali dei danni all’agricoltura sono oscillati tra 14,6 e 18,7 milioni di €, con una media annuale pari a oltre 17 milioni di €. 
Sono alcuni dei risultati della prima indagine di dettaglio a scala nazionale che ISPRA ha realizzato grazie alle informazioni fornite dalle Regioni e dalle Aree protette e che l’Istituto ha comunicato ai ministri dell’Ambiente e dell’Agricoltura.

Comunicato stampa

Fonte: ISPRA




La malattia emorragica epizootica del cervo (EHD). Dopo lingua blu e influenza aviaria una nuova sfida per la sanità veterinaria.

 Ruggero è il primo animale, un toro, a presentare sintomatologia clinica e lesioni riconducibili alla EHD, la malattia emorragica epizootica del cervo, ma che colpisce anche i ruminanti domestici. Dopo un primo sospetto di blue tongue –i sintomi possono essere inizialmente confusi – la verifica da parte del centro di referenza nazionale di Teramo conferma i sospetti dei veterinari di ASL e IZS della Sardegna.

Con i circa 11000 esemplari di cervi nella sola Sardegna meridionale, il virus potrebbe e avere altissima possibilità di trasmissione, se non si interviene tempestivamente. Da qui l’urgenza di mettere la patologia sotto la lente di ingrandimento, con un incontro nazionale che ha portato a convegno tutti i maggiori studiosi ed operatori dell’Isola e della penisola.

All’incontro ha preso parte l’Assessore dell’Igiene e Sanità e dell’Assistenza Sociale della Regione Sardegna, Mario Nieddu, che ha evidenziato come l’amministrazione regionale si sia già attivata con incontri con tutti i soggetti che hanno un ruolo nella crisi in corso.

Sono intervenuti anche il direttore Generale dell’Istituto Zooprofilattico sardo, Giovanni Filippini, e il Direttore del servizio di Sanità Pubblica Veterinaria della Regione Antonio Montisci, che hanno evidenziato come tutto il sistema sanitario, veterinario e non, si debba necessariamente preparare, a fronte di cambiamenti climatici sempre più accentuati e che conducono alla diffusione sempre più frequente di nuove patologie soprattutto di tipo tropicale.

Di fronte a questa nuova emergenza emergono nuovi scenari e nuovi comportamenti, per evitare la diffusione e circoscrivere il più possibile il fenomeno. Ad illustrare i riferimenti normativi in questo settore è intervenuto Luigi Ruocco, Direttore dell’Ufficio 3 del Ministero della Salute, area che ha la responsabilità della Sanità animale e della gestione e lotta contro le malattie animali. Ruocco ha invitato a fare riferimento alle nuove norme europee per la gestione operativa dell’emergenza, che forniscono una cornice alle azioni di contenimento, e sottolineato il ruolo che la nuova normativa conferisce agli operatori nel rilevare, segnalare e gestire animali sospetti.

Sotto l’aspetto della diagnostica, il laboratorio dell’IZS sarà dotato a breve di un kit, che permetterà di rilevare in tempi brevi un numero elevato di campioni sospetti di positività all’EHD. L’Osservatorio Epidemiologico Veterinario Regionale inoltre, che fa capo ugualmente allo zooprofilattico sardo, ha già a disposizione un’App che permette di inserire la singola segnalazione circa la presenza di carcasse di animali selvatici o negli allevamenti.

Il Presidente Commissione agricoltura Piero Maieli ha poi sottolineato la necessità di attivare una unità di crisi specifica, progetto cui l’amministrazione regionale si è già detta disponibile, che possa gestire in modo unitario le strutture regionali coinvolte al fine di consentire azioni concrete per contenimento contro l’espansione della patologia.

Nel corso della giornata si sono alternati esperti di tutta Italia, da Giovanni Savini, Maria Goffredo e Massimo Spedicato e Alessio Lorusso del Centro di Referenza Nazionale per le malattie esotiche degli animali, a Lucio Mandas del Centro Allevamento Recupero Fauna Selvatica (Forestas) e Vincenzo Forma dell’ASL Medio Campidano, che ha per primo rilevato la sintomatologia clinica in Sardegna, assieme ad Angelo Ruiu dell’IZS Sardegna che ha fornito la descrizione delle lesioni anatomo-patologiche riscontrate. Per l’Istituto sono intervenuti inoltre Stefano Cappai, Giantonella Puggioni e Giuseppe Satta. I lavori sono stati coordinati da Sandro Rolesu, Direttore Sanitario dell’IZS Sardegna.

Oltre al lavoro sul contenimento, la ricerca va avanti, e l’auspicio e obiettivo espresso dalla sala è stato quello di arrivare rapidamente ad un vaccino.
A tirare le fila della mattinata il Direttore dell’IZS Giovanni Filippini: “siamo pronti sugli aspetti diagnostici e su quelli organizzativi. La vera sfida sarà sulle strategie a lungo termine, ma siamo in presenza di una squadra che può affrontarle.”

Relazioni Convegno

Fonte: IZS Sardegna




Elenco delle specie animali selvatici ed esotici che possono essere detenuti come animali da compagnia

Il 27 ottobre 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale 11 ottobre 2022 “Individuazione degli animali di specie selvatiche ed esotiche prelevate dal loro ambiente naturale come animali da compagnia”.

Il decreto indica un elenco di animali esotici salvatici che, (in deroga al divieto di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 5 agosto 2022, n. 135), possono essere prelevati dal loro ambiente naturale per la detenzione come animali da compagnia. L’elenco è stato predisposto secondo le attuali conoscenze scientifiche in base al rischio sanitario, al rischio per la biodiversità e alla compatibilità con la detenzione in cattività per ragioni comportamentali, fisiche, biologiche ed etologiche.

Pertanto, la lista prevede solo le 6 specie che secondo le conoscenze attuali non rappresentano un rischio per la biodiversità. Tale lista potrà essere aggiornata almeno ogni 5 anni.

Fonte: Ministero della salute




Nuovi anticorpi monoclonali per l’identificazione della malattia emorragica epizootica del cervo

Anticorpi monoclonali, sviluppati in IZS, permetteranno una più efficiente diagnosi di una malattia virale che colpisce prevalentemente i cervi, ma che può attaccare anche i bovini danneggiando la produzione di latte

La Malattia Emorragica Epizootica (EHD acronimo della malattia in lingua inglese), è una patologia virale identificata originariamente in alcune specie di cervi nel Nord America. Negli ultimi anni la malattia è stata registrata nei paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo. Una sua introduzione in Europa rappresenta pertanto un pericolo che richiede metodi di identificazione e sorveglianza rapidi ed efficienti. Ad oggi non sono stati ancora registrati casi nelle nazioni europee e quindi la malattia può dirsi esotica.

Per assolvere ad uno dei compiti istituzionali in qualità di Centro di Referenza per le Malattie Esotiche (CESME), i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo hanno avviato una ricerca per lo sviluppo di un metodo diagnostico, i cui risultati preliminari sono stati pubblicati sulla rivista Monoclonal antibodies in Immunodiagnosis and Immunotherapy. I ricercatori hanno infatti prodotto anticorpi monoclonali capaci di riconoscere una proteina specifica del virus responsabile della patologia (EDHV). In questo modo sarà possibile realizzare test di laboratorio affidabili, capaci di portare ad una rapida identificazione della sua eventuale presenza in animali selvatici o da allevamento.

“La Malattia Emorragica Epizootica – spiega Mirella Luciani, del reparto di Immunologia e sierologia, co-autore della pubblicazione scientifica – non costituisce alcun pericolo per l’uomo. Colpisce soprattutto alcune specie di cervi, nei quali può essere particolarmente grave, con tassi di mortalità che possono arrivare fino al 90% per i cervi dalla coda bianca. Occasionalmente, però, può rappresentare un problema anche per i bovini, nei quali la sintomatologia è molto più lieve e la mortalità molto rara, ma in questi casi ci può essere un rilevante calo della produzione di latte con conseguenti danni economici”.

Il virus EDHV viene trasmesso attraverso la puntura di insetti del genere Culicoides, gli stessi che possono trasmettere altri due virus: la bluetongue, che colpisce prevalentemente gli ovini, e la peste equina, che colpisce prevalentemente gli equini. “Questi insetti – continua Luciani – sono presenti in Europa. A loro si devono, ad esempio, i focolai di bluetongue che in anni passati hanno colpito gli allevamenti di pecore in Italia, soprattutto in Sardegna. Quindi ci troviamo di fronte allo stesso ciclo infettivo e alla stessa nicchia ecologica. Significa che l’introduzione in Europa del virus della Malattia Emorragica Epizootica del Cervo è una possibilità concreta. Per questo motivo abbiamo sviluppato un pannello di anticorpi monoclonali che potranno rappresentare un valido supporto per la diagnosi precoce della malattia”.

Fonte: IZS Teramo




Patogeni trasmessi da zecche, fino al 30% di zecche positive nella fauna selvatica del nord-est dell’Italia

Gli animali selvatici e domestici occupano un ruolo importante nei cicli vitali di molti patogeni trasmessi dalle zeccheLupo, sciacallo e capriolo sembrano fungere da ospite principale per le zecche e da serbatoio per i patogeni nel nord-est dell’Italia, ma non mancano anche altri animali come bovini, camosci, cervi, cinghiali, volpi, tassi, ricci e poiane.

La situazione nel nord-est, fino al 30% di positività per Ixodes ricinus

Uno studio dell’IZSVe, presentato 10^ Conferenza internazionale “Tick and Tick-Borne Pathogen” (TTP.10), ha evidenziato la presenza di un’elevata diversità di patogeni trasmessi da zecche nel nord-est dell’Italia. In particolare è stato osservato un elevato tasso di infezione nella zecca Ixodes ricinus: il 30,2% dei campioni analizzati per questa specie è risultato positivo per almeno un patogeno.

Ma qual è il ruolo ecologico di queste specie animali? A questa domanda hanno cercato di rispondere i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) con uno studio sulla presenza e la prevalenza dei patogeni nelle zecche prelevate da diversi animali. I risultati sono stati presentati alla 10^ Conferenza internazionale “Tick and Tick-Borne Pathogen” (TTP.10) sulle zecche e patogeni trasmessi dalle zecche, organizzata dal Dipartimento di Parassitologia e Malattie Parassitarie dell’Università di Scienze Agrarie e Medicina Veterinaria di Cluj-Napoca (Romania), in collaborazione con l’Istituto di ricerca sul delta del Danubio.

Nello studio i ricercatori hanno prelevato le zecche durante il periodo 2019-2021, sia adulti che stadi giovanili (larve e ninfe), in animali provenienti da Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Sono state raccolte in totale 367 zecche (suddivise in 321 pool per la ricerca di patogeni) poi classificate in tre generi e quattro specieIxodes ricinus (215), I. hexagonus (146), Dermacentor marginatus (1), Rhipicephalus sanguineus (1), Ixodes spp. (2) e Dermacentor spp. (2). Le zecche sono state raccolte da 71 ospiti appartenenti ad 11 specie. Ixodes ricinus è stata raccolta da tutte le specie ospiti; I. hexagonus da tasso, riccio e volpe; D. marginatus e Dermacentor spp. da cinghiale e R. sanguineus da riccio. Da segnalare che il 30,2% di I. ricinus è risultato positivo per almeno un patogeno.

Inoltre, per ogni patogeno è stato calcolato il tasso di infezione (infection rate, IR) ossia il numero degli esemplari positivi sul totale degli esemplari analizzati. Nei pool di zecche sono stati identificati undici patogeni differenti, di cui i principali sono: Anaplasma phagocitophylum (IR=19,1) Rickettsia helvetica; (IR=9,8) e R. monacensis (IR=4,7). Sono stati ritrovati anche: Borrelia miyamotoiB. burgdorferi sensu stricto, B. azfeliiBabesia venatorum e Ba. capreoli. Un esemplare di Dermacentor spp. è stato trovato positivo a R. slovaca e cinque I. hexagonus a Rickettsia spp. Un totale di 15 zecche (4,1%) rimosse da camosci e caprioli sono state trovate co-infette da più di un patogeno.

Questo studio evidenzia la presenza di un’elevata diversità di patogeni trasmessi da zecche in quest’area. In particolare, è stata osservata un elevato tasso di infezione nella zecca I. ricinus e la possibilità di trasmissione multipla di patogeni da parte di zecche co-infette.

Il contributo degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali alla ricerca internazionale

Gli esponenti degli IIZZSS italiani alla 10^ Conferenza internazionale “Tick and Tick-Borne Pathogen” (TTP.10). Da sinistra: Ilaria Pascucci (dirigente veterinaria, IZS Umbria e Marche); Michela Bertola (ricercatrice veterinaria, IZS Venezie); Aitor Garcia-Vozmediano (borsista veterinario, IZS Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta).

La Conferenza TTP rappresenta il maggior evento scientifico del settore e ha visto la partecipazione di circa 200 esperti del settore tra ricercatori, epidemiologi, medici, immunologi, veterinari, biologi ed ecologi provenienti da tutto il mondo.

Una menzione particolare spetta ai tre Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) che hanno presentato i loro studi sperimentali, dimostrando un’importante presenza degli IIZZSS italiani a livello internazionale e un’elevata qualità delle ricerche condotte:

  • Michela Bertola, ricercatrice veterinaria, IZS Venezie. Tick-borne pathogens detected in ticks removed from animal hosts in northeastern Italy
  • Aitor Garcia-Vozmediano, borsista veterinario, IZS Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. A One Health approach to tackle tick-borne diseases – analysis of surveillance initiatives in selected EU countries: The Netherlands, Spain and Italy
  • Ilaria Pascucci, dirigente veterinaria, IZS Umbria e Marche. Ticks and tick-borne pathogens in Umbria and Marche in a one health perspective; a five years monitoring with a description of clinical case of SENLAT

Fonte: IZS Venezie




Mare monstrum: Mediterraneo invaso da centinaia di nuovi pesci

Una ricerca pubblicata dalla rivista ‘Global Change Biology’ e coordinata dall’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine del Cnr di Ancona ricostruisce la storia delle invasioni biologiche nel mare nostrum, che negli ultimi 130 anni ha subito l’arrivo di circa duecento nuove specie ittiche grazie al cambiamento climatico

Con centinaia di specie esotiche, il Mar Mediterraneo viene oggi riconosciuto come la regione marina più invasa al mondo. Una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Global Change Biology e coordinata dall’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine (Cnr-Irbim) di Ancona, ricostruisce questa storia per le specie ittiche introdotte a partire dal 1896.

Lo studio dimostra come il fenomeno abbia avuto un’importante accelerazione a partire dagli anni ’90 e come le invasioni più recenti siano capaci delle più rapide e spettacolari espansioni geografiche”, spiega Ernesto Azzurro del Cnr-Irbim e coordinatore della ricerca. “Da oltre un secolo, ricercatori e ricercatrici di tutti i paesi mediterranei hanno documentato nella letteratura scientifica questo fenomeno, identificando oltre 200 nuove specie ittiche e segnalando le loro catture e la loro progressiva espansione. Grazie alla revisione di centinaia di questi articoli e alla georeferenziazione di migliaia di osservazioni, abbiamo potuto ricostruire la progressiva invasione nel Mediterraneo”. Tale processo ha cambiato per sempre la storia del nostro mare.

Sono due le porte di ingresso di questa colonizzazione: “Le specie del Mar Rosso, entrate dal canale di Suez (inaugurato nel 1869), sono le più rappresentate e problematiche. Ci sono, tuttavia, altri importanti vettori come il trasporto navale ed il rilascio da acquari. I ricercatori hanno considerato anche la provenienza atlantica tramite lo stretto di Gibilterra”, continua Azzurro.

Ma quali sono gli effetti ambientali e socio-economici di queste ‘migrazioni ittiche’?

Alcune di queste specie costituiscono nuove risorse per la pesca, ben adattate a climi tropicali e già utilizzate nei settori più orientali del Mediterraneo”, spiega il ricercatore Cnr-Irbim. “Allo stesso tempo, molti ‘invasori’ provocano il deterioramento degli habitat naturali, riducendo drasticamente la biodiversità locale ed entrando in competizione con specie native, endemiche e più vulnerabili. Il ritmo della colonizzazione è così rapido da aver già cambiato l’identità faunistica del nostro mare; pertanto ricostruire la storia del fenomeno permette di capire meglio la trasformazione in atto e fornisce un esempio emblematico di globalizzazione biotica negli ambienti marini dell’intero pianeta”.

La ricerca è stata svolta grazie al supporto dei progetti InterregMED MPA-Engage e del progetto @CNR USEit.

Fonte: CNR




Autopsia degli animali selvatici con approccio One Health

Studiare l’impatto umano sulla fauna selvatica, ricorrendo all’11ma revisione dell’International Classification of Diseases per standardizzare, anche a fini statistici, i dati ottenuti dall’autopsia.

La crescita della popolazione umana ha portato, negli ultimi anni, a contatti sempre più frequenti con gli animali selvatici con cui condividiamo il territorio, fino ad arrivare talvolta a un’alterazione dell’equilibrio dell’ecosistema. E a casi estremi come l’uccisione di individui o di intere specie animali e vegetali considerati indesiderabili o addirittura dannosi.

Si fa dunque sempre più pressante indagare nell’ambito della fauna selvatica cause e modalità di morte.

Con questo obiettivo, un team dell’Università di Parma ha scelto di applicare i codici contenuti nell’11ma revisione dell’International Classification of Diseases (ICD-11), in modo da codificare le cause di morte riconducibili all’impatto antropico sull’ecosistema.

I ricercatori, inoltre, si sono riproposti di verificare se il ricorso all’ICS-11 sia pure un valido strumento cui il veterinario possa ricorrere al fine di riconoscere e descrivere un sospetto abuso di animali come indicatore sentinella di violenza verso umani e non umani.

Lo scopo, dunque, diventa quello di ampliare il concetto di “One Health” anche in una prospettiva di indagine forense.

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Prima descrizione dell’Hantavirus Dobrava-Belgrade in Italia, in roditori selvatici del Friuli Venezia Giulia

In seguito all’evidente moria di roditori rilevata lo scorso anno in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, numerosi campioni sono stati consegnati all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) per gli accertamenti di laboratorio. La rivista scientifica Viruses ha pubblicato il resoconto delle attività diagnostiche effettuate, che hanno portato alla prima segnalazione in Italia del virus Dobrava-Belgrade, nello specifico in Friuli Venezia Giulia. Si tratta di un virus a RNA del genere Orthohantavirus, un gruppo di patogeni che vengono mantenuti in natura da diverse specie di roditori, ma anche da piccoli mammiferi insettivori e dai chirotteri.

L’importanza degli Hantavirus è legata al fatto che alcuni di questi sono zoonotici, ovvero possono essere trasmessi dal serbatoio animale all’uomo, nel quale possono causare patologie anche piuttosto serie. I casi umani sono segnalati in diverse parti del mondo, soprattutto in Asia, mentre sono meno frequenti in Europa. Ad oggi, i rarissimi casi italiani derivano probabilmente da infezioni contratte nella vicina Slovenia, associate quasi esclusivamente a due specie virali: Puumala e, appunto, Dobrava-Belgrade.

Poiché entrambi questi virus circolano ampiamente nei roditori selvatici delle limitrofe Croazia e Slovenia, la ricerca di Hantavirus è stata condotta anche nei campioni delle due rispettive specie serbatoio: l’arvicola rossastra (Myodes glareoulus) e il topo dal collo giallo (Apodemus flavicollis), raccolti nell’Italia nordorientale. Su questi soggetti è stato effettuato uno screening diagnostico a 360 gradi, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

L’hantavirus Dobrava-Belgrade è stato individuato in 4 soggetti di topo collo giallo provenienti dalla provincia di Udine. Il sequenziamento del genoma completo ha permesso di associarlo ai ceppi che circolano nella stessa specie in Slovenia e Croazia; l’esame necroscopico, per contro, non ha rilevato segni specifici negli organi dei roditori. L’ipotesi è dunque che la mortalità degli animali non fosse correlata al virus, che con ogni probabilità convive in modo del tutto naturale con il suo ospite animale, quanto piuttosto alla dinamica ciclica della popolazione di roditori.

Le mortalità cicliche “di massa” nei micromammiferi sono infatti note e contribuiscono alla regolazione della popolazione, in particolare dopo esplosioni demografiche dovute a fattori come stagioni particolarmente calde, con un’iperproduzione di risorse alimentari. Pertanto la malattia da Hantavirus, oggi da noi così rara, potrebbe diventare più rilevante in un contesto di cambiamento climatico. Infatti, l’incidenza di casi umani risulta strettamente correlata alla prevalenza del virus nel suo serbatoio che, come abbiamo imparato per il Covid-19, aumenta in caso di assembramenti. In pieno accordo con il concetto di ‘One Health’, ancora una volta la sorveglianza veterinaria risulterà fondamentale per tutelare anche la salute dell’uomo.

Fonte: IZS Venezie




Malaria, identificate nuove molecole che bloccano la trasmissione del parassita grazie ad uno studio ISS-IRBM-CNR

artropodiUna collaborazione tra ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’IRBM e del CNR ha identificato grazie ad una combinazione di metodi innovativi nuove molecole che bloccano la trasmissione del parassita della malaria dalla persona infetta alla zanzara, primo passo per sviluppare nuovi farmaci per eliminare questa grave malattia infettiva. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Communications Biology (doi: 10.1038/s42003-022-03510-w).

Rispondendo alla indicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di attaccare il plasmodio della malaria su più fronti, i ricercatori hanno collaborato negli ultimi anni alla ricerca di nuove molecole capaci di bloccare la trasmissione del più pericoloso dei parassiti malarici, il Plasmodium falciparum, in un progetto finanziato dal consorzio pubblico-privato CNCCS formato da CNR, ISS e IRBM.

In questo lavoro sono state identificate sette strutture molecolari (chemotipi), tre delle quali mai identificate in passato, capaci di uccidere i gametociti, (le forme del parassita trasmissibili alla zanzara Anopheles), e impedire lo sviluppo del parassita nella zanzara. Il successo è stato possibile grazie alla combinazione di conoscenze biologiche sui gametociti, di saggi cellulari innovativi su parassiti transgenici e di competenze nello screening su larga scala di composti farmacologicamente attivi.

Giacomo Paonessa, Group Leader di IRBM, sottolinea che “la filiera di saggi biologici sviluppata in questa collaborazione ha potuto testare in modo efficiente e veloce 120.000 composti, che corrisponde a circa un terzo di quelli finora complessivamente saggiati da diversi laboratori in tutto il mondo alla ricerca di nuovi farmaci anti-trasmissione. Questo risultato apre quindi la strada a screening ancora più ampi per identificare composti ancora migliori contro la trasmissione del parassita.”

“L’azione delle strutture molecolari è spezzare il ciclo vitale di P. falciparum e quindi la diffusione della malaria ad altri individui” commenta Pietro Alano, ricercatore dell’ISS, aggiungendo che “l’importanza di questa nuova filiera di saggi è la sua efficienza e velocità nell’identificare sia molecole attive solo contro i gametociti che molecole doppiamente attive, che cioè uccidono anche le forme del parassita che provocano i gravissimi sintomi della malattia; oggi eliminare la malaria richiede entrambi i tipi di farmaci”.

Da oltre cinque anni, ricordano gli autori, la lotta alla malaria a livello globale registra una battuta d’arresto, oggi aggravata dagli effetti della pandemia sui sistemi sanitari dei Paesi più colpiti, principalmente in Africa. Nel 2021, 240 milioni di nuovi casi e 630.000 morti, soprattutto bambini africani sotto i 5 anni, è stato il prezzo imposto da questo parassita alla salute dell’umanità, un quadro reso sempre più preoccupante dall’insorgere di parassiti e di zanzare resistenti anche ai più moderni farmaci ed insetticidi.

Fonte: ISS




Primo monitoraggio nazionale sul lupo in Italia, i risultati

Sono stati pubblicati i risultati del primo monitoraggio nazionale sul lupo in Italia, coordinato dall’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale ISPRA, su mandato del Ministero della Transizione Ecologica MiTE per comprendere quanti e dove sono i lupi in Italia

Il lavoro è stato svolto tra il 2018 e il 2022, con una raccolta dati realizzata tra Ottobre 2020 – Aprile 2021 che ha permesso di stimare l’abbondanza (intesa come numero di individui, N) e la distribuzione (area minima occupata nella regione alpina e la area stimata nella zona peninsulare) della specie.

Le stime dell’abbondanza della specie per le regioni alpine e per le regioni dell’Italia peninsulare sono state prodotte in maniera indipendente con i medesimi modelli statistici. I due valori risultanti e i rispettivi intervalli sono stati integrati, ottenendo una stima della consistenza complessiva a livello nazionale.

La stima della popolazione del lupo a scala nazionale è risultata pertanto pari a 3.307 individui (forchetta 2.945 – 3.608).

La stima della distribuzione del lupo in Italia viene fornita in due mappe distinte ottenute da una base metodologica comune. Nelle regioni alpine sono state campionate il 100% delle celle di presunta presenza della specie ottenendo una mappa di distribuzione minima. Nelle regioni peninsulari, tenuto conto della maggiore estensione dell’areale di presunta presenza della specie, sono state selezionate per la raccolta dei dati il 35% delle celle identificate idonee. Per estrapolare i risultati verso il restante 65% di celle, si sono utilizzati modelli statistici ottenendo una mappa di probabilità di presenza.

Sulla base dei dati raccolti, il range minimo di presenza del lupo nelle regioni alpine nel 2020-2021, considerando l’anno biologico della specie (1° maggio 2020 – 30 aprile 2021), è stato stimato di 41.600 km2. Nelle regioni peninsulari, l’estensione complessiva della distribuzione è risultata pari a 108.534 km2 (forchetta = 103.200 – 114.000 km2). Il lupo occupa quindi una larga parte del paese e nelle regioni peninsulari ha colonizzato la quasi totalità degli ambienti idonei.

Dalle analisi genetiche condotte sui campioni raccolti nell’area peninsulare sono stati identificati geneticamente 513 individui di lupo. Il 72,7 % non ha mostrato ai marcatori molecolari analizzati alcun segno genetico di ibridazione recente o antica con il cane domestico, l’11,7 % mostrava segni di ibridazione recente con il cane domestico, il 15,6 % hanno mostrato segni di più antica ibridazione (re-incrocio con il cane domestico avvenuto oltre approssimativamente tre generazioni nel passato). Occorre sottolineare che i valori dei tassi di ibridazione antica o recente ottenuti da questa indagine e dalle analisi molecolari non rappresentano una stima formale del fenomeno, né a livello nazionale né locale, e che sarebbero necessarie ulteriori indagini per poter valutare il tasso di ibridazione della popolazione italiana di lupi.

I risultati ottenuti dal monitoraggio rappresentano una base di conoscenza per indirizzare le scelte gestionali e permettere di valutare il raggiungimento degli obiettivi di conservazione, assicurando il mantenimento, a livello nazionale, di uno status di conservazione favorevole della specie e al contempo mitigando i conflitti che il lupo causa. L’adozione di protocolli standardizzati a scala nazionale sotto il coordinamento dell’ISPRA ha permesso di superare la disomogeneità delle strategie di monitoraggio effettuate a scala locale negli anni passati, dovuta alla frammentazione amministrativa e all’assenza di un coordinamento tra enti e istituti locali, disomogeneità ritenuta una delle principali minacce per la conservazione della specie.

Risultati di sintesi del monitoraggio

Relazioni ufficiali: